giovedì 4 febbraio 2021

Incontri al buio. - Marco Travaglio

Se nascerà, il governo Draghi sarà giudicato dal Fatto come tutti gli altri: ne valuteremo maggioranza, ministri e scelte in base alle nostre convinzioni, senza pregiudizi né positivi né negativi, non avendo nulla da guadagnare né da perdere. Al momento, del “governo di alto profilo” incautamente evocato da Mattarella (come se gli altri tre da lui nominati fossero scartine), si conosce solo il curriculum del premier incaricato, che il profilo ce l’ha altissimo. Ma come banchiere: come politico è tutto da scoprire e inventare. E non è un demiurgo che crea maggioranze dal nulla, in un Parlamento che resta sempre lo stesso.

Draghi. Fino a domenica, chi lo sondava per proporgli Palazzo Chigi veniva respinto da cortesi ma fermi dinieghi. Dunque chi da tempo aveva concepito il piano Draghi – l’Innominabile, B.&Letta, la Lega di Giorgetti, le quinte colonne renziane nel Pd e i loro mandanti dell’alta finanza – confidava nella professionalità di Demolition Man a sfasciare la maggioranza giallorosa e nel “patriottismo” di Draghi l’avrebbe spinto alla fine a raccogliere l’estremo grido di dolore di Mattarella da un palazzo in macerie. Ma, al netto della buona fede che gli va riconosciuta fino a prova contraria, l’uomo non è un ingenuo e sa bene a cosa va incontro: un governo che farebbe esplodere il centrodestra e i giallorosa e si reggerebbe sulla nobile figura di un pregiudicato, sul sostegno sbiadito del Pd e soprattutto sull’appoggio (si fa per dire) dei due Matteo, gli sfasciacarrozze più inaffidabili del pianeta che han rovesciato gli ultimi due esecutivi: l’uno decisivo (Salvini, sempreché alla fine ci stia) e l’altro superfluo (l’Innominabile). Con il partito di maggioranza relativa (M5S) e quello della leader emergente (FdI) all’opposizione. E con le prevedibili risse su Mes, Quota 100, Ue, chiusure anti-Covid, disastri lombardi ecc. Francamente, non vorremmo essere nei suoi panni. Ma, se lo fossimo, correremmo al Quirinale a rimettere il mandato.

Mattarella. Ha gestito la crisi, come tutta la sua presidenza, da arbitro imparziale: l’opposto di Napolitano. Ma con due eccezioni, segno di una fragilità che nelle emergenze lo porta a perdere la bussola e a compiere decisioni avventate al limite della temerarietà. Cioè a napolitanizzarsi. Accadde nel maggio 2018 quando, visto il nome dell’innocuo professor Savona nella lista dei ministri del Conte-1,mandò a casa la maggioranza gialloverde che univa i due vincitori delle elezioni e incaricò tal Cottarelli, mai citato da alcuno nelle consultazioni. È riaccaduto l’altra sera, quando ha convocato Draghi senza che nessun partito gliel’avesse chiesto. Per giunta al buio, esponendolo a rischi enormi e mostrando che le consultazioni sono puro teatro. Poi ha detto cose che, se le avesse dette dopo le dimissioni di Conte (che non ha ancora accettato) rinviandolo alle Camere (che gli avevano appena dato la fiducia), gli avrebbero garantito la maggioranza assoluta anche in Senato: “O questo governo o si vota”. E ha contraddetto tutti i moniti degli ultimi mesi: “Dopo Conte, c’è solo il voto”, “Non si cambiano i generali durante una guerra”. Salvo cambiarli tutti senza passare per le urne.

Conte. La sua cacciata era scritta fin dal giorno del suo maggior successo: il 21 luglio 2020 quando, dopo due giorni e due notti di trattative, vinse la battaglia a Bruxelles contro i “frugali” e portò a casa 209 miliardi di Recovery, 36 più del previsto, mentre tutti scommettevano sulla débâcle. Da allora fu chiaro che i poteri marci con giornaloni e burattini in Parlamento avrebbero fatto di tutto per impedire che a gestire quel tesoro fosse un governo perbene, per giunta il più progressista e “sociale” mai visto.

Centrodestra. Non è mai esistito: FI sta con Draghi, la Lega quasi, FdI contro. La Meloni mette la freccia per il sorpasso.
5 Stelle. Non possono che stare, civilmente e non sguaiatamente, all’opposizione di un governo nato dalla decapitazione del loro premier per buttarli fuori, a opera di un irresponsabile che, compiuta la missione, nel governo tecnico scomparirà. Ma sarà comunque in maggioranza, rendendola incompatibile con il M5S (che dovrebbe ciucciarsi anche B.). Prima o poi si andrà a votare e i 5Stelle sarebbero suicidi a passare per quelli che votarono tre governi pur di restare al potere. Un conto è mantenere il proprio premier e i propri ministri per fare e difendere le proprie riforme, anche con alleati diversi. Un altro è il “Franza o Spagna purché se magna”.

Pd. Con la fermezza di un budino, è passato da “o Conte o elezioni” a “o Draghi o Draghi”. Sarebbe un triste spasso vederlo votare a braccetto con B., con l’Innominabile e forse persino con la Lega, cioè con gli avversari anziché con gli alleati. Restando compatti, potrebbero convincere Draghi a rinunciare all’avventura al buio in Parlamento con pessime compagnie e il solito viavai di “responsabili”, magari sfruttando il suo patriottismo per quella cabina di regia sul Recovery che, essa sì, richiede tecnici di vaglia. Andando in ordine sparso, invece, sfascerebbero l’alleanza giallorosa, l’unica che può competere col centrodestra. E, con l’ennesima piroetta che già scatena le proteste della base sui social, donerebbero altro sangue ai tecnici quirinalizi, non bastando la trasfusione Monti. A questo punto, perché non diventare una filiale dell’Avis?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/04/incontri-al-buio/6089539/

mercoledì 3 febbraio 2021

Ristori congelati, la politica si è scollegata dalla realtà. - Patrizia De Rubertis

 

La crisi innescata da Italia Viva ha bloccato i nuovi aiuti. Dai lavoratori dello spettacolo ai baristi, la richiesta è di fare presto: “Teatrino inaccettabile”.

Serve a prorogare il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione Covid, ma anche a stanziare nuovi contributi a fondo perduto per le categorie più danneggiate dalla pandemia. Ma il nuovo decreto Ristori, il quinto, che avrebbe dovuto vedere la luce a inizio gennaio è prima finito bloccato nello scontro tra i giallorosa e poi dalla crisi di governo che Matteo Renzi ha deciso di aprire nonostante ci fosse una serie di importanti provvedimenti in sospeso, tra cui questo provvedimento che vale in tutto 32 miliardi. E che, stando al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, dovrebbe essere anche l’ultimo. La volontà del governo uscente era di varare il decreto, considerandolo un atto urgente e necessario per fronteggiare l’emergenza. Ma poi si è deciso di congelarlo in attesa del nuovo governo. Il testo del decreto va ancora scritto, anche se Camera e Senato hanno già approvato un nuovo scostamento di bilancio per finanziarlo.

Il dl Ristori 5 servirà a estendere lo stop ai licenziamenti fino al 30 aprile per tutti e dopo in maniera selettiva, dovrebbe prevedere altre 26 settimane di cassa integrazione per le imprese in crisi e finanziare altri capitoli di spesa (sanità, trasporti pubblici, forze dell’ordine, etc.). Ma sul fronte dei contributi a fondo perduto va ancora chiarito il nuovo meccanismo per identificare la platea degli aventi diritto e calibrare l’entità delle somme da versare. Dovrebbe essere presa in considerazione la perdita di fatturato dell’intero 2020 (non più aprile 2019 su aprile 2020), ma non è chiaro se ci saranno anche paletti relativi ai codici Ateco o se verranno introdotte soglie minime molto alte per limitare la spesa. Così come potrebbero essere inclusi tra i beneficiari anche i professionisti iscritti agli Ordini. Si tratta, comunque, di risorse che mai come in questo momento sarebbero fondamentali per dare respiro ai lavoratori in crisi e arginare le conseguenze dell’emergenza.

Ad aspettare con ansia il decreto Ristori sono in tanti e senza ancora aver ben capito perché sia stata innescata una crisi di governo che ha di fatto congelato gli aiuti. In prima fila ci sono i lavoratori di spettacolo, cinema e musica. Il loro fermo dura da quasi un anno e ha causato mezzo miliardo di perdite. Oltre 50 sigle sindacali, presidi e associazioni di categoria, alla notizia del blocco del nuovo decreto hanno deciso di compattarsi denunciando la condizione d’indigenza in cui versa chi opera nel settore. “I dati Inps parlano di 327mila lavoratori dello spettacolo in Italia, di cui circa 83mila sono attori. Questa categoria di interpreti è impiegata per una media di 15 giorni all’anno e con una retribuzione media di 2.500 euro annuali! È ora di sfatare il luogo comune che tutti gli attori siano ricchi”, spiega Giorgia Cardaci, vicepresidente dell’associazione Unita. “Il ministero ha recepito alcuni dei problemi più impellenti, ma c’è ancora tanto da fare. Pochissimi i soldi percepiti grazie ai bonus (5.600 euro in un anno) e, adesso, lo stop dovuto a questa incomprensibile crisi – sintomo di uno scollamento della politica dalla vita reale – rischia di essere la pietra tombale dello spettacolo italiano”, aggiunge Francesco Bolo Rossini, delegato Unita.

A chiedere di sbloccare gli aiuti sono anche ristoratori e baristi, costretti a vivere nell’incertezza fatta di coprifuoco, chiusure al pubblico e consegne a domicilio. “Il 2020 segna 40 miliardi di minor fatturato. Di fronte a un danno di questa portata, abbiamo ricevuto ristori per soli 2,5 miliardi”, spiega il vicepresidente vicario di Fipe-Confcommercio, Aldo Cursano. L’appello è a fare presto per evitare che il blocco dei nuovi ristori porti a un’ondata di chiusure. “Il Ristori 5 ha beccato la crisi di governo che fa danni al pari del Covid, ma il putto di Rignano ha da piazzare la Boschi”, commenta Giovanni, ristoratore livornese. Poi ci sono le imprese del turismo invernale, un settore con un giro d’affari da 11 miliardi di euro. “Sono preoccupato per i lavoratori che chiedono risposte e per gli interventi urgenti che devono andare avanti. Anche questa mattina ho ricevuto tante telefonate da parte degli operatori della montagna che non sanno neppure se la data del 15 febbraio per la riapertura degli impianti sarà effettiva o meno. E nel frattempo assistiamo a un teatrino che non è accettabile e che soprattutto distoglie l’attenzione dai problemi reali del Paese”, ha detto l’assessore al turismo della Regione del Veneto, Federico Caner.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/03/ristori-congelati-la-politica-si-e-scollegata-dalla-realta/6088306/

Ultimi ricatti. Scalfarotto re del Belgio, Meb a Fiume e Bellanova a Versailles. - Alessandro Robecchi

 

Con i retroscena più veloci dei retroscenisti, la crisi di governo in atto, innescata dal teorico del Rinascimento Saudita, presenta aspetti interessanti in ogni campo, non escluso quello della psichiatria. Il ruolo centrale di un partito che non si è mai presentato alle elezioni, accreditato nei sondaggi del voto dei parenti stretti (non tutti, a giudicare dalle percentuali) e i cui rappresentanti sono stati eletti dal Pd (lui compreso), dimostra l’eterna validità di un assunto ormai centenario. In teatro, a chi disturbava dalla galleria, Petrolini diceva apertis verbis: “Io non ce l’ho con te ma con chi non ti butta di sotto”. Ecco, questo per dire che cedere a un ricatto è il modo migliore, praticamente sicuro, di subire il prossimo ricatto, e poi il prossimo, e poi il prossimo, eccetera eccetera. Ma veniamo al dettaglio degli avvenimenti, che si susseguono a velocità sostenuta.

Ore 8.15: Renzi chiede il ministero dell’Economia, quello della Giustizia, Trasporti e Lavori pubblici; poi Inps, servizi segreti, l’abbonamento a Sky per due anni, quindici punti in più per la Fiorentina e due aeroporti a Firenze, Nord e Sud, con Nardella controllore di volo.

Ore 9.25: “Irresponsabile chiusura dei partiti avversari”. Così Renzi commenta il titubante no alle sue richieste. In un comizio al Quirinale, ormai trasformato in Leopolda per i suoi show, aggiunge all’elenco 46.000 km quadrati in Mongolia da affidare a Rosato, la comproprietà di Cristiano Ronaldo, una Bentley decappottabile, Fiume italiana con governatore Maria Elena Boschi. Tutto naturalmente per il bene dei nostri figli, per i quali già costruì con le sue mani “mille asili in mille giorni”.

Ore 10.40: “Sconvolto dai veti”, Matteo Renzi apre alla trattativa e concede qualcosa: i km quadrati di Mongolia per Rosato scendono a 30.000, ma è un cedimento che va bilanciato con due miniere di diamanti in Sudafrica e la reggia di Versailles in comodato d’uso per dieci anni a Teresa Bellanova, perché una che ha fatto la bracciante merita di spassarsela un po’ nel lusso, oltre alla soddisfazione di gettare qualche brioche dal balcone.

Ore 12.45: Nuova coraggiosa proposta di Italia Viva: Scalfarotto re del Belgio.

Ore 14.50: Le trattative proseguono a ritmo serrato. Viste le titubanze delle controparti, Renzi decide per il rilancio: il Reddito di cittadinanza può restare in vigore, ma solo per chi ha donato qualcosa alla fondazione Open. Nell’ambito di un ridisegno della politica estera, pretende invece l’annessione di Nizza e Savoia, la Corsica, la Libia e altre nomine all’Eni, dove ha già piazzato gente che non distingue un idrocarburo da un cucciolo di koala.

Ore 16.20: Matteo Renzi concentra la battaglia sul ministero dei Lavori pubblici, perché le infrastrutture sono un bene inestimabile per i nostri figli e nipoti, a cui va costantemente il suo pensiero. Tra i progetti più interessanti, un’avveniristica illuminazione a led per gli ospedali e le scuole dello Yemen, in modo da permettere agli amici sauditi di bombardarle con più agio, senza sprecare preziose bombe italiane la cui fornitura è stata colpevolmente interrotta dal governo Conte.

18.15: Inaspettato rilancio: Scalfarotto imperatore della Turingia.

20.10: Riprendono gli incontri al Quirinale, dove Renzi si presenta con un venditore Tecnocasa e prende appunti: bisognerà abbattere dei tramezzi, rifare gli infissi e acquistare nuovi arazzi.

21.00: Spiace ripetersi, ma tocca farlo: io non ce l’ho con te, ma con chi non ti butta di sotto.

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L’ultima farsa dei tavoli e le teste da tagliare: così Renzi ha rotto tutto. - Luca De Carolis, Wanda Marra

 

Alle 19 Matteo Renzi telefona all’esploratore, Roberto Fico, per dirgli che non ci sono più margini per il Conte ter. “È finita”. Game over. ll distruttore ha distrutto. E forse poteva solo finire così, con un cumulo di macerie. Solo lì poteva fermarsi Renzi, a ciò che ha fatto ieri sera: rovesciare il tavolo sui possibili nomi del Conte ter per ottenere la testa che era la sua ossessione, quella dell’ex presidente del Consiglio, di Giuseppe Conte, con l’obiettivo di spaccare ora e per sempre anche l’alleanza giallorosa tra Pd e M5S, quel matrimonio tra diversi che un anno e mezzo fa aveva favorito e che ora vuole sabotare per mille ragioni. “Ci affidiamo alla saggezza di Mattarella” twitta il capo di Iv a missione appena compiuta, attorno alle 19.30. E in quelle righe stipa i presunti torti degli ex alleati: “Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, Alta velocità, Anpal, Reddito cittadinanza, su questo abbiamo registrato la rottura”. Ha rotto sulle altre teste che non ha potuto far rotolare e sui totem grillini che non ha potuto distruggere. E lo rivendica, dopo aver mandato ieri mattina le fedelissime Maria Elena Boschi e Teresa Bellanova a trasformare in commedia dell’arte l’altro tavolo a Montecitorio, quello pubblico, sui temi. Una riunione dove ieri le italo-vive hanno detto di no a tutto e ritirato fuori dagli Inferi perfino il Tav, tanto per mettere le dita negli occhi dei grillini.

Neanche hanno risposto, quando Leu ha provato a stanarle, a chiedere se volessero Conte ancora a Palazzo Chigi. E alla fine del tavolo slittato più volte i partiti non sono riusciti neanche a stilare un verbale di sintesi, neanche fossero automobilisti che litigavano sul Cid. Secondo Iv la bozza andava completamente riscritta. E di fatto era già finita lì, quando Fico è uscito fuori dalla riunione nella Sala della Lupa con la furia negli occhi, conscio di essere stato preso in giro. Inutili i tavoli, inutili le telefonate dell’ultimo minuto di Fico a tutti i leader, a partire da Renzi. L’ex premier aveva già deciso di premere il bottone rosso. Dietro di sé lascia avversari feriti, con 5Stelle vari che già rimproverano al reggente Vito Crimi la linea al tavolo, l’aver dichiarato intoccabili il Guardasigilli Bonafede e la ministra all’Istruzione Azzolina. “Qualcosa dovevamo cedere” rumoreggiano la pancia parlamentare e qualche big. Crimi però non ostenta dubbi e precisa: “Iv sindacava sui nostri nomi e voleva solo poltrone, non dava rassicurazione su Conte premier”. Nel Pd gli stracci devono ancora cominciare a volare ufficialmente, anche se da giorni è sotto accusa soprattutto il protagonismo di Goffredo Bettini. Dario Franceschini ha cercato di portare avanti la trattativa dall’inizio alla fine, gestendo anche le battaglie sotto traccia dentro tutta la coalizione. Come quella sui vicepremier: i dem li avrebbero voluti, il M5S ha fatto muro, anche per evitare un commissariamento di Conte. Problemi marginali rispetto alle intenzioni di Renzi.

“Ha pesato soprattutto il veto sulla Boschi”, racconta chi nel Pd è rimasto al tavolo sui contenuti. In cambio della rinuncia a “Meb”, Renzi ha chiesto a Crimi e a Franceschini tre ministeri: voleva Ettore Rosato alla Difesa, il Lavoro per Teresa Bellanova, un terzo discastero per Luigi Marattin o Raffaella Paita e un viceministro. Oltre a un accordo sulla prescrizione, intorno al Lodo Annibali. Il Pd ha fatto muro sul Lavoro, per via del jobs act. A Iv hanno offerto il ministero dell’Agricoltura, il Mit, un terzo ministro di area e un viceministro. Non è bastato. Renzi voleva la testa di Alfonso Bonafede e Lucia Azzolina. Ufficialmente, ma in questi giorni ha chiesto di tutto. E alla fine ha rotto, con una telefonata che è sembrata recitata, come se fosse fatta di fronte a una platea. Dopo aver passato la giornata inveendo contro il mancato accordo e dando le sue ricette per il futuro. “Ora scommetto su Draghi”. Nel suo disegno, questo governo sarebbe appoggiato da Forza Italia e Pd e avrebbe l’astensione della Lega di Salvini. E i Cinque stelle? “Non potrebbero dire di no”. Mentre la giornata si chiude, con il presidente Sergio Mattarella che fa un appello a tutte le forze politiche per arrivare a un governo in grado di gestire le tante emergenze che il Paese deve affrontare, il Pd sgomento interviene per dire che “è finita l’alleanza con Iv”, per sottolineare, con Andrea Orlando, che Renzi aveva dall’inizio l’idea “di far saltare questa formula, legata a un’alleanza”. E le tenebre si allungano, su tutto il sistema politico.

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Grazie, Presidente.

 

Grazie, Presidente.
Resterai il mio presidente preferito, grazie di cuore per aver speso parte della tua vita per garantire la mia.
Sei stato un soffio di aria pulita nel mefitico mondo della politica, sei stato la prova che le persone per bene, per quanto siano poche, esistono ancora.
E' durato poco il tuo mandato, ma lo ricorderemo per sempre, con il rimpianto di non averti saputo difendere, come tu hai fatto con noi.
Grazie, Presidente, per averci infuso tranquillità in un periodo di difficoltà, per averci mostrato che un paese si può amministrare con responsabilità ed abnegazione, così come dovrebbe essere sempre,
Grazie, Presidente, le auguro una lunga e bella vita, con gratitudine, una cittadina italiana.

cetta

Democrazia? Oligarchia!

 

Benvenuti in Oligarchia, altro che Democrazia!
I politici italiani ci hanno fatto capire che il nostro voto, la nostra volontà, valgono nulla e che a comandare e godere di privilegi sono loro, Infatti, anche i meno influenti tra loro possono decidere sulle nostre sorti.
Siamo sudditi obbligatari nei loro confronti e costretti a mantenerli anche se vorremmo mandarli a pascolare...
Sono pecore al soldo di chi ha il potere economico, sono cagnolini in cerca di ossa da spolpare, non hanno la più pallida idea di che cosa significhi amministrare un paese.
La prova l'ha data il bulletto purulento con il suo 2%.
In Italia non c'è solo qualcosa che non va, in Italia non c'è più nulla che vada nel verso giusto.
E' tutto da rifare!

cetta

Un no gentile ma netto. - Marco Travaglio

 

Non è vero che l’esplorazione di Fico sia stata totalmente inutile. Non ci ha ridato un governo, ma almeno ha spiegato fino in fondo a chi ancora avesse dubbi cosa c’era dietro la crisi più demenziale e delinquenziale del mondo scatenata da Demolition Man: al netto delle ragioni psicopolitiche, dall’invidia per la popolarità di Conte alla frustrazione per l’unanime discredito che lo precede su scala mondiale (Arabia Saudita esclusa), ci sono l’inestinguibile bulimia di potere, l’acquolina in bocca per i 209 miliardi in arrivo, la fame atavica di poltrone del Giglio Magico e la congenita allergia per una giustizia efficiente e uguale per tutti. Mentre a favore di telecamere andava in scena lo spettacolo dei tavoli tematici – una farsa dove Iv chiedeva di tutto e di più, forse anche Nizza e Savoia e l’Alsazia-Lorena, e i 5Stelle aprivano financo al “lodo Orlando” per rivedere la blocca-prescrizione se entro sei mesi non fosse passata la legge Bonafede accelera-processi – dietro le quinte si discuteva della ciccia: le famigerate “poltrone”. Mister Due per Cento vi è talmente allergico che voleva passare da due a tre o quattro. Possibilmente anche per la solita Boschi, possibilmente alle Infrastrutture per perpetuare e anzi ingigantire la tradizione dei conflitti d’interessi (Maria Etruria è indagata con l’Innominabile per finanziamenti illeciti, anche da Toto, concessionario autostradale di cui sarebbe diventata il concessore).

Che fosse tutta una questione di poltrone era chiaro fin dall’inizio a tutti, fuorché alle civette sul comò dei talk pomeridiani, che ogni giorno si arrampicano sugli specchi per dar la colpa ora a Conte, ora ai 5Stelle, ora al Pd, ora a fantomatiche “crisi di sistema” pur di proteggere il loro beniamino nell’unico luogo in cui ancora lo prendono sul serio: certi studi televisivi. Il bello è che il noto frequentatore di se stesso, oltreché ai ministri suoi, pretendeva pure di scegliere quelli altrui. Cominciando, indovinate un po’, da Bonafede, Azzolina, Gualtieri e Arcuri, per mettere le mani su Giustizia, Tesoro, Scuola e acquisti anti-Covid. Mentre le civette ancora gli guardavano le spalle, il Tafazzi di Rignano confessava tutto ai suoi (e all’Ansa): “Crimi non cede su nessun nome”. E meno male che non era una faccenda di poltrone. Ora, perché le cose non finiscano male con governissimi o altri orrori, basta che M5S, Pd e LeU siano coerenti e dicano un garbato ma fermo no all’ammucchiata del Colle e di Draghi, per salvare l’unica coalizione che può competere con queste destre: la via maestra è il rinvio di Conte alle Camere; e, in caso di sfiducia, il voto al più presto possibile. Di regali a Salvini & C. ne ha già fatti troppi il loro cavallo di Troia.

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