mercoledì 11 novembre 2015

Campania, De Luca indagato: io parte lesa, sostengo lavoro magistrati.



Il governatore accusato di corruzione in atti giudiziari. Convolti anche il capo della segreteria, che si è dimesso lunedì, e il magistrato Anna Scognamiglio, uno dei giudici del tribunale di Napoli che lo scorso 22 luglio ha accolto il ricorso contro la sua sospensione.


Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, e il giudice che bloccò la legge Severino sono indagati dalla Procura di Roma con l'ipotesi di corruzione in atti giudiziari. Il governatore afferma "senza alcun margine di equivoco" la sua "totale estraneità a qualunque condotta meno che corretta", chiede di essere ascoltato dai magistrati e in conferenza stampa dice: "Io sono la parte lesa, do il mio pieno sostegno all'attività dei magistrati".

Indagata giudice della sentenza su De Luca - La bufera sul Presidente della Regione Campania si abbatte nella serata di martedì con la notizia che la Procura di Roma ha indagato per l'ipotesi di corruzione in atti giudiziari Anna Scognamiglio, uno dei giudici del Tribunale civile di Napoli che, lo scorso 22 luglio, confermando una precedente decisione del giudice monocratico, ha accolto il ricorso di De Luca contro la sospensione dall'incarico di governatore. Nella stessa inchiesta è indagato, per l'ipotesi di reato di induzione alla corruzione, il capo della segretaria di De Luca, Nello Mastursi, che si è dimesso nei giorni scorsi da tale incarico. 

Il ruolo del marito del giudice, indagato
 - Nell'inchiesta sarebbe indagato anche il marito del giudice Scognamiglio, Guglielmo Manna. Secondo l'accusa, sarebbe entrato in contatto con il capo della segreteria di De Luca, Mastursi, prospettandogli un esito favorevole del giudizio sulla Severino da parte della moglie (che si trovava nel collegio giudicante) in cambio di un importane incarico nella sanità pubblica regionale. Acquisite le intercettazioni telefoniche tra il braccio destro di De Luca e il marito del magistrato Scognamiglio, la Squadra Mobile di Napoli ha quindi effettuato nei giorni scorsi delle perquisizioni negli uffici della Regione e nelle abitazioni dei due. Portando così alla luce l’inchiesta e alle dimissioni di Nello Mastursi.

La prima reazione di De Luca su Facebook  - "Ho già dato incarico al mio avvocato - spiega De Luca - per chiedere di essere sentito dalla competente autorità giudiziaria. Per me, come per ogni persona perbene, ogni controllo di legalità è una garanzia, non un problema. E su questo, come sempre lancio io la sfida della correttezza e della trasparenza".

La sentenza sulla Severino per De Luca
 - La sentenza al centro dell'inchiesta romana è quella con la quale la prima sezione civile del Tribunale di Napoli ha confermato quanto già deciso il 2 luglio dal giudice monocratico Gabriele Cioffi, il quale aveva congelato la sospensione di De Luca dalla carica di Governatore che era stata disposta con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in base alla legge Severino. La sospensione era relativa a una condanna a un anno di reclusione per abuso di ufficio inflitta a De Luca quando era sindaco di Salerno. Il collegio aveva accolto il ricorso presentato dai legali di De Luca e aveva inviato gli atti alla Corte Costituzionale sospendendo il procedimento sul merito fino a quando la Consulta non si sarà pronunciata sui presunti profili di incostituzionalità ravvisati nella legge Severino.

http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2015/11/11/campania-inchiesta-de-luca-corruzione-atti-giudiziari-reazioni.html

Che non ci potessimo fidare di lui, anche se è stato eletto e, quindi, votato, ci poteva anche stare, ma che fossero riusciti a corrompere un giudice è inaccettabile!

L'olio di oliva non era extravergine. L'inchiesta di Guariniello ipotizza frode in commercio per 7 aziende italiane.

OIL OLIVE


L'olio d'oliva non era extravergine: è la frode in commercio il reato che il pm Raffaele Guariniello, della procura di Torino, contesta ai rappresentanti legali di almeno sette aziende del settore. L'indagine è partita dopo la segnalazione di una testata giornalistica specializzata, Il Test. Il periodico, lo scorso maggio, aveva pubblicato un servizio da cui risultava che "ben 9 delle 20 bottiglie" fatte analizzare "dal laboratorio chimico di Roma dell'Agenzia delle Dogane sono state declassate dal comitato di assaggio a semplici oli di oliva vergine". Il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha fatto ripetere l'accertamento, ordinando ai carabinieri del Nas di prelevare altri campioni. I laboratori delle agenzie delle dogane hanno quindi esaminato campioni prelevati dai carabinieri del Nas e hanno verificato casi in cui l'olio, a differenza di quanto indicato, non era extravergine. Guariniello ha informato il ministero delle Politiche agricole.
A sorpresa, però, sono risultati "taroccati" alcuni condimenti tra i più venduti, e sette rappresentanti legali delle aziende olearie coinvolte sono così stati indagati con l'accusa di frode in commercio. Si tratta dei marchi Carapelli, Santa Sabina, Bertolli Gentile, Coricelli, Sasso, Primadonna (confezionato per la Lidl) e Antica Badia (per Eurospin). Si tratta di oli prodotti in Toscana, Abruzzo e Liguria. Il pm ha iniziato a indagare dopo aver ricevuto una segnalazione da una rivista di tutela dei consumatori, e dopo aver ricevuto i risultati dal monopolio delle dogane ha informato il ministero delle Politiche agricole. Ora le indagini proseguiranno per fare ulteriori accertamenti sulla provenienza delle olive.
Nel pomeriggio la Procura di Torino ha poi diffuso una nota riguardante l'iscrizione nel registro degli indagati dei sette rappresentanti legali di noti marchi di olio. "Si precisa che il Procuratore della Repubblica - si legge - ha richiesto in visione il relativo procedimento al fine di valutare l'opportunità di co-assegnazione a se stesso, di accertare le modalità di diffusione dell'informazione sopra citata e di verificare la competenza territoriale in ordine alle ipotesi di reato per cui si procede". Il fascicolo è stato aperto dal pm Guariniello.
“Seguiamo con attenzione l’evoluzione delle indagini della Procura di Torino, perché è fondamentale tutelare un settore strategico come quello dell’olio d’oliva italiano", afferma in una nota il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, in merito alle indagini della Procura di Torino sull'olio extravergine contraffatto. "Da mesi abbiamo rafforzato i controlli, soprattutto in considerazione della scorsa annata olearia che è stata tra le più complicate degli ultimi anni. Nel 2014 il nostro Ispettorato repressione frodi ha portato avanti oltre 6 mila controlli sul comparto, con sequestri per 10 milioni di euro. È importante ora fare chiarezza per tutelare i consumatori e migliaia di aziende oneste impegnate oggi nella nuova campagna di produzione”, conclude il ministro Martina.

martedì 10 novembre 2015

Opinion leader.




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Luciano Gallino, morto il sociologo che denunciò il neoliberismo e la crisi del lavoro. - Davide Turrini

luciano gallino 905


Il professore si è spento a Torino a 88 anni. Nella sua vasta produzione di libri e interventi, la critica serrata alla degenerazione dell'impresa e della finanza. E all'ideologia dominante di Thatcher e Reagan incarnata oggi dall'Unione europea. Dagli esordi all'Olivetti di Ivrea al recente tentativo di smuovere la sinistra con Alba.

“Quel che vorrei provare a raccontarvi, cari nipoti, è per certi versi la storia di una sconfitta politica, sociale, morale: che è la mia, ma è anche la vostra. Con la differenza che voi dovreste avere il tempo e le energie per porre rimedio al disastro che sta affondando il nostro paese, insieme con altri paesi di quella che doveva essere l’Unione europea”. L’ultimo anelito di speranza di fronte all’invasione del pensiero neoliberista in Europa, Luciano Gallino, professore emerito di sociologia all’Università di Torino dal ’65 al 2002, morto a 88 anni nella sua casa nel capoluogo piemontese dopo una lunga malattia, lo aveva affidato alle pagine del suo “Il denaro, il debito e la doppia crisi”, appena uscito in libreria per Einaudi, rivolgendosi proprio alle generazioni che verranno.
Perché la funzione della trasmissione del sapere sociologico ed economico, fuori da ogni paludata e conformista materializzazione dello status quo, Gallino l’aveva messa al primo posto da tempo. Parlare, e scrivere, di temi complessi con chiarezza e senza finalità meramente partitiche, da casacche dell’uno o dell’altro “sinistrato” orticello politico italiano, era la stella polare del professore che in gioventù, da trentenne, quando ancora l’ateneo non aveva bussato per prospettargli una lunga e brillante carriera, aveva accettato di lavorare per Adriano Olivetti. A Ivrea nella fabbrica utopista dove l’ “ingegnere” tentò di unire in equilibrio solidarietà sociale e profitto, Gallino iniziò a collaborare all’Ufficio Studi Relazioni Sociali della Olivetti, unico esempio del genere all’interno di un’attività industriale di grandi proporzioni – e alcuni anni dopo dal ’60 al ’70 diventò direttore del Servizio di Ricerche sociologiche e di Studi sull’organizzazione, che faceva capo alla Direzione del Personale e dei Servizi sociali, di cui fu responsabile a lungo il poeta Paolo Volponi. Un reparto aziendale tutto teso alla difesa dei diritti dei lavoratori, che a proporlo oggi in una qualunque azienda del paese verrebbe segnalato come un covo di sovversivi.
Gallino sarà per due anni “fellow research scientist” a Stanford, in California, e infine ordinario di Sociologia nella Facoltà di scienze dalla formazione di Torino dal 1972. Il periodo in Olivetti, però, deve averlo segnato parecchio, tanto che poi nel 2014 con “L’impresa responsabile” (Einaudi) tornerà a sottolineare il valore di quell’esperimento democratico nel campo del lavoro, e farà il paio speculare, con l’altro suo libro “L’impresa irresponsabile” (Einaudi, 2005) dove il professore torinese sottolineò come fosse deleterio, per un’impresa, concentrarsi esclusivamente sulla creazione del plusvalore per gli azionisti, non tenendo nella dovuta considerazione la produzione di beni; e soprattutto come l’impresa dovesse avere, e avesse in qualche modo irrimediabilmente perduto, l’obbligo etico di rispondere ad alcuna autorità pubblica e privata, o all’opinione pubblica, in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività.
Difficile e allo stesso tempo affascinante mettere ordine sull’immenso corpus di saggi pubblicati con un certo successo commerciale da Luciano Gallino. Sostanzialmente negli anni ottanta è tra i primi ad affrontare l’arrembante arrivo della tecnologizzazione sui processi industriali nel mondo del lavoro e suoi effetti sociali, soprattutto in Italia; poi dai primi anni duemila inizia ad indagare la famigerata “flessibilità” fino a quando nel 2006 pubblicando “Italia in frantumi” (Laterza) oltre a farci aprire gli occhi con dati e fatti precisi dovuti alle conseguenze delle liberalizzazioni di mercato e di interi settori di servizi pubblici ci invita ad usare le parole adeguate per i fenomeni sociali: flessibilità, modernizzazione dell’industria e della scuola, riforma di tasse e pensioni, globalizzazione, non significano altro che “precarietà”.
Gallino non si sottrae allo scontro dialettico, riprende in mano parecchi filoni sociologici legati al marxismo e le opere in campo economico di Karl Marx rinvigorendo una controtesi antiliberista strutturata su due punti chiave: il concetto di “classe sociale” esiste ancora come del resto l’altrettanto abusato concetto di “lotta di classe”, che Gallino descrive quasi al contrario rispetto alla direzione tradizionale nell’esposizione marxiana; ma soprattutto l’Europa e l’Unione Europea sono diventate rispettivamente terreno di manovra e manovratore per l’applicazione delle dottrine neoliberiste thatcheriane e reaganiane che annientarono pace sociale, sviluppo economico delle classi medie e basse, diritti dei lavoratori conquistati dagli anni ’50 fino agli anni ‘80.
Ne “La lotta di classe dopo la lotta di classe” (Laterza, 2012) Gallino scrive: “Oggi le classi dominanti si sono mobilitate e hanno cominciato loro a condurre una lotta di classe dall’alto per recuperare il terreno perduto”. E ancora: “Questa classe formata da imprenditori, manager, titolari di grandi patrimoni, banchieri, ancora vari decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale presentava dimensioni ridotte (..) Al presente questa classe ha acquisito ovunque un peso massiccio, sia come entità numerica che di capitale controllato (…) Nel sistema finanziario degli ultimi 40 anni si è affermata una forte novità: decine di trilioni di dollari, che per almeno l’80% rappresentano risparmi delle classi lavoratrici, vengono gestiti a loro totale discrezione dai dirigenti dei cosiddetti investitori istituzionali: fondi pensione, fondi comuni d’investimento, compagnie di assicurazione, enti affini. Sono quelli che ho chiamato “capitalisti per procura” che non possiedono a titolo personale grandissime ricchezze”.
Quando, infine, venne intervistato dal fattoquotidiano.it poco tempo fa spiegò nuovamente l’irresponsabilità etica soggiacente all’ideologia neoliberista che attraverso Bce e Fmi si è palesata con forza nel continente europeo a partire dagli anni ottanta: “Si è affermato il processo cosiddetto della “finanziarizzazione”, per cui interessi e paradigmi finanziari hanno avuto la meglio su qualsiasi altro aspetto socio-economico. Il percorso di liberalizzazioni avviato in Usa da Reagan è avvenuto anche in Gran Bretagna con la Thatcher, e in Francia ad opera nientemeno che di un socialista come Mitterand. Tutto ciò ha fatto sì che il sistema ‘ombra’ delle banche, non assoggettabile in pratica ad alcune forma di regolazione, oggi valga quanto il sistema bancario che lavora per così dire alla ‘luce del sole’. Sono stati compiuti eccessi non immaginabili in campo finanziario, che hanno fortemente danneggiato l’economia reale. Qualunque dirigente o imprenditore di fronte alla possibilità di fare il 15% di utile speculando a livello finanziario o il 5% producendo beni reali, ha cominciato a scegliere la prima opzione senza stare più a pensarci troppo”.
Gallino nella stessa intervista non ebbe timore nel considerare la politica economica del governo Renzi diretta discendente del thatcherismo, come priva di differenza dai precedenti governi di Monti e dell’epoca berlusconiana. Nel 2012 per il professore torinese, assieme, tra gli altri, a Stefano RodotàPaul Ginsborg e Marco Revelli ci fu anche il tentativo di fondare Alba, “un soggetto politico nuovo che catalizzi un ampio spettro di energie politiche volte a superare il neoliberismo”, ma che non ebbe il successo sperato. Rimane allora la lucidità di pensiero e la capacità di analisi del reale con il baricentro della propria riflessione orientato verso i più deboli, con un coraggio di ribellione al pensiero dominante che di solito l’essere umano riserva più alla fase della giovane età che a quella degli ultrasessantenni. In questo cortocircuito anagrafico e politico Gallino è stato sicuramente tra gli esempi etici più limpido di tutta l’Europa contemporanea.

lunedì 9 novembre 2015

Vaticano, l’hotel di lusso ceduto alla coop ciellina di due arrestati di Mafia capitale. - Andrea Palladino

Vaticano, l’hotel di lusso ceduto alla coop ciellina di due arrestati di Mafia capitale

La strana storia Arciconfraternita del SS. Sacramento e San Trifone: da un lato la rete di centri convenzionati per l'accoglienza dei profughi, dall'altra un albergo "per pellegrini" da cento camere. Finita poi nelle mani di Tiziano Zuccolo e Francesco Ferrara, uomini della galassia Buzzi coinvolti nell'inchiesta di Pignatone. Che prima avevano affittato il ramo d'azienda a soli 2mila euro al mese. L'intervento del Vicariato.

C’è un brutto grattacapo per il vescovo ausiliario di Roma Agostino Vallini. Una sorta di incubo che lo insegue dal 2 dicembre del 2014, quando tra le mille pagine dell’ordinanza di custodia cautelare di Mafia Capitale appare il nome dell’Arciconfraternita del SS. Sacramento e San Trifone. Un nome altisonante che a Roma per anni coincideva con una rete di centri di assistenza per profughi, minori in difficoltà e anziani non autosufficienti. Un’opera buona, insomma. Meno noto era l’altro business dell’ente ecclesiastico. Un albergo a tre stelle, con una centinaio di camere, tutte con frigobar, televisione e collegamento internet, a due passi dall’abbazia Tre Fontane, zona Eur. Struttura che finirà, per una cifra appena simbolica, ad una società di due personaggi ben noti del processo Mafia Capitale.
Quando scoppia l’inchiesta sul “mondo di mezzo” descritto da Carminati, sui giornali finiscono i nomi di Tiziano Zuccolo e Francesco Ferrara, imprenditori romani cresciuti all’interno dell’Arciconfraternita, a loro volta in rapporti stretti con la galassia Buzzi. “Non c’entriamo nulla”, spiegò a inizio dicembre il cardinal Agostino Vallini. Anzi: “Nel mese di  marzo del 2010 ho ordinato  una visita canonica all’Arciconfraternita per procedere a una ricognizione della vita associativa”. Insomma, la Chiesa già vigilava. Tiziano Zuccolo e Francesco Ferrara sei mesi dopo il comunicato di Vallini finiscono agli arresti nell’ambito del secondo troncone dell’indagine. Dall’Arciconfraternita i due erano passati alle coop bianche, area Comunione e Liberazione. Il cardinal Vallini di quella Arciconfraternita non ne ha più parlato. Eppure i punti ancora oscuri della vicenda e i passaggi societari tutti da chiarire sono tantissimi.
L’albergo dell’Eur. A due passi dal parco degli eucalipti del quartiere Eur di Roma c’è una struttura alberghiera degna di nota. Secondo il sito ha un centinaio di stanze, una sala riunioni da 80 posti, con un affaccio su una delle zone verdi più pregiate del quartiere. Sulla carta è una “casa di ferie”, una struttura ecclesiastica destinata ai pellegrini. In realtà basta chiamare per capire subito che è un albergo a tutti gli effetti: “Una doppia? Ottanta euro a notte, in camera con bagno, frigobar e internet”. Su Tripadvisor le recensioni sono in gran parte entusiastiche: “La location è fantastica, sia all’interno della struttura che nel parco che la circonda”. L’intero complesso è parte dei beni dell’Arciconfraternita, l’ente ecclesiastico legato al Vicariato di Roma. O almeno, lo era fino a cinque anni fa. E qui c’è un passaggio chiave, che ilfattoquotidiano.it ha ricostruito.
E’ lo stesso cardinal Vallini a dirci di aver ordinato una visita canonica – ovvero una forma di commissariamento – nel marzo del 2010. Vede che le cose non vanno come dovrebbero e come primo atto la confraternita cede quell’albergo. A chi? Qualche anno prima a Roma si era costituita la società Ft 2000 srl, che firma come affittuario l’atto di cessione. I soci sono due nomi ben noti alle cronache giudiziarie di Mafia Capitale: lo stesso Tiziano Zuccolo e Francesco Ferrara. Se Zuccolo era stato amministratore dell’Arciconfraternita fino al 2008, Ferrara lo sostituisce subito dopo, e firma per l’ente ecclesiastico l’atto notarile di affitto per otto anni dell’albero alla FT 2000. Insomma il tutto finisce ad una società controllata dagli stessi amministratori della Confraternita. Consultando l’atto di affitto – firmato il sei dicembre 2010, nove mesi dopo il commissariamento voluto dal Cardinal Vallini – si scopre anche il prezzo decisamente fuori mercato della cessione. Duemila euro al mese. Ovvero il prezzo che a Roma si paga normalmente per un negoziato in semi periferia.
Quanto vale un rifugiato? Nel 2012 c’è un secondo intervento del vicariato romano. Questa volta l’arciconfraternita deve cedere la parte più ricca e consistente del patrimonio: una lunga serie di convenzioni con Roma capitale e con il governo per la gestione dei rifugiati. E’ quel business che per Buzzi vale più del traffico di stupefacenti, che a Roma è stato in buona parte preso in mano dal gruppo finito all’interno dell’inchiesta su Mafia Capitale. L’atto notarile viene firmato nell’ottobre del 2012 con l’espressa autorizzazione del cancelliere del Vicariato di Roma. Il compratore è questa volta la cooperativa Domus caritatis, che tre anni dopo finirà al centro di uno dei due filoni dell’inchiesta del procura guidata da Giuseppe Pignatone, con Zuccolo e Ferrara protagonisti. Il “ramo d’azienda” ceduto dall’arciconfraternita è consistente: diversi asili per minori stranieri, la gestione del centro polifunzionale da 400 posti per rifugiati e richiedenti asilo di via Boccea (con relativi ampliamenti che aggiungono ulteriori 600 posti), il servizio di prima accoglienza per richiedenti asilo a Fiumicino, più una lunga serie di altri servizi convenzionati. Un’attività che mostrava all’epoca un attivo e che quindi non costava nulla al vicariato romano: il tutto era finanziato dal comune di Roma e dai fondi per l’emergenza rifugiati.
Il pacchetto nel 2012 passa dunque alla Domus Caritatis, cooperativa che gravita nell’area di Comunione e liberazione. Quanto valgono quelle convenzioni? L’intero pacchetto viene pagato, secondo l’atto notarile che ilfattoquotidiano.it ha consultato, 464mila euro. Ovvero la differenza tra attivo e passivo al 30 giugno 2012, secondo i conti allegati all’atto di cessione del ramo d’azienda. Ma una cifra decisamente ben lontana dal giro d’affari che le convezioni permettevano. E se l’albergo era in fondo una questione tra privati, quella cessione di convenzioni pubbliche forse avrebbe dovuto attirare l’attenzione di qualcuno. Di certo del cardinal Vallini, per sua stessa ammissione decisamente preoccupato per quello che avveniva all’interno della confraternita.
Oggi la questione è tutt’altro che chiusa. Se in camera di commercio l’Arciconfraternita risulta cessata alla fine del 2014, per il Vicariato di Roma in realtà l’ente ecclesiastico è commissariato. A scrutare carte e conti il cardinal Vallini ha chiamato un collega decisamente esperto, monsignor Liberio Andreatta, da molti anni responsabile del colosso del turismo religioso “Opera romana pellegrinaggi”. Mario Guarino nel suo libro uscito lo scorso anno, “Vaticash”, lo pone in cima alla classifica dei religiosi decisamente ricchi, con un patrimonio personale di svariate centinaia di ettari di terreni, coltivati a uliveti, frutteti, boschi da taglio e castagneti, sparsi tra la Maremma e le campagne di Treviso. Chissà quanto valuterà quell’albergo all’Eur affittato a duemila euro alla società di Zuccolo e Ferrara.

Roma Capitale, Buzzi e Carminati regnavano sulla città anche con Marino. - Enrico Fierro e Valeria Pacelli

Roma Capitale, Buzzi e Carminati regnavano sulla città anche con Marino

Secondo la relazione dei prefetti tenuta segreta il Comune andava sciolto per mafia: “L’esercizio dei poteri di indirizzo politico e di gestione amministrativa degli organi di Roma Capitale – scrivono – è stato fortemente condizionato da una associazione di stampo mafioso”. 

Dalla lettura della Relazione si ritiene che vi siano i presupposti richiesti dalla normativa” per lo scioglimento dei Comuni per mafia. Il Comune di Roma Capitale poteva e doveva essere sciolto e commissariato per mafia. Perché Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, i presunti vertici dell’organizzazione Mafia Capitale, avevano e hanno in mano politici, di governo e di opposizione, tecnici, manager, capi dei dipartimenti, dell’amministrazione Alemanno e di quella Marino. E non sono solo i nomi emersi nelle inchieste della Procura di Roma.
Ci sono anche altri, non indagati, al loro servizio. È questa la conclusione dei prefetti della Commissione di accesso che per mesi hanno scandagliato il livello di penetrazione della mafia nel Comune. Si poteva e si doveva mandare a casa sindaco, giunta e consiglio. Ma per mafia. Non fu fatto nonostante il lavoro certosino dei prefetti e la loro analisi spietata. “L’esercizio dei poteri di indirizzo politico e di gestione amministrativa degli organi di Roma Capitale – scrivono – è stato fortemente condizionato da una associazione di stampo mafioso”. Non è la mafia che spara, siamo di fronte “a una più sottile strategia che vede una forma di inquinamento della vita amministrativa di Roma Capitale attraverso l’occulta, ma poi non tanto, regia di Carminati e Buzzi, con l’inserimento di propri uomini negli organi di gestione”.
Buzzi e Carminati comandavano ai tempi di Alemanno e anche dopo, con Marino. “La mancanza di percezione del contagio mafioso – scrivono i prefetti – ha fatto sì che questo non abbia risparmiato neanche l’azione del sindaco Marino, che non sempre è riuscito ad opporsi”. Ignazio Marino ha commesso l’errore di sottovalutare la corruzione e non identificarla come “veicolo del contagio mafioso”. I capi di Mafia Capitale erano tranquilli: “Se Marino resta sindaco per altri tre anni e mezzo col mio amico capogruppo ci mangiamo Roma”. Continuità perfetta, “grazie a una trama corruttiva cui hanno aderito membri dell’assemblea e della giunta”.
 “Ho le spalle al muro, vogliono Ozzimo”
Un esempio. Rita Cutini è assessore alle Politiche sociali, terreno di caccia del presunto sodalizio. Mafia Capitale chiede la sua testa. Al suo posto vuole Daniele Ozzimo, Pd, ora imputato in Mafia Capitale. Sentita dai prefetti della Commissione, la Cutini racconta di essere stata convocata il 1° dicembre 2014 (alla vigilia dell’operazione Mondo di Mezzo) e di aver ricevuto la notizia della sua sostituzione. “Ho le spalle al muro”, le dice il sindaco. E quando i prefetti sentono Marino, la sorpresa: “Il nome di Ozzimo mi è stato imposto dal Pd”. È vero, notano i prefetti, che l’assessore Cutini è stata poi sostituita dalla Danese e non da Ozzimo, ma solo a causa delle dimissioni volontarie di quest’ultimo: in caso contrario il sodalizio sarebbe avrebbe avuto persone di fiducia sia al vertice amministrativo che a quello politico del settore che controlla la spesa sociale di Roma Capitale”. Così “i principi di democraticità di Roma Capitale erano fortemente compromessi”.
Ma non sono solo le complicità vecchie e nuove, nere e rosse, di cui per anni godono Buzzi e Carminati, a renderli padroni della Capitale. “È il profondo stato di degrado dell’istituzione incapace di opporre una efficace resistenza”. Il risultato è una amministrazione “inquinata, i cui atti gestionali presentano gravi deviazioni rispetto al canone normativo, dando vita ad una costante mala gestio, ad una continua violazione delle procedure di legge, con aggravio di costi e pesanti inefficienze”. La “mafia silente”, tanto “evoluta” da costruire un sistema “reticolare e a raggiera”, faceva man bassa di appalti e servizi. Sconvolgente il quadro offerto dai prefetti sul ricorso frequente a procedure non aperte, affidamenti diretti spesso non usando in modo corretto le procedure di somma urgenza”.
Sempre lo stesso copione. Con la novità delle proroghe alle stesse ditte o cooperative, “dette prolungamenti tecnici, nozione che non è dato riscontrare nel codice dei contratti”. La forza di Mafia Capitale sta in quello che i prefetti chiamano il loro “capitale istituzionale”. L’area grigia. Accanto agli uomini arrestati o indagati, “ve ne sono altri i cui legami con il sodalizio non sono meno forti per essere indiretti”. I prefetti fanno i nomi, non sono indagati ma “collocati in posizioni più sfumate, ma che comunque sono connotati da tratti anomali, che assumono significatività a causa della loro particolare vicinanza a Buzzi e ai suoi interessi”.Erica Battaglia (Pd), Luca Giansanti (Lista Marino),Annamaria Proietti Cesaretti (Sel), tutti legati al sistema cooperativo, tutti in conflitto di interessi con la funzione di consiglieri comunali.
 Si indaga sui fondi della Regione a Ostia.
C’è anche una radiografia del ruolo di Gianni Alemanno, l’ex sindaco. “La sua relazione col sistema Buzzi Carminati è stabile”, il suo ruolo di consigliere comunale di opposizione gli ha consentito di continuare a fare gli interessi di Mafia Capitale. Processone o processetto, quello a Mafia Capitale. Si vedrà. Per il momento spuntano altre carte. Tra i documenti depositati dai pm c’è un’informativa sui fondi della Regione Lazio, guidata da Zingaretti, sul litorale laziale. È l’analisi dei flussi finanziari destinati a opere nel Municipio X, a Ostia.

Casa: Istat, 3 milioni di famiglie in difficoltà con le spese.

Una coppia e sullo sfondo delle abitazioni © ANSA


In arretrato con il pagamento delle rate del mutuo, dell'affitto o delle bollette.


Sono 3 milioni le famiglie italiane "in difficoltà" con il pagamento delle spese per la casa, oltre una su 10. Mentre la legge di stabilità in esame al Senato, cancella la Tasi, con la promessa del governo di non farvi mai più ricorso, l'Istat calcola il peso di mutuo, imposte, affitto e utenze su proprietari e inquilini. Nel 2014 i nuclei familiari che si sono ritrovati in arretrato con i pagamenti anche solo delle bollette sono stati l'11,7% del totale. Le "sofferenze" nell'adempiere ai versamenti dovuti sono spesso legate all'impossibilità di stare al pari con l'affitto. Secondo i dati raccolti nella documentazione che l'Istituto di statistica ha consegnato al Parlamento, in occasione delle audizioni sulla manovra, infatti, il 10,2% delle famiglie si è trovata in ritardo con i pagamenti delle bollette per le utenze domestiche; tra le famiglie in affitto il 16,9% si è trovata in arretrato con il pagamento, mentre il 6,3% delle famiglie con il mutuo da pagare si è trovato in arretrato con una o più rate. Sul fronte affitti potrebbero presto arrivare novità nella Legge di Stabilità. "I dati - afferma il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa - dimostrano, da un lato, quanto importante sia stata la decisione di eliminare la tassazione sulla prima casa e, dall'altro, quanto urgente sia accompagnare tale intervento con l'adozione di misure che favoriscano l'affitto, attraverso una almeno parziale detassazione degli immobili locati". 

Non la pensa così, invece, Susanna Camusso. Per il leader della Cgil ''servono politiche sociali'' perchè ''togliere la Tasi non aiuterà il problema della povertà''. Il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo, invece, propone che la detassazione della prima casa sia legata al reddito, per darla ai pensionati più poveri, rendendola ''sociale e progressiva''. Lo spaccato dell'Istat entra ancora più nel dettaglio. L'esposizione delle famiglie al ritardo nei pagamenti delle spese per la casa, evidenziano i tecnici dell'Istat, "si associa nettamente all'onerosità delle spese stesse e, in particolare, alla loro incidenza sul reddito disponibile". Infatti, le categorie di famiglie maggiormente interessate dal problema sono quelle del "quinto", ovvero della fascia di reddito, più povero (29,2% sono state in arretrato con le spese per la casa, pari a 1 milione e 505mila famiglie) e, più in generale, quelle in affitto (27,6%, 1 milione e 320mila) o quelle gravate da un mutuo per la casa (14,8%, 561mila). 

Sui mutui, comunque, alcuni dati arrivano dall'Abi. E sembrano raccontare delle difficoltà provocate dalla crisi. Tra il novembre 2009 e l'ottobre 2015 sono state 123.630 le famiglie che hanno potuto sospendere il pagamento delle rate dei mutui per un debito residuo pari a 13,3 miliardi di euro. Ma non sono solo le spese per affitto e mutui che mettono in difficoltà le famiglie. Le spese per l'abitazione (condominio, riscaldamento, gas, acqua, altri servizi, manutenzione ordinaria, elettricità, affitto, mutuo) costituiscono infatti una delle voci principali del bilancio familiare. Una percentuale tutt'altro indifferente delle entrate di ogni nucleo viene infatti automaticamente assorbito ogni mese all'interno delle mura di casa. Nel 2014, rileva ancora l'Istat, l'esborso medio di una famiglia per queste spese è stato di 357 euro mensili, a fronte di un reddito netto di 2.460 euro mensili, con un peso del 14,5%. La casa sembra essere più costosa per chi vive nelle Regioni settentrionali e nelle grandi città. Le spese risultano infatti più onerose nel Nord (15,2%) e nei Comuni centri di aree metropolitane (16,1%).