sabato 9 maggio 2020

Le vampate di Renzi e i rimedi della nonna. - Antonio Padellaro

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Ieri mattina ascoltavamo rapiti Matteo Renzi che a “Radio Anch’io”, garrulo e spensierato come una cinciallegra di maggio, alle domande puntuali di Giorgio Zanchini preferiva congratularsi con se stesso per la lungimiranza dimostrata quando “era la fine di marzo e dissi ‘ragazzi riorganizziamoci per la riapertura’ e mi diedero dell’irresponsabile”. Per la verità egli dichiarò all’Avvenire: “Riapriamo, perché non possiamo aspettare che tutto passi, perché se restiamo chiusi la gente morirà di fame”. Meritandosi giustamente dell’irresponsabile a 24 carati, con medie che allora erano di 600 morti al giorno. Ma fa niente. Poi abbiamo letto sul FQ, una cronaca come al solito bene informata di Wanda Marra che nel riportare alcuni Whatsapp mandati dal fu premier nella chat dei senatori di Italia Viva ne ha colto il significato esoterico (“sabato mattina ci divertiamo”; “il mondo sta cambiando”; “chi può si goda il sole”). Interrogandosi perplessa, come penso i lettori: “Cosa significhi esattamente non è chiaro”. In quel momento ci siamo ricordati che il senatore di Scandicci ha da poco superato la fatale soglia dei 45 anni, facendo il suo ingresso nel climaterio politico. Che (come diceva Fortebraccio di un altro fiorentino invecchiato precocemente, Giovanni Spadolini) non è molto diverso, nei sintomi, da quello fisiologico, caratterizzato da lunghe e tumultuose crisi smanianti, cui succedono inopinate fasi di stagnazione. Infatti dopo averlo letto in un’altra intervista su La Stampa: “Ho detto al presidente Conte ‘se vuoi che continuiamo a sostenerti, apriamo insieme l’ombrello’”, non resta che affidarlo alle amorevoli cure del senatore Rosato. E ai rimedi della nonna, che per le improvvise vampate di calore (note come caldane), e certe frasi inconsulte, consiglia di affidarsi agli infusi di salvia e passiflora.

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Pensavo, credevo e speravo. - Massimo Erbetti

Illusione - delusione - Poesia d'amore di Mirella Santoniccolo ...

Sono forse un illuso, un sognatore, perché pensavo, credevo e speravo che il dramma che ha stravolto le nostre vite, potesse renderci migliori, più solidali, che tutto il dolore potesse avvicinarci e renderci comunità, ma niente, non ce la facciamo. Non riusciamo ad andare tutti nella stessa direzione, critiche, odio, rabbia, continuano ad essere presenti dentro di noi. "Ci hanno messo in galere per due mesi", "ci hanno obbligato.." ma che significa? "Ci hanno"? E poi i complotti, "c'è la cura miracolosa, ma non ce la danno" e ancora "non ci fanno aprire"...ma uscite, aprite, andate dove volete, fate quello che volete, infettatevi, ammalatevi, ma si, tanto che può succedervi? Però quando avevate paura, stavate zitti eh? Non fiatavate, mettevate il tricolore alla finestra, cantavate l'inno d'Italia e pregavate Dio...poi, passata la paura, siete tornate le belve che eravate. Solo la paura di morire è riuscita a tirare fuori quel briciolo di umanità che avevate dentro, ora non avete più paura e il mostro che avete dentro è tornato più forte che mai. Ma non lo capite che ora è il momento di unire le forze? È questo il momento di dimostrare che siamo una comunità, ma voi non lo volete capire. Questa è l'ora, adesso, in questo momento, dobbiamo essere uniti e remare nella stessa direzione, perché se non lo facciamo ora, subito, quello che abbiamo passato in questi due mesi, non sarà che l'antipasto di quello che ci aspetta, ci sarà fame e disperazione. "Il governo ci ha obbligato..." no cari miei il governo non vi ha obbligato a fare nulla, il governo ha cercato di salvarvi la vita, ha cercato di proteggere i vostri cari, i vostri nonni, ha cercato di limitare i danni..comodo, troppo comodo, dare la colpa agli altri, perché la colpa è solo la nostra...se negli anni sono stati fatti tagli alla sanità, è solo colpa nostra perché siamo stati noi a votare i governanti, se mancano posti in terapia intensiva, se mancano mascherine se mancano ventilatori, non è colpa di Tizio o di Caio, perché Tizio e Caio, ce li abbiamo messi noi e non venitemi a dire che non siete colpevoli perché voi votavate altro...destra e sinistra si sono alternate, per cui non regge la scusa del votavo altro, come non regge la scusa del: "io non voto", perché non votare vi rende ancora più colpevoli, ve ne siete lavati le mani e questo non vi giustifica, anzi vi rende maggiormente responsabili. Vi siete mai preoccupati di quanti posti in terapia intensiva ci fossero in Italia? Ma certo che no, tanto che poteva succederci? Non pensavate potesse arrivare il virus, eravate immortali, pensavate ai soldi, al calcio alla formula , al grande fratello a uomini e donne...avevate altro a cui pensare. Smettetela di puntare il dito verso qualcuno, perché quel dito, dovete puntarlo solo verso di voi. Questo virus, questo maledetto virus, ci doveva insegnare questo, doveva insegnarci ad essere più attenti alla società, ai politici che eleggiamo, ad informarci di più, a pretendere che i nostri diritti venissero rispettati e non calpestati...ma non ce la facciamo proprio, accusiamo il governo come se il governo fosse un'entità astratta, come se fosse piovuto dal cielo...e non mi riferisco a questo governo, ma a tutti i governi che abbiamo avuto.
Pensavo, credevo e speravo, ma sono solo un illuso...


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Fake news alla 7ª. - Marco Travaglio

Coronavirus e fake news, imperversano le bufale più forti del ...
Ho sempre invidiato i colleghi arruolati nelle varie “task force anti-fake news” dell’Ue, di Facebook e del governo. Non foss’altro che per il molto tempo libero che si ritrovano. Chissà come passano le giornate, se si divertono e quali avanzatissimi strumenti tecnologico-investigativi adottano per stanare i sovversivi, perlopiù al soldo di Putin, che truccano elezioni e referendum in tutto il mondo sparando bufale a raffica nascosti dietro un nickname. Non vorrei fare il delatore, ma i nostri simpatici ghostbusters potrebbero iniziare da un caso facile facile di fake news alla enne potenza che ha il pregio dell’evidenza, privo di enigmatici pseudonimi, linguaggi cifrati e server caraibici: esce da tre giorni sulla prima pagina di Repubblica, che annovera – se non vado errato – alcuni fra i più sagaci segugi anti-fake news. Funziona così. Il primo giorno si attribuiscono a un ministro decisioni altrui e intenzioni mai dette né pensate. Il secondo, siccome il ministro annuncia le sue vere intenzioni anziché quelle mai dette né pensate, si dice che ci ha ripensato. Il terzo, siccome il ministro prepara un decreto in base alle sue vere intenzioni anziché a quelle mai dette né pensate, si dice che è stato sconfitto.
Com’è noto, circa 200 giudici di sorveglianza scarcerano quasi 400 mafiosi o presunti tali (di cui 4 al 41-bis) a causa o con la scusa della pandemia. Il ministero della Giustizia non c’entra nulla perché i governi, fortunatamente, non possono né arrestare né scarcerare tizio o caio, a meno che non varino norme generali in tal senso (valide per tutti). E non è questo il caso: l’unica norma varata dal ministro in materia di detenuti e Covid è quella del dl Cura Italia che vieta di applicare ai condannati per mafia la Svuotacarceri Alfano del 2010 (domiciliari a chi deve scontare meno di 18 mesi in carcere). Ma quei 200 giudici di sorveglianza mandano a casa quasi 400 mafiosi o presunti tali (non tutti sono condannati definitivi) perché, in base ad altre norme, li ritengono più al sicuro fuori che dentro (i dati su morti e contagi dentro e fuori dal carcere dimostrano l’opposto). La vulgata vuole che siano spinti a farlo da una circolare del Dap del 21 marzo, che però non parla mai di scarcerazioni: chiede solo informazioni sulla salute dei detenuti più anziani e gravemente malati, infatti nessun giudice la cita nelle ordinanze di scarcerazione. Il ministro, pur contrario a queste, non può commentarle né ribaltarle per legge (violerebbe la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura, facendo rivoltare nella tomba da Tocqueville a Montesquieu).
Dunque, non potendo fare tutto, fa tutto quel che può. In un primo decreto impone che, prima di decidere sulle istanze di scarcerazione di un condannato o sospettato di mafia, i giudici di sorveglianza ascoltino il parere delle Procure antimafia (nazionale e distrettuali). E il 6 maggio, alla Camera, ne annuncia un secondo “che permetta ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti in alta sicurezza e al 41-bis”. I quali dunque dovranno tornare al Tribunale di sorveglianza perché la loro situazione sia rivalutata alla luce di un rischio Covid molto più blando di quando furono scarcerati. Poi, si capisce, a decidere sarà sempre il giudice, non il ministro. Titolo del sito di Repubblica : “Bonafede contro le scarcerazioni: ‘Rimando dentro tutti i boss’”. Fake news semplice. L’indomani, sul cartaceo, fake news al quadrato: “Boss, Bonafede ci ripensa”. Rispetto a cosa ci ripensi, non è dato sapere: a meno che non si pensi che sia stato Bonafede a scarcerare i boss e ora, pentito, li voglia riarrestare. Che è proprio ciò che non può fare, ma che Repubblica vuole far credere. Ieri, terzo giorno, fake news alla terza: “La sconfitta di Bonafede. Voleva subito un decreto per riportare in cella i boss, ma incassa solo un debole compromesso”. Cioè incassa ciò che aveva chiesto fin dal primo giorno alla Camera: ma il suo successo diventa una débâcle.
Ma, una volta attivato, il distributore automatico di fake news può produrne quante se ne vuole. Fake news alla quarta: “Carceri, decreto più leggero. Sul rientro dei mafiosi decideranno i giudici” (come Bonafede aveva detto alla Camera). Fake news alla quinta: “Il ministro fallisce l’obiettivo. Attaccato anche nel governo” (dove invece sono stranamente tutti d’accordo). Fake news alla sesta: “Il pasticciaccio di via Arenula” (di Stefano Folli, il giureconsulto che sta al diritto come Monica Bellucci sta alla virilità). Intanto, sempre su Repubblica, il direttore Sambuca Molinari ipotizza dietro le scarcerazioni ”una trattativa fra i boss e lo Stato” e accusa non i giudici, ma “il governo e il ministero”, mentre Roberto Saviano elogia “i magistrati (che) hanno agito nel rispetto del diritto e… realizzato l’atto antimafia più potente. Garantire la salute del detenuto, di qualunque detenuto, dall’ex boss al 41-bis al detenuto ignoto, è fondamentale”. Quindi, ricapitolando. Quando si criticano le scarcerazioni, è tutta colpa di Bonafede. Quando si elogiano le scarcerazioni, è tutto merito dei giudici. Fake news alla settima. E le task force che fanno, dormono?

L’ok giallorosa a Bonafede per il dl contro i boss liberi. - Antonella Mascali

L’ok giallorosa a Bonafede per il dl contro i boss liberi

Il testo - La maggioranza d’accordo su una legge “inattaccabile” che leghi le mutate esigenze antivirus al nuovo pronunciamento dei magistrati di sorveglianza.
Giorni fittissimi di confronto fra i tecnici del ministero della Giustizia e il decreto voluto da Alfonso Bonafede per provare a far tornare in carcere boss e loro gregari, finiti ai domiciliari in tempo di coronavirus, è in dirittura di arrivo. Forse già oggi in un consiglio dei ministri straordinario o domenica se ci sarà il consiglio dei ministri sul “Decreto rilancio”.
Il sigillo di tutta la maggioranza è stato messo poco prima delle 22 di ieri sera dopo una riunione di un paio d’ore in videoconferenza. Mai c’era stato un vertice così disteso, specie in tema di Giustizia. Basti pensare alle riunioni sula prescrizione sempre sull’orlo della rottura.
In collegamento ci sono il sottosegretario Andrea Giorgis, Walter Verini e Franco Mirabelli per il Pd, Piero Grasso e Federico Conte per Leu e Lucia Annibali per Iv. I renziani di Italia Viva hanno provato a porre qualche cavillo, ma almeno su questo provvedimento, che avviene dopo 376 scarcerazioni decise da giudici per l’emergenza Covid-19, il governo vuole dare un segnale univoco.
Tutti d’accordo sulla necessità di questo decreto e tutti attenti a che non violi il principio costituzionale dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. Ecco perché il testo definitivo non c’è ancora, si sta limando riga per riga.
Durante la riunione è emerso che il testo avrà due direttive principali. Si vuole coniugare la volontà di far tornare dentro i boss e i gregari ma non si vuole andare contro la magistratura.
Ai magistrati competenti viene chiesta la rivalutazione perché si è nella cosiddetta fase 2 e i numeri dei contagi per coronavirus sono in calo. Tra i provvedimenti degli ultimi due mesi, la maggior parte sono stati presi dai giudici che hanno considerato troppo alto il rischio di contagio in strutture carcerarie per detenuti già malati per altre patologia. Quando si troveranno a dover riesaminare questi provvedimenti (o si troveranno di fronte a istanze nuove) c’è una novità che sarà contenuta nel decreto: il coinvolgimento decisamente maggiore del Dap, il dipartimento affari penitenziari che dovrà indicare quali sono i circuiti carcerari-sanitari consoni affinché sia coniugato il diritto alla salute dei detenuti a regime speciale (41 bis e alta sicurezza) e quello della sicurezza per i cittadini.
Al Fatto risulta che il ministro Bonafede abbia già parlato con Domenico Arcuri, Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, affinchè vengano individuate nuove strutture sanitarie che possano funzionare da reparti di medicina protetta come l’ospedale di Viterbo o il Pertini di Roma in grado di accogliere detenuti per mafia. È un modo, questo, perchè sia sempre possibile per il giudice, in caso di necessità di cure per il detenuto, fornire una soluzione diversa dai domiciliari. Il decreto, dunque, dovrebbe arrivare prima che Bonafede vada alla Camera, martedì, per una informativa su quanto successo intorno alle scarcerazioni. Il decreto che sta per essere varato, il ministro lo aveva annunciato mercoledì scorso alla Camera dove era andato per riferire sulla mancata nomina di Nino Di Matteo a capo del Dap, nel giugno 2018. È stata la sua risposta al centro-destra che lo ha accusato di essersi piegato alla mafia (in Senato, il centro-destra, ricompattato per l’occasione, ha comunque, presentato una mozione di sfiducia individuale contro il Guardasigilli). Il ministro, in Aula per un question time sulla vicenda Di Matteo, ha però lanciato un affondo: “Invito tutti a fare un’operazione di verità, che nella lotta alla mafia è fondamentale. È totalmente infondato il collegamento”tra i fatti relativi alla mancata nomina di Di Matteo al Dap nel 2018 e le scarcerazioni, frutto di decisioni di magistrati che hanno applicato leggi che nessuno aveva mai modificato fino al decreto approvato la scorsa settimana da questo governo, con il quale si stabilisce che, rispetto alle istanze di scarcerazione, è obbligatorio il parere della Dna e delle Dda”.
Lo stesso Bonafede ha confermato che con l’arrivo del vice capo Dap Roberto Tartaglia, il 2 maggio, è subito partita una circolare ai direttori delle carceri in modo che il Dipartimento fosse informato da loro su “qualsiasi istanza” di detenuti mafiosi . Contemporaneamente queste informazioni le deve ricevere anche la procura nazionale antimafia

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/05/09/lok-giallorosa-a-bonafede-per-il-dl-contro-i-boss-liberi/5796286/

Pagamenti elettronici, “Basta soldi sporchi”: una petizione per abbandonare il contante. Tra i firmatari il magistrato Sabella.

Pagamenti elettronici, “Basta soldi sporchi”: una petizione per abbandonare il contante. Tra i firmatari il magistrato Sabella

Sulla piattaforma Change.org, il gruppo "Eroi Fiscali" chiede di rinunciare al contante per interrompere "traffici di ladri, truffatori, rapinatori", far emergere l'evasione e "mettere in circolo grandi liquidità nascoste". Tra i firmatari anche il magistrato Alfonso Sabella e l'ex parlamentare Castagnetti.
Dopo la pandemia, concordano gli esperti, saranno necessari molti cambiamenti: nel nostro modo di spostarci, di lavorare, di incontrarci. Secondo il gruppo “Eroi Fiscali” però, un cambiamento è particolarmente urgente: smettere di usare i contanti. In una petizione lanciata su Change.org (qui il link) e indirizzata al Parlamento, chiedono di completare la transizione dal denaro contante a quello elettronico.
Tra i primi firmatari della petizione ci sono: il magistrato Alfonso Sabella e l’ex parlamentare e vicepresidente della Camera Pierluigi Castagnetti. Poi: Arrigo RovedaEmanuele CavallaroPierluigi SaccardiAgostino MegaleSonia AlvisiAnna CossettaAlessandro Garassini e Eliano Omar Lodesani.
I soldi, è la tesi della petizione, sono spesso sporchi: in senso letterale, perché secondo l’università di Oxford, su ogni banconota si trovano circa 26mila batteri di almeno 3000 diverse specie. Ma soprattutto in senso metaforico. “I soldi possono essere anche molto sporchi dentro: di droga, di sangue, di estorsioni e disonestà. Sono quelli che le mafie devono riciclare, sono quelli di ladri, truffatori, rapinatori”. Frutto di corruzione, riciclaggio, evasione fiscale. “Parliamo di oltre centodieci miliardi di euro all’anno, quasi duemila euro sottratti ad ogni Italiano”.
Di conseguenza, sostengono, con una “scelta relativamente semplice” come quella dei pagamenti elettronici è possibile “aggredire e risolvere buona parte degli strumenti per poter così redistribuire più equamente la ricchezza“. Ormai “i nuovi sistemi contactless e l’uso dello smartphone come strumento di pagamento rendono possibile evitare qualsiasi contatto fisico” e rendono i pagamenti molto semplici anche per chi non è avvezzo all’uso della tecnologia. Tra i vantaggi la petizione menziona la sicurezza rispetto al contante (riducendo il rischio di furti e rapine) e il fatto che si potrebbero “mettere in circolo grandi liquidità nascoste“. Un’iniezione di denaro nell’economia. “La prima banconota italiana è del 1746 e oggi – concludono – possiamo diventare, orgogliosamente, il primo grande Paese senza soldi sporchi“.

venerdì 8 maggio 2020

Buttadentro&fuori. - Marco Travaglio

Antologia della contrapposizione di Alessandro Bifulco a Piano ...

Analizzando i danni collaterali della polemica Di Matteo-Bonafede, ci è tornato alla mente il tormentone di Eduardo De Filippo in A che servono questi quattrini?: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”. In effetti il battibecco fra ex pm e ministro potrebbe sortire almeno due effetti positivi. Il primo è l’improvviso coup de foudre per Di Matteo del centrodestra più Innominabile più house organ e giornaloni al seguito, che li costringe a parlare ogni giorno della sua inchiesta più importante, quella sulla trattativa Stato-mafia, approdata – com’è noto – due anni fa alle condanne in primo grado di tutti gli imputati per violenza o minaccia ai governi Amato, Ciampi e Berlusconi. Non se n’era mai parlato così tanto, nei due anni d’inchiesta e nei quattro e più di dibattimento (regolarmente ignorato o svillaneggiato), né all’indomani della sentenza. Dunque siamo certi che ora chi dà ragione a Di Matteo sul sospetto, tutto da dimostrare, di pressioni sul ministro Bonafede per la mancata nomina a capo-Dap, non mancherà di far conoscere ai suoi (e)lettori le pressioni mafio-istituzionali ampiamente dimostrate in quel processo. Già immaginiamo le puntate speciali di “Non è L’Arena: è Salvini” con letture intensive della requisitoria Di Matteo e della sentenza della Corte d’Assise di Palermo, nonché le edizioni straordinarie di Repubblica, Corriere, Stampa, Giornale, Verità e Libero con tutte le carte del processo del secolo (chi fosse interessato può copiare i paginoni del Fatto di due anni fa).
Il secondo effetto benefico è che ora chi difendeva quei governi e quei ministri per aver trattato con la mafia “a fin di bene”, alleggerito il 41-bis e varato altre norme pro-mafia in ossequio al papello di Riina per “ragion di Stato”, farà senz’altro autocritica. Per un motivo di coerenza, cioè per rendere credibili le accuse sulle recenti scarcerazioni di mafiosi al ministro Bonafede, che peraltro non ha mai scarcerato nessuno e sulla mafia ha fatto (e ancora sta facendo) sempre e solo leggi anti, mai pro. Purtroppo la coerenza stenta ancora a farsi strada, dunque assistiamo a un gustoso paradosso: chi giustificava o minimizzava o ignorava la documentata trattativa Stato-mafia del 1992-’94 ora cavalca la falsa trattativa Bonafede-mafia del 2020. E attribuisce al ministro le ultime scarcerazioni, che invece sono farina integrale del sacco di circa 200 giudici. A parte il centrodestra, pieno di mafiosi e filomafiosi, che presenta mozioni di sfiducia contro Bonafede in nome dell’antimafia (quella di Dell’Utri, B.&C.), segnaliamo il neodirettore di Repubblica Maurizio “Sambuca” Molinari.
Ieri, con l’empito tipico del neofita, ipotizzava “una trattativa” (termine da lui mai usato prima, Usa e Israele a parte) “fra i boss e lo Stato” in corso oggi e domandava, restando serio, “se fosse vero che i boss hanno ottenuto di poter uscire per salvaguardare la loro salute, fino che punto il ministro della Giustizia e il presidente del Consiglio sono stati informati e hanno autorizzato? Interrogativi molto seri che hanno a che vedere con la sicurezza dello Stato”. Se chiedesse a qualche suo cronista, Sambuca apprenderebbe con gran sorpresa che le scarcerazioni le decidono i tribunali di sorveglianza, a meno che il governo non le abbia disposte per legge o per decreto. Ma Bonafede, nel dl Cura Italia, ha escluso i condannati per mafia dalla lista di quelli scarcerabili a fine pena in base alla legge Svuota-carceri Alfano del 2010. Purtroppo un gruppetto di giudici se n’è infischiato e ha messo fuori tutta quella bella gente in base al comico assunto che i detenuti in carcere, inclusi quelli sigillati al 41-bis, rischiano il Covid più di chi sta fuori, mentre la logica e i numeri dicono che è esattamente l’opposto.
Ma evidentemente il giureconsulto che consiglia Sambuca è quell’altro genio di Stefano Folli (il quale chiede le dimissioni di Bonafede “per responsabilità oggettiva” nelle “scarcerazioni di massa”, come se Tocqueville non fosse mai nato). Risultato: Repubblica ieri titolava in prima pagina “Boss, Bonafede ci ripensa” (non si sa rispetto a cosa, visto che non aveva mai detto di scarcerare mafiosi, anzi aveva decretato l’opposto). Il che deve aver aumentato fra i lettori l’imbarazzante sensazione di aver comprato per sbaglio il Giornale (“Bonafede si rimangia le scarcerazioni facili”), o La Verità (“La trattativa coi boss l’ha fatta Bonafede?”), o il Messaggero (“Frenata Bonafede”). Massima solidarietà al caporedattore Stefano Cappellini, che da mesi si dannava l’anima per spacciare Bonafede per un sadico carceriere per aver fatto le leggi che Repubblica aveva chiesto per vent’anni prima della tragicomica metamorfosi. Quando il Guardasigilli varò la blocca-prescrizione, Cappellini tuonò: “Calpestati i fondamenti di uno Stato di diritto degno di chiamarsi tale”, “giustizialismo”, “barbarie giuridica”, “tribunali dell’Inquisizione”. Ora vai a spiegare ai lettori che quel fottuto manettaro ha messo fuori, con la sola forza del pensiero, quasi 400 boss e forse sta pure trattando con la mafia. Qualcuno potrebbe domandare a Repubblica: ragazzi, l’abbiamo capito che ’sto Bonafede vi sta sul culo, ma siate gentili, diteci una volta per tutte se è un buttadentro o un buttafuori. Così, per sapere.

giovedì 7 maggio 2020

Il trucco c’è, ma non si vede. - Marco Travaglio

Mafia, ai domiciliari l’ergastolano carceriere del piccolo Di Matteo
Uno dei danni collaterali della polemica Di Matteo-Bonafede, oltre al festoso banchettare dei peggiori avvoltoi, è che oscura il vero motivo delle scarcerazioni di boss mafiosi e delinquenti comuni col pretesto dell’emergenza Covid. E cioè l’orientamento di un bel gruppo di giudici di sorveglianza che passano per “garantisti”, ma in realtà sono semplici “decarceratori”. In questo Paese a corto di senso dello Stato, è molto diffusa, anche nella magistratura (e non solo nelle correnti di sinistra), l’allergia al carcere. C’è pure chi lo abolirebbe, non ne fa mistero e, alla prima occasione, mette fuori tutti quelli che può. Che le carceri siano sovraffollate, promiscue e spesso terrificanti lo sappiamo. Ma non per i troppi detenuti (che anzi sono sotto la media europea), bensì per la penuria di posti cella (che va colmata costruendo o allestendo nuovi reparti). In ogni caso i giudici devono applicare il Codice penale che prevede la “reclusione” (c’è scritto proprio così) per una serie di reati. Prima si dava per scontato che – a parte reati gravissimi, o lievi ma commessi da poveracci senza tetto né difesa – la reclusione fosse finta, grazie a prescrizioni, amnistie, indulti, condoni, leggi svuotacarceri, pene alternative, liberazioni anticipate, sconti, attenuanti, condizionali, limiti d’età, scappatoie e cavilli vari. Il famoso Codice Spaventapasseri: da lontano fa paura, da vicino fa ridere.
Poi il ministro Bonafede ha ridotto il gap fra pene scritte nel Codice, irrogate nelle sentenze e scontate in carcere. Prima per i tangentari (Spazzacorrotti), poi per evasori e frodatori fiscali (ultima Finanziaria), infine per i mafiosi (il dl Cura Italia li esclude dalle pene alternative che i giudici possono concedere, in base alla svuotacarceri Alfano del 2010, a chi deve scontare meno di 18 mesi durante l’emergenza virus) e in futuro per tutti (blocca-prescrizione per i reati commessi dal 2020). A quel punto il sistema si è ribellato e, con esso, alcuni giudici decarceratori. Hanno messo fuori Formigoni dopo 5 mesi (su 70 da scontare) tradendo la legge Spazzacorrotti con un’interpretazione “non retroattiva” contraria a 30 anni di giurisprudenza costante in materia di esecuzione penale, dopodiché la Corte costituzionale con agile piroetta s’è contraddetta per avallare quell’assurdità. Poi è partita la canea sull’imminente “strage”, anzi “apocalisse” da Covid nelle carceri, con appelli ad amnistie, indulti e scarcerazioni di massa. E molti giudici di sorveglianza han cominciato a liberare centinaia di condannati, anche mafiosi, anche al 41-bis (cioè gl’individui col minor rischio di contagio al mondo).
Il tutto con la scusa che il Dap, sotto il fuoco dei “garantisti” (i radicali avevano persino denunciato in Procura Bonafede e Basentini per “procurata epidemia colposa”), si era cautelato con una circolare che chiedeva ai direttori delle carceri di segnalare i malati gravi, più esposti all’infezione, per “le determinazioni di competenza” (cioè isolarli, o sottoporli a tampone, o a visite mediche, o a trasferimenti in strutture sanitarie, non certo per mandarli a casa). E chi accusava Bonafede e Basentini di non scarcerare nessuno ha cominciato a strillare che scarceravano tutti, con le trombette di Salvini & Meloni e il megafono di Giletti che usa gli errori del Dap nel caso Zagaria per gettare 400 scarcerati addosso a Bonafede anziché a chi li ha messi fuori: i giudici di sorveglianza. Ora si spera che il decreto annunciato ieri consenta di rispedire in cella chi ne era uscito. Ma si deve sapere chi l’aveva fatto uscire. E con quali strabilianti motivazioni.
Il boss dell’Uditore Francesco Bonura è passato dal 41-bis nel carcere di Opera alla sua casa di Palermo grazie a un giudice di Milano che cita il “rischio di contagio, indubitabilmente più elevato in un ambiente ad alta densità di popolazione come il carcere, che espone a conseguenze particolarmente gravi i soggetti anziani e affetti da serie patologie”. Una barzelletta, visto che il carcere è isolato per eccellenza, tantopiù per i detenuti al 41-bis, reclusi in celle singole senza contatti con gli altri. Il giudice scrive pure che “deve ragionevolmente escludersi il pericolo di fuga o di reiterazione dei reati” anche per “l’età e il complesso quadro clinico”. Cioè un boss di 78 anni non farà più il boss per raggiunti limiti di età (infatti l’ultimo boss della Cupola catturato nel 2018, Settimo Mineo, di anni ne aveva 81). Dunque, malgrado i domiciliari, potrà uscirne anche per “sedute dentistiche” sue e della moglie, e per “matrimoni, battesimi, eventi luttuosi, 25 e 26 dicembre, Domenica di Pasqua e Lunedì dell’Angelo (sic, ndr)”. E chi legge l’ordinanza che ha scarcerato il fratello del boss Zagaria dal 41-bis a Sassari scopre che sarebbe uscito comunque, anche senza i pasticci del Dap (che in quell’unico caso ci sono stati, come documentato da Giletti), perché la Corte d’Appello di Napoli lo definiva incredibilmente “non pericoloso” e il giudice di sorveglianza riteneva impossibile curarlo sia in carcere sia in ospedale. Quindi l’ha mandato a casa sua a Brescia, cioè nell’epicentro del contagio. Geniale. Ecco: il polverone Di Matteo-Bonafede sta coprendo tutto questo. E tutti gli altri decarceratori seriali pronti a riprovarci.