lunedì 15 aprile 2019

Casamonica, a Roma arrestati 23 membri del clan. Pm: “Continua sfida allo Stato” Vittima: “Non è possibile uscirne vivi”. - Vincenzo Bisbiglia

Casamonica, a Roma arrestati 23 membri del clan. Pm: “Continua sfida allo Stato” Vittima: “Non è possibile uscirne vivi”

Blitz all'alba dei carabinieri del comando provinciale di Roma: tra destinatari delle misure 7 donne e membri delle famiglie Spada e Di Silvio. Sono accusati a vario titolo di diversi reati, in buona parte commessi con l’aggravante del metodo mafioso.

“Una continua sfida allo Stato”, secondo il capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Michele Prestipino. “Impossibile uscirne vivi”, dice Christian, una delle vittime delle estorsioni del clan. Ci sono 18 appartenenti alla famiglia Casamonica, due Spada, un Di Silvio e uno Spinelli fra le 23 persone arrestate  nella nuova operazione, denominata Gramigna bis, che ha portato questa mattina i carabinieri del comando provinciale di Roma a portare un nuovo colpo al noto clan sinti della Capitale. Nel complesso l’inchiesta del procuratore aggiunto Michele Prestipino e del pm Giovanni Musarò vede indagate 32 persone, fra cui un notaio di Roma.

GLI ARRESTATI – La custodia cautelare in carcere è stata disposta per Celeste Casamonica, Consiglio Casamonica, Cosimo Casamonica, Christian Casamonica, Giuseppe Casamonica detto Bitalo, Giuseppe Casamonica detto Monca, Lauretta Casamonica, Liliana Casamonica detta Stefania, Luciano Casamonica (noto alle cronache romane per essersi fatto fotografare nel 2010 con Gianni Alemanno durante di una cena al Baobab alla quale era presente anche Salvatore Buzzi), Massimiliano Casamonica detto Ciufalo, Pasquale Casamonica detto Rocky, Rocco Casamonica, Rosaria Casamonica, Salvatore Casamonica, Gelsomina Di Silvio, Emanuele Proietto, Alizzio Spada e Ottavio Spada detto ‘Cicciollo’, Vincenzo Spinelli. Nel corso delle perquisizioni odierne, inoltre, sono stati rinvenuti e sequestrati denaro contante, gioielli e 14 orologi di lusso per un valore stimato di oltre 150.000 euro.

IL BLITZ ALL’ALBA – Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di estorsione, usura, intestazione fittizia di beni, spaccio di stupefacenti. Reati in buona parte commessi con l’aggravante del metodo mafioso. Come detto, le indagini che hanno portato al blitz di questa mattina sono la prosecuzione dell’operazione ‘Gramigna’ che la scorsa estate fece scattare misure nei confronti di altri 37 appartenenti al clan. Le ulteriori 23 misure cautelari sono state emesse dal gip di Roma su richiesta della procura di Roma: il blitz è scattato all’alba e ha coinvolto circa 150 carabinieri con unità cinofile e del personale dell’ottavo reggimento Lazio. Perquisizioni e arresti sono stati effettuati nella Capitale, ma anche in provincia e in altre regioni italiane.
LA “SFIDA ALLO STATO” – “E’ sufficiente leggere gli accertamenti patrimoniali e reddituali” per “rendersi conto che praticamente tutti gli indagati, ad eccezione di Emanuele Proietto, risultano sostanzialmente privi di redditi”. Nell’atto viene menzionata una nota dei carabinieri del 2 gennaio scorso, in cui viene ricostruita la vicenda che ha come responsabile “Asia Sara Casamonica (per la quale il gip ha disposto l’obbligo di dimora a Grottaferrata per violazione della normativa antimafia, ndr) convivente dell’indagato Emanuele Casamonica”. Il giudice specifica che l’abitazione era “da anni oggetto di confisca definitiva e che era stata sgomberata solo il 17 settembre 2018″ e che “un tempo era di proprietà del boss Giuseppe Casamonica e che Asia Sara Casamonica ha occupato, allacciando anche le utenze telefoniche e forzando la serratura, nuovamente al chiaro fine di consentire al nucleo familiare del boss di riappropriarsene, dando anche un segnale all’istituzioni” come “una sfida allo Stato”.

I FATTI DI PIAZZALE CLODIO – E non è tutto. Due esponenti della famiglia Casamonica cercarono di intimidire in Tribunale una parte offesa coinvolta nel processo a carico di Pasquale Casamonica. In particolare, una nota del 23 giugno 2017 del commissariato Viminale comunicava di quanto accaduto una settimana prima quando, in occasione in un incidente probatorio nel processo a carico di Pasquale Casamonica, una parte offesa era stata “avvicinata dagli indagati Consiglio Casamonica, detto Simone, e Liliana Casamonica detta Stefania, rispettivamente cugino e sorella di Pasquale, i quali gli dicevano che avrebbe dovuto ‘far uscire Pasquale’, o meglio, da intendersi tale ordine di ritrattare le dichiarazioni accusatorie precedentemente rese”. Il gip aggiunge che “sappiamo come l’udienza con le forme dell’incidente probatorio non sia pubblica. Appare, quindi, evidente come la presenza dei due Casamonica, nei locali del Tribunale di piazzale Clodio, si spieghi esclusivamente con la finalità di avvicinare e intimidire la persona offesa al fine di indurla a ritrattare le precedenti accuse”. Per giudice questa condotta è “in sostanza una conferma del metodo mafioso”.
IL RACCONTO DI CHRISTIAN: “NON E’ POSSIBILE USCIRNE VIVI” –  “Dei Casamonica e dei loro illeciti comportamenti in forma associata o singola, ma contando sulla forza di intimidazione del gruppo, le persone hanno paura”. Buona parte dell’ordinanza cautelare del gip Gaspare Sturzo nell’ambito della operazione ‘Gramigna bis’ si fonda sui racconti fatti agli inquirenti, e per certi aspetti anche drammatici, da un commerciale di una importante attività a Roma, finito nelle mani del clan. “I Casamonica oggi – ha fatto mettere a verbale la vittima – non fanno più usura con le minacce perché sanno di poter essere intercettati o di essere denunciati. Sono tutti collegati fra loro. Fanno bene i giornali a definirlo un clan. E vi ripeto non sono uno sprovveduto, faccio il commerciante da una vita e di furbetti ne ho trattati tanti ma vi ripeto loro sono degli abili soggiogatori. Vi dico anche cosa fanno per farti avere timore: ti fanno assistere a delle scene di scazzottate tra loro, anche con l’uso di armi, per farti capire che possono essere anche violenti. Una di queste scene l’ho vissuta personalmente ed ho già riferito nel corso delle indagini che vi ho accennato in premessa e mi hanno visto vittima di usura ed estorsione. Questa è la tecnica, credetemi. Non è possibile uscirne vivi. Ultimamente sono arrivato al punto di fare cattivi pensieri relativamente alla mia vita”

VIRGINIA RAGGI: “RIPRISTINO LEGALITA’” – Un’operazione “di ripristino della legalità” per la quale un “ringraziamento sentito va agli uomini del comando provinciale dei carabinieri e ai magistrati della Procura di Roma per il loro lavoro importantissimo”. Così la sindaca di Roma Virginia Raggi commenta su Facebook, ribadendo il “grazie a nome di tutta la città” e sottolineando che “la reazione dello Stato c’è“. “Un duro colpo ad uno dei clan mafiosi più pervasivi e più sottovalutati che esistono nella capitale d’Italia. Troppe volte si è sottovalutato il gruppo dei Casamonica, derubricandoli a piccolo fenomeno criminale. Usura, spaccio, intestazione di beni fittizi e violenza sono mafia e va ribadito. Roma sta reagendo e ribadendo che la città vuole essere libera e vivere nella legalità”, sottolinea Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia.

La banda dei falsi incidenti: mutilavano gambe e braccia per truffare le assicurazioni, 42 arresti „La banda dei falsi incidenti: mutilavano gambe e braccia per truffare le assicurazioni, 42 arresti“.


Falsi incidenti per truffare le assicurazioni, l'uscita degli arrestati (5)
La banda dei falsi incidenti: mutilavano gambe e braccia per truffare le assicurazioni, 42 arresti


Doppia operazione di polizia e guardia di finanza: smantellata una pericolosa organizzazione criminale. Tra le persone fermate c'è anche un avvocato palermitano. Centinaia gli indagati. Vittime costrette per lunghi periodi all'uso di stampelle e sedie a rotelle-


La banda dei falsi incidenti: mutilavano gambe e braccia per truffare le assicurazioni, 42 arresti
Mutilavano braccia e gambe per intascare i soldi delle assicurazioni. E' scattato all'alba a Palermo e in provincia un maxi blitz che ha portato a 42 arresti: 34 messi a segno dalla polizia, otto dalla guardia di finanza in un'inchiesta parallela, chiamata "Contra fides".

Spaccavano le ossa nella stanza degli orrori.

L'operazione della Mobile, denominata "Tantalo bis", ha smantellato una pericolosa organizzazione criminale specializzata nelle frodi assicurative realizzate attraverso le mutilazioni di arti di vittime compiacenti. Sono stati scoperti numerosissimi episodi ai danni delle compagnie assicurative.

I boia parlavano così: "Ho trovato 2 fidanzati..."

Tra le 34 persone fermate dalle Squadre Mobili di Palermo e Trapani, c'è anche un avvocato palermitano che curava la parte legale di molti dei falsi incidenti. Centinaia risultano inoltre essere le persone indagate. Si tratta dell'appendice dell'operazione messa a segno la scorsa estate.

Truffavano le assicurazioni, i nomi degli arrestati.

L'associazione criminale disarticolata dalla polizia con le indagini dirette dalla Procura di Palermo ha evidenziato "la particolare cruenza degli adepti che non esitavano a scagliare pesanti dischi di ghisa come quelli utilizzati nelle palestre sugli arti delle vittime, in modo da procurare delle fratture che spesso menomavano le parti coinvolte costringendole anche per lunghi periodi all'uso di stampelle e sedie a rotelle".

Urla, lacrime e svenimenti davanti alla questura.

Falsi incidenti per truffare le assicurazioni, l'uscita degli arrestati (2)

Importanti per il buon esito delle indagini le dichiarazioni rese alla Procura della Repubblica di Palermo da parte di alcuni collaboratori. Si tratta di alcune persone tratte in arresto nell'ambito dell'operazione Tantalo della Squadra Mobile di Palermo dello scorso agosto, che dopo l'arresto hanno deciso di collaborare.
In azione, oltre alla polizia, anche i finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo ed il reparto polizia penitenziaria di Palermo del carcere Pagliarelli. Le accuse emerse nell'operazione della guardia di finanza chiamata "Contra fides" sono: associazione a delinquere, truffa aggravata, lesioni aggravate, usura, estorsione, peculato e reimpiego, emessi dalla Procura della Repubblica di Palermo. Disposto anche un provvedimento di sequestro (nella foto sotto un'auto di lusso sequestrata) emesso dalla Procura della Repubblica di Palermo, di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di stima di oltre mezzo milione di euro. Effettuate anche numerose perquisizioni in città e provincia.
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La banda dei falsi incidenti: mutilavano gambe e braccia per truffare le assicurazioni, 42 arresti
La banda dei falsi incidenti: mutilavano gambe e braccia per truffare le assicurazioni, 42 arresti

I retroscena.

Se per fratturare una gamba usavano dischi di ghisa o blocchi di cemento, per rompere un braccio anche degli anestetici, seppure di bassissima qualità. Il tutto in cambio di poche centinaia di euro da offrire alle 'vittime' consenzienti di turno, di solito persone poverissime che non avevano neppure i soldi per fare mangiare i propri figli. Sono una sessantina i casi di mutilazioni scoperti dagli inquirenti.
Secondo quanto emerge dall'inchiesta i truffatori avrebbero offerto 300 euro per una gamba da fratturare, e quattrocento euro per un braccio da fratturare. In carcere anche alcuni periti assicurativi. L'inchiesta è coordinata dai procuratori aggiunti Sergio Demontis ed Ennio Petrigni. Le vittime compiacenti venivano reclutate dai membri delle organizzazioni in luoghi frequentati da persone ai margini della società. "Come tossicodipendenti, persone con deficit mentali o affetti da dipendenza da alcool, e con grandi difficoltà economiche, attratti dalle promesse di facili e cospicui guadagni, mai corrisposti dall’organizzazione criminale - dicono dalla polizia -. Oltre 50 le vittime che, con i loro racconti colmi di disperazione hanno consentito di avvalorare il quadro accusatorio nei confronti dei sodali dell’associazione criminale".

Le intercettazioni: "Gli dici se si trova una sedia a rotelle"

Le indagini hanno permesso di ricostruire anche la triste vicenda che ha coinvolto un cittadino tunisino, Hadry Yakoub, trovato morto in via Salemi, nella zona di corso dei Mille, nel gennaio del 2017. La morte, in un primo momento decretata come conseguenza di un incidente stradale, in realtà era stata determinata dalle fratture provocategli da qualcuno della banda per inscenare un finto incidente. Da lì gli accertamenti che hanno portato a scoprire il giro di frodi assicurative. Ad Hadry Yakoub venivano anche procurate dosi di crack per evitare che si potesse sottrarre alle lesioni.



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Umbria, posti per figli amanti e nipoti. “Pure quelli riservati a categorie protette: ecco i beneficiari delle raccomandazioni”. - Thomas Mackinson



Ci sono zia e nipote raccomandate a staffetta, con una che poi raccomanda l’altra. C’è il generale dei Carabinieri in pensione, in realtà attivissimo, che per piazzare la sorella della nuora rivela agli indagati informazioni riservate che mettono a rischio l’indagine. Ci sono nipoti, figli e amanti a non finire raccontati nell’ordinanza che ha disposto l’arresto di 35 persone nell’ambito dell’inchiesta che ha decapitato i vertici dell’ospedale di Perugia e del Pd umbri. Quelle carte sono (anche) una sorta di “manifesto” della pratica arcitaliana della raccomandazione, sport nazionale cui non si sottraggono dirigenti sanitari, primari e politici.
Sono loro i protagonisti assoluti di quella “societas sceleris” – per dirla con gli inquirenti – che taroccando i concorsi in favore di taluni candidati coltivava clientele, rapporti personali e di potere. “Consigli per gli acquisti, li chiama il direttore generale dell’ospedale Emilio Duca in una suggestiva quanto esplicita conversazione. E dunque, in fin dei conti, favori per tutti e per se stessi, in una specie di catena di Sant’Antonio cui tanti contribuivano e pochi si opponevano, come la pediatra Susanna Esposito che fu per questo “bastonata” con la sospensione di 4 mesi. Una catena tanto lunga da arrivare a mettere in palio perfino i posti destinati alle categorie protette.
La carrellata di “figli di” è lunga. A buon diritto si può partire dalla figura di Pasquale Coreno, 72 anni, generale dell’Arma in pensione: è lui ad adoperarsi per assumere informazioni dagli ex colleghi sull’inchiesta in corso, è lui a mobilitarsi per far rimuovere le microspie che loro hanno piazzato negli uffici del direttore generale dell’Ospedale di Perugia, Emilio Duca, messe proprio al fine di incastrare chi si stava spartendo le assunzioni fornendo ai propri “protetti”, congiunti o amici degli amici le domande necessarie ad aggiudicarsi il posto o anche solo piazzarsi in una parte alta della graduatoria.
Il motivo della condotta del generale lo si evince dalle carte: la sorella della nuora era stata inserita nel reparto di chirurgia vascolare ed era uno dei nomi da garantire in occasione del concorso da infermiere che si svolge all’inizio del 2018. Uno dei commissari, captato dalle cimici, assicura i propri superiori – a loro volta pressati dell’assessore alla sanità Luca Barberini – sul fatto che tutti i raccomandati nella lista hanno preso 20 e che incidentalmente: “la sorella della nuora di…di..di… Pasquale Coreno, è entrata, è stata presa sta lì da noi in Reparto e poi probabilmente a settembre, quando ci sarà la risistemazione della sala operatorie…”.
A giugno si svolgono le prove del concorso per contabili. Vengono intercettati Emilio Duca e Mario Pierotti, il quale raccomanda la figlia Silvia chiedendo (e ottenendo) in anticipo le domande che sarebbero state fatte alla prova orale. Altri appetiti scatena il concorso per otto posti da dirigente medico anestesista, le cui prove si svolgono ad aprile. Si muovono una candidata G.P. e la di lei zia Antonella, ex direttore generale del Comune di Perugia. Emilio Duca “si mostra sensibile alle esigenze della Pedini, la quale intenderebbe avvicinarsi a Perugia e dice loro di risentirsi nei giorni a venire”.
Gli inquirenti quasi ironizzano ricostruendo l’incrocio di raccomandazioni delle due candidate. “E’ significativo – scrivono – che l’unica candidata tra i primi 8 vincitori del concorso che non proviene dall’azienda ospedaliera è la G.P., la quale, come visto, accompagnata dalla zia Antonella,  aveva potuto direttamente segnalare la sua posizione nel corso di un colloquio con il Duca. La stessa zia della candidata, inoltre, risulta aver raccomandato la nipote a Duca anche il giorno 13 giugno, giorno precedente alle prove pratiche”. Do ut des, ce n’è per tutti.
Il 5 aprile Duca riceve un’altra raccomandata (Eleonora Capini, indagata), cui chiede di ricontattarlo tra qualche giorno per ricevere, dopo aver parlato con la presidente della commissione Lorenzina Bolli, qualche “consiglio per gli acquisti”, termine che “fin troppo chiaramente sta ad indicare la possibilità di rivelare informazioni riservate sulle prove d’esame”. Il 10 aprile Duca effettivamente si incontra con la presidente della commissione  e il segretario, accusati di abuso d’ufficio, presso una sala riunioni sottoposta ad intercettazioni ambientali e in quell’occasione segnala sia una candidata che l’altra.
“Un’ulteriore raccomandazione viene ricevuta da Maurizio Valorosi il giorno 11 aprile quando costui riceve Paolo Leonardi, il quale segnala la situazione della sua compagna”. E’ finita? No, perché il 16 aprile Emilio Duca, poi, riceve un’altra raccomandazione da G.M “per conto del di lei figlio”. C’è posto anche per gli amanti, con la candidata che ottiene il posto dopo effusioni e rapporti sessuali con un indagato.
Neppure il posto per categorie protette sfugge alla logica. A pagina 11 del decreto si racconta di come tal Rosa Maria Franconi, presidente della Commissione esaminatrice nel concorso pubblico per la copertura a tempo indeterminato di 4 unità per assistenti amministrativi per categoria “c”, comunicava le tracce scritte al dg Duca, che le porta fisicamente al presidente della Regione Catiuscia Marini, solo indagata per addebiti ai quali si dichiara estranea. Lo stesso Duca le consegna a tal Moreno Conti (indagato) “nell’interesse della nipote”.
In questo passaggio gli inquirenti definiscono il ruolo della presidente Marini, dell’assessore alla salute Barberini e del segretario regionale del Pd Giampiero Bocci quali “concorrenti morali ed istigatori” che impartivano le direttive su come utilizzare le informazioni riservate su tracce e domande di colloquio a beneficio dei candidati prescelti e sponsorizzati. In danno, manco a dirlo, della regolarità delle procedure di selezione via via espletate.

domenica 14 aprile 2019

“Ladri in salute”. - Marco Travaglio



Chi ancora si meraviglia per il sistema criminale scoperchiato dalla Procura di Perugia sui concorsi, le nomine e le assunzioni nella Sanità umbra, con l’arresto del segretario regionale Pd Gianpiero Bocci e dell’assessore Luca Barberini e la perquisizione della governatrice Catiuscia Marini, dovrebbe ricordare quel che accadde a Milano 24 anni fa. Era il gennaio 1995 quando una giornalista del Corriere, Elisabetta Rosaspina, chiamò una sua fonte in Regione Lombardia per avere notizie sulle nomine alle Asl. La fonte rispose di non poter parlare, perché impegnata nella riunione decisiva sui nuovi direttori generali e sanitari delle aziende ospedaliere. Ma, pensando di metter giù la cornetta, premette per sbaglio il pulsante “vivavoce”. Così la cronista ascoltò in diretta il mercato delle vacche trasversale, senza riuscire a distinguere le voci dei “progressisti” del Ppi e del Pds e da quelle dei leghisti (alleati nella strana giunta del bossiano Arrigoni). “Noi vi lasciamo Magenta e ci portiamo a casa Vimercate”. “Molla Cernusco e facciamo un discorso su Garbagnate”. “A Lecco mandate chi volete, ma non un pidiessino, sennò Cristofori ci resta di merda”. “Se non mi date il Gaetano Pini, mi dimetto e fate la giunta con il Pds”. “Se Piazza va a Lecco e Berger al posto di Grotti, mettiamo Arduini a Milano 2, ma Riboldi resta fuori”. “A Cernusco sono d’accordo di mettere un Pds e Grotti su Milano 6”. “Posso chiedere ai pidiessini di spostarsi da Cernusco a Garbagnate”. Alla fine due voci tirarono le somme:

“Dunque, a Milano, su 17 Usl e 8 ospedali, il Ppi ha 5 Usl e 2 ospedali, mi pare ragionevole”. “Voi chiudete con 2 ospedali, San Carlo e Fatebene, e 3 Usl, noi con 3 ospedali e 5 Usl, la Lega con un ospedale e 6 Usl, il Pds 2 più 2”.


La cronaca politica diventò presto cronaca giudiziaria: quasi tutta la giunta finì rinviata a giudizio. Ma il 1° luglio 1997, prima delle sentenze, il Parlamento a maggioranza centrosinistra ma anche coi voti del centrodestra, provvide a salvare tutti depenalizzando l’abuso d’ufficio non patrimoniale. 

Al giudice non restò che prosciogliere tutti gli imputati perché il reato non c’era più: se il pubblico ufficiale commette un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio, ma non si riesce a dimostrare che ne abbia avuto un vantaggio quantificabile in denaro, non rischia più nulla. Legalizzati i favoritismi, le lottizzazioni, i nepotismi, i concorsi truccati. È la tipica reazione della politica agli scandali. Anziché rimuovere gli indagati, riformare le norme e le prassi che li inducono in tentazione, rendere più difficile commettere illeciti e più facile scoprirli, si aboliscono i reati e tutto continua come prima.

Fra i miracolati dalla controriforma del ’97 c’era l’ex assessora lombarda alla Sanità, Patrizia Toia, 47 anni, ex Dc passata al Ppi. Che, anziché accendere un cero alla Madonna e ritirarsi a vita privata, fece carriera: parlamentare dell’Ulivo, sottosegretaria nel governo Prodi-1, ministra nei governi D’Alema e Amato, eurodeputata dell’Ulivo e poi del Pd per altre tre legislature dal 2004 a oggi, è stata appena ricandidata da Zingaretti alle Europee per la quarta volta, a 69 anni. Ieri abbiamo pensato a lei, a quelli come lei e a chi li ha sempre protetti e promossi, leggendo le desolanti intercettazioni di Perugia, dove i vertici del Pd pilotavano (“un sistema illecito che andava avanti da sempre”) non solo le nomine dei vertici delle Asl, ma anche i concorsi per primari, medici, ausiliari, infermieri, barellieri e persino i posti riservati ai disabili, ciascuno col suo raccomandatore politico, o massonico, o curiale: “Non riesco a togliermi le sollecitazioni dei massimi vertici di questa Regione a tutti i livelli. Ecclesiastici… ecumenici, politici, tecnici. Se no a ’st’ora c’avevo messo le mani sulla gastro… altro che disposizioni di servizio dell’altra volta… Tra la massoneria, la curia e la giunta, non me danno tregua. È la Calabria unita”. Poi abbiamo letto le solite giaculatorie dei pidini: “Fiducia nella magistratura”, “certezza dell’estraneità”, “fare chiarezza”. E anche i soliti commenti finto-indignati dei leghisti che, nelle regioni dove governano, sono finiti spesso e volentieri in scandali analoghi e ora invocano il voto in Umbria per prendere il posto degli avversari e fare più o meno le stesse cose.


Non risultano infatti, 25 anni dopo lo scandalo lombardo (il primo di una lunga serie, finita per ora con l’arresto di Formigoni), proposte di riforma del Pd, di FI o della Lega per liberare la Sanità pubblica dal giogo dei partiti: i quali, per legge, decidono chi deve dirigere le aziende sanitarie e poi, siccome l’appetito vien mangiando, si spartiscono pure primari, medici, infermieri e centralinisti. Eppure la gran parte degli scandali che in questi 25 anni hanno decapitato le giunte regionali riguardavano proprio la Sanità, una delle poche voci di spesa pubblica che ha mantenuto intatto il suo budget (110 miliardi e rotti l’anno): Formigoni in Lombardia, Cuffaro in Sicilia, Del Turco in Abruzzo, Fitto in Puglia, Pittella in Basilicata. Nel 2008 la guerra per bande in Campania fra mastelliani e bassoliniani (“trovatemi un ginecologo dell’Udeur!”) coinvolse la famiglia e il partito di Mastella e portò alla caduta anticipata del governo Prodi-2. Tutti sanno che le Regioni, col monopolio della Sanità, sono il primo focolaio di corruzione d’Italia. Ma ai partiti va benissimo così, perché la Sanità col suo indotto è una grande mammella di fondi pubblici da succhiare per le campagne elettorali, nonché di assunzioni e favori per comprare voti. Quindi, per favore, lorsignori ci risparmino almeno i finti stupori. D’ora in poi solo chi presenterà e voterà una riforma che smantella le Regioni, costruisce un federalismo comunale e riporta la Sanità in mano allo Stato avrà diritto di parola. E di indignazione.

https://infosannio.wordpress.com/2019/04/14/ladri-in-salute/?fbclid=IwAR2O5LP_7k6vSaFXI2ml4jrbMYk5HpzntkwbQ1nwWsC_RMjyhKxgCkUi0OA

Gruber silente sul caso Umbria, il M5s non ci sta. - Giuseppe Vatinno



L’ex iena Giarrusso attacca la Gruber.  

A Lilli Gruber il Movimento Cinque Stelle non è simpatico e questo traspira, per così dire, ad ogni puntata di Otto e Mezzo e, del resto, è perfettamente in linea con l’atteggiamento del suo editore Urbano Cairo che ha schierato, dopo una esitazione iniziale, la sua portaerei, il Corriere della Sera, e una delle Tv più seguite nel nostro Paese, La 7, contro i populismi, i nazionalismi e quindi anche contro il Movimento di Beppe Grillo.
Come è noto, in Italia, al contrario dei Paesi anglosassoni, non esistono editori puri e quindi è sempre molto difficile distinguere l’informazione dalle opinioni, distinzione che, invece, è del tutto fondamentale per l’opinione pubblica.
Questo non è certo solo un problema di Cairo, ma appunto di tutta l’editoria italiana a cominciare da La Repubblica di De Benedetti.
Ma torniamo alla Gruber.
Dino Giarrusso, ex inviato delle Iene ed ora candidato alle Europee per il M5S si è lamentato che la Gruber avesse appena celebrato un processo alla piattaforma Rousseau senza alcun contradditorio come ha anche fatto notare anche il sito “Silenzi e Falsità”.

Giarrusso si è lamentato, nello specifico, che mentre in Umbria erano arrestati e/o indagati i vertici del Pd locale, provocandone il commissariamento nazionale, la Gruber avesse trovato spazio solo per criticare la supposta ingerenza della Casaleggio Associati e della piattaforma di consultazione on-line Rousseau nella politica nazionale.

In Italia sembra ci sia una certa allergia alle forme di democrazia diretta che poi, a ben guardare, sarebbe una delle forme più genuine di democrazia nel solco del pensiero del filosofo illuminista svizzero.
Da notare che, prima di Rousseau, c’è stato anche l’esperimento di una altra piattaforma di decisione condivisa in Rete che si chiama LiquidFeedback ed è ancora utilizzata, anche a livello internazionale, dal Partito Pirata.

Quotazioni borsistiche.

Risultati immagini per azioni, borsa

L'aver sottomesso i mercati alla borsa speculativa ha fatto sì che aziende di scarsa produttività venissero quotate come aziende di valore, per poter distribuire un maggior utile agli azionisti. Una grossa presa per i fondelli che sta facendo collassare l' economia mondiale.
by cetta.

Pd, non c’è soltanto lo scandalo Umbria: ormai cinque regioni traballano sotto il peso delle inchieste giudiziarie. Eccole. - Thomas Mackinson

Pd, non c’è soltanto lo scandalo Umbria: ormai cinque regioni traballano sotto il peso delle inchieste giudiziarie. Eccole

Salgono a cinque le regioni travolte da inchieste a carico di dirigenti locali e governatori daem. Mentre i sondaggi rianimano il partito e il tempo restituisce all'ex sindaco Marino la sua innocenza, nel Pd tornano la questione morale e il no giustizia. Il nuovo segretario marca la linea della "fiducia nella magistratura", ma sotto le ceneri cova l'anatema berlusconiano.

In Umbria lo scandalo sanità fa saltare la testa del partito, con l’arresto dell’assessore Luca Barberini e del segretario regionale Gianpiero Bocci, ai domiciliari. Indagata la governatrice Catiuscia Marini. Nicola Zingaretti commissaria, Salvini chiama elezioni subito. Nel fianco del Pd ci sono però anche Abruzzo, Basilicata, Puglia, Calabria. Macigni sulla campagna elettorale di un partito uscito un anno fa con le ossa rotte e che ora sta cercando di ricomporsi. Zingaretti tutto poteva aspettarsi, tranne che il banco di prova della sua reggenza delle europee iniziasse a traballare sotto il peso delle inchieste giudiziarie. Proprio ora che i sondaggi sono in ripresa e il tempo ha restituito a Ignazio Marino, l’ex sindaco di Roma, la patente di estraneità al malaffare degli scontrini  cavalcato dalla corrente capitolina e renziana in ascesa. L’ultima tegola travolge l’Umbria, affare di assunzioni pilotate in sanità che riempie ancora i giornali di episodi e ricostruzioni che – oltre al possibile criminale in senso tecnico – illuminano consuetudini clientelari e dinamiche di potere difficilmente compatibili con il passo che il neosegretario vorrebbe imprimere al partito. Il rapporto con la giustizia, al di là del caso locale, è una variabile importante del suo mandato. Nel Pd che ha eredito cova da tempo una spaccatura profonda sul tema, emersa con più evidenza in occasione dell’indagine a carico dei genitori dell’ex segretario Matteo Renzi, quando qualcuno – ricorda oggi Repubblica – ha rispolverato la formula berlusconiana della “giustizia a orologeria. Il segretario-governatore sembra indisponibile a seguire questa linea, avendo limitato il suo commento ai fatti di Perugia alla “piena fiducia nella magistratura”.

Basilicata, la débâcle dopo un quarto di secolo
Appena due settimane fa, il Pd aveva subito un storica sconfitta in Basilicata, regione che governava da 25 anni. Determinante l’inchiesta giudiziaria che a luglio aveva portato all’arresto del governatore Marcello Pittella. Sempre storiaccia di concorsi truccati, raccomandazioni e sanità usata come ascensore per ricchezza e potere dei notabili locali del partito e loro amici e parenti. A fine marzo si è votato per il rinnovo del consiglio regionale, Pittella disarcionato dall’inchiesta sulla sanità lucana è tornato in consiglio  forte di oltre 8mila preferenze e la sua lista “batte” quella del Pd. E i suoi ex assessori, indagati, siedono insieme al lui in consiglio.
Puglia, Emiliano e le primarie.
In Puglia è finito sotto inchiesta Michele Emiliano per una vicenda legata al finanziamento delle primarie del Pd, quando il governatore sfidava Renzi e Orlando. Per la procura di Bari due imprenditori con interessi diretti sugli appalti della Regione pagarono la campagna elettorale dell’ex magistrato. Da qui l’accusa di abuso d’ufficio e traffico illecito di influenze alle quali Emiliano si dichiara estraneo.
Calabria, Oliverio tentato dal ritorno.
Guai per il Pd anche in Calabria dove è indagine anche il presidente della Regione, Mario Oliverio. Per lui era stato disposto l’obbligo di dimora, misura però annullata a marzo dalla Cassazione. L’indagine riguarda presunte irregolarità in due appalti gestiti dalla Regione e per i quali la guardia di finanza, oltre ai presunti reati contestati a Oliverio, per gli altri indagati aveva riscontrato quelli di falso, corruzione e frode in pubbliche forniture. Dopo più di tre mesi, il presidente Oliverio torna libero con un provvedimento della Cassazione che, a questo punto, potrà sfruttare anche in chiave politica: siamo agli sgoccioli della legislatura, presto si tornerà a votare per le regionali e ha intenzione di ricandidarsi nonostante le perplessità di parte del Pd calabrese.
Il terremoto delle inchieste in Abruzzo.
In Abruzzo proprio due giorni fa il tribunale dell’Aquila ha disposto l’archiviazione della posizione dell’ex presidente regionale Luciano D’Alfonso, oggi senatore dem. L’inchiesta era uno dei filoni seguiti dalla procura della Repubblica dell’Aquila sugli appalti della Regione: tra i principali, la gara per l’affidamento dei lavori di ricostruzione di palazzo Centi, sede della giunta regionale all’Aquila. Il primo di ottobre però si terrà l’udienza preliminare per un’altra vicenda in cui rischia il processo, quella della Procura di Pescara su una delibera di giunta del 2016, avente come oggetto la riqualificazione e la realizzazione del parco pubblico Villa delle Rose di Lanciano (Chieti) con le accuse di falso ideologico, per aver falsamente attestato, stando all’accusa, la presenza del governatore in giunta.