martedì 6 agosto 2013

«È il momento di unire le forze dei movimenti». Intervista a Stefano Rodotà. - Eleonora Martini



Intervista a Stefano Rodotà: la grazia a Berlusconi? «Inaccettabile. «Subito la riforma della legge elettorale, e poi il voto». E nel frattempo, «insieme ad altri», sta pensando a un modo di «unire le forze di quei soggetti civili, politici e sociali» tornati da tempo protagonisti e che ora «non possono più essere trascurati».

La grazia a Berlusconi? «Inaccettabile. Anche perché sarebbe come istituire una super-Cassazione». Il giurista Stefano Rodotà parla di «rischio istituzionale che non va corso». È un momento delicato questo, dice, che richiederebbe un po' di «coraggio e lungimiranza politica» da parte dei partiti. «Subito la riforma della legge elettorale, e poi il voto», auspica. E nel frattempo, «insieme ad altri», sta pensando a un modo di «unire le forze dei soggetti civili, politici e sociali» tornati da tempo protagonisti e che «non possono più essere trascurati».
 
Mentre per il Financial Times «cala il sipario sul buffone di Roma», Sandro Bondi usa toni apocalittici minacciando la «guerra civile». Frasi che il Quirinale giudica come «irresponsabili». C'è da preoccuparsi o è solo un'altra farsa?
Ciò che sta avvenendo non è solo una reazione simbolica, rivolta a impressionare l'opinione pubblica. I comportamenti tenuti sono qualificabili come eversivi, nel senso che negano i fondamenti della democrazia costituzionale... La richiesta ufficiale del Pdl che, dicono, formalizzeranno nell'incontro con Napolitano, è di «eliminare un'alterazione della democrazia». Sono parole e comportamenti da valutare come rifiuto dell'ordine costituzionale. Al di là delle conseguenze, non si può cedere ancora all'abitudine di derubricare e sottovalutare quelle che vengono considerate «intemperanze verbali». Sono molto colpito dalla parola «irresponsabile» attribuita al presidente Napolitano, che di solito è molto cauto. Ma è evidente che la situazione configurata da Berlusconi e dal Pdl - considerare «un'alterazione della democrazia» una sentenza passata in giudicato - è eversiva. È un fatto di assoluta gravità che non possiamo sottovalutare.
 
Dunque i toni apocalittici vanno presi sul serio?
Assolutamente sì.
 
Ma non era tutto prevedibile?
Certo, il governo delle larghe intese è stato un grandissimo azzardo perché tutti sapevano che in pista c'era la vicenda giudiziaria di Berlusconi e che il Pdl non avrebbe certo mostrato responsabilità. Si è scelta questa strada nella speranza che non sarebbe accaduto, ma la storia di Berlusconi, fin da quando rovesciò il tavolo della bicamerale di D'Alema per sottrarsi al giudizio, testimonia esattamente che tutto era prevedibile. E allora oggi confidare in un ravvedimento operoso è pericoloso. Perché Berlusconi può continuare a condizionare pesantemente non solo il governo ma l'intero sistema costituzionale. Presidente della Repubblica, parlamento, magistratura: l'intero sistema costituzionale è in questo momento sotto ricatto.
 
Un ricatto che rischia di immobilizzare in ogni caso Napolitano. Secondo lei, il capo dello Stato dovrebbe concedere la grazia a Berlusconi?
No. Indipendentemente dai toni, penso che Napolitano non debba concedere la grazia. E sembra che il Quirinale vada prudentemente in questa direzione. Napolitano dovrebbe dire e dirà che una richiesta proveniente da Schifani e Brunetta è irricevibile dal punto di vista formale, anche perché per concedere la grazia vanno prese in considerazione una serie di condizioni, non ultima la condotta del condannato. Su Berlusconi invece pendono altri procedimenti e una condanna di primo grado nel processo Ruby. Rispetto a una persona che ha questo profilo, si può intervenire con un provvedimento di clemenza? Ma c'è di più: una grazia all'indomani della condanna assumerebbe la funzione di un quarto grado di giudizio, cioè una sconfessione della magistratura, facendo di Napolitano una sorta di super-Cassazione che elimina tutti gli effetti della condanna. È un rischio istituzionale che non va corso.
 
Ieri sul manifesto il presidente della Giunta per le autorizzazioni Dario Stefano ha ricordato l'iter istituzionale che seguirà la decadenza di Berlusconi da senatore. Non è un atto dovuto, dunque?
Ricordiamoci che Alfano ritirò la fiducia al governo Monti dopo l'approvazione della norma sulla decadenza e sull'ineliggibilità. Naturalmente la decadenza dovrebbe essere un atto dovuto e questo passaggio previsto in Parlamento può apparire una singolarità. Ma la legge è molto chiara sul punto: il passaggio in Parlamento è una presa d'atto di un provvedimento operativo nei confronti di uno dei suoi membri. La procedura può essere anche macchinosa ma l'esito non può essere discrezionale.
 
Il voto non riserverà sorprese?
Forse, visto che la legalità per una certa parte politica è un optional. Ma al Senato c'è una maggioranza che va ben al di là dei numeri del Pdl; sarebbe un fatto davvero istituzionalmente inqualificabile.
 
Come mai ora sarebbe «necessaria» quella riforma della giustizia fin qui ritenuta «impensabile»?
Appunto. Questa riforma assume il significato della rivincita politica di Berlusconi nei confronti della magistratura. Riscrive - nella situazione drammatica che vive l'Italia - le priorità dell'agenda come condizione per far vivere il governo. Ma anche questa non è una novità. Faccio un solo esempio: quando si costituì la Commissione bicamerale D'Alema Berlusconi chiese che al primo posto fosse iscritta la questione giustizia. Non era compresa tra i compiti della commissione ma ne divenne l'architrave, per accontentare Berlusconi. E infatti, come ci ha rivelato alcuni giorni fa l'ex ministro Flick il suo pacchetto di riforma della Giustizia venne allora bloccato; D'Alema stesso glielo chiese con una lettera. Non si può continuare su questa strada.
 
Nemmeno con il lavoro dei «saggi»?
Considero quella commissione istituita solo per dare consigli, che non può diventare in nessun modo politicamente rilevante né tantomeno vincolante. E in più ritengo nel merito largamente inaccettabili le loro proposte.
 
Allora elezioni subito? Con questa legge elettorale?
No, perché rischiamo di nuovo l'ingovernabilità. E ormai sappiamo - ce lo ha detto la Corte Costituzionale e ricordato il suo presidente - che andremmo a votare con una legge viziata di incostituzionalità. Sulla questione a dicembre ci sarà una sentenza della Consulta, su richiesta della Cassazione. Ma al di là di questo, c'è anche un problema politico: si può accettare di andare al voto con una legge incostituzionale e politicamente devastante per gli effetti che ha prodotto? Propongo di riconvocare subito le camere per affrontare la legge elettorale. Non occorre sospendere le vacanze: possiamo utilizzare lo spazio riservato alla riforma costituzionale calendarizzata all'inizio di settembre per arrivare subito a una riforma elettorale. D'altronde non si può fare una riforma costituzionale con chi mette in discussione l'ordine costituzionale, è incosciente in questo clima. E invece occorre un'iniziativa immediata per anticipare i tempi e modificare in brevissimo tempo la legge elettorale, partendo a settembre dalla proposta più semplice, quella di Giachetti di ritorno al mattarellum. È l'unica iniziativa politica possibile per mettere minimamente in sicurezza il sistema.
 
Settembre è un tempo breve e lungo insieme. E il M5S ha smentito di essere disponibile a un governo, sia pur programmatico, con il Pd.
Indipendentemente dalle dichiarazioni del M5S, il Pd dovrebbe porre il problema di sciogliere le camere solo nel caso fosse accertata la mancanza di una maggioranza per costituire un governo, anche di breve durata, che si faccia carico immediatamente della riforma della legge elettorale. Ed è un problema che si presenta solo al Senato. Ma è un passaggio politico che richiede iniziativa, coraggio e lungimiranza politica da parte dei partiti; non ci si può solo chiedere cosa farà il capo dello Stato. Lui deve essere lasciato nella condizione di fare il suo lavoro ma non nel vuoto politico che si era determinato quando i tre responsabili dei partiti che oggi costituiscono la maggioranza, incapaci di eleggere un qualsiasi presidente della Repubblica, si ripresentarono da Napolitano facendo una mossa politicamente gravissima, dettata da debolezza politica.
 
Lei stesso ne fu protagonista...
Venni coinvolto ma oggi guardo alla vicenda con distacco. Piuttosto come allora in questo periodo, non solo in questi giorni, si è sedimentato attorno al tema della difesa della Costituzione - ma in senso alto: difesa dei valori e dei principi - un'attenzione di forze sociali politiche e civili che non può essere assolutamente trascurata. Ci sono state moltissime iniziative, tra le quali io metto anche l'ostruzionismo parlamentare di Sel e del M5S che ha inseguito la forzatura dell'approvazione ai primi di agosto della legge sulla revisione costituzionale. Ma in questo momento sono necessario iniziative non solo per sostenere la difesa di questi principi ma anche per porre le forze politiche davanti alla loro responsabilità.
 
Quali iniziative?
È ancora presto per dirlo, con altri abbiamo appena cominciato a pensarci, ma qualcosa è assolutamente necessario fare.

Potrebbe tornare lei stesso protagonista?
I discorsi da protagonista li ho sempre scartati. Dico solo che oltre alle responsabilità dei partiti, c'è una responsabilità propria di soggetti politici sociali e civili che in questo periodo si sono mobilitati - ne abbiamo visto un esempio a Bologna il 2 giugno - e che devono trovare forme di espressione. Non è questione di investitura, semmai l'investitura l'hanno ricevuta in molti e questo è il momento di unire le forze...

Fassina e la sopravvivenza dei furbi. - Tito Boeri



Dal sommerso come ammortizzatore sociale teorizzato dal governo di Silvio Berlusconi, siamo passati al sommerso come regola di sopravvivenza del vice-ministro Stefano Fassina.
Per fortuna che questa volta, al posto di Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi, ci sono Fabrizio Saccomanni ed Enrico Giovannini a gestire la politica economica e quella del lavoro. Altrimenti non ci stupiremmo di leggere nei prossimi giorni circolari come quelle del 2009, che chiedevano esplicitamente agli ispettori del lavoro di ridurre i controlli nelle aziende perché «la criticità del momento contingente rafforza la scelta di investire su di un’azione di vigilanza selettiva e qualitativa, diretta a limitare ostacoli al sistema produttivo». In altre parole, lo Stato che decide consapevolmente di abdicare dalla lotta all’evasione per garantire una sopravvivenza nell’ombra a molte piccole imprese che altrimenti sarebbero costrette a chiudere i battenti, gonfiando le file della disoccupazione.

È fin troppo ovvio che l’evasione fiscale garantisca in molti casi la sopravvivenza a imprese che non riescono a competere nella legalità e a lavoratori autonomi che, pagando le tasse, avrebbero redditi netti al di sotto di soglie di povertà, anche assoluta. Ma quel che Fassina non ha detto, ed è un’omissione grave da parte di un rappresentante del ministero delle Finanze, è che questa sopravvivenza è una forma di “mors tua vita mea”, è una scelta di politica economica che opera una selezione avversa nel nostro mondo delle imprese. La sopravvivenza mediante evasione rende, infatti, ancora più insostenibile la pressione fiscale per le imprese che potrebbero, se meno tartassate, creare posti di lavoro e reddito, portandoci fuori dalla recessione.

L’economia sommersa, l’insieme di attività svolte senza pagare tasse e contributi sociali, conta tra un sesto e un quarto del nostro prodotto interno lordo, a seconda della stime. Vi sono delle regioni, come la Calabria, dove secondo l’Agenzia delle Entrate fino al 94 per cento dell’imponibile Irap viene sottratto al fisco. È una piaga nazionale, un fardello che pesa sulla parte più avanzata del nostro tessuto produttivo, localizzata soprattutto nel Nord del paese, costringendola a pagare anche le tasse degli altri (potrebbero essere di un quinto più basse se tutti le pagassero). Allontana la soluzione dei problemi del Mezzogiorno. Perché l’illegalità alimenta altra illegalità ben più grave: è proprio sullo smercio delle produzioni del sommerso economico che spesso vive e vegeta la criminalità organizzata, come ci ha spiegato con rara efficacia Roberto Saviano.

Il sommerso viene storicamente tollerato in Italia. Altrimenti non si spiegherebbe perché sia sopravvissuto alle banche dati sempre più ricche su cui può contare l’attività ispettiva. Non si spiegherebbe neanche il sovradimensionamento del lavoro autonomo in Italia, una condizione da cui è più facile evadere le tasse. Si fanno relativamente pochi controlli sui posti di lavoro nonostante questi siano molto efficaci nell’identificare le aziende che non pagano tasse e contributi. Mediamente un controllo su due porta al riscontro di frodi fiscali o contributive e la base imponibile mediamente recuperata per ogni azienda ispezionata dagli Ispettorati del Lavoro, dall’Inps, dall’Inail e dall’Enpals è attorno ai 55.000 euro, ben di più di quanto costino unitariamente queste ispezioni. Se ne fanno relativamente poche perché sono molto impopolari fra i piccoli imprenditori e perché si teme che la regolarizzazione imponga ad alcune aziende, soprattutto al Sud, di chiudere i battenti, mettendo sulla strada non pochi lavoratori.

È comprensibile che non si voglia forzare alla chiusura imprese in un momento come questo. Ma perché dobbiamo farne pagare lo scotto alle aziende, anche queste piccole per lo più, che sono in regola? Non sarebbe meglio ridurre la pressione fiscale sul lavoro per tutte le imprese e, al tempo stesso, rafforzare i controlli? La verità non detta da Fassina e da chi ieri lo ha applaudito è che chi oggi vuole abolire le tasse sulla casa, anziché quelle sul lavoro, e vuole tollerare maggiormente l’evasione, ha scelto di far pagare di più le tasse a chi le ha sempre pagate. È una scelta di politica economica conseguente, che ha accomunato i governi di centro-destra, che hanno in gran parte gestito la politica economica in Italia negli ultimi 15 anni. Ieri abbiamo avuto da parte di un sottosegretario aspirante segretario del Pd, un sorprendente segnale di continuità con quelle politiche.

Se questo non è l’orientamento del governo nella sua collegialità, bene che dia un segnale ben diverso, con misure che rafforzino i controlli e, al tempo stesso, incoraggino l’emersione. Ad esempio, un incentivo condizionato all’impiego, sotto forma di sussidio all’occupazione (anziché alla disoccupazione) o credito di imposta per chi non è incapiente, avrebbe proprio questa funzione. Ridurrebbe il costo del lavoro e incentiverebbe l’emersione, condizione indispensabile per ricevere il contributo pubblico. I costi di questo intervento sarebbero relativamente limitati e potrebbero essere coperti attingendo al bacino, mal speso, di fondi per le politiche attive del lavoro, tra cui rientrano anche le tante fallite (e ipocrite) misure per l’emersione varate in anni in cui si è concesso deliberatamente maggiore respiro all’evasione.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/fassina-e-la-sopravvivenza-dei-furbi/

Criminale! - Giorgio Bongiovanni

berlusconi-silvio-manette
Erode il Grande, re di Giudea, aveva tre figli. Uno di questi in particolare, Erode Antipa, che alla morte del sovrano acquisì il titolo di Tetrarca ed ebbe la Galilea e la Perea.
La storia, di oltre duemila anni fa, racconta che durante un soggiorno a Roma, Erode Antipa intrecciò una relazione con Erodiade, moglie di suo fratello Filippo.
Ma lo spietato e crudele sovrano della Galilea si macchiava anche di altri reati, allacciando rapporti con i criminali dell'epoca, corrompendo i giudici della sua corte e compiendo ogni genere di nefandezze, orge e quant'altro all'interno della propria residenza personale. Reati per cui non è mai stato condannato. L'unico, un uomo considerato profeta e rivoluzionario dal popolo e dallo stesso rispettato ed amato, ad averlo pubblicamente accusato è stato Giovanni Battista, a cui venne tagliata la testa per compiacere la bella Salomé, figlia di Erodiade.
Dopo secoli e secoli ad apparire come il suo emulo più prossimo, quasi come se ne fosse la reincarnazione, è Silvio Berlusconi. Oggi però la storia è cambiata.
Per quanto la nostra democrazia possa essere difettosa e gli organi più alti della magistratura spesso vestono i panni del Sinedrio evitando di proteggere i propri rappresentanti migliori (soprattutto i magistrati che lottano contro la mafia) stavolta la Corte di Cassazione, forse non potendo negare l'evidenza, ha condannato “Erode Antipa” ovvero Silvio Berlusconi.
Erano le 19.38, ieri, quando è stata messa la parola fine al processo Mediaset-diritti tv. Così Berlusconi per “aver gestito una enorme frode fiscale” da 7 milioni e 300mila euro deve scontare la pena di un anno (gli altri 3 sono stati indultati). Per lui non si apriranno le porte del carcere ma potrà scegliere come scontare la pena se tramite i servizi sociali o agli arresti domiciliari. L'ex premier sarà interdetto anche dai pubblici uffici. Per quanti anni, dovrà ristabilirlo la Corte d’Appello di Milano a cui la Cassazione ha rimesso la decisione. La condanna di Berlusconi arriva dopo 7 anni di processo (sopravvissuti alla prescrizione solo gli anni 2002-2003), compreso 2 anni di sospensione per vari “lodi” ad personam.
Dopo la decisione della Corte, ora la palla passerà al Senato che deve votare la decadenza di Berlusconi. Ma a prescindere dalla pena accessoria, rischia comunque di essere cacciato da Palazzo Madama, voto dell’aula permettendo.
Il quadro che si presenta sarebbe questo. In base al primo articolo del decreto legislativo 31 dicembre 2012, adottato dal governo Monti, “non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni”.
Ciò significa che, qualora dovesse cadere l'attuale governo, Berlusconi alle prossime elezioni, a meno che non arrivi qualche “colpo di genio” con l'abolizione delle norme, non potrà essere candidato.
Da quel che abbiamo sentito dallo stesso ex presidente del consiglio, pregiudicato, nel videomessaggio dopo la lettura della sentenza, appare evidente che il “nuovo” Erode Antipa non sarà coraggioso come l'ex senatore Salvatore Cuffaro, che dopo la condanna per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra accettò la sentenza andando in carcere e dimettendosi dalla carica di senatore.
Berlusconi venderà cara la propria pelle e fino all'ultimo tenterà di resistere, con arroganza e tracotanza, alla giustizia terrena.
Lui non si dimetterà e cercherà di restare aggrappato, ancora una volta col ricatto, al potere. Lo stesso potere che negli ultimi vent'anni lo ha già visto per due volte al vertice nel ruolo di Presidente del Consiglio, oltre che come padrone della comunicazione grazie ai suoi tre canali televisivi nazionali di cui uno, Rete 4, trasmette in maniera illegale.
Per anni, grazie a leggi ad personam e testimoni introvabili, l'ex premier era fin qui riuscito a farla franca.
Il suo braccio destro, Cesare Previti, è stato condannato per aver comprato dai giudici corrotti la sentenza Mondadori. Grazie alla prescrizione si è salvato dal processo Mills, e va in quella direzione (si chiude tra poche settimane) il processo per il caso Unipol, quello della famosa intercettazione Fassino-Consorte, rubata da un dipendente infedele della Procura, consegnata, nel dicembre del 2005, ad Arcore e pubblicata qualche tempo dopo Natale su uno dei giornali di famiglia.
Ma i guai giudiziari del piccolo “Erode” non mancano e sono tutt'altro che finiti. Il più pericoloso è sicuramente quello sulla vicenda “Ruby Rubacuori” e delle “cene” di Arcore. Il processo di primo grado è finito con una condanna severa a sette anni di carcere per concussione e prostituzione minorile. Inoltre i giudici hanno rinviato alla procura gli interrogatori dei troppi falsi testimoni, soubrette, cantanti, amici, comparsi in aula.
A Napoli continua l'udienza preliminare sull’“acquisto” dei parlamentari a sostegno del governo di centrodestra. L'accusa nei confronti di Berlusconi è proprio quella di aver “comprato” il passaggio del senatore Sergio De Gregorio. 

Non vanno poi dimenticate le inchieste nate attorno agli affari di Giampi Tarantini, fornitore di escort per le feste sarde e romane di Berlusconi, e al faccendiere Valter Lavitola. Non passa poi in secondo piano le ombre del suo impero economico con fior fior di collaboratori di giustizia e pentiti che raccontano di incontri personali, in nome degli affari, tra lo stesso Silvio ed i massimi esponenti di Cosa nostra. Per non parlare del suo rapporto con Marcello Dell'Utri, già condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, o dell'inchiesta che vede i due iscritti nel registro degli indagati della Procura di Firenze, per strage, aperta nel 2009 con generalità protette, “Autore Uno” e “Autore Due”, come già successe nella prima indagine sulle stragi del 1993, poi archiviata nel 1998. Indagini che non sono concluse e che potrebbero anche portare a clamorosi risvolti.
Il re “Erode Antipa” è nudo e stavolta però non ci sono vite da poter sacrificare per mettere a tacere la verità. Il delinquente e pregiudicato Silvio Berlusconi se ne dovrà fare una ragione.

Triste verità...



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Il marcio su Roma. - Marco Travaglio



Si racconta che il leader della sinistra storica Agostino Depretis, inventore del trasformismo, noto per la diabolica arte del rimpasto, del galleggiamento e dell'equilibrismo, quando tirava aria di crisi di governo si presentasse in Parlamento pallido ed emaciato, intabarrato in abiti trasandati e lisi, la barba lunga e bianca, l'andatura claudicante per l'eterna gotta, quasi avesse un piede nella fossa. Si rivolgeva all'assemblea con voce malferma e tossicchiante, con intercalari del tipo: "Sono mezzo malato, e pure di malumore, abbiate un po' di pazienza". Dinanzi a quel cadavere ambulante, anche i più strenui oppositori si muovevano a compassione e lasciavano passare la fiducia. Tanto, pensavano tra sé e sé, dura poco.

E invece durò parecchio, fino alla morte vera. La tecnica del "chiagni e fotti" fu poi perfezionata e sublimata dal cavalier Banana, che da vent'anni alterna ostentazioni di virilismo e giovanilismo a sceneggiate che lasciano presagire l'imminente dipartita, perlomeno politica. Alla prima difficoltà, accenna al "passo indietro" a favore di qualcun altro, poi regolarmente eliminato a maggior gloria di Lui. Nel '96 Gad Lerner chiese per lui la grazia in cambio del ritiro a vita privata (i successori designati allora erano Antonio Fazio e Monti). E un anno fa annunciò ufficialmente che passava la mano ad Alfano o al vincitore delle mitiche primarie Pdl, salvo poi rimangiarsi tutto e ricicciare più ribaldo che pria. Ora ci risiamo, con un'aggiunta. Se prima il "chiagni e fotti" si manifestava simbolicamente col vittimismo delle parole, ora è validato da lacrime vere sul volto imbalsamato dal fard marron a presa rapida resistente alla canicola (ma non sarà un tatuaggio?). Vere, poi, si fa per dire.

Il 30 marzo '97 - governo Prodi - B. lacrimò al porto di Brindisi dove la Marina Militare italiana aveva speronato una nave di profughi albanesi provocando decine di vittime, e promise ai superstiti di alloggiarli nella villa di Arcore. "Anche quando finge una commozione che non sente - scrisse Indro Montanelli - quella commozione a un certo punto diventa vera perché finisce per commuoversi di sé stessa. Le lacrime di Berlusconi possono essere un inganno per chiunque, meno che per Berlusconi. A quello che dice e fa, anche se lo dice e lo fa per calcolo, Berlusconi ci crede... La scena sa tenerla da grande attore: se gli dessero da recitare l'Otello, sarebbe capace, per dare più verisimiglianza al cruento finale, di sbudellarsi veramente, e non per finta, sul corpo esanime di Desdemona... Nella parte della vittima, quella che i napoletani chiamano del 'chiagne e fotte', è imbattibile. Forse qualcuno capace di 'fottere' come lui ci sarà. Ma nel 'chiagnere' non c'è chi lo valga".

Dunque domenica il frodatore pregiudicato ha pianto: per la condanna dell'Innocente, che poi sarebbe Lui. E la sceneggiata ha funzionato un'altra volta. Quella lacrima sul fard è bastata a far dimenticare l'ennesimo attacco eversivo ai magistrati (hanno "vinto un concorso", mentre a suo avviso dovevano perderlo), sferrato dal palco abusivo dietro cui campeggiava la scritta simbolica "Via del Plebiscito" e sotto cui una piccola folla di comparse a pagamento, perlopiù sue coetanee, scandivano "duce duce". Intanto l'Agenzia delle Entrate, alle dipendenze del governo da lui sostenuto, perlustrava le località balneari a caccia di evasori suoi discepoli, per quanto dilettanti (roba di scontrini non battuti, non certo di 64 società offshore e fondi neri per decine di milioni).

Seguiva il vivo compiacimento del premier Nipote per il discorso moderato e soprattutto perché il delinquente resta al governo. E il premio speciale del Quirinale, ormai ridotto a ufficio reclami per Vip imputati o condannati (da Mancino a B.), con l'udienza-pellegrinaggio del duo Schifani-Brunetta (il primo indagato per mafia) per impetrare la Grazia Regia. Denominata pudicamente "agibilità di B.". Manco fosse un fabbricato. Abusivo, ci mancherebbe. 


http://themyworld2.blogspot.it/2013/08/il-marcio-su-roma-marco-travaglio.html#sthash.xqzu6bHq.dpuf

domenica 4 agosto 2013

IL RACKET DEL DOLLARO. - VALENTIN KATASONOV



Sempre più spesso si scopre che gli USA hanno imposto sanzioni a banche o società non statunitensi. Inoltre, i nomi di queste banche e società sono famosi e le sanzioni imposte sono impressionanti (talvolta ammontano a centinaia di milioni di dollari). E' un nuovo fenomeno della vita economica globale e non ha precedenti. Finora banche e società erano già incorse in sanzioni, ma solo dalle autorità dei paesi in cui hanno sede. 

Le condizioni del racket 

Alcuni esperti sostengono che le enormi sanzioni che alcune banche non statunitensi (per la maggior parte europee) sono costrette a pagare oggi fanno parte della campagna di ristrutturazione finanziaria americana annunciata dal presidente USA. 

Altri credono che le sanzioni siano una nuova arma concorrenziale usata dalle banche americane contro quelle europee. Altri ancora credono che questo nuovo meccanismo di imporre multe sia un'iniziativa globale della nuova elite americana al potere al fine di rafforzare la superiorità geopolitica del Paese sul Vecchio Continente e sul resto del mondo. Ci sono anche altre teorie dietro a quello che viene sempre più chiamato "racket del dollaro". 

Da una parte, dopo gli avvenimenti del 11 settembre 2001, gli USA hanno iniziato ad adottare una severa legislazione riguardo al riciclaggio di denaro, alla corruzione, al terrorismo finanziario, all'evasione fiscale, al crimine organizzato, al traffico di droga, ai crimini telematici e ad altre minacce alla sicurezza. E' interessante notare, perciò, come la nuova generazione di leggi adottate in America sia di natura extraterritoriale. Ciò implica che se una minaccia agli USA si basa su azioni (operazioni finanziarie) di banche, società o individui esteri al di fuori del territorio americano, la responsabilità legale può essere comunque applicata a questi soggetti. Perciò i tribunali americani possono comminare sanzioni o altri tipi di pene a queste banche, società o individui esteri. Premesso che negli USA prevale il diritto consuetudinario, le sentenze dei tribunali statunitensi sulla condanna di soggetti non residenti vengono approvate senza discussione quasi automaticamente. Inoltre, gli Stati Uniti stanno iniziando a sviluppare e ratificare una serie di convenzioni internazionali con altri Paesi per combattere le suddette minacce. Convenzioni di questo tipo stanno diventando sempre più motivo di sanzioni a evasori non statunitensi negli USA. 

D'altra parte, per monitorare tutte le violazioni commesse da banche, società e individui esteri al di fuori del territorio americano, Washington ha passato decenni a creare un sistema globale di informazioni finanziarie. Questo sistema che ho descritto nel mio articolo "The world under the eagle eye of the US government and banks" (ndt. "GOVERNO USA E BANCHE: IL CONTROLLO COSTANTE SUL MONDO") fa in modo che tutte le azioni di soggetti non residenti situati in tutto mondo vengano monitorati e che tutte le violazioni alle regole del gioco americano al di fuori dal territorio nazionale vengano registrate. 

La storia di Standard Chartered 

Standard Chartered era, fino allo scorso anno, una delle banche più segrete. Era stata fondata in Gran Bretagna a metà del 19° secolo e si pensa facesse parte dell'impero Rothschild. Così come gli stessi Rothschild, Standard Chartered preferì rimanere nell'ombra durante la Seconda Guerra Mondiale, ma quanto ad ammontare di operazioni, diventò una delle maggiori banche europee. Recentemente, il 90-95% del suo profitto al lordo delle imposte è derivato da operazioni al di fuori degli USA, della Gran Bretagna e dell'Europa Continentale. 
Nell'agosto 2012, la banca è stata costretta a rivelare i propri segreti a causa dello scandalo fatto scoppiare dal Department of Financial Services (DFS) statunitense. Il DFS ha accusato Standard Chartered di aver condotto transazioni illegali al fine di sostenere la Repubblica Islamica dell'Iran. Secondo il DFS queste transazioni ammontano a 250 miliardi di dollari e la filiale di New York ha collaborato allo spostamento di denaro tra le banche britanniche e quelle mediorientali a favore di cittadini iraniani. Secondo le autorità americane, infatti, Standard Chartered potrebbe essere connessa a terroristi ed organizzazioni estremiste in Libia, Sudan e Myanmar, che sono a loro volta stati raggiunti dalle sanzioni americane. 
Il Department of Financial Services di New York (una sottodivisione del DFS) ha dichiarato: "Per quasi 10 anni la banca ha complottato con il governo iraniano e ha nascosto ai regolatori circa 60.000 transazioni segrete, per un ammontare di almeno 250 miliardi di dollari". Come accennato, Standard Chartered ha passato denaro attraverso la sede di New York a favore di clienti finanziari iraniani, compresa la Banca Centrale Iraniana, la statale Bank Saderat e la Bank Melli, che erano soggette a sanzioni USA. Al centro dello scandalo c'erano le cosiddette "U-Turn Transactions", ciò significa che il denaro non proveniva dall'Iran né vi era destinato, bensì veniva spostato a favore di iraniani tra le banche britanniche e quelle mediorientali con l'aiuto della sede di New York di Standard Chartered. Il ministero delle finanze statunitense aveva bandito questo tipo di operazioni già nel novembre 2008 per paura che potessero essere utilizzate per evitare le sanzioni. Secondo il regolatore, azioni di questo tipo hanno danneggiato l'intero sistema finanziario americano, rendendolo vulnerabile al traffico di armi e droga e ai terroristi. Infine, le autorità americane hanno richiesto alla banca il pagamento di una multa di 667 milioni di dollari. Come riportato dai media, la multa è già stata pagata. 

Il "taglio" di altre banche estere 

Il sistema di monitoraggio delle transazioni bancarie è un fattore di notevole importanza nella competitiva lotta tra le banche statunitensi e quelle occidentali europee. L'America è particolarmente preoccupata per le banche di Londra, motivo per cui sono nel mirino delle agenzie di intelligence americane. Tutti i soggetti che sono stati accusati di collaborare con l'Iran negli scorsi anni sono britannici o danesi. Nel giugno 2012 la banca danese ING ha ammesso di aver violato le sanzioni imposte all'Iran e di aver accettato di pagare alle autorità statunitensi una multa di 600 milioni di dollari (e secondo alcune fonti, la multa avrebbe riguardato anche la violazione delle sanzioni imposte a Cuba). All'epoca fu la multa più esosa mai imposta nella storia delle sanzioni. 

Anche la banca britannica Barclays PLC acconsentì a pagare 453 milioni di dollari a seguito di un'inchiesta delle autorità americane e britanniche che dimostrò che il fatto che la banca aveva permesso gravi violazioni prendendo decisioni su operazioni di prestito e deposito, prendendo parte virtualmente a riciclaggio di denaro. 

Nell'estate del 2012 il senato USA ha contestato la banca britannica HSBC Holding che, secondo le agenzie americane di intelligence, stava trattando operazioni per il Messico, in pratica controllato dagli USA, fornendo servizi ai trafficanti di droga messicani. La banca, inoltre, è stata accusata di violare le sanzioni imposte all'Iran. Solo nel dicembre 2012 la HSBC ha dichiarato di essere disposta a pagare alle autorità statunitensi una multa complessiva di 1,92 miliardi di dollari. 

Nel 2012 lo scandalo riguardante la manipolazione del tasso di interesse interbancario Libor raggiunse il culmine. Le maggiori banche europee (soprattutto britanniche) e americane avevano manipolato i tassi per una serie di anni, permettendo loro di arricchirsi illegalmente. Nel 2008 iniziò un'inchiesta sulle manipolazioni Libor e coinvolse altre grandi banche così come Barclays e Royal Bank of Scotland, Lloyds Banking Group, Citigroup, HSBC, UBS e Deutsche Bank, che con Barclays è stata la prima banca ad ammettere la propria responsabilità. Negli ultimi anni si sono susseguite diverse inchieste delle autorità di supervisione finanziaria americane, britanniche, svizzere e di qualche altro paese europeo riguardo a queste manipolazioni. Le banche sono state pesantemente sanzionate. Si deve dire che le multe per queste manipolazioni sono state decisamente più ingenti che in Europa. Di conseguenza, nel dicembre dello scorso anno, la banca svizzera UBS ha dichiarato che per la manipolazione del tasso Libor avrebbe pagato una multa di circa 1,4 miliardi di franchi svizzeri (1,5 miliardi di dollari). 

La legge statunitense FATCA e le banche estere 

Potrebbero sorgere seri problemi per le banche estere con l’entrata in vigore della legge statunitense FATCA (Foreign Account Tax and Compliance Act) sulla tassazione dei conti esteri. Secondo questa legge, le banche estere sarebbero obbligate a indicare all’American Internal Revenue Service tutti i clienti che avrebbero rapporti con gli USA (cittadinanza o permesso di soggiorno), e a fornire informazioni circa le loro operazioni e i saldi dei loro conti correnti. Se i governi o le banche rifiutassero di ottemperare alle disposizioni del FATCA, allora gli USA potrebbero trattenere a queste banche una tassa del 30% delle entrate provenienti dagli USA. Così facendo, le autorità fiscali statunitensi potrebbero prendere il controllo del sistema finanziario mondiale. Anche se un Americano (un cittadino o un residente, inclusi i possessori di una “green card”) non fornisse informazioni sui propri conti o società esteri, ora la cosa avrebbe a che fare con le banche estere. Non è da escludere che alcune piccole organizzazioni finanziarie al di fuori degli USA si stiano completamente rifiutando di fornire servizi ai clienti americani per evitare di invischiarsi nelle onerose procedure finanziarie dell’Internal Revenue Service statunitense riguardo i loro conti. In ogni caso, dovranno aspettare di siglare un accordo con lo US Internal Revenue Service, altrimenti si ritroverebbero ad essere soggetti ad una multa anche se non hanno clienti americani. Perciò, le informazioni sui contribuenti americani che l’Internal Revenue Service degli Stati Uniti in precedenza doveva ottenere con molte difficoltà (ad esempio come nel recente caso della banca svizzera UBS), ora dovranno essere fornite dalle banche estere regolarmente e volontariamente. 

A marzo 2013, la International Revenue Service ha annunciato la pianificazione di una ricerca dei debitori statunitensi nel mondo e si aspettava di riscuotere 5 milioni di dollari in sanzioni alle banche estere che li occultano. In cima alla lista comparivano banche in India, Israele, Hong Kong e Singapore. Le sanzioni alla banca svizzera Wegelin, che non intratteneva alcun rapporto di operazioni in America, costituisce un precedente. I giuristi affermano che quest’ultimo ha messo in dubbio l’esistenza del segreto bancario e abbia preparato il settore finanziario per le regole del FACTA. 

"Il governo non ha intenzione di fermare la corsa all'inarrestabile ricerca degli americani benestanti che detengono conti segreti offshore, e presto avranno ancora più strumenti per farlo", afferma Mark Matthews, ex-capo della divisione indagini dell'Internal Revenue Service, che ora lavora come avvocato presso Caplin & Drysdale. Negli ultimi 4 anni, il governo USA è già riuscito ad incassare 5,5 miliardi in tasse dovute e multe. 

Una sentenza sulla possibilità di imporre sanzioni contro le banche estere che non operano su suolo statunitense è già passata il 4 marzo 2013. La più antica banca privata della Svizzera, Wegelin, è stata multata per 74 milioni di dollari dalle autorità americane per violazioni alle leggi fiscali. Wegelin fu fondata nel 1741 ed era considerata una delle banche più prestigiose del Paese. La banca non aveva alcun ufficio o sede sul territorio statunitense, perciò era certo che non potesse incorrere in sanzioni. Nel gennaio 2013 la banca ammise di aver chiuso un occhio alle attività di clienti americani che omettevano di pagare le tasse. E' più che probabile che Wegelin chiuderà poco dopo aver pagato la multa. Come conseguenza del processo, la banca smise virtualmente le operazioni e i clienti iniziarono a ritirare il proprio denaro. Wegelin era diventata la principale banca cui si appoggiavano gli americani che non volevano pagare le tasse, da quando la banca svizzera UBS aveva siglato un accordo con le autorità nel 2009. UBS aveva accettato di disattendere la legge sul segreto bancario e aveva fornito alle autorità statunitensi i nomi di 4500 clienti (gli Stati Uniti avevano richiesto informazioni su circa 52.000 conti di non residenti). Ciò nonostante, la banca ha dovuto comunque pagare una multa di 780 milioni di dollari. La banca perse ulteriori 20 milioni di dollari in seguito all'esodo di massa dei clienti spaventati dalla volontà della banca di disattendere alla legge sul segreto bancario. 

New York, centro del racket del dollaro 

Non sono solo le banche ad essere state prese di mira dalle autorità statunitensi, bensì anche altre società del settore non finanziario dell'economia. Con questo, si parla non solo di violare le sanzioni americane contro un paese o un altro, bensì anche le violazioni riguardo alla corruzione e altri reati in altri paesi. Per esempio, nel 2010 il Justice Department USA accusò il gruppo tedesco Daimler, che possiede Mercedes-Benz, di corrompere funzionari di 22 Paesi, Russia inclusa. Daimler si dichiarò colpevole e preferì tirarsi fuori dal guaio pagando. I tedeschi pagarono al governo USA una multa di 185 milioni di dollari. E pensare che la questione non aveva nulla a che fare con gli Stati Uniti: l'azienda non aveva corrotto funzionari americani e non aveva violato alcuna legge americana

New York, dove si trova la maggior parte delle banche USA in cui le banche estere aprono i propri conti corrispondenti, ha un ruolo particolare nel racket del dollaro. A loro volta, le banche di New York hanno i propri conti alla Federal Reserve Bank di New York. Non importa che si dica, New York è ancora il centro finanziario globale contro cui né Londra, né Tokio, né Francoforte, né Hong Kong possono compararsi. Dopo tutto, la parte del leone delle transazioni globali dominate dal dollaro la fa New York. E di queste transazioni fanno parte anche quelle che non hanno nulla a che fare con gli USA. Di conseguenza, lo State Department of Financial Services di New York, creato nel 2011, ha il suo ruolo speciale da giocare nell'individuazione di banche e aziende che trasgrediscono le leggi. Circa 4.500 organizzazioni, con beni per 6,2 trilioni di dollari, sono sotto il diretto controllo di questa agenzia. 

L'avvocato David Pitofsky, dello studio legale Goodwin Procter, osserva: "Anche se una transazione è fatta, ammettiamo, in yen giapponesi, se un meccanismo di sistema la converte in dollari, in teoria significa che può essere soggetta alle leggi USA" (http://www.bbc.co.uk/news/19172065). La situazione finanziaria è un potente incentivo per le banche non statunitensi e per le aziende a sostituire il dollaro USA con valute di altri paesi quando si effettuano pagamenti internazionali, mentre allo stesso tempo si creano propri sistemi regionali per i pagamenti internazionali. Non c'è dubbio, per esempio, che ci sia immediato bisogno della creazione di un gruppo integrato di paesi Euro-Asiatici che includa Russia, Bielorussia, Kazakhstan e altri paesi post-sovietici. I pagamenti internazionali all'interno di questo gruppo potrebbero essere fatti in rubli, e Mosca potrebbe avanzare pretese riguardo lo status di centro finanziario regionale alternativo a New York. 


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