domenica 24 aprile 2016

Corte Conti: con Legge Stabilità 'balzo' sconti fiscali, +24 miliardi.



Possibili 5 miliardi nelle casse dello Stato con ritocchi all'Iva.

Aumentano gli sconti fiscali: "è da quest'anno - spiega la Corte dei Conti nel documento depositato in Parlamento durante l'audizione sul Def - a seguito del varo dell'ultima legge di stabilità, che si registra un balzo nel numero (delle 'spese fiscali') con altre 43". Un 'balzo' che, calcola la magistratura contabile, vuol dire un aumento dei costi di 24 miliardi. In tal modo il nostro sistema tributario "si trova a convivere con quasi 800 eccezioni alle regole base rinunciando ad un gettito potenziale dell'ordine di 300 miliardi".

Spostare circa l'8% della base imponibile con Iva agevolata al 10% verso l'aliquota ordinaria al 22% porterebbe nelle casse dello Stato 5 miliardi. Scrive la Corte dei Conti in una simulazione sugli impatti di possibili interventi sull'Iva consegnata al Parlamento in occasione delle audizioni sul Def. Così si attuerebbe un innalzamento del "rendimento" dell'Iva che rappresenta "un obiettivo strutturale della politica fiscale", visto che l'Italia "si colloca tra gli ultimi Paesi europei per incidenza dell'Iva sul Pil, agendo sulla "redistribuzione tra le aliquote".

L'Italia si colloca tra gli ultimi Paesi europei per incidenza dell'Iva sul Pil, con un valore che non raggiunge il 6% e che è di circa 0,8 punti inferiore al valore della media Ue-27. Nel documento si ricorda anche che "la quota di base imponibile assoggettata ad aliquota ordinaria al 22% è pari a circa il 57% mentre quella assoggettata alle aliquote ridotte al 4 e 10% (circa il 43%) è di gran lunga superiore al 25% sperimentato in media in Europa". Lo stesso vale per le aliquote: l'Italia "si colloca all'undicesimo posto per livello di quella ordinaria, anche se al primo tra i maggiori paesi, mentre solo altri 4 Paesi (Francia, Lussemburgo, Malta e Regno Unito) hanno aliquote cosiddette 'super-ridotte', inferiori cioè al 5%".


Chi aveva detto che non avrebbero aumentato le tasse?
Sarà anche vero che l'incidenza dell'Iva sia inferiore rispetto alla media europea, e pare che non lo sia, ma è anche vero che abbiamo gli stipendi più bassi e le tasse più alte....
Oltretutto, come spera il governo di dare uno sprone all'economia se aumenta l'Iva e, quindi, i prezzi?

sabato 23 aprile 2016

Truffe milionarie a Inps di Roma e Reggio Calabria: 382 denunce. - Rory Cappelli

Truffe milionarie a Inps di Roma e Reggio Calabria: 382 denunce

Due distinte operazioni della Guardia di finanza a Ostia, Lazio, e nella Locride per circa 3,3 milioni di euro sull'erogazione di disoccupazione, assistenziali e previdenziali. In totale sono state denunciate 123 persone a Roma e altre 259 a Reggio Calabria.

ROMA - A Ostia due impiegati dell'Inps avevano messo a punto un meccanismo collaudato ed efficace, una vera cricca dei "disoccupati" , che ha permesso loro di mettersi in tasca un milione e trecentomila euro, con la connivenza di ben 123 complici che sono tutti finiti denunciati.

Nella Locride, invece, i finanzieri hanno scoperto una maxi-truffa di oltre due milioni di euro, sempre ai danni dell'Inps, che ha visto coinvolti 12.631 lavoratori falsamente assunti  e 259 lavoratori "fantasma", per un danno accertato, sempre a carico dell'Inps, di oltre 50 milioni di euro.  In questo caso, cinque le aziende coinvolte, tutte operanti in diversi comuni della Locride, i cui titolari dal 2008 al 2014  hanno assunto lavoratori inesistenti, percependo indennità assistenziali e previdenziali (disoccupazione, maternità e malattia).

Mentre, dunque, i due impiegati di Ostia aprivano posizioni - il modello DS - per persone che chiedevano l'indennizzo di disoccupazione a seguito di licenziamento, nella Locride erano i datori di lavoro stesso a creare falsi dipendenti. In entrambi i casi era tutto falso: la maggior parte dei modelli creati a Ostia, infatti, riportava quali datori di lavoro famose case cinematografiche che però erano del tutto estranee alla vicenda. I truffatori avrebbero addirittura impiegato intere famiglie: mariti, mogli, figli, generi, cugini.

Il sistema è stato scoperto dai finanzieri del comando Provinciale di Roma, dopo indagini durate diversi mesi, coordinate dal sostituto Giuseppe Deodato della procura di Roma.

Gli impiegati accedevano al sistema informatico dell'ente, inserivano i dati di datori di lavoro all'oscuro della truffa - le case cinematografiche, appunto - creando così un diritto all'accesso all'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti al quale per legge hanno diritto coloro che hanno perso il lavoro a seguito di licenziamento.

Le indagini sono partite dalle verifiche su residenti di altre zone - non di Ostia, dunque - ma persino di Latina e Frosinone, che si erano stranamente spinti fino al quel municipio per richiedere il sussidio di disoccupazione. Tra questi anche persone già impiegate con regolare contratto di lavoro che però avevano deciso di arrotondare le loro entrate mensili con il sussidio erogato dall'Inps.

C'era anche chi - già titolare dell'indennizzo - andava alla ricerca di persone disposte a "steccare" parte dell'indennità e degli arretrati percepiti con gli artefici del piano.

I 123 furbetti dell'indennizzo sono stati denunciati all'autorità giudiziaria per truffa aggravata ai danni dello Stato. Alcuni hanno restituito le somme indebitamente percepite accordandosi con l'ente previdenziale. Per altri è scattato la confisca di conti correnti e depositi titoli per un totale di mezzo milione di euro.

In Calabria, invece, i finanzieri del comando provinciale di Reggio hanno scoperto una maxi truffa ai danni dell'Inps perpetrata da cinque aziende in diversi comuni della Locride: l'analisi della documentazione contabile effettuata dalle Fiamme gialle, ha consentito di rilevare l'assunzione di 259 lavoratori "inesistenti" che, dal 2008 al 2014, hanno percepito indennità assistenziali e previdenziali (disoccupazione, maternità e malattia) a danno dell'Inps per circa 2 milioni di euro.

I titolari delle aziende controllate si sono resi responsabili di aver dichiarato nella denuncia aziendale presentata all'Inps un fabbisogno lavorativo superiore alla reale ed effettiva capacità aziendale segnalando l'assunzione dei 259 dipendenti a tempo determinato che "sarebbero" stati impiegati per circa 60 mila giornate lavorative in fondi agricoli risultati di fatto incolti. La Finanza ha smascherato una vera e propria associazione composta da soggetti legati da vincoli di parentela che, pur essendo titolari ciascuno della propria azienda, si servivano di un'unica struttura organizzativa assumendo personale che transitava fittiziamente da una ditta ad un'altra percependo indebitamente indennità assistenziali e previdenziali.

Ulteriori accertamenti hanno consentito di rilevare l'omesso versamento nelle casse dello stato di contributi previdenziali per circa 160 mila euro. Sono stati così denunciati all'autorità giudiziaria i titolari delle aziende e 259 lavoratori "fantasma", per essersi resi responsabili, tra l'altro, del reato di truffa aggravata ai danni dell'Inps.


http://roma.repubblica.it/cronaca/2016/04/22/news/inps_truffa_lazio_calabria-138189738/

I nemici delle rinnovabili. - Antonio Sciotto


Installazione di una pala eolica.  © Reuters

Il dossier. Le energie alternative crescono, ma non in Italia. Al palo per una scelta del governo Renzi. Secondo il Rapporto Irex le imprese nostrane investono soprattutto all’estero: «Da noi manca una politica definita, si procede per stop and go». Incentivi azzerati, leggi che si attendono per anni, autorizzazioni impossibili per ammodernare gli impianti: così l’esecutivo affossa le fonti pulite. 

Il mercato delle rinnovabili gode ottima salute, tanto che gli investimenti italiani sono aumentati del 31% nel 2015, ma soprattutto all’estero, in Africa e Sudamerica. Entro i nostri confini il settore vive al contrario un momento di stallo, e nonostante siano stati raggiunti gli obiettivi fissati dalla road map Ue (17% di produzione sul totale dell’energia e 40% sulla sola elettrica), ogni prospettiva di ulteriore sviluppo appare impossibile. Non solo perché sono stati azzerati gli incentivi, ma anche perché oneri fiscali e burocratici, leggi attese a lungo e mai varate, diventano ostacoli insormontabili: una scelta, o se vogliamo una “non” scelta, da imputare in gran parte al governo, che negli ultimi due anni ha trascurato e in alcuni casi anche vessato il comparto, nonostante a parole assicuri di includerlo tra le sue priorità.
A tracciare il quadro economico e di prospettiva delle energie rinnovabili è il Rapporto annuale Irex, La trasformazione dell’industria italiana delle rinnovabili tra integrazione e internazionalizzazione, realizzato dagli analisti della società di consulenza Althesys, coordinati dall’economista Alessandro Marangoni. Nel 2015, spiega lo studio, si sono registrate 140 operazioni, che hanno dato luogo a investimenti per 9,9 miliardi di euro, pari a 6.231 MegaWatt, +31,5% rispetto al 2014. Molto gettonato il settore eolico, con impianti realizzati soprattutto in Africa e Centro-Nord America, e solo per un quarto in Italia. Cresce l’idroelettrico, quasi del tutto realizzato all’estero. Scendono invece gli investimenti nel fotovoltaico (tutti comunque fatti all’estero) e nelle biomasse.
Secondo Marangoni, per un verso è «fisiologico» che le nostre imprese investano all’estero, perché «il mercato europeo è più maturo, e quindi in parte saturo, mentre i paesi cosiddetti emergenti si sviluppano sul piano demografico e dei consumi». In Italia però ci sono dei fattori specifici frenanti: «Oneri burocratici e fiscali più pesanti che nel resto della Ue, e poca chiarezza nella politica energetica. La Francia ad esempio – spiega l’economista di Althesys – pur essendo matura sul piano del nucleare, ha scelto negli ultimi due anni di investire sulle rinnovabili. Da noi, al contrario, si va per stop and go: prima una valanga di incentivi, che poi negli ultimi due anni sono stati tolti. Il che in sé si può anche fare: basta che non accada, come è avvenuto da noi, di varare misure retroattive, che hanno messo nei guai imprese che avevano già programmato gli investimenti».
Se si escludono gli ecobonus per le ristrutturazioni edilizie, che favoriscono solo i piccoli impianti domestici e commerciali, gli incentivi sono scesi ormai a zero. Zero per il fotovoltaico. Fine delle aste per le eoliche: le ultime si sono fermate al 2015, e non è stata mai fatta una legge per indirne di nuove.
Biomasse: restano in piedi incentivi solo per gli impianti più piccoli, il resto è stato cassato, interrompendo così una simbiosi virtuosa che si era instaurata con i produttori agricoli. Il biogas è praticamente scomparso, mentre il biometano avrebbe buone prospettive, se un infinito iter legislativo non avesse fatto arrendere chi voleva creare gli impianti.
Secondo Marangoni «se restiamo fermi alle condizioni attuali, non riusciremo a migliorare le performance realizzate negli anni passati». Se invece si tornasse a favorire le rinnovabili – «che non significa necessariamente incentivi» – si potrebbe arrivare nel 2030 a una percentuale del 50-55% sul totale dell’elettrico.
Lo stesso obiettivo «rinnovabili al 100%», tracciato ad esempio ieri dai Cinquestelle, non sarebbe impossibile per il 2050, magari con tecnologie che ancora non conosciamo: «È il target che si è posta la Danimarca – spiega l’economista di Althesys – Oggi è troppo difficile prevedere da qui a 35 anni, anche se è un obiettivo futuribile. Quello che possiamo dire per certo è che nei prossimi 10-15 anni non potremo sostituire del tutto il termoelettrico. E i sistemi di accumulo delle energie rinnovabili non sono ancora pienamente rispondenti alle esigenze di una completa autosufficienza».
Due le direttrici suggerite alla politica dalla società di consulenza nelle energie e ambiente: «Tornare a bandire nuove aste per l’assegnazione delle tariffe, con la possibilità anche di mettere una quantità di energia direttamente sul mercato, libera per gli scambi, senza passare per il Gse. In altri paesi sono stati sperimentati i cosiddetti Ppa, power purchase agreements, accordi di compravendita di energia tra soggetti privati».
Seconda operazione che sarebbe bene realizzare: «Permettere il riammodernamento degli impianti eolici e idroelettrici, semplificando le procedure autorizzative, oggi scoraggianti per le imprese». Non ci sarebbe bisogno di consumare un metro di nuovo suolo, perché gli impianti, oltretutto più efficienti, sorgerebbero sugli stessi siti di quelli vecchi.
«Oggi in Italia si producono circa 8 giga di fotovoltaico, 9 di eolico, 20-21 di idroelettrico e 2 di biomasse – conclude il professor Marangoni – Credo che le maggiori prospettive di sviluppo le abbia l’eolico, che in pochi anni potrebbe aumentare del 50%, arrivando a 14-15 giga. L’idroelettrico potrebbe crescere fino a 24-25 giga. Il fotovoltaico più che sulle grandi aree industriali potrebbe svilupparsi sugli edifici domestici e commerciali. Infine speriamo finalmente di avviare il biometano».

Record fotovoltaico nel 2015, ma i dati del 2016 sono pessimi.


Record fotovoltaico nel 2015, ma i dati del 2016 sono pessimi

Dopo il record fotovoltaico nel 2015, con l’8% di energia proveniente dal sole, l’Italia rischia di perdere il primato: primi dati del 2016 davvero pessimi.

(Rinnovabili.it) – Subito dopo aver festeggiato il primato mondiale italiano per il contributo del fotovoltaico al fabbisogno elettrico nazionale, rischiamo di dover dire già addio al titolo. Sì, perché a differenza dei dati dello scorso anno le prime stime relative al 2016 sono davvero poco incoraggianti. Dall’8% (dati Photovoltaic Power System Programme dell’Agenzia Internazionale dell’Energia) che ci ha garantito il record fotovoltaico mondiale nel 2015 siamo infatti passati a una media del 5,1% nei primi tre mesi dell’anno. Nello stesso periodo del 2015, tale dato si attestava invece introno al 5,7%. Queste almeno sono le rilevazioni effettuate da terna e pubblicate nel rapporto mensile di Marzo.

Record fotovoltaico italiano a rischio

Lo scorso anno l’Italia è risultata essere il paese dove l’energia prodotta grazie a pannelli fotovoltaici contribuisce di più a soddisfare il fabbisogno energetico nazionale, per una quota complessiva dell’8%. Al secondo e terzo posto si sono classificate invece Grecia e Germania, rispettivamente con percentuali del 7,4% e del 7,1%. Vista la media dei primi 3 mesi del 2016, se Grecia e Germania dovessero mantenere inalterati i livelli di consumi elettrici soddisfatti dal fotovoltaico l’Italia finirebbe facilmente al terzo posto della classifica.

Altre rinnovabili: bene eolico e geotermico, male idroelettrico

Il primo trimestre del 2016 è invece stato positivo per altre fonti di energia rinnovabile. L’eolico, in particolare, ha fatto registrare un +11,1% rispetto allo stesso periodo del 2015. Stesso discorso anche per il settore geotermico, che ha visto un incremento della produzione pari al +3,5% nei primi 3 mesi del 2016.
Se il fotovoltaico ha fatto registrare un calo del -11,3%, una sorte perfino peggiore è invece toccata all’energia idroelettrica, che ha subito un calo nella produzione del -17,6%, da attribuire in gran parte alla forte siccità dell’ultimo trimestre.
Diminuendo così la produzione complessiva di energia da fonti rinnovabili a livello nazionale, cala di conseguenza anche il contributo del fotovoltaico, che passa dal 17,6% del primo trimestre 2015 al 16,6% del 2016.

Verso una battuta d’arresto

Sebbene per le rinnovabili i confronti da un anno con l’altro non siano affidabili al 100%, a causa delle differenti condizioni meteo che incidono molto sulla loro produzione, questi primi dati relativi al 2016 non sono incoraggianti. Nonostante il record per il fotovoltaico dello scorso anno, la situazione per le rinnovabili in Italia non è delle migliori. Sempre secondo stime Terna, nel 2015 la produzione complessiva di energia verde si attestava a quota 40,5% della produzione totale, in netto calo rispetto all’anno precedente (44,9%).
Il settore delle rinnovabili rischia quindi di subire una battuta d’arresto, soprattutto a causa della mancanza di un quadro normativo e politico che ne regoli e sostenga gli sviluppi. Secondo gli ambientalisti, troppo poco è stato fatto negli ultimi anni per favorire lo sviluppo delle energie alternative, mentre fin troppi incentivi sono stati riservati ai combustibili fossili. Per poter cambiare le cose è necessaria una netta inversione di tendenza: non solo da parte delle istituzioni, ma anche e soprattutto da parte dei singoli consumatori.

Davigo: "La classe dirigente che delinque fa più danni dei ladri".



Il presidente dell'Anm rincara la dose e da Pisa attacca: "Dire che i magistrati devono parlare solo con le loro sentenze equivale a dire che devono stare zitti". Critico Legnini (Csm): "Così si alimenta il conflitto con le istituzioni." 
Roma, 22 aprile 2016 - La classe dirigente italiana "quando delinque fa più danni di un qualunque delinqunte". Parole come pietre che arrivano dal presidente dell'Anm Piercamillo Davigo, mentre interviene all'università di Pisa a un convegno organizzato dal Master in analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione. E si schiera con forza in difesa dei magistrati: "Dire che i magistrati devono parlare solo con le loro sentenze equivale a dire che devono stare zitti". Era stato il premier Matteo Renzi a rivolgersi più volte alla magistratura, anche dopo l'inchiesta sul petrolio in Basilicata, esortando i giudici "a fare veloci", a "parlare con le sentenze". Oggi Davigo da Pisa commenta: "Le avete mai lette le sentenze?". E a proposito del protagonismo dei magistrati aggiunge: "Sui giornali di provincia qualche volta c'è il pescatore che ha pescato un luccio enorme. Io dico: è il pescatore affetto da protagonismo o è il luccio che è enorme?". Affermazione che nel corso della giornata diventano un caso, e che vengono criticate dal presidente del Csm Giovanni Legnini.

L'ATTACCO - Questa mattina dalle pagine del Corriere della Sera il magistrato sferzava un duro attacco alla classe dirigente italiana, colpevole, diceva nell'intervista, di continuare a "rubare" anche dopo Mani Pulite: "ma non si vergognano più", diceva. Oggi rincara la dose da Pisa: "La classe dirigente di questo paese quando delinque - dice Davigo - fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi". Davigo aggiunge: "Rubano tutti? No, mi fa arrabbiare questa cosa, rubano molti. Non tutti. Altrimenti non avrebbe senso fare i processi".                                                        
E a proposito della diffusione della corruzione, continua: "Per un paio di decenni l'attività di questo paese non è stata quella di contrastare la corruzione ma i processi sulla corruzione. Questo è stato un messaggio fortissimo". Ancora: "Dobbiamo avere regole che aiutano a comportarsi bene, se abbiamo regole che prevedono misure premiali per gli imputati che collaborano". Il presidente dell'Anm ha ricordato che secondo gli indici internazionali di percezione sulla corruzione "l'Italia è, a parte la Bulgaria, uno dei paesi più corrotti d'Europa". "Tutti devono rispettare la legge persino quelli che le fanno: la caratteristica dello stato di diritto è che la legge vincola tutti - ha sottolineato -. E poi la separazione dei poteri che, ci si dimentica sempre, ma serve a garantire la libertà". "La corruzione è un reato particolarmente segreto, occulto, non si fa davanti a testimoni, è noto solo a corrotti e corruttori - ha concluso il magistrato, negli anni Novanta membro del pool di Mani Pulite -, non viene quasi mai denunciato. E' un reato a cifra nera. E' un reato seriale, per questo è un errore trattarli come casi singoli, ed è anche un reato diffusivo: si cerca di coinvolgere altri soggetti".                                                                                
LEGNINI: NO CONFLITTI - Le parole del magistrato diventano un caso e a stretto giro arriva la condanna da parte di Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio Superiore della magistratura (Csm). "Le dichiarazioni del Presidente Davigo rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno, tanto più - spiega in una nota - nella difficile fase che viviamo nella quale si sta tentando di ottenere, con il dialogo ed il confronto a volte anche critico, riforme, personale e mezzi per vincere la battaglia di una giustizia efficiente e rigorosa, a partire dalla lotta alla corruzione e al malaffare". Critica le dure parole di Davigo anche Luciano Violante, ex presidente della Camera ed ex magistrato. "Chi ha la responsabilità di una prestigiosa associazione come l'Anm deve dimostrare più senso della misura, più rispetto delle istituzioni e più prudenza quando parla", dice intervistato da Affaritaliani.it. "Io conosco bene Davigo - continua -, lo stimo come magistrato, ma credo che abbia fatto un errore molto grave".                                      
Anche il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7 non appoggia le affermazioni  dell'ex pm di Mani Pulite e commenta: "Davigo è una persona intelligente, preparata e brillante ma penso che abbia sbagliato a generalizzare, bisogna sempre entrare nello specifico. Se si dice che “sono tutti ladri”, facciamo il gioco dei ladri". Parole a cui Davigo, poco dopo, risponde in una nota: "Mi spiace che alle mie dichiarazioni sia stato attribuito un significato diverso da quello che hanno. Non ho mai inteso riferirmi ai politici in generale ma ai fatti di cui mi sono occupato e a quelli che successivamente ho appreso essere stati commessi". Ancora: "Non ho mai pensato che tutti i politici rubino, anche perché ho più volte precisato - ha aggiunto l'ex pm di Mani Pulite - che se cosi' fosse non avrebbe senso fare processi che servono proprio a distinguere".

http://www.quotidiano.net/davigo-anm-1.2087750

Concordo pienamente con il pensiero di Davigo. E Violante farebbe meglio a star zitto, ricordiamo ancora con disgusto le sue parole circa le reti tv di Berlusconi.

martedì 19 aprile 2016

Denis Verdini rinviato a giudizio per bancarotta. Insieme a lui gli amministratori del "Giornale della Toscana".

DENIS VERDINI

Tutti a giudizio per bancarotta gli amministratori della società Ste, tra cui il senatore di Ala Denis Verdini. La Società Toscana di edizioni pubblicava il Giornale della Toscana. Lo ha deciso il gup di Firenze Anna Limongi in un procedimento bis dell'inchiesta sulle attività editoriali che facevano capo a Verdini. Tra i rinviati a giudizio anche l'on. Massimo Parisi, il professor Girolamo Strozzi, gli amministratori Pierluigi Picerno e Enrico Luca Biagiotti.
Il senatore Denis Verdini è stato presente in aula stamani per l'ultima fase dell'udienza preliminare e poi per aspettare la decisione del gup. Questo procedimento è scaturito da un'inchiesta più ampia riguardante sempre la Ste e società collegate che pubblicavano altre testate a Firenze, per truffa allo Stato sull'assegnazione di fondi all'editoria.
L'accusa di bancarotta su cui oggi il gup ha deciso di rinviare a giudizio 5 imputati è relativa in particolare alla presunta distrazione di una somma di 2,6 milioni di euro che sarebbe andata, in parti uguali, a Verdini e Parisi. Verdini si è difeso in aula stamani dicendo che la somma non era stata distratta dalla Ste, ma faceva parte di un'operazione corretta legata alle attività patrimoniali della società. In generale i vari difensori hanno sostenuto che si tratta di un caso di bancarotta "riparata", quindi non ci sarebbe reato poiché i denari sarebbero comunque rientrati nella disponibilità della società. La Ste è una società che è stata dichiarata fallita nel 2014.

venerdì 15 aprile 2016

La pellicola salva-cibo? È biologica e si mangia. - Federico Formica

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Da bucce di arancia e gusci di gamberetto i ricercatori del Cnr Isafom di Catania hanno ottenuto un film semi-trasparente che raddoppia la vita post-raccolta di carciofi e fichi d'India.


In attesa di lanciare il prodotto su scala industriale, nel 2015 un'impresa siciliana ha confezionato i primi fichi d'India avvolti con la pellicola creata dal Cnr. Foto per gentile concessione Cnr Isafom di Catania

Utilizzare gli scarti del cibo per allungare la vita di altro cibo. Attraverso una pellicola naturale che non si trasforma in rifiuto perché si mangia. Al Cnr Isafom (l'Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo) di Catania ci stanno riuscendo con la pectina, che si estrae dalle bucce d'arancia, e il chitosano, che si trova nei gusci dei gamberetti.
 
Attraverso il trattamento di queste due sostanze i ricercatori siciliani, in collaborazione con il Disba (Dipartimento bio agroalimentare) del Cnr, hanno ottenuto una pellicola naturale che avvolge il cibo allungandogli la vita post-raccolta di circa il doppio. Il procedimento è piuttosto semplice: “Si crea una soluzione formata da acqua, acido citrico come antiossidante e pectina, o chitosano o entrambe le sostanze - spiega Salvatore Raccuia del Cnr Isafom di Catania – e si immerge in questa soluzione il cibo da conservare. Una volta che il cibo è asciutto, intorno gli si forma un film semitrasparente che lo proteggerà per diversi giorni”.
 
Duri fuori, (troppo) teneri dentro. Il team di ricercatori ha deciso di testare la pellicola bio su due prodotti tipici del nostro Paese: i cuori di carciofo 
e i fichi d'India. Non sono due scelte casuali: per poterli consumare, infatti, dobbiamo necessariamente privarli del loro involucro. Questo significa esporli agli agenti esterni e accelerarne la deperibilità. “Il cuore del carciofo tende a indurirsi quasi subito e a ossidarsi, mentre il fico d'India fermenta. La pellicola che stiamo sperimentando, invece, riduce il contatto con l'ossigeno senza però eliminare del tutto lo scambio con l'esterno” continua Raccuia, che dell'istituto catanese è responsabile dei progetti di ricerca nel settore agroalimentare.
 
I risultati giustificano l'ottimismo del Cnr: protetti dalla nuova pellicola i cuori di carciofo durano tra i 24 e i 28 giorni contro un massimo di 12 garantiti dalle normali pellicole di plastica, mentre i fichi d'India sono ancora buoni fino a 12 giorni dopo, contro i 7 di oggi. In ogni caso, ovviamente, i due alimenti devono essere conservati in frigorifero a 4 gradi centigradi.
 
Un nuovo business? La pectina e il chitosano sono già utilizzati nell'industria alimentare soprattutto come addensanti. È la prima volta, però, che le due sostanze vengono utilizzate come conservanti naturali. Del resto, come dice  lo stesso Raccuia, preservare le arance e i gamberetti dagli agenti esterni è il loro compito naturale. Se il chitosano è presente, in grandi quantità, anche nei funghi, gli agrumi sono praticamente l'unica fonte di pectina.
 
E se si parla di arance e limoni è inevitabile pensare alla Sicilia. La ricerca, come detto, è stata condotta proprio nell'isola a tre punte, dove lo sviluppo di questa nuova tecnologia potrebbe avere importanti sviluppi economici e occupazionali. Dalla Sicilia arriva infatti circa il 5% della pectina prodotta nel mondo. Unendo le forze, imprese agricole e istituti di ricerca potrebbero dar vita a un'alleanza vincente. Raccuia, però, invita alla cautela: “Siamo ancora in fase di ricerca e impianti produttivi pilota. Senza contare che la congiuntura economica non è delle migliori: i prodotti conservati con la nostra pellicola edibile costano tra il 20 e il 25% in più. Bisognerà aspettare ancora un po' perché i consumatori siano disposti ad accettare questo rincaro”.

Referendum trivelle, breve guida al voto (visto che i populisti non ce l’hanno spiegato). - Davide Vecchi

Referendum Trivelle, 10 cose da sapere per votare informati

Ho scoperto che del referendum di domenica so davvero poco. Mi sono chiesto perché, nonostante se ne parli da settimane, io oggi non conosca il quesito alla perfezione né quali siano esattamente e nel dettaglio le ragioni del No e quali le ragioni del Sì. In compenso però ogni giorno scopro cosa farà questo o quel politico. Se si asterrà, se voterà a favore, o contro. Ma nessuno spiega il perché. A scoprirmi ignorante stamani mi sono ricordato dell’ortodossia orwelliana di 1984: “L’Ortodossia consiste nel non pensare, nel non aver bisogno di pensare. L’Ortodossia è inconsapevolezza”, scrisse George Orwell. Non è una bella sensazione: la classe dirigente del Paese sta chiedendo ai cittadini di obbedire senza fornire informazioni adeguate su contenuti e conseguenze delle scelte.

È uno dei risultati del “populismo dall’alto” descritto da Marco Revelli nel suo libro Dentro e contro. Populismo incarnato alla perfezione da Matteo Renzi, che se ne dimostra ancora una voltaRe indiscusso. Del resto lui ha trasformato il voto di domenica 17 sulle trivelle in un conflitto tra tifoserie pro o contro il premier. È il tentativo (populistico) di strumentalizzare i cittadini, considerandoli divisi in greggi e confidando che sia più numeroso quello che scatta sull’attenti e obbedisce senza riflettere agli “ordini” scanditi dal gran Capo. Non è più ormai una questione di rispetto della Costituzione – che imporrebbe ai rappresentati dello Stato di tutelare e agevolare ogni forma di espressione di democrazia – ma piuttosto di rispetto dell’intelligenza (e autonomia) di ciascuno. Davvero crede il premier che siano così numerosi i “sudditi” obbedienti rispetto a quanti decidono autonomamente informandosi? No. Altrimenti non tenterebbe di boicottarne l’informazioneLa Rai di Palazzo Chigi, non è un caso, ha silenziato l’argomento. Nei tg complessivamente se ne è parlato per 13 minuti appena. Mentre le poche trasmissioni di viale Mazzini che hanno sfiorato l’argomento (come Agorà) hanno creato solo confusione, fornendo dati sbagliati e spesso falsi come che si vota solo in alcune Regioni. La carta stampata non è stata da meno. Persino alcuni siti internet, solitamente più obiettivi e completi, si sono schierati nel pro e contro Renzi senza fornire ai lettori una completa e approfondita guida al referendum.

Per quel che vale io andrei a votare, perché lo ritengo un diritto (tra i pochi ancora rimasti) oltreché un dovere. E cosa voterei? Mi sono informato. Intanto è un referendum abrogativo promosso da 9 Regioni ed è la prima volta che accade. Il quesito recita: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Il merito: sono materia di referendum esclusivamente le trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa.
Ma su cosa interviene il referendum? Quale legge – o parte di legge – vuole abrogare? Il riferimento è al cosiddetto “codice dell’ambiente”, cioè il decreto legislativo 152 del 2006. In particolare il comma 17 dell’articolo 6 che stabilisce come “ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare”. Insomma: considerato il territorio italiano, che ha nel mare la sua principale ricchezza (turistica in particolar modo), sembra una norma piuttosto sensata. Il referendum di domenica 17 propone di abrogare di questo articolo una frase. Questa: “I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. Quindi: fin quando ci sarà gas o petrolio si potrà trivellare e cercare di estrarlo ovunque, anche nelle 12 miglia, a prescindere dal termine della concessione. O meglio: viene rilasciata una concessione a vita e mani libere. Questo dicono i sostenitori del Sì. Mentre chi è propenso al No ricorda che si parla di giacimenti già esistenti. Vero, ma un conto è l’esistenza di un giacimento, un conto è poter tentare di sfruttarlo e avere mani libere per farlo.
Il sito del Fatto ha riportato correttamente tutti i fronti, quindi su questo sito si trovano facilmente le diverse posizioni. Ma basta rivolgersi a mister Google. Evitando le dichiarazioni dei politici e cercando di raggiungere una consapevolezza. Anche solo per non svegliarsi lunedì mattina scoprendosi nell’ortodossia orwelliana e circondati di trivelle.