sabato 8 agosto 2015

L’ARABIA SAUDITA PUO’ ANDARE IN ROVINA PRIMA CHE L’INDUSTRIA PETROLIFERA STATUNITENSE SI PIEGHI. - AMBROSE EVANS PRITCHARD

King_Salman_bin_Ab

Redazione: è troppo tardi perché l'OPEC possa fermare la rivoluzione dello “shale”. Ogni aumento dei prezzi petroliferi sarà limitato dall’aumento della produzione statunitense. L’OPEC si è di fatto sciolta. Era comunque veramente poco quello che avrebbe potuto fare per combattere i progressi della tecnologia americana. I costi di perforazione nel settore dello “shale” si sono ridotti del 50% e si ridurranno di un ulteriore 30% in un prossimo futuro. Ulteriori giacimenti da sfruttare in Argentina, Australia e Cina. La spesa sociale è l’unico collante che tiene insieme il medievale regime wahhabita, catturato nella versione mediorientale della “Guerra dei Trent'anni”

Se il mercato dei futures sul petrolio esprime valori corretti, l'Arabia Saudita comincerà a trovarsi nei guai nel giro di due anni e sarà in piena crisi esistenziale entro la fine del decennio.
Il prezzo del petrolio statunitense, con consegna a Dicembre 2020, è attualmente a 62,05 dollari/barile, la qual cosa implica un drastico cambiamento nel panorama economico sia del Medio Oriente che di tutti i paesi dipendenti dalla rendita petrolifera.
I sauditi hanno fatto un’enorme scommessa, lo scorso Novembre, quando hanno smesso di sostenere i prezzi del petrolio scegliendo d’invadere il mercato per scacciare i rivali, aumentando la propria produzione fino a 10,6 milioni di b/d [barili al giorno], in faccia alla recessione.
Se l'obiettivo era quello di soffocare il settore degli “idrocarburi di scisto” negli Stati Uniti, i sauditi hanno malgiudicato la situazione, sottovalutando grossolanamente la minaccia crescente dello “scisto”.
La “Bank of America” sostiene che l’OPEC si è ormai "effettivamente sciolta" … e potrebbe anche chiudere i suoi uffici a Vienna, risparmiando così del denaro.



La Banca Centrale Saudita, nel suo ultimo rapporto sulla stabilità, ha sostenuto che: "Contrariamente a quanto si era pensato, è ormai evidente che i produttori non-OPEC non sono poi così sensibili ai bassi prezzi del petrolio, almeno nel breve periodo".
Ed ha aggiunto: "La conseguenza principale [dei prezzi bassi] è stata la sospensione nello sviluppo dei nuovi pozzi di petrolio, e non la riduzione dell’estrazione dai pozzi esistenti. Per ottenere quest’effetto ci vuole una maggiore pazienza".
Un esperto saudita è stato molto schietto: "La politica non ha funzionato e non funzionerà mai".
Provocando il crollo del prezzo del petrolio, i sauditi ed i loro alleati nel Golfo hanno certamente eliminato una serie d’iniziative ad alto costo nell'Artico russo, nel Golfo del Messico, nelle acque profonde del medio-Atlantico e nel Canada – con riferimento alle sabbie bituminose presenti in questo paese.
I consulenti della “Wood Mackenzie” affermano che le maggiori compagnie nel settore degli idrocarburi hanno accantonato 46 grandi progetti, rimandando investimenti per 200 miliardi di dollari.
Il problema, per i sauditi, è che il settore statunitense degli idrocarburi di scisto non è ad alto costo, è per lo più mediamente costoso. Come ho riferito nei reports sul forum energetico “CERAWeek” che si è tenuto a Houston [1], gli esperti dell’IHS pensano che quest’anno le aziende del settore “shale” possano ridurre i costi del 45% – e non solo perché estraggono, intelligentemente, solo dai pozzi ad alto rendimento.
Le tecniche avanzate di pad-drilling [2] consentono ai frackers [operatori del settore] di perforare cinque o dieci pozzi in direzioni diverse, partendo dallo stesso sito. I Drill-bits intelligenti [3], guidati dai computers, possono trovare facilmente le fessure nella roccia. I nuovi dissolvable-plugs [4] promettono di far risparmiare 300.000 dollari per pozzo.
John Hess, della “Hess Corporation”, ha dichiarato che: "Abbiamo ridotto i costi di perforazione del 50%, ed intravediamo per il futuro un’ulteriore riduzione del 30%”.
Scott Sheffield, della “Pioneer Natural Resources”, sostiene la stessa cosa: "Abbiamo appena perforato, in 16 giorni, un pozzo profondo 18.000 piedi [1 piede = 0,3048 mt] nel Bacino Permiano [5]. L'anno scorso ce n’erano voluti 30”.
Gli impianti di perforazione nel Nord America sono scesi a 664, dai 1.608 di Ottobre, ma la produzione è comunque salita al picco ultra-quarantennale di 9.6 miliardi di b/d, toccato a Giugno. Ed ha concluso: “… ed abbiamo appena cominciato a reinvestire i proventi”.
Rex Tillerson della Exxon Mobil ha dichiarato che: "Il treno-merci del ‘petrolio di scisto’ nord-americano continuerà a viaggiare".



Ed ha aggiunto che la resilienza del settore-parallelo, quello dello shale-gas, è tale da consigliare di non perdere troppo tempo a leggere il rig-count [conteggio dei pozzi in funzione]. I prezzi del gas sono crollati, dal 2009, da 8 a 2,78 dollari/piede3, mentre il numero degli impianti per l’estrazione del gas è sceso da 1.200 a 209. Eppure la produzione è aumentata del 30%, nello stesso periodo.
Fino ad ora gli operatori del settore si sono cautelati con dei “contratti di copertura” [ritiro garantito delle quantità estratte]. Lo stress-test arriverà nei prossimi mesi, perché questi contratti sono in scadenza. Ma anche se decine dei “sovraesposti frackers” dovessero fallire, conseguenza dei mancati finanziamenti, non ci sarà comunque niente di buono per l’OPEC.
I pozzi saranno ancora lì, insieme alla tecnologia e alle infrastrutture. Le aziende più forti assorbiranno quelle più deboli ad un prezzo molto basso, rilevando i loro progetti. Una volta che il petrolio dovesse di nuovo arrampicarsi a 60 d/b, o anche a soli 55 d/b – dal momento che la soglia dei costi continua a scendere – potranno alzare la produzione in modo quasi istantaneo.
L’Opec deve ora affrontare un permanente vento contrario. Ogni aumento del prezzo sarà limitato da un aumento della produzione negli Stati Uniti. L'unico vincolo sarà quello della reale dimensione delle riserve statunitensi che possono essere estratte a metà prezzo, ma questa dimensione potrebbe essere molto più grande di quanto si era inizialmente supposto … per non parlare delle possibilità parallele in Argentina e in Australia, o della possibilità del "fracking pulito" in Cina – la tecnologia del “plasma a impulsi” [6] taglia il fabbisogno idrico necessario per l’estrazione.
Il Sig. Sheffield ha detto che già il “Bacino Permiano” del Texas, da solo, potrebbe produrre 5-6 milioni di b/d nel lungo termine, più del gigantesco giacimento Ghawar in Arabia Saudita, il più grande del mondo.
L'Arabia Saudita si è effettivamente arenata. Questo paese basa sul petrolio il 90% delle sue entrate di bilancio. Non c'è nessun altro settore di cui parlare, dopo ben 50 anni dall’inizio del boom petrolifero.



I cittadini non pagano le tasse sui redditi, sugli interessi o sui dividendi azionari. La benzina, sovvenzionata, costa 12 centesimi [di dollaro] al litro. L'elettricità viene venduta a 1,3 centesimi al chilowattora. La spesa clientelare è esplosa, dopo la “Primavera Araba”, per soffocare il dissenso.
Il Fondo Monetario Internazionale stima che il deficit di bilancio raggiungerà il 20% del PIL, quest'anno, ovvero circa 140 miliardi di dollari. Il “prezzo dell'equilibrio fiscale” è 106 d/b [l’immagine a seguire indica il prezzo in dollari/barile cui il petrolio dovrebbe essere venduto perché i paesi indicati possano pareggiare il bilancio pubblico 2015].



Lungi dal ridurre le spese, Re Salman continua a sperperare i soldi del paese. Ha elargito un bonus di 32 miliardi di dollari, in occasione della sua incoronazione, per tutti i lavoratori ed i pensionati.
Ha inoltre lanciato una guerra molto costosa contro gli Houthi dello Yemen ed è impegnato in una massiccio rafforzamento militare – del tutto dipendente dalle armi importate – che spingerà l'Arabia Saudita al quinto posto nella classifica mondiale dei paesi che più spendono per la difesa.
La famiglia reale saudita sta guidando la causa sunnita contro l’arrembante Iran sciita, in un'aspra lotta per il predominio in tutto il Medio Oriente.
Jim Woolsey, il precedente Direttore della CIA, ha dichiarato che: "In questo momento i sauditi hanno una sola cosa in mente, gli iraniani. Il problema è molto serio. I procuratori dell’Iran sono attivi in Yemen, Siria, Iraq e Libano".



Il denaro è cominciato ad uscire dell'Arabia Saudita [per fini clientelari esterni] dopo la “Primavera Araba”, con un deflusso netto di capitali pari all’8% annuo del Pil, anche prima del crollo del prezzo del petrolio. Il paese, da allora, sta bruciando le sue riserve in valuta estera ad un ritmo vertiginoso.
Le riserve, che erano salite a 737 miliardi di dollari nel mese di Agosto del 2014, sono scese a 672 miliardi a Maggio di quest’anno. Ai prezzi correnti, sono in calo di almeno 12 miliardi al mese.



Khalid Alsweilem, un ex funzionario della Banca Centrale Saudita, ora occupato presso la Harvard University, ha detto che il deficit di bilancio deve essere coperto quasi dollaro per dollaro, attingendo alle riserve.
Le riserve finanziarie saudite non sono particolarmente grandi, considerando il sistema di cambio fisso del paese [con il dollaro]. Kuwait, Qatar e Abu Dhabi hanno riserve pro-capite tre volte maggiori.
Ed ha aggiunto: "Noi siamo molto più vulnerabili [degli altri Paesi del Golfo]. E’ questo il motivo per cui il nostro rating sovrano, AA-, è solo al quarto posto fra i Paesi del Golfo. Non possiamo permetterci di perdere il nostro cuscino [l’ammortizzatore costituito dalle riserve] nei prossimi due anni".
Standard & Poor ha abbassato l'outlook a "negativo" lo scorso mese di Febbraio: "Consideriamo l'economia dell'Arabia Saudita come non diversificata e vulnerabile al calo, notevole e costante, dei prezzi del petrolio".
Il Sig. Alsweilem ha scritto, in un relazione per la Harvard University, che l'Arabia Saudita possiederebbe ulteriori assets per 1.000 miliardi di dollari, se avesse adottato il modello norvegese – ovvero un fondo sovrano per rimettere in circolo il denaro, invece di utilizzarlo come un salvadanaio a disposizione del Ministero delle Finanze.
Questa relazione ha causato una tempesta, a Riyadh. "Siamo stati fortunati in passato, perché il prezzo del petrolio ha recuperato per tempo. Ma non possiamo contarci di nuovo", egli ha concluso.
L’OPEC si è interessata della questione dello “shale” troppo tardi anche se, forse, era veramente poco quello che avrebbe potuto fare per combattere i progressi della tecnologia americana.
Col senno del poi, è stato un errore strategico tenere i prezzi così alti per così tanto tempo [palese il riferimento a quando il petrolio quotava ben oltre i 100 d/b], permettendo ai frackers – e all'industria del solare – di “diventare grandi”. Il “genio” non può più essere rimesso nella bottiglia.
I sauditi, ora, sono intrappolati. Anche se avessero fatto un accordo con la Russia e orchestrato un taglio della produzione per far aumentare i prezzi – fatto tutt'altro che semplice – avrebbero potuto guadagnare solo qualche anno, rimandando più in là nel tempo la produzione degli idrocarburi di scisto.
In ogni caso, le riserve saudite [in valuta estera] potranno scendere fino a 200 miliardi di dollari entro la fine del 2018. I mercati reagiranno molto prima, vedendo la scritta sul muro. La fuga dei capitali accelererà.
Il governo potrà tagliare gli investimenti, per un po' di tempo – come ha fatto a metà degli anni ’80 – ma alla fine dovrà affrontare un'austerità draconiana. Non può permettersi né di sostenere l'Egitto né di tenere in vita l’esorbitante macchina del clientelismo politico in tutto il mondo sunnita.
La spesa sociale è l’unico collante che tiene insieme il medievale regime wahhabita, considerando l’agitazione della minoranza sciita nella provincia orientale, gli attacchi terroristici dell’ISIS e i contraccolpi dell'invasione dello Yemen.
C’è solo la spesa “diplomatica” alla base della sfera d’influenza dell’Arabia Saudita, catturata nella versione mediorientale dell’europea “Guerra dei Trent'anni”, ed ancora convalescente dagli shocks derivati dall’aver schiacciato una rivolta democratica [la Primavera Araba].
Possiamo tuttavia constatare che l'industria petrolifera statunitense ha una maggiore capacità di resistenza rispetto al traballante edificio politico dell'OPEC.

Ambrose Evans-Pritchard
Fonte: www.telegraph.co.uk
Link:http://www.telegraph.co.uk/finance/oilprices/11768136/Saudi-Arabia-may-go-broke-before-the-US-oil-industry-buckles.html
5.08.2015
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da FRANCO

Fra parentesi quadra le note del Traduttore, ed inoltre:

[1] Pubblicati da Come Don Chisciotte qui: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14981 e qui:http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15030]
[2] Pad-Drilling: http://www.eia.gov/todayinenergy/detail.cfm?id=7910
[3] Drill-Bit Intelligente: https://en.wikipedia.org/wiki/Drill_bit
[4] Dissolvable-Plug: http://www.slb.com/services/completions/multistage_stimulation_systems/dissolvable_plug_and_perf/infinity.aspx
[5] Bacino Permiano: https://it.wikipedia.org/wiki/Bacino_Permiano
[6] Plasma Pulse Technology, http://www.novasenergy.com/  

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15413

IL PIANO DELL’ISTITUTO BROOKINGS PER LIQUIDARE LA SIRIA. - MIKE WHITNEY

Syrian-President-Bashar-al-Assad


Ecco il Vostro quesito di politica estera USA per oggi: Quand’è che un cambio di regime non è un cambio di regime? 
Quando il regime di turno resta al potere ma perde la sua capacità di governare effettivamente. Ed è questo l’obiettivo della politica estera USA in Siria, impedire al Presidente Bashar Al Assad di governare il paese senza necessità di rimuoverlo fisicamente dall’ incarico.

L’idea è semplice: scatenare “jihadisti” appoggiati dietro le quinte per catturare e tenere in scacco vasti territori del paese in modo che il governo centrale non sia in effettivo controllo del suo paese. E’così che l’amministrazione Obama vorrebbe chiudere l’affare Assad, rendendolo irrilevante. La strategia è spiegata nel dettaglio in uno scritto del Brookings Institute a firma Michael O’Hanlon intitolato: “Decostruire la Siria: una nuova strategia per la più complessa tra le guerre Americane”.

Eccone un estratto: 
“L’unico modo realistico di procedere da qui in avanti sarebbe in effetti un piano per decostruire efficacemente la Siria. La comunità internazionale dovrebbe lavorare a creare sacche con una maggiore agibilità in termini di sicurezza e governabilità all’interno della Siria e ad espanderle poi nel tempo. L’idea sarebbe, più esattamente, di aiutare elementi moderati a stabilire zone sicure ed affidabili all’interno del territorio Siriano una volta che gli elementi designati siano in grado. Forze Americane, Saudite, Turche, Britanniche, Giordane e di altri Stati Arabi agirebbero da costante supporto, non soltanto via aria, ma anche mediante l’uso di forze speciali di terra quando necessario. Questo approccio consentirebbe di trarre vantaggio dagli ampi spazi aperti desertici Siriani che consentirebbero la creazione di zone cuscinetto che si potrebbero tenere sotto costante controllo per riconoscere in tempo ogni possibile segno di attacco nemico. Le forze Occidentali in sè verrebbero stazionate in postazioni in generale più sicure, distanziate dalle linee di fronte all’interno delle zone sicure, quantomeno per tutto il tempo necessario affinchè queste difese, insieme alle forze locali alleate, siano certe in merito alla opportunità pratica di avanzare verso posizioni più avanzate ed essere in grado di mantenerne il controllo in sicurezza” La creazione di queste zone sicure rappresenterrebbe la creazione di zone autonome che non dovrebbero temere di tornare sotto il controllo, sia di Assad, sia dell’ISIL. L’obiettivo intermedio sarebbe una Siria confederale, costituita da varie zone largamente autonome. La federazione richiederebbe il supporto di un contingente di peacekeeping internazionale che renda le zone difendibili e governabili, che aiuti a provvedere aiuto alle popolazioni incluse in tali territori e che addestri e equipaggi ulteriori reclute in modo che le zone possano essere stabilizzate ed eventualmente espanse”.  
(“Deconstructing Syria: A new strategy for America’s most hopeless war“, Michael E. O’Hanlon, Brookings Institute)

Non è questa la strategia di fondo che vediamo in gioco in Siria già adessov?
E’il caso di notare come O’Hanlon non considera mai neanche un attimo le implicazioni morali di cancellare una nazione sovrana, di uccidere decine di migliaia di civili e di sradicarne altrettanti dalle loro dimore. Questo genere di cose sono semplicemente indifferenti per gli esperti che concepiscono queste strategie imperiali. E’solo altra farina da macinare. Notare inoltre, come l’autore si riferisca a “zone cuscinetto” e “zone sicure”, i medesimi termini che sono stati usati ripetutamente nell’ambito dell’accordo USA-Turchia sull’uso da parte degli Americani della base aerea di Incirlik. La Turchia ha chiesto agli USA di assistere nella creazione di tali “zone sicure” lungo il confine Nord della Siria in modo che fungano da “santuari” per l’addestramento delle cosiddette forze moderate da impiegare nella guerra contro l’ISIS. A quanto pare, tali ipotetiche zone sicure sarebbero parte fondamentale del più esteso piano di O’Hanlon per frammentare lo stato in milioni di enclaves disconnesse tra loro e ognuna retta da un manipolo di mercenari armati, affiliati ad Al Qaeda o signori della guerra locali. Ecco il sogno di Obama di una “Siria liberata”, uno stato fallito precipatato nell’anarchia con una bella spruzzata di basi Americane sopra così che si potranno arraffare ed estrarne tutte le risorse senza impedimenti. Quello che Obama vuole evitare a tutti i costi e un altro imbarazzante flop come l’Iraq, dove la rimozione di Saddam ha lasciato un vuoto di potere e una sensazione di insicurezza che ha portato a violenta e protratta rivolta che è costata cara agli USA in termini di sangue, finanze e credibilità internazionale. Ecco perchè al momento la strategia prescelta è quella che abbiamo descritto, che si ritiene essere un modo più intelligente per perseguire gli stessi scopi. In poche parole gli obiettivi non sono mai cambiati, cambiano solo i metodi.

Citiamo ancora un pò da O’Hanlon: 
“Il piano non sarebbe diretto soltanto contro L’ISIL ma in parte anche contro Assad. Riconoscendo le possibilità reali tuttavia, senza mirare a rovesciarlo direttamente, ma piuttosto a negargli ogni possibilità di tornare a governare i territori su cui potrebbe aspirare a riottenere controllo. Le zone autonome sarebbero liberate con l’esplicito intendere che non torneranno mai sotto controllo di Assad o eventuale successore. Secondo questa visione Assad non sarebbe un obiettivo militare diretto, ma le aree che al momento controlla (e bombarda crudelmente) lo sarebbero. E se Assad continuasse a rifiutare di accordarsi per l’esilio prima o poi si ritroverebbe vicino a costanti minacce al suo potere, se non alla sua persona”. 
Che vuole dire? 
Vuol dire che la Siria è designata come laboratorio per la gran strategia per i cambi di regime di O’Hanlon, una strategia nella quale Assad figura come porcellino d’India da esperimenti numero uno. E siccome non vogliamo lasciare spazio a fraintendimenti, riportiamo questa spiazzante ammissione di O’Hanlon: 
“ Questo piano differisce dalla strategia corrente principalmente in tre modi. Primo, provvederebbe un obiettivo chiaro ed esplicito per gli Stati Uniti nella questione (...) in secondo luogo scoraggerebbe chi possa pensare che Washington si accontenti di tollerare il governo Assad in quanto male minore”. 
In pratica, per come la vede O’Hanlon l’amministrazione dovrebbe abbandonare la pretesa di stare combattendo l’ISIS e ammettere esplicitamente che l’imperativo è “Assad deve sparire”, secondo O’Hanlon questo aiuterebbe a sistemare le cose con altri membri della coalizione che hanno dubbi rispetto alle reali intenzioni di Washington.

Ancora dal testo: 
“squadre di supporto multilaterali, divise in forze speciali di terra e unità di difesa aerea devono essere sempre pronte al dispiegamento nelle diverse parti della Siria ogni volta che le forze di opposizione riescano a conquistare e mantenere nuove postazioni sicure. Questa chiaramente sarebbe la parte più delicata e il dispiegare di squadroni sarebbe sempre pericoloso. Non bisognerebbe mai ordinare missioni in fretta e furia, ma farlo in maniera considerata, tuttavia è parte indispensabile dello sforzo”. 

Traduzione: stivali Americani marceranno sul suolo della Siria, possiamo scommetterci. Va benissimo fare il miglior uso della carne da cannone jihadista per condurre la carica e indebolire il nemico, poi al momento giusto basta mandare la prima squadra e si è chiuso l’affare. Questo vuol dire invio di forze speciali, no fly zone su tutta la Siria, basi militari sul campo e una bella campagna di propaganda per continuare a convincere la sheeple(sheep+people, popolazione gregge..) che per difendere la sicurezza nazionale USA occorre necessariamente distruggere la Siria. Tutto questo diventerà chiaro nella fase 2 della gierra fiasco Siriana, che è sul punto di intensificarsi e di parecchio.

Citiamo un'ultima volta O’Hanlon mentre ci regala una nota ispirata per proporci la sua bella strategia per cambi di regime nuova di zecca: 
“In tutta sincerità mi sembra questa l’unica maniera realistica di procedere. Inoltre, nonostante non posso affermare che sia priva di rischi per gli Stati Uniti d’altronde il livello di coinvolgimento militare diretto non sarebbe particolarmente più sostanziale di quello che è stato necessario in Afghanistan durante l’ultimo anno circa. Sarebbe auspicabile che il Presidente Obama non guardasse alla questione come un problema da lasciare in eredità al successore, ma piuttosto come una crisi urgente che richiede tutta la sua attenzione e la definizione di una nuova strategia al più presto” 
Ed ecco qui il piano per fare a pezzi la Siria, precipitarla in una crisi umanitaria anche peggiore di quella in cui già si trova e fare crollare Assad senza dover andare in prima persona a rimuoverlo dall’ufficio. Un bel pò di massacro e distruzione per starci tutto quanto in un saggio di 1.100 parole, complimenti all’autore per le doti di sintesi. A noi non resta che domandarci se questi cervelloni stretegici pensano mai a quanto dolore comportano le loro grandi strategie, se gliene freghi almeno qualcosa delle conseguenze.

Mike Whitney
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2015/08/05/the-brookings-institute-plan-to-liquidate-syria/
7.09.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15414

Chi ha usato la bomba nucleare?



https://plus.google.com/u/0/103739422044179776643/posts/bdS6N8k6Kzb?pid=6180507335341455554&oid=101245488016710083533

Torino, morto dopo ricovero forzato: quattro indagati. La verità in 9 foto.

Torino, morto dopo ricovero forzato: quattro indagati. La verità in 9 foto


Il pm Guariniello iscrive nel registro tre vigili e il medico che mercoledì hanno ricoverato Andrea Soldi, 45enne affetto da schizofrenia, caricandolo in ambulanza. Arriverà al Maria Vittoria già in arresto cardiaco. "Gli stringevano il collo, aveva la lingua di fuori. Non respirava più", dicono i testimoni. Nove foto da cellulare, già trasmesse al pm, mostrerebbero quanto è accaduto.

Sono stati iscritti nel registro degli indagati i vigili urbani e lo psichiatra di Torino che hanno eseguito il trattamento sanitario obbligatorio ad Andrea Soldi, il 45enne morto nel capoluogo piemontese dopo essere stato caricato a forza su un’ambulanza e portato in ospedale per il trattamento. Soldi era stato caricato in piazzale Umbria. Morirà poco dopo al Maria Vittoria, già in arresto respiratorio secondo i medici del pronto soccorso.
“Andrea era tranquillo – si legge su Repubblica Torino, che riporta le parole di un un testimone - I vigili in borghese lo hanno preso per il collo, alle spalle. Mentre lo stringevano aveva la lingua fuori e non respirava più. Lo hanno caricato in ambulanza a faccia in giù, ammanettato”. Su questo hanno lavorato ieri i carabinieri del Nas di Torino, cui il pm Raffaele Guariniello ha affidato l’incarico di raccogliere le testimonianze delle persone che hanno assistito al Tso.
L’iscrizione nel registro consentirà ai tre vigili urbani e allo psichiatra che hanno eseguito il tso di nominare consulenti di fiducia in occasione dell’autopsia. L’esame sarà effettuato lunedì dal medico legale Valter Declame. I vigili che hanno caricato Soldi in ambulanza si sono difesi dicendo invece che l’uomo aveva dato in escandescenze al momento del trasporto, anche se finora nessun testimone ha confermato questa versione.
Anzi, si infittiscono le testimonianze di segno contrario. Negli uffici della procura di Torino proseguono gli interrogatori dei testimoni. Molte persone hanno riferito che per immobilizzare il paziente, un uomo di 120 chili che dal 1990 soffriva di schizofrenia e aveva dato in escandescenza, sono state usate maniere troppo forti. Il primo passo è stato sequestrare il telefonino a un pensionato, ex carabiniere in pensione, che dalla sua finestra di casa ha fotografato l’ultima fase dell’intervento dei vigili, ritraendo Andrea a terra, le mani ammanettate dietro la schiena, immobile, a faccia in giù. Il suo telefonino contiene 9 foto che saranno raccolte in un cd e inviate al pm con una prima informativa, con i verbali delle testimonianze. Una decina in tutto.
La Procura vuole far luce sul comportamento adottato dallo psichiatra e dai vigili urbani, che sono stati trasferiti “in via prudenziale” a incarichi non operativi dopo che anche la Polizia municipale ha avviato nei loro confronti una indagine interna. Soltanto l’autopsia potrà però stabilire con esattezza le cause del decesso. La sorella della vittima, Cristina, ha incontrato il pm Guariniello: “Mio fratello era malato – ha detto la donna –  era già stato soggetto a trattamenti sanitari e non c’era stato alcun problema. Era buono – ha aggiunto – e non aveva mai fatto del male a nessuno”. Anche la direzione sanitaria dell’Asl To 2 ha avviato “accertamenti interni”, richiedendo una relazione sull’accaduto al servizio psichiatrico.

venerdì 7 agosto 2015

SI DELINEA LA NUOVA GUERRA MONDIALE USA. - Maurizio Blondet

obamahalo


Gli eventi sembrano precipitare. L’aggressione si svolge sui vari fronti aperti dall’Impero del Caos. Vediamoli.

Fronte della Siria
Come si sa, Barak Obama ha autorizzato una forte escalation dei bombardamenti in Siria. La scusa è difendere le formazioni di ribelli addestrate dal Pentagono contro DAESH, e di fatto debellate dai terroristi cattivi. Il numero dei ribelli “buoni” (una sessantina) da difendere con bombardamenti aerei rende trasparente come la scusa sia risibile. Il punto è che gli Usa vogliono abbattere il regime di Assad, come erano pronti a fare nel 2013 e sono stati impediti di fare.

Nei giorni seguenti, qualche fonte ventilava un piano occidentale che sembrava poco credibile: mettere “scarponi sul terreno”, per creare zone “liberate” interne alla Siria, dove i terroristi moderati possano instaurare il loro regime al riparo sia da DAESH, sia dall’aviazione siriana. Soprattutto da questa. Poiché le forze armate Usa ed occidentali hanno sempre evitato di impegnare truppe di terra loro proprie in simili teatri (o piuttosto pantani), la cosa pareva fantasiosa.

SAS mascherati da jihadisti operano in Siria.Questa notizia assume tutta la sua gravità se collegata ad un’altra, apparsa il 2 agosto sul britannico Sunday Express: “La SAS si traveste da combattenti dello Stato Islamico nella guerra segreta contro i jihadisti”.
Il giornale ci racconta che “più di 120 membri del reggimento di elite si trovano attualmente nel paese sconvolto dalla guerra, segretamente travestiti in nero e sventolando le bandiere dello Stato Islamico”.
http://www.express.co.uk/news/uk/595439/SAS-ISIS-fighter-Jihadis

Non ci vuol molto a capire che questi commando non servono a “combattere il califfato”, ma sono i puntatori, quelli che sul terreno hanno il compito di “illuminare” i bersagli da colpire, che poi gli aerei (in parte, droni in partenza dalla base turco-americana di Incirlik) colpiscono con bombe a guida laser. Sono stati mandati ad aiutare i jihadisti a rovesciare Assad. Il Sunday Express precisa che questi SAS mascherati da DAESH sono “sostenuti da oltre 250 specialisti che forniscono il sostegno delle comunicazioni”. Ciò che chiarisce in modo definitivo le funzioni dei finti-veri britannici islamisti. Per di più, il giornale inglese cita “l’ex capo dell’esercito britannico lord Richard” il quale dice: “i carri armati entreranno in azione” in Siria, perchè “lo Stato Islamico non sarà vinto senza uno sforzo concertato sul terreno”.
Quindi è vero: hanno deciso di rischiare truppe di terra per farla finita con la Siria.
Il Wall Street Journal (neocon) parla già di “Libia 2.0”. Complimenti, bel progetto.

Parà russi pronti per Assad.E’ in questo contesto che, il 4 agosto, l’agenzia Itar-Tass rende noto che “paracadutisti sono pronti ad aiutare la Siria a combattere il terrorismo”: Il generale Vladimir Shamanov, comandante delle Truppe Aerotrasportate Russe, dichiara che “naturalmente eseguiremo gli ordini dati dalla leadership del paese”. Anche la Russia è pronta ad inviare in Siria – dove ha una base navale, la sola del Mediterraneo, a Tartus – truppe di terra.
Solo il giorno prima, il 3 agosto. Il ministro degli esteri Lavrov aveva incontrato a Doha il collega John Kerry e il pari grado saudita Adel al-Jubeir presentando un piano russo “mirante a creare un vasto fronte antiterrorista” per contenere la diffusione del terrorismo “in Siria, in Irak e in altri paesi della regione; Mosca ritiene che di questa coalizione debbano far parte anche le forze armate irachene e siriane – che effettivamente già combattono contro il Califfato – nonché i curdi. E ciò, “nel quadro del diritto internazionale”. Putin intende chiedere il mandato ONU, durante la sessione plenaria che deve tenersi a settembre.
Sembra che l’iniziativa di Obama miri a prevenire e vanificare questo piano russo, che metterebbe sotto il controllo internazionale la lotta al terrorismo, rendendo più difficile colpire il regime siriano fingendo di colpire i fanatici del Califfato.  Ai russi – a giudicare dai commenti raccolti dai loro media – è chiaro che Obama mira a distruggere quel poco che resta dell’aviazione di Assad, quasi unico elemento di superiorità contro i jihadisti.
https://www.rt.com/op-edge/311670-us-rebels-pentagon-syria/

Gli americani cercano la provocazione che consenta loro di eliminare il regime sostenuto da Mosca, e la base navale russa nel Mediterraneo.
Il portavoce della Casa Bianca John Earnest dice: “Per il momento, il regime di Assad ha rispettato l’avvertimento che gli abbiamo dato, di non immischiarsi nelle nostre attività all’interno della Siria”. Ovviamente l’armata siriana non spara sugli aviogetti occidentali che solcano i suoi cieli: una forza del tutto sproporzionata rispetto alla sua, che ha condotto migliaia di incursioni, le quali hanno prodotto almeno 450 vittime civili (secondo il sito Airwars, il numero può essere di oltre 1200)
http://airwars.org/

Il voltafaccia di Ankarasafe zone siria

La Turchia s’è evidentemente accordata con la strategia americana: finge di partecipare alla guerra contro il terrorismo di DAESH (che invece favorisce apertamente) e bombarda i curdi (specie ma non solo del PKK) che sono la sola forza di terra che impegna in conflitto i guerriglieri di DAESH. Per fare ciò, ha di sicuro avuto il permesso di Washington: i curdi, con le loro speranze di costituire uno stato nazionale ritagliato dai territori abitati da loro in Siria, Irak e Turchia, sembrano essere stati venduti, in cambio dell’impegno di Erdogan di creare (secondo un accordo stilato fra turchi e americani a fine luglio) la creazione di una “zona di sicurezza” lungo la frontiera turco-siriana: un “santuario” per i jihadisti protetti da Washington e per quelli sostenuti da Ankara.

Selahattin Demirtas, il capo del partito curdo d’opposizione HDP in Parlamento ad Ankara conferma: “La Turchia non intende colpire lo Stato Islamico con questa zona protetta. La zona cuscinetto è mirata a fermare i curdi, non lo IS”.
Ankara crea un battaglione islamico per  aiutare Kiev..Il primo agosto, all’hotel Bilkent di Ankara, il ministro degli esteri di Kiev, Pavlo Klimkin, e il vice-primo ministro turco Numan Kurtulmus presiedono al “Congresso mondiale dei Tatari” (più di 200 associazioni). Lì il capo storico (e agente della Cia fin dai tempi di Reaga) dei tatari anti-russi, Mustafa Abdulcemil Cemiloglu ha annunciato la creazione di una “brigata musulmana internazionale”: per combattere in Crimea, dove abita una forte minoranza tatara e musulmana. La brigata islamista avrà base a Herson, e presso la frontiera della Crimea. Alla fine del Congresso, Cemiloglu è stato ricevuto da Erdogan che lo ha assicurato del suo appoggio, in funzione antirussa.
Ciascuno è in grado di valutare l’avventurismo turco, che non esita a scatenare il jihadismo nel cuore d’Europa.
A ulteriore conferma dell’alleanza Usa-Ankara, la notizia: il Turk Stream è stato bloccato sine die. Ossia il progetto di potenziamento del gasdotto (in parte ricalca il SouthStream) che doveva portare gas russo in Europa del Sud (Italia, Grecia, Bulgaria) attraverso la Turchia. Il progetto era stato proposto da Putin ad Erdogan nel 2014. Ora è Erdogan che silura il piano. L’alleanza anti-Assad con gli americani vale il prezzo.

Fronte del Donbass
Una bomba sporca per accusare i ribelli.Il giornalista ucraino Anatoly Shary, rifugiato in Russia, rivelava in un suo video del 2 agosto che gli occidentali si preparavano ad accusare i ribelli del Donbass di lanciare una bomba sporca – un classico false flag e pretesto per un intervento armato risolutivo delle truppe di Kiev, attualmente inquadrate, addestrate ed armate (e molto rimpolpate) da personale USA.
http://reseauinternational.net/ce-que-les-sales-medias-nous-preparent-de-sales-bombes-a-donetsk/

Notizia fantastica? Pura invenzione di parte?

sale-bombe-20150802-1728x800_c

Ma no: bastava leggere il Times di Londra del 1 agosto. L’ex autorevole giornale britannico comincia la campagna di preparazione al false flag. Titolo: “I ribelli ucraini ‘fabbricano la bomba sporca’ con l’aiuto di scienziati russi”.
http://www.thetimes.co.uk/tto/news/world/europe/article4514313.ece

L’articolo è a suo modo un capolavoro. Gli insorti del Donbass stanno fabbricando la bomba sporca con rifiuti radiologici e la collaborazione di “scienziati atomici russi”. Volontari, cani sciolti, evidentemente. Perché il Times aggiunge che Mosca ha negato la sua collaborazione alla costruzione della bomba sporca – il che dimostra solo che “il Cremlino non controlla più i ribelli”. Ma la sua colpa non diminuisce per questo. Il Times invita il presidente Putin a “dimostrarsi un dirigente responsabile” , autorizzando l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) a ispezionare i “nascosti depositi radioattivi” nel territorio del Donbass.
L’OCSE ha osservatori sul posto, che non notano le violazioni degli accordi di Minsk sul cessate il fuoco da parte delle forze armate di Kiev (a questo punto, americane) contro il Donbass. Che importa? Gli accordi di Minsk sono “morti e sepolti”, secondo il Times: “Lo spiegamento e la consegna di carri armati, lo spiegamento di artiglierie pesanti rendono assurde le promesse fatte da Vladimir Putin”, accusa il Times. Senza degnarsi di fornire le prove delle sue accuse.
Non servono, le prove. Il Times dice di aver letto “un rapporto dei servizi ucraini SBU” (della cui credibilità siamo tutti consci) il quale assicura che gli insorti hanno portato via “rifiuti radioattivi immagazzinati nella Fabbrica chimica di Donetsk”. La fabbrica “giace sulla linea del fronte di guerra tra i ribelli e l’armata ucraina”. Dunque anche l’armataa di Kiev potrebbe aver preso il materiale? No, cosa dite. Sono i ribelli.
Quindi vogliono preparare la bomba sporca. Anzi la stanno già preparando.
E ciò, secondo il giornale britannico, “mostra o che Mosca si appresta ad aggravare il conflitto, oppure che ha perduto il controllo dei ribelli”. E “questa imprevedibilità costituisce una minaccia alla sicurezza d’Europa”. Motivo più che sufficiente per l’intervento NATO.
Se la Russia strumentalizza gli accordi di Minsk per mascherare la preparazione a un più grave conflitto, è necessario rivedere completamente i rapporti tra l’Occidente e l’Est, “indurendo le sanzioni contro Mosca”
“Putin crede che creando incertezza a proposito dell’influenza russa (sui ribelli), ottiene il diritto di dettare le sue condizioni. Si sbaglia. Invece, trasforma rapidamente la Russia in stato-canaglia”.
Detto dal giornale semi-ufficiale della Gran Bretagna, che ha sul terreno in Siria i suoi commandos “mascherati da jihadisti dell’IS” per abbattere il governo legittimo, è una singolare impudenza. Ma soprattutto una seria minaccia: gli “stati-canaglia” sono quelli che, per definizione, l’Occidente si prepara ad aggredire per renderli democratici
Sui fronti aperti, Siria e Ucraina, è evidente lo sforzo di provocare la Russia per aver il pretesto di schiacciarla, umiliarla se si rifiuta al confronto militare, strapparle le zone di influenza.
E l’Europa?

L’ondata di immigrazione causata dagli interventi Usa”
Ha avuto il coraggio di dirlo –  unico –  il presidente ceco Milos Zeman, in una intervista a Sputnik. “L’attuale ondata di immigrazione in Europa” non ci sarebbe, senza “l’idea folle di restaurare l’ordine in Libia e in Siria…In seguito a queste operazioni militari sono sorti sul territorio di questi paesi dei regimi terroristi, ed è questo che scatena il flisso incontrollato di clandestini in Europa”. La colpa, ha il coraggio di dire Zeman, non è solo degli Stati Uniti ma “dei loro alleati nell’Unione Europea”.
Si tratta della semplice verità, che Londra e Bruxelles, Roma e Berlino e Parigi non hanno mai pronunciato.  Da noi, i giornalisti embedded tacciono sulle resposnabilità Usa e NATO nella destabilizzaizone in corso, che porta ai flussi di migranti.
Zeman ha detto di voler portare la questione all’assemblea generale dell’ONU di settembre; lui proporrà, ha annunciato, la creazione di unità militari per distruggere i campi d’addestramento jihadisti. “Ecco quel che bisogna fare al momento, e non penetrare da qualche parte con cingolati, artiglieria e fanteria”, ha detto Zeman: con chiara allusione alle prove di invasione limitata attuate da Usa ed Ankara. Evidentremente, appoggia il piano russo che gli americani e gli inglesi stanno mandando a monte. Piccolo particolare, i campi d’addestramento dei jihadisti da distruggere: sono in Turchia e Giordania, altri in Arabia Saudita.

Fonte: www.maurizioblondet.it
Link: http://www.maurizioblondet.it/si-delinea-la-nuova-guerra-mondiale-usa/
6.08.2015

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15409

LE MANI DEL GRUPPO BILDERBERG SULLA RAI. NOMINATA MONICA MAGGIONI. - Sergio Cararo

croppedimage


Già da due giorni si era capito che la nomina del nuovo presidente del Consiglio di Amministrazione della Rai sarebbe stato la "carta da spariglio" che Renzi si sarebbe giocato. Mentre tutti si accanivano sulla nomina di un outsider competente come Freccero o di illustri ma sconosciuti portaborse dentro il nuovo Cda, il Presidente del Consiglio aveva la sua carta in mano da giocare. Questa carta si chiama Monica Maggioni, la ex corrispondente internazionale della Rai che in questi anni aveva “normalizzato” quella che era stata l’isola felice di Rainews24, allineandola sempre più all’informazione embedded imposta dai poteri forti. Una funzione a questo punto realizzata e suggerita da uno dei centri di potere più forti: il gruppo Bildeberg.

La Maggioni ha partecipato agli incontri di questa organizzazione riservatissima dei potenti del mondo e lo aveva fatto facendosi legittimare proprio dalla Rai di cui si apprestava a diventare presidente. La Rai, sollecitata da un’interrogazione del presidente della Commissione Vigilanza Roberto Fico (M5S) in merito alla partecipazione della Maggioni alla riunione del Bildeberg del 29 maggio scorso, si era sentito rispondere: “Si conferma che la Dottoressa Monica Maggioni ha partecipato a Copenaghen al meeting annuale di Bilderberg nel periodo compreso tra il 29 maggio e il 1° giugno. La Rai - ancorché la partecipazione citata sia avvenuta a titolo personale - ritiene assolutamente legittimo che, nell’ambito della propria attività professionale, un suo dipendente possa partecipare se invitato, a prendere parte ad eventi organizzati da un think tank di tale rilevanza internazionale e che tale partecipazione costituisca elemento di prestigio per l’azienda stessa”.
Per onestà occorre sottolineare come la Maggioni non sia affatto l’unica giornalista di comando a partecipare alle riservate riunione del Bildeberg. Negli anni passati negli hotel di lusso che ospitavano gli incontri si potevano incontrare Lilli Gruber, Gianni Riotta, Ugo Stille, Arrigo Levi, Ferruccio de Bortoli, Lucio Caracciolo. Soprattutto quelli del Corriere della Sera, erano di casa.
Sulla funzione del Bilderberg come “facilitatore” nel controllo dei punti strategici del comando, è interessante il meccanismo descritto nel libro di Domenico Moro (“Club Bildeberg”), ossia quello delle “porte girevoli”, per cui un ministro (o, nel caso degli USA, un segretario di Stato) si ritrova poi al vertice di una multinazionale, o magari ne aveva fatto parte prima, mentre grandi manager pubblici come Romano Prodi dopo aver portato avanti massicce privatizzazioni si ritrovano presidenti del Consiglio o ai vertici dell’Unione europea; o ancora uomini come Mario Draghi, che passano da presidente del Comitato economico e finanziario del Consiglio della UE a direttore generale del Ministero del Tesoro italiano, per poi diventare vicepresidente della Goldman-Sachs, dopo di che governatore della Banca d’Italia e infine presidente della Banca centrale europea.
  
Insomma una vera e propria oligarchia esclusiva che occupa sistematicamente tutti i posti rilevanti nell’economia, nella politica, nell’informazione e nella diplomazia internazionale. 
Gente che quando si incontra in località esclusive e in riunioni riservate di certo non discute certo della fame nel mondo o del giro d'Italia di ciclismo.
Con un Presidente del Consiglio in odore di grembiulini come Renzi (e come aveva scritto l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, immediatamente messo alla porta), la nomina di una partecipante al Gruppo Bildeberg a presidente del Consiglio di Amministrazione della Rai è tutt’altro che una sorpresa, è una conferma.

Sergio Cararo
Fonte: http://contropiano.org

Link: http://contropiano.org/articoli/item/32243
6.08.2015

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15412