mercoledì 24 ottobre 2012

Finmeccanica, la tangente per la maxi-commessa (saltata) e il ruolo di Berlusconi.


Finmeccanica, la tangente per la maxi-commessa (saltata) e il ruolo di Berlusconi


Tra i protagonisti dell'inchiesta entra anche un altro personaggio Pdl. E' il senatore Esteban Caselli, originario dell’Argentina ed eletto nella circoscrizione estero, introdotto all’allora direttore commerciale della holding della Difesa, Paolo Pozzessere proprio dal Cavaliere. Il politico voleva, come altri, soldi da Finmeccanica. Il ruolo di Scajola e Nicolucci in una commessa da 5 miliardi (mai andata in porto) e una provvigione dell'11%.

Affari, politica e il sospetto della più grande tentativo di corruzione (fallito) della storia: 550 milioni di euro di tangente da ripartire, secondo la gola profonda Lorenzo Borgogni, ex responsabile delle comunicazioni di Finmeccanica, tra l’ex ministro Claudio Scajola, l’onorevole Pdl Massimo Nicolucci e l’allora ministro della Difesa brasiliano Jobin. L’inchiesta Finmeccanica - con l’arresto di Paolo Pozzessere, ex direttore commerciale e attuale senior advisor per i rapporti con la Russia, gli avvisi di garanzia all’ex ministro Pdl Claudio Scajola, al deputato Massimo Nicolucci e al presidente degli industriali napoletani Paolo Graziano - ieri è deflagrata aprendo nuovi scenari. Anche quello di pressioni su Silvio Berlusconi da parte dell’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola, in carcere da mesi per i finanziamenti all’editoria e gli appalti per le carceri modulari a Panama. Ma non solo: il Cavaliere, stando alle carte, avrebbe raccomandato un senatore Pdl per un ulteriore affare in Indonesia. Il politico poi avrebbe poi chiesto “provvigioni” a Finmeccanica come compenso dell’intermediazione. Insomma, in questa vicenda, che per le cifre fa impallidire la storica maxi-tangente Enimont l’ex presidente del Consiglio sembra sponsorizzare potenziali corrotti.
I nuovi sviluppi dell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto di Napoli Francesco Greco e dai pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock portano anche in BrasilePanama, Russia. Un sistema di corruzione internazionale che potrebbe avere precedenti solo guardando indietro di 20 anni. Gli inquirenti hanno messo nel mirino due importati affari, che tuttavia non sono andati in porto. Si parla di commesse da 180 milioni di euro per la fornitura di elicotteri, cartografia del territorio e sistema di vigilanza costiera, sempre a Panama: 18 milioni di euro la mega mazzetta che avrebbe dovuto intascare il presidente panamense Ricardo Martinelli) , vicenda che il gip definisce “raccapricciante”. E di un contratto per la fornitura di navi da guerra alla Marina militare brasiliana, un business da ben cinque miliardi di euro. 
Berlusconi, Lavitola e l’ex dg convocato a Palazzo Grazioli. Lo stretto rapporto tra l’ex premier e il faccendiere Valter Lavitola è lo sfondo invece su cui si muove la vicenda dell’appalto Fincantieri-Finmeccanica per navi al Brasile. Giuseppe Bono, dg di Finmeccanica dal 1997 al 2000 e ad Fincantieri dal 2002, ascoltato a Napoli il 26 settembre scorso racconta dell’accordo stipulato da Fincantieri e il governo brasiliano per una fornitura di navi per un valore di 5 miliardi di euro, ripartiti al 60% per la sua azienda e al 40% per Finmeccanica e società del gruppo fornitrici di sistemi di controllo e combattimento. Dopo la stipula dell’accordo “Lavitola – dichiara agli inquirenti – venne in Fincantieri e sostanzialmente mi disse esplicitamente che riteneva di meritare un compenso per l’attività svolta ….io non ritenevo che l’azienda dovesse alcunché al Lavitola, perché non aveva ricevuto alcun incarico in tal senso…. Fui convocato telefonicamente da Berlusconi a Palazzo Grazioli … Lavitola mi aveva preannunciato questa telefonata. Andai con l’avvocato Iannucci…In quell’occasione Berlusconi mi disse, alla presenza di Lavitola, di tenere presente che Lavitola era il suo fiduciario per il Brasile; ebbi la netta impressione che Berlusconi era pressato da Lavitola”. Il top manager aggiunge che quell’incontro si svolse tra febbraio e marzo 2011 e poi non ebbe più occasione di incontrare Lavitola per le vicende brasiliane. Per gli inquirenti l’inchiesta vede ancora una volta giocare un ruolo attivo dell’ex direttore dell’Avanti . Nei confronti del giornalista il gip ha respinto la richiesta di un nuovo arresto, essendo già detenuto con accuse simili, mentre ha ordinato il carcere, per concorso in corruzione internazionale.  
Scajola “canale privilegiato”. E’ Lorenzo Borgogni, ex responsabile comunicazioni esterne di Finmeccanica, a mettere nei guai l’ex ministro e ha rivelare il sistema. In un verbale del novembre dell’anno scorso racconta: “Pozzessere mi disse che Graziano era parte attiva, oltre a Fincantieri e Finmeccanica, nell’affare delle fregate e mi disse chiaramente di aver capito il motivo per il quale Fincantieri – nostra partner nell’affare – era molto più avanti di noi, e cioè di Finmeccanica; in poche parole Pozzessere mi disse che il dott. Bono di Fincantieri e Graziano gli avevano chiaramente detto di aver trovato un canale tra l’Italia e il Brasile tale da agevolarli nei rapporti con l’allora ministro della Difesa brasiliano Jobin, canale trovato da Graziano. Subito dopo tale colloquio, che avvenne nel 2009, io chiamai immediatamente, chiesi di incontrare e incontrai il mio amico Graziano, che conoscevo da tempo, appunto per chiedergli quale fosse il suo canale e se c’era la possibilità che anche noi di Finmeccanica potessimo beneficiare di tale canale privilegiato”. “In quell’occasione, siamo tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, Graziano mi disse – prosegue Borgogni – che il canale privilegiato tra Fincantieri e il governo brasiliano era rappresentato dall’onorevole Claudio Scajola e dal parlamentare napoletano, della corrente di Scajola, on.Nicolucci, e ciò perché Scajola era molto legato al ministro della Difesa brasiliano Jobin; preciso che, anche se all’epoca Scajola era ministro dello Sviluppo economico, in realtà il suo dicastero non aveva nulla a che vedere con l’affare della fornitura delle fregate nel quale era invece semmai coinvolto il ministero della Difesa. In tale occasione il mio amico Graziano scese nei dettagli e mi spiegò che lui aveva creato il contatto tra l’on. Nicolucci di Napoli e il dott. Bono di Fincantieri e che l’on. Nicolucci era praticamente un emissario dell’on. Scajola il quale appunto aveva il contatto con il ministro brasiliano Jobin. Dunque Scajola, contattato attraverso Nicolucci, si era impegnato ad intervenire su Jobin appunto per favorire Fincantieri”.
La tangente dell’11 per cento. Sempre nello stesso verbale Borgogni spiega il meccanismo: “Ancora successivamente Pozzessere mi disse di aver appreso da Bono, o comunque da Fincantieri, che in cambio delle agevolazioni era stato pattuito un ritorno che avrebbe dovuto pagare la stessa Fincantieri quale contratto di agenzia dell’ammontare dell’11 per cento dell’affare complessivo, pari quest’ultimo, per la sola parte di Fincantieri, a 2,5 miliardi di euro”. La “cifra di ritorno percentuale, secondo quanto riferitomi da Pozzessere, doveva essere parzialmente destinata tra Scajola e Nicolucci da una parte e Jobin dall’altra. In una fase immediatamente successiva appresi sia da Pozzessere sia dall’ad Guarguaglini, evidentemente messo a parte da Pozzessere, che era stata chiesta anche a noi di Finmeccanica la stessa percentuale di ritorno dell’11 per cento della nostra parte di affare, pari anch’essa a 2,5 miliardi di euro; a tal riguardo Guarguaglini mi disse di aver detto a Pozzessere che la percentuale massima di ritorno che lui era disposto a pagare era quella del 3 per cento. Come ho detto tale percentuale doveva essere pagata sia da Fincantieri sia da Finmeccanica tramite la stipula di un contratto di agenzia in Brasile in capo ad un agente evidentemente indicato dal ministro Jobin. Non so se Finmeccanica o qualche società del gruppo ha già stipulato un contratto di agenzia, credo che Fincantieri l’abbia sicuramente stipulato, almeno così mi è stato detto”.
Il senatore Caselli “raccomandato” da Silvio per l’affare indonesiano. Tra i protagonisti dell’inchiesta entra anche un altro personaggio Pdl. E’ il senatore Esteban Caselli, originario dell’Argentina ed eletto nella circoscrizione estero, ripartizione America Meridionale, introdotto all’allora direttore commerciale della holding della Difesa, Paolo Pozzessere proprio da Berlusconi. Il politico voleva, come altri, ‘provvigioni’ da Finmeccanica. Il ruolo di Caselli, che per gli inquirenti napoletani potrebbe essere entrato anche nell’affare sfumato con l’Indonesia. Pozzessere racconta tutto agli inquirenti l’11 novembre 2011: “Nel marzo-aprile 2011 mi trovavo al circolo degli Esteri a Roma… quando ho ricevuto una telefonata dal presidente Berlusconi il quale mi chiese se Finmeccanica (o meglio Alenia e Agusta) erano interessate a vendere aerei e elicotteri al Governo dell’Indonesia: a tale domanda io risposi affermativamente e lui mi disse che c’era un suo amico, il senatore Esteban Caselli, che poteva esserci utile, nel senso che Caselli conosceva una persona che poteva esserci utile per la trattativa in Indonesia”.
Quella telefonata tra il manager e Berlusconi – che legge passi di una lettera in cui l’amico di Caselli afferma di essere “in grado di garantire la vendita libera da interferenze, in un’atmosfera di reciproca fiducia con il committente indonesiano” –  è agli atti dell’inchiesta. “Dopo qualche giorno – continua Pozzessere davanti ai pm – mi chiamò il senatore Caselli e mi disse che mi avrebbe presentato tale Tsatsiky, che era l’uomo che poteva aiutarci nella trattativa”. Caselli fissò quindi un appuntamento con Tsatsiky nell’ufficio di Pozzessere per il 27 giugno, ma poi lo disdisi dicendo al manager di Finmeccanica che Tsatsiky “non gli aveva fornito sufficienti credenziali”. Le cose in realtà sarebbero andate diversamente, a sentire Pozzessere. Che racconta: “Dopo un po’di tempo un mio collega responsabile di Finmeccanica a Londra, Alberto De Benedictis, mi disse di aver incontrato Tsatsiky il quale gli aveva detto che il senatore Caselli gli aveva chiesto dei soldi per farlo incontrare con me e per avere un mandato di agenzia da Finmeccanica, o meglio da Alenia”. La cosa lasciò “molto perplesso” Pozzessere il quale, “non avendo voglia” di informare personalmente dell’accaduto Berlusconi, incaricò Valter Lavitola, “che è un uomo di Berlusconi … dicendogli che ero molto seccato”. Tempo dopo, ricostruisce sempre il manager di Finmeccanica, il senatore Caselli andò a trovarlo nel suo ufficio “per tutt’altra vicenda”. In quell’occasione i due non parlarono “dei fatti precedenti”, ma il parlamentare – dice ai pm Pozzessere – “mi propose la vendita di un elicottero al ministero dell’Interno e io gli dissi di mettersi in contato con Agusta e cioè la società del gruppo che si occupa di elicotteri; a tal riguardo gli diedi il nominativo della persona di Agusta. Nella medesima circostanza il Caselli mi chiese quale sarebbe stata la provvigione e io gli risposi freddamente che lui era un Senatore della Repubblica e che, semmai, in presenza di presupposti commerciali, la provvigione per un mediatore/agente esperto del settore e per un affare di quel tipo, pari a 4,5 milioni di euro, poteva andare dal 5% al 10%. Ritengo che anche tale vicenda non è andata in porto”.
L’elicottero di Putin. Uno dei filoni porta l’attenzione degli inquirenti in Russia, dove il dirigente arrestato ieri svolgeva per la holding il ruolo di “senior advisor” e dove lo stesso ex direttore commerciale di Finmeccanica intendeva, secondo i magistrati, trasferirsi nel timore di restare coinvolto nella vicenda giudiziaria. In una intercettazione telefonica tra Marco Acca, responsabile vendite del settore militare di AgustaWestland e l’amministratore delegato Bruno Spagnolini. Quest’ultimo, in particolare, raccomanda all’interlocutore, in una conversazione del 16 aprile scorso a proposito di elicotteri (l’inchiesta in origine si concentrava su una mazzetta da 12 milioni di euro per una fornitura di elicotteri all’India, ndr): “Quando parlate di di, se dovete dire che ci volano vari Capi di Stato così, non menzionate Putin perché… Siccome me l’ha detto il...Presidente cioè cioè e loro gliel’avevano fatto vedere…Lei può dire ci volano una miriade di Capi di Stato…ma senza che nessuno dica Putin o che ne so…”.  Il gip di Napoli Dario Gallo, nell’ordinanza ricorda che si fa riferimento a elicotteri Agusta e alla loro vendita in favore di vari capi di Stato stranieri. “Lo stesso Spagnolini – scive il gip – aggiunge che ciò è voluto dal presidente (evidente il riferimento a Orsi Giuseppe, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica)”. Dal momento che lo stesso Orsi aveva già parlato dell’acquisto di un elicottero da parte di Putin in un’intervista, questo “cambio di atteggiamento – spiega il giudice – è secondo i pm da ravvisare nell’esigenza di tenere riservati gli affari di Finmeccanica con Putin e la Russia in generale”.

Satira feroce.



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Grandi rischi, la scienza non c’entra. I sismologi “condannati” dalla politica. - Mario Portanova


Grandi rischi, la scienza non c’entra. I sismologi “condannati” dalla politica


Dopo la sentenza dell'Aquila, il mondo della ricerca si mobilita in favore degli esperti della Commissione: "Sentenza ingiusta, i terremoti non si possono prevedere". Ma l'accusa è esattamente opposta: aver fatto filtrare alla popolazione messaggi tranquillizzanti. In "un'operazione mediatica" per "tranquillizzare la gente" voluta dal capo della Protezione civile Bertolaso.

C’è persino chi tira in ballo Giordano Bruno e Galileo Galilei per commentare la sentenza contro i membri della Commissione grandi rischi per l’ormai famosa riunione indetta pochi giorni prima del terremoto in Abruzzo. Lo fa il presidente della Toscana Enrico Rossi, che parla di una sentenza che “lascia sconcertati”, perché la scienza “non si processa in tribunale”. E agli esperti condannati a sei anni di reclusione arriva la solidarietà della comunità scientifica internazionale, in difesa dei colleghi colpevoli “di non aver previsto il terremoto”. Accusa che giustamente appare assurda alla stragrande maggioranza dei sismologi, tutti concordi nel dire che allo stato attuale delle conoscenze fissare sul calendario la data anche approssimativa di un sisma è semplicemente impossibile.
Peccato che le cose non stiano affatto così, e probabilmente chi ha diffuso appelli per la libertà della ricerca non ha letto le carte dell’inchiesta. A partire dalla memoria del pm dell’Aquila Fabio Picuti, depositata il 13 luglio 2010 e quindi ben nota, dove si legge: “L’intento non è quello di muovere agli imputati un giudizio di rimprovero per non aver previsto la scossa distruttiva del 6 aprile 2009 o per non aver lanciato allarmi di forti scosse imminenti o per non aver ordinato l’evacuazione della città”. Proprio perché, è lo stesso sostituto procuratore a scriverlo, “la scienza non dispone attualmente di conoscenze e strumenti per la previsione deterministica dei terremoti”. A inguaiare gli esperti capitanati dal presidente dell’Ingv Enzo Boschi non è stato il presunto oscurantismo dei giudici, ma l’esigenza tutta politica di “rassicurare” gli abitanti del capoluogo abruzzese, allarmati da una lunga sequenza di scosse e dai primi danneggiamenti di edifici, a partire da una scuola.
LE TESTIMONIANZE: “MORTE PERCHE’ RASSICURATE DA QUELLA RIUNIONE”. L’accusa è opposta a quella evocata negli appelli a difesa degli imputati: da quella riunione sono filtrati messaggi tranquillizzanti, tesi a escludere una scossa devastante. Agli atti dell’inchiesta ci sono le testimonianze che raccontano come la vulgata mediatica di quella riunione abbia convinto molte future vittime a metter da parte ogni preoccupazione. “Placentino Ilaria, deceduta nel crollo dell’abitazione di Via Cola dell’Amatrice n.17, e Rambaldi Ilaria, deceduta nel crollo dell’abitazione di Via Campo di Fossa n.6/B”, secondo le testimonianze dei parenti, “erano studentesse universitarie fuori sede che all’indomani del 31 marzo 2009 avevano scelto di rimanere a L’Aquila e di restare in casa la notte tra il 5 e il 6 aprile facendo affidamento sulle conclusioni della riunione della Commissione grandi rischi”. 
La Commissione grandi rischi si riunisce a L’Aquila (scelta irrituale, dirà poi Boschi, visto che di solito gli incontri avvenivano a Roma) alle 18,30 del 30 marzo 2009, una settimana prima del terremoto notturno che avrebbe provocato più di 300 morti, devastando la città e diversi centri della provincia. Oltre al presidente dell’Ingv arrivano diversi pezzi grossi della Protezione civile e della sismologia nazionale, tra i quali Franco Barberi, presidente vicario della Commissione grandi rischi, Gian Michele Calvi, presidente dell’Eucentre di Pavia, anche loro condannati per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose.
LA TELEFONATA DI BERTOLASO: “DEVONO DIRE CHE LA SCOSSA NON CI SARA’”. La ragione di quel vertice lo racconta Guido Bertolaso, allora capo della Protezione civile, dipartimento della presidenza del consiglio, con Palazzo Chigi occupato al tempo da Silvio Berlusconi: “Ti chiamerà De Bernardinis, il mio vice, al quale ho detto di fare una riunione lì all’Aquila domani su questa vicenda di questo sciame sismico che continua, in modo da zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni, eccetera”, spiega Bertolaso a Daniela Stati, assessore regionale abruzzese alla Protezione civile, in una telefonata intercettata per un’altra inchiesta (quella sugli appalti del G8). Si tratta soprattutto di rintuzzare gli allarmi lanciati da Giampaolo Giuliani, un ricercatore che si diceva in grado di prevedere ulteriori scosse sulla base dell’analisi del gas radon, metodo noto ai sismologi, ma giudicato inaffidabile. “Io non vengo, ma vengono Zamberletti, Barberi, Boschi, quindi i luminari del terremoto d’Italia”, continuava Bertolaso. “Li faccio venire all’Aquila o da te o in prefettura, decidete voi, a me non frega niente, di modo che è più un’operazione mediatica, hai capito? Così loro, che sono i massimi esperti di terremoti diranno: è una situazione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano 100 scosse di 4 scala Richter piuttosto che il silenzio perché 100 scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa, quella che fa male”. Quindi la conclusione: “Parla con De Bernardinis e decidete dove fare questa riunione domani, che non è perché siamo spaventati e preoccupati, ma è perché vogliamo tranquillizzare la gente“.
L’operazione mediatica per “tranquillizzare la gente” ha successo. Sono presenti amministratori locali, a partire dal sindaco Massimo Cialente, e molti giornalisti attendono fuori dalla porta. “La mattina del primo aprile incontrai in Piazza palazzo il sindaco”, spiega ai pm l’allora presidente della Provincia Stefania Pezzopane. “Mi confermò che secondo la Commissione la situazione era sotto controllo e che sostanzialmente non c’erano pericoli imminenti. Tant’è vero che già dal primo aprile decidemmo di riaprire le scuole che erano state chiuse precauzionalmente un paio di giorni”. Tra le tante dichiarazioni rasserenanti rilasciate dopo la riunione, i magistrati ricordano in particolare quella di Bernardo De Bernardinis, vicecapo settore tecnico operativo della Protezione Civile. Intervistato da Tv Uno, parla di “una situazione favorevole“, dato lo “scarico di energia continuo”. 
BOSCHI E IL VERBALE POSTDATATO. Il risultato della riunione del 30 marzo è riassunto in uno stringato verbale, nel quale Boschi definisce “improbabile una scossa come quella del 1703″, pur rimarcando che “non si può escludere”. Dal testo si deduce che i massimi sismologi italiani si riuniscono a L’Aquila per dirsi  quel che per loro ovvio, e cioè che i terremoti non si possono prevedere. Ma l’imprinting di Bertolaso ottiene il suo effetto, se all’opinione pubblica passa un messaggio rasserenante. Ma c’è di più. Il 16 settembre Boschi denuncerà in una lettera che quel verbale è stato redatto e firmato non la sera dell’incontro, ma in una nuova riunione convocata a L’Aquila il 6 aprile, subito dopo il sisma. E’ Mauro Dolce, capo dell’Ufficio rischio sismico della Protezione civile, anche lui condannato al processo, a mostrargli “un testo che riporta in maniera confusa cose dette nella riunione del 31 marzo”. Qualcuno, continua Boschi, “corregge il testo alla meno peggio e Dolce ce lo fa firmare per ‘ragioni interne’”. In quel momento il presidente dell’Ingv apprende anche che il 30 marzo e il primo aprile “dalla Protezione civile sono stati diramati due comunicati (recanti anche il mio nome) ‘tranquillizzanti’ di cui non sapevo niente”. 
I successivi gradi di giudizio diranno se i condannati in primo grado sono davvero colpevoli di quei reati e se i sei anni di reclusione sono proporzionati ai fatti attribuiti a ciascuno. Ma a trascinarli in tribunale è stato il pasticcio politico-mediatico di quella riunione, non certo il presunto attacco alla libertà scientifica da più parti evocato. E’ la dolorosa consapevolezza espressa dopo la sentenza da Giustino Parisse, il caporedattore del Centro che alle 3.32 del 6 aprile 2009 ha perso due figli: “Sono io la causa prima della morte di Domenico e Maria Paola e non me lo perdonerò mai”, scrive sul suo blog. “Certo fra le tante colpe che ho c’è anche quella di essermi fidato della commissione Grandi rischi credendo a una scienza che in quella riunione del 31 marzo del 2009 rinunciò a essere scienza”.

Monza, traffico di sangue infetto in ospedale: indagato primario. - di Olga Fassina


Monza, traffico di sangue infetto in ospedale: indagato primario

I reati contestati vanno dal peculato (se si accertasse il prelievo in eccesso) alla falsificazione di cartelle cliniche, ma si valuta anche l’ipotesi della truffa. Tutto è partito da una denuncia ai Carabinieri di Seregno che ha poi portato i Nas di Milano ad effettuare due blitz nel nosocomio brianzolo.

Sacche di sangue infetto dei malati di Hiv che partivano dall’ospedale di Monza e venivano trasportate in motorino a Milano. E ancora prelievi di plasma in quantità superiore a quanto previsto dai protocolli per ottenere rimborsi più corposi dalla Regione. Sono questi alcuni degli elementi che la Procura di Monza ha contestato ad Andrea Gori, primario di Malattie infettive al San Gerardo di Monza e fratello del più noto Giorgio Gori, imprenditore e produttore tv. Il luminare, molto conosciuto soprattutto perché sta sperimentando il primo vaccino contro l’Hiv, è stato travolto dalla bufera che si è abbattuta sul reparto che dirige e che ha visto in tutto nove persone ricevere inviti a comparire in Procura firmati dai sostituti procuratori di Monza Salvatore Bellomo e Caterina Trentini.
I reati contestati vanno dal peculato (se si accertasse il prelievo in eccesso) alla falsificazione di cartelle cliniche, ma si valuta anche l’ipotesi della truffa. Tutto è partito da una denuncia ai Carabinieri di Seregno che ha poi portato i Nas di Milano ad effettuare due blitz nel nosocomio brianzolo. Il primo, sei mesi fa, aveva portato anche ad alcune indagini interne da parte della direzione ospedaliera. “Avevamo eseguito delle verifiche, Gori sta seguendo una trentina di sperimentazioni, ma tutto era risultato regolare e mi sembrerebbe strano che un medico della sua levatura vada a rischiare e per che cosa? – ha spiegato il direttore del San Gerardo Francesco Beretta – I protocolli hanno iter molto precisi e rigorosi per l’approvazione, ma se qualcuno preleva sangue in eccesso, di quello la direzione non riesce ad accorgersi”.
Giovedì mattina gli uomini del Nucleo anti sofisticazioni sono tornati in azione. Non solo in ospedale, ma anche nell’automobile e nell’abitazione di Gori a Lecco, dove hanno rovistato anche nel frigorifero per cercare eventuali provette di sangue. Poi, hanno sequestrato un faldone di documenti e fotocopie, tra cui tutte le sperimentazioni che sta seguendo Gori, oltre ad aver scaricato decine di file dai computer. Sotto la lente degli inquirenti sono finiti i prelievi effettuati dal reparto di Malattie infettive che sembrerebbero troppo numerosi rispetto a quanto previsto dai protocolli medici che stabiliscono regole ferree durante le sperimentazioni. Dove finisse poi questo sangue prelevato non è ancora stato chiarito ed è proprio quello che stanno cercando di verificare gli inquirenti. Probabilmente veniva spostato con motorini verso Milano, ma per quale destinazione non è chiaro. “La questione mi sembra molto confusa”, ha ribadito il direttore dell’ospedale, mentre Gori si è limitato a commentare quanto successo con poche parole: “Nessun illecito”. L’infettivologo ha poi confermato quanto detto al direttore Beretta che ha incontrato il personale coinvolto dall’inchiesta rassicurandolo che non sarebbe stato sospeso.

martedì 23 ottobre 2012

Sallusti, la Cassazione: «Spiccata capacità a delinquere».



Il giornalista furioso insulta il magistrato: i giudici ne risponderanno.
ROMA - Nei confronti di Alessandro Sallusti la Cassazione motiva la condanna al carcere per la sua «spiccata capacità a delinquere», dimostrata da tanti precedenti e dalla «gravita» della «campagna intimidatoria» e «diffamatoria» condotta nei confronti del giudice Giuseppe Cocilovo quando nel 2007 dirigeva 'Libero'. «La Cassazione ne risponderà», è la replica del giornalista. Intanto il ddl diffamazione passa all'esame del Senato.

Le motivazioni. 
Nella sentenza 41249, la Suprema Corte spiega perché, lo scorso 26 settembre, ha confermato la condanna a 14 mesi per diffamazione e omesso controllo a carico di Sallusti per due articoli - uno firmato 'Dreyfus' - pubblicati il 17 febbraio 2007. «Gli atti processuali - scrive la Cassazione - danno un quadro di forti tinte negative sulle modalità della plurima condotta trasgressiva» di Sallusti ai danni non solo di Cocilovo ma anche dei genitori adottivi e di una minorenne «sbattuti in prima pagina».

«Non esiste il diritto di mentire». 
«In ordinamento e in una società, che vivono e si sviluppano grazie al confronto delle idee, non può avere alcun riconoscimento l'invocato diritto di mentire, al fine di esercitare la libertà di opinione», sottolinea la Cassazione replicando alla tesi difensiva di Sallusti. «L'affermato intreccio del dovere del giornalista di informare e del diritto del cittadino di essere informato merita rilevanza e tutela costituzionale se ha come base e come finalità la verità e la sua diffusione. Se manca questa base di lancio, se non c'è verità, ma calcolata e calibrata sua alterazione, finalizzata a disinformare e a creare inesistenti responsabilità e ad infliggere fantasiose condanne agli avversari, il richiamo a nobili e intangibili principi di libertà è intrinsecamente offensivo per la collettività e storicamente derisorio, beffardo per coloro che, in difesa della libertà di opinione, hanno sacrificato la propria vita». La sentenza si compone di 26 pagine.

«Illecita strategia intimidatrice».
 «Forma, sostanza, modalità, tecnica di informazione impiegati ed esibiti dal quotidiano, in persona del direttore Sallusti, dimostrano l'assenza di un leale confronto di idee e di una lecita critica» alla legge sull'interruzione di gravidanza, scrive poi la Cassazione, aggiungendo che i due articoli incriminati «dimostrano invece la presenza (nell'ambito di un lecito quadro di dissenso per la disciplina legislativa dell'aborto) di una illecita strategia di intimidatrice intolleranza, di discredito sociale, di sanzione morale diretta contro un magistrato». Sallusti, per i Supremi giudici, ha attribuito al giudice tutelare Cocilovo «un inesistente ruolo di protagonista nella procedura dell'aborto, rappresentata come cerimonia sacrificale di una vita umana, in nome della legge». A Cocilovo, inoltre, Sallusti ha attribuito «una funzione e una immagine di crudele e disumano giustiziere, meritevole di essere posto nella gogna mediatica con la qualifica di assassino». Per la Cassazione Sallusti ha pubblicato in maniera «deliberata» la notizia falsa e diffamatoria.

La «mancata concessione delle attenuanti generiche» a favore di Alessandro Sallusti, per la «dimostrata gravità» dei fatti da lui commessi, è «già sufficiente a configurare un'ipotesi eccezionale, legittimante l'inflizione della pena detentiva», sottolinea infine la Cassazione.

La replica di Sallusti. 
«Non si può giocare con la vita delle persone, il presidente della Cassazione dovrà risponderne anche a mio figlio», replica Alessandro Sallusti, reagendo con parole durissime alle motivazioni della sentenza di condanna. «Non si può dare del delinquente - conclude - a un giornalista che non ha mai subito altre condanne». Il direttore del Giornale si lascia andare anche a qualche insulto nei confronti di Aldo Grassi, presidente della quinta sezione della Corte di Cassazione. «Il mio non è uno sfogo - spiega - ma un giudizio sereno che sarà oggetto di un mio editoriale che sarà pubblicato domani. Mi auguro che questo giudice venga cacciato dalla magistratura. Non si può giocare con la vita delle persone». «Non c'è nessuna reiterazione del reato, c'è solo un articolo, neanche scritto da me, che a ben guardare non è neanche diffamatorio perché non si cita nessuno e si parla per assurdo».

Scajola, l'uomo delle armi. - Gianluca Di Feo




L'indagine sulle forniture Finmeccanica in Brasile (nella quale l'ex ministro è indagato) alza il velo sull'incredibile giro d'affari che ha creato dal 2008: aerei per un miliardo, navi per 461 milioni e mezzi terrestri per 404 milioni.

Tutti guardano al cielo, ai voli del supercaccia F-35 ma il programma più costoso della Difesa italiana è un altro: si chiama Forza Nec e si prevede che farà spendere ai cittadini ben 22 miliardi di euro nei prossimi venti anni. 

Un progetto che vuole forgiare il "soldato del futuro", rendendolo pedina di una rete satellitare integrata, ma che permette di finanziare un po' di tutto: dentro il concetto di Nec ossia network enabled capability si sono infilati fucili d'assalto e software, mezzi blindati e apparati spaziali. 

Con due caratteristiche: i contratti fanno tutti capo a Selex, l'azienda elettronica di Finmeccanica, e a pagare non è la Difesa ma il Ministero dello Sviluppo Economico.

L'indagine napoletana che coinvolge Claudio Scajola apre un faro sull'importanza che questo dicastero ha assunto nelle commesse militari. E' lo Sviluppo Economico a decidere e finanziare i programmi più rilevanti, che si tratti proprio dell'F-35 o dell'altro supercaccia Eurofighter Typhoon, delle autoblindo Freccia o delle fregate Fremm, finite adesso al centro dell'inchiesta per le trattative con il Brasile. 

Ogni anno circa un terzo dei fondi per nuovi armamenti arrivano dalle casse dallo Sviluppo Economico e servono per sovvenzionare prototipi o l'acquisto di strumenti bellici, secondo l'antica teoria che vede la ricerca militare come propulsore della crescita economica. In Italia però questa equazione si è trasformata in una pioggia di denaro per Finmeccanica, e secondariamente per Fincantieri sulla parte navale, senza gare di appalto né possibilità di verifica sui costi reali delle forniture. 

Gli importi sborsati sono sempre consistenti. Nel 2005 il Ministero dello Sviluppo Economico ha messo a disposizione 1490 milioni per armamenti, un miliardo per ciascuno dei due anni successivi. Poi nel 2008, con l'arrivo di Scajola, c'è il boom: ben 2037 milioni. In quest'annata ricca, il dicastero ha finanziato aerei per un miliardo, navi per 461 milioni e mezzi terrestri per 404 milioni. Singolare notare come nemmeno un euro è andato ai piani di ricerca. Nel 2009 c'è una lieve riduzione con il totale di 1906 milioni.


Ma il record viene toccato nel 2010, l'ultimo bilancio impostato da Scajola prima delle dimissioni per la casa con vista sul Colosseo pagata dal giro di Anemone «a sua insaputa»: il suo ministero investe 2 miliardi e 267 milioni in programmi bellici. 

Il salto maggiore riguarda proprio le fregate Fremm, quelle oggetto delle indagini napoletane, che ricevono altri 330 milioni, portando lo stanziamento annuale a 510 milioni. Queste navi da guerra di ultima generazione, concepite assieme alla Francia, stanno da sempre a cuore a Scajola: la produzione di scafi, radar e cannoni è infatti concentrata in Liguria, la terra dove si radica il suo potere elettorale.

Alcuni di questi investimenti sono stati più graditi dai manager di Finmeccanica che non dai generali. Ad esempio quando è nato il programma per l'aereo d'addestramento Aermacchi M346, inizialmente progettato insieme ai russi sulla scia dell'intesa Berlusconi-Putin, l'Aeronautica non sentiva la necessità di un nuovo velivolo scuola. 

Ma l'intera operazione è stato finanziata dal ministero dello Sviluppo Economico, che sta pagando anche per i 14 jet destinati alla nostra aviazione. Per carità, si tratta di un ottimo mezzo, il più avanzato della sua categoria, che però stenta a imporsi sui mercati internazionali. E quindi finora ha pesato soprattutto sui contribuenti. 

Anche la galassia di satelliti spia Cosmo-Skymed, che ha reso l'Italia una potenza dell'intelligence spaziale, è stata messa in orbita grazie ai fondi dello Sviluppo Economico, che si è fatto carico della fetta più consistente dei 1137 milioni usati per costruire i primi quattro occhi elettronici. 

Lo stesso dicastero dovrebbe contribuire con quasi 400 milioni alla realizzazione di due nuovi satelliti spia. Soldi, pure in questo caso, assegnati per trattativa diretta: senza gare, senza vigilanza sulle spese e senza un reale dibattito parlamentare per capire se in tempi di crisi il nostro Paese abbia bisogno di un simile arsenale stellare.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/scajola-luomo-delle-armi/2193462/8

Io ce lo vedrei bene nelle patrie galere.
- Responsabile dei fatti di Genova durante il G8;
- levò la scorta a Marco Biagi suo consulente, che poi fu ucciso;
- si fece istituire un volo giornaliero Alitalia Albenga-Roma;
- dice di non sapere di essere possessore di una casa pagata da altri.
E se non è da patrie galere è da ricovero coatto in strutture per cerebrolesi....

Cetta.

Altra chicca famiglia Scajola risalente al 2009:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/scajola-dinasty/2116358

Morti dell’Aquila, uccisi dalla burocrazia. A ‘Presa di posizione’ l’analisi di Peter Gomez



C’è un’intercettazione che riassume bene quello che è accaduto a L’Aquila una settimana prima del sisma del 2009. Su ordine di Guido Bertoloso, ex numero uno del Dipartimento della Protezione civile, si riuniscono gli esperti componenti della Commissione Grandi Rischi con il chiaro scopo di tranquillizzare la popolazione ed evitare il panico. E’ per ragioni squisitamente politiche che viene organizzata questa operazione mediatica o meglio una grande sceneggiata, così come l’ha definita un testimone durante il processo. Ma ora quegli stessi tecnici, al contrario di quello che scrive la maggior parte della stampa, non sono stati condannati per non aver saputo prevedere il terremoto, ma per aver svolto con negligenza il proprio compito. Gli imputati – secondo l’accusa – erano tecnici, ma non hanno svolto il proprio dovere. Esattamente come in queste ore stanno facendo alcuni giornalisti che non possono ignorare i fatti, rischiano così di svolgere con negligenza il proprio compito. A ‘Presa di posizione’, l’analisi di Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it (riprese e montaggio Paolo DimalioSamuele Orini e Lorenzo Galeazzi, elaborazione grafica Pierpaolo Balani)

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/10/23/morti-dellaquila-uccisi-dalla-burocrazia-presa-posizione-lanalisi-peter-gomez/208371/