venerdì 16 luglio 2021

Leucemia, la nuova terapia Car-t ha grandi potenzialità. Forse la cura che aspettavamo da anni. - Elisa Liberatori Finocchiaro


Si chiama “Car-T” ed è una nuova possibilità terapeutica per i pazienti colpiti da tumori del sangue, in particolare da linfomi e da leucemia acuta. L’acronimo “Car-T” deriva dall’inglese Chimeric antigen receptor T-cell e identifica una procedura di immunoterapia cellulare adottiva in cui i linfociti T vengono raccolti, geneticamente modificati per riconoscere le cellule neoplastiche e poi reinfusi per colpire selettivamente il tumore. Tanti ne parlano in questi mesi perché i risultati che sta ottenendo sono molto importanti. Una terapia che potrebbe essere somministrata, solo in Europa, a circa 8mila pazienti idonei. Persone che non hanno altri possibili trattamenti da ricevere, dato il fallimento di tutte le terapie disponibili.

È una cura complessa, estremamente personalizzata, che viene eseguita negli Stati Uniti: costa tra i 350mila e i 450mila dollari a paziente, ma le autorità europee e l’Agenzia italiana del farmaco hanno già dichiarato che nel nostro Paese i prezzi saranno più bassi.

È opinione condivisa che si sia di fronte a un trattamento con grandi potenzialità – qui ne parla un ricercatore della Fondazione Gimema, finanziata dall’Ail, Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma -, forse la cura che da anni tanti malati attendevano. Ma è ancora difficile determinare come e con quali tempi questa strategia terapeutica potrà essere applicata a tutti i pazienti che ne avrebbero necessità.

In queste settimane tante persone stanno creando delle raccolte fondi sul sito GoFundMe per poter avere il denaro utile per accedere alla terapia. Due in particolare le storie emblematiche arrivate sulla piattaforma di crowdfundingSoraya e Calogero.

1. Soraya è una giovane donna di 33 anni nata in Andalusia. Soffre di leucemia linfoblastica acuta, un tipo di cancro molto resistente. La sua salute adesso è così fragile che l’unica opzione presa in considerazione dai medici è di sottoporla proprio alla Car-T. Per questo motivo ha lanciato una raccolta fondi che in pochi giorni è diventata virale sui social in Spagna.

2. Calogero è un 27enne studente di Economia di Nissoria, in provincia di Enna. Due anni fa ha scoperto di avere un linfoma aggressivo, resistente a più linee di terapia: nemmeno la chemio ha avuto un effetto rilevante. Per lui l’ultima possibilità di cura risiede nella “Car-T”, terapia economicamente fuori dalla portata della sua famiglia. Le sorelle di Calogero hanno attivato una raccolta fondi sociale che in tre giorni è arrivata a 100mila euro grazie alle donazioni di quasi 6mila persone.

ILFQ

Il salvaladri ha un papà: il processo breve di B. - Giacomo Salvini

 

In quel novembre del 2009 spirava un vento di “pacificazione nazionale”. Per dirla con Luciano Violante, ex presidente della Camera, era necessario porre fine al “conflitto tra politica e magistratura”. Undici anni e molta acqua sotto i ponti più tardi, il film è lo stesso. Al governo non ci sono più Silvio Berlusconi e Angelino Alfano (ministro della Giustizia), ma Mario Draghi e Marta Cartabia. Eppure la voglia di restaurazione è la stessa di allora. La riforma del processo penale dell’attuale Guardasigilli, approvata all’unanimità in Consiglio dei ministri, infatti, ha un padre che risale ai tempi d’oro del berlusconismo: il “processo breve”. Una legge concepita con un obiettivo preciso: salvare il presidente del Consiglio dai suoi processi. Oggi, invece, il governo dei “migliori”, sempre a trazione centrodestra, con la scusa di velocizzare i tempi della giustizia, ha deciso di cancellare con un tratto di penna la riforma “Bonafede” che stoppava la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Come? Tornando indietro di 12 anni, resuscitando il progetto di legge di Berlusconi-Alfano-Ghedini.

Allarme Salvare Silvio a tutti i costi da Mills.

A fine 2009, a Milano, incombeva il processo per frode fiscale nel caso Mediaset, per corruzione giudiziaria nel processo Mills, mentre a Roma per istigazione alla corruzione di alcuni senatori del centrosinistra. Così, dopo aver vinto le elezioni un anno e mezzo prima, nel primo anno e mezzo di legislatura Berlusconi riesce a piazzare ben quattro leggi ad personam: la “blocca processi”, il ddl Intercettazioni, lo scudo fiscale e il “lodo Alfano” che rendeva immuni le principali cariche dello Stato. Nell’ottobre 2009 però la Corte costituzionale dichiara incostituzionale il “lodo Alfano”. C’è bisogno di mettere una pezza subito per evitare che riprendano i processi in corso. Così, provvidenziale, arriva l’ennesima legge ad personam: il “processo breve”. Nel novembre 2009 i responsabili giustizia dei partiti di maggioranza, Matteo Brigandì (Lega), Giulia Bongiorno (An) e Niccolò Ghedini (Forza Italia) iniziano a studiare una legge per salvare il premier dai processi, soprattutto da quello con l’avvocato Mills, il più pericoloso. Il 12 novembre, dopo un incontro risolutore tra Berlusconi e Fini, l’accordo è raggiunto: il capogruppo e vice capogruppo del Pd al Senato, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, presentano un ddl per “tutelare i diritti e le garanzie del cittadino”. Il principio è semplice: la legge stabilisce che se un processo non si conclude entro una certa data, scatta la prescrizione. Sei anni in tutto: 2 dalla richiesta di rinvio a giudizio, 2 per l’Appello e 2 per la Cassazione. Se il processo dura anche solo un giorno in più, muore. La legge non si applica per i delitti gravissimi e per gli imputati recidivi: vale per i reati puniti fino a 10 anni e per gli incensurati. Inclusi i reati contro la pubblica amministrazione. Quelli che interessano a Berlusconi e ai colletti bianchi. La legge Cartabia di oggi sembra copiata per quanto è simile: la prescrizione si blocca dopo la sentenza di primo grado, ma da quel momento il processo si deve celebrare in Appello in 2 anni e in Cassazione in 1. Altrimenti scatta l’improcedibilità. Ergo: la prescrizione.

Mannaia Mediaset, Cirio: procedimenti in fumo.

Il governo nasconde una norma ad personam dietro a un trucco linguistico – il “processo breve” – ma i magistrati non la bevono: l’Anm parla di “riforma devastante”, il Csm calcola che si estingueranno il 40-50% dei processi. Alfano assicura che “solo l’1% dei procedimenti in corso è a rischio”, ma anche ad Arcore c’è chi prende le distanze. Addirittura l’altro avvocato di B. Gaetano Pecorella si dissocia: “La legge risponde a esigenze demagogiche e populiste – dice – la corsia preferenziale per gli incensurati è irragionevole e se il processo è molto complesso è difficile che si celebri in due anni”.

Dopo le proteste, la legge viene un po’ modificata in Parlamento: il processo breve si applicherà a tutti gli imputati senza distinzione e i procedimenti si estinguono in 3 anni per il primo grado, 2 in Appello e 1 anno e 6 mesi per la Cassazione. La norma transitoria è quella ad personam perché fa scattare il processo breve per tutti i reati commessi prima del maggio 2006 tra cui quelli del processo Mills e Mediaset. Insieme a questi moriranno anche tutti gli altri procedimenti che vedono imputati i colletti bianchi: i crac Cirio e Parmalat, le scalate illegali di Antonveneta e Bnl, lo spionaggio Telecom e lo scandalo Calciopoli. Tutto prescritto. La legge viene approvata al Senato con 163 voti del Pdl, 130 no di Pd, Udc e Idv, ma il “processo breve” non sarà mai legge dello Stato: il governo lo usa come grimaldello per approvare un’altra legge ad personam, il “legittimo impedimento”.

Quirinale Persino re Giorgio si oppose al governo.

In quei giorni, l’approvazione della riforma aveva fatto scattare la rivolta nel centrosinistra. Il Pd minacciava fuoco e fiamme: Luigi Zanda chiedeva al premier di “venire in aula a riferire” sulle 10 domande poste da Repubblica sul caso escort, mentre i leader dem annunciavano le “barricate”. Anna Finocchiaro sull’Unità parlava di “amnistia mascherata”. Ancora Pier Luigi Bersani: “Se cancelliamo i processi sarà scontro”. Il più duro era il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, che parlava addirittura di “crimine” di cui era “complice” Fini. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano provò a influenzare le mosse di Palazzo Chigi: “No alle riforme di corto respiro” fu il monito. Anche i quotidiani iniziarono una campagna durissima contro la legge. Repubblica di Ezio Mauro parla di “legge salva-premier”, pubblica le denunce dei pm e schiera le migliori firme contro la norma. Massimo Giannini accusa B. di “stato di eccezione”, Giuseppe D’Avanzo di legge “che sfascia la già malmessa macchina giudiziaria” e Curzio Maltese di “vergogna al potere”. Si immola anche Roberto Saviano che chiede al premier di ritirare “la norma del privilegio”. Anche L’Unità titola contro il self made laws (l’uomo che si fa le leggi da solo) e la direttrice Concita De Gregorio scrive della “ossessione di uno solo”. Anche il Corriere e il Sole 24 Ore si schierano: per Sergio Romano sono “riforme piccole e sbagliate” mentre il quotidiano di Confindustria fa il conto dei processi a rischio (100 mila). Oggi, invece, 12 anni dopo, è tutto cambiato: il Pd sostiene la riforma Cartabia che sulla prescrizione è identica a quella del 2009. La differenza? Al posto del “diavolo” Berlusconi a Palazzo Chigi c’è Draghi e il governo dei migliori. Quindi va bene tutto. Anche a costo di rinnegare anni di battaglie.

ILFQ

giovedì 15 luglio 2021

Meglio Genny ’a Carogna. - Marco Travaglio

 

Ora della trattativa Stato-Bonucci c’è pure il video, col vicecapitano che negozia da pari a pari coi responsabili della sicurezza. Il resto della scena, più umiliante della trattativa fra Polizia e Genny’a Carogna (che almeno era un pregiudicato pericoloso), lo racconta il prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, al Corriere: “Avevamo negato il permesso all’autobus scoperto, ma i patti non sono stati rispettati”. Da un lato il no dei ministri della Salute e dell’Interno, del capo della Polizia e del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza, per “evitare assembramenti” e far incontrare giocatori e tifosi in piazza del Popolo o davanti Palazzo Chigi per “tenere sotto controllo la folla in un unico luogo, verificando che tutti indossassero le mascherine come prevede il decreto”. Dall’altra la Figc che, “dopo l’uscita dal Quirinale”, sfodera il bus scoperto per forzare la mano col fatto compiuto, mentre “Bonucci e Chiellini rappresentavano con determinazione il loro intendimento. Non s’è potuto far altro che prendere atto della situazione e gestirla nel migliore dei modi”. Cioè nel peggiore: “solo le forze di polizia indossavano la mascherina”. Che fa dunque il rappresentante del governo e responsabile dell’ordine pubblico nella Capitale d’Italia? Si dimette per la resa ingloriosa a quattro pallonari viziati e tracotanti? No, piagnucola, “amareggiato dalla mancanza di rispetto”, ergo in futuro “tratteremo direttamente coi calciatori”. Cioè persevererà nell’errore: nessuno Stato serio mercanteggia con chi grida più forte per esentarlo dal rispetto delle leggi. Dagospia, mai smentito, racconta pure una lite tra il ministro Speranza e il capitano Chiellini, chiusa da una “lavata di capo” di Draghi: non a Chiellini, che pretendeva di calpestare il decreto (di Draghi), minacciando di non presentare la squadra da Draghi; ma a Speranza, che voleva farlo rispettare.

(A)morali della favola. 1) Più che “al centro dell’Europa”, siamo al centro del Terzo mondo (chiedendo scusa al Terzo mondo). 2) Lo Stato dei Migliori è la solita Italietta alle vongole del panem et circenses. 3) Il dl Draghi sulle “riaperture in sicurezza” vale per tutti, ma non per il calcio, il solito mondo a parte extra-territoriale ed extra-legale. 4) Il diritto alla salute un anno fa era al primo posto, poi coi Migliori passò al secondo dietro i profitti di Confindustria e ora è scavalcato pure dai capricci di quei tizi in mutande che han messo in mutande lo Stato. 5) Il Governo dei Migliori è molto più populista di tutti i populisti propriamente detti. 6) I ristoratori, baristi, negozianti, artisti, gestori di disco, palestre e piscine falliti o quasi per le regole anti-assembramento, ma anche i cittadini multati perché cercavano funghi nei boschi o correvano al parco sono un branco di fessi.

ILFQ

mercoledì 14 luglio 2021

Delirio calcistico: la scuola pagherà le conseguenze. - Tomaso Montanari

Ferdinando di Borbone

Dal classico panem et circenses al borbonico “festa, farina, forca”, tutta la tradizione occidentale denuncia l’uso scellerato che il potere ha sempre fatto di quelle che oggi chiamiamo vittorie sportive. Dunque, perché scandalizzarsi dell’indecente operazione affidata ai più servili tra i servilissimi giornalisti italiani, con cui i vertici della Repubblica stanno usando la vittoria della Nazionale per legittimare se stessi e la retorica dell’unità? Per due ragioni, una politica e una di fatto: le parole scelte da Mario Draghi e la pandemia.

Sulla seconda cos’altro si può dire se non che ci siamo lasciati andare a una specie di rito tribale collettivo in cui sfidiamo la morte andando incontro ai proiettili a petto nudo? La finale di Wembley era surreale, con il presidente e la famiglia reale che benedicevano la follia della Coppa Delta, perfettamente consapevoli che tutto il rito, e poi soprattutto i festeggiamenti, avrebbero violato ogni norma stabilita dai rispettivi governi. I numeri del contagio inglese sono impressionanti: il giorno della finale i nuovi casi erano 31.382. E nessuno sa cosa quest’onda significherà per la popolazione non ancora vaccinata, e per la possibilità che essa porti a una variante letale, cioè resistente ai vaccini. Siamo sull’orlo di un vulcano: e sembra che chi dovrebbe avvertire il peso terribile della responsabilità di tutti ci stia invece spingendo di nuovo dentro il cratere. E già si capisce che, con un amarissimo simbolo, a fare le spese del delirio calcistico potrebbe essere la scuola: già zoppa per l’incapacità del governo di provvederla di aule e insegnanti, e ora a rischio di vedersi infliggere un altro autunno a distanza. E se tutto questo non succedesse, se ancora una volta la sfangassimo? Ebbene, quanti azzardi vogliamo inanellare, uno dietro l’altro? La roulette russa è forse diventata uno stile di governo?

Proprio la scuola è chiamata in causa dalla prima ragione per cui il trionfo degli Azzurri ricorda così tanto la bellissima e terribile sequenza finale di "In nome del popolo italiano" (1971) di Dino Risi, dove la bancarotta morale di un intero popolo si manifesta nei festeggiamenti per una vittoria della Nazionale proprio sull’Inghilterra. Mario Draghi, infatti, ha ringraziato gli Azzurri “per aver rafforzato in tutti noi il senso di appartenenza all’Italia. Lo sport insegna, unisce, fa sognare, è un grande ascensore sociale. Un argine al razzismo, uno strumento di coesione soprattutto in un periodo difficile come quello che abbiamo vissuto”. Il governo più oligarchico e antipopolare dell’Italia repubblicana indossa la maschera del più spinto populismo, cavalcando nel modo più rivoltante il consenso alla squadra vincente. Invece di investire tutto su scuola, istruzione e ricerca (che davvero insegnano, creano coesione sociale e costruiscono ascensori sociali), questo governo continua a puntare sullo stravolgimento del territorio, sulla macelleria sociale dei licenziamenti, contro ogni redistribuzione della ricchezza. E poi si rivolge agli italiani – e proprio a quelli che massacra di più, quelli a cui rimane solo il calcio per gioire e trovare motivi di appartenenza a questo Paese – carezzando, a favore di telecamere, Mancini, Chiellini e la coppa.

E ci mancava solo “l’argine al razzismo”! Bell’argomento ha scelto Draghi per esaltare questa squadra di camaleonti che (al contrario di Berrettini) ha dichiarato di non essere interessata a combattere perché contino anche le vite dei neri, inginocchiandosi (comicamente) solo quando si trova a giocare contro una squadra che invece ci crede. Ma si capisce che, alla vigilia del rinnovo degli accordi col mattatoio libico, qualche parola per i neri il governo debba pur spenderla. Sarà impopolare dirlo, ma Mario Draghi ha offerto questa coppa al popolo italiano usandola come l’ombrello di Cipputi. Festa, farina, forca: e senza farina.

ILFQ

Matteo Berrettini.

 

Eccolo, bello, bravo e promettente!

Grazie, Matteo.

La foto più bella della vittoria degli azzurri, Chiellini abbraccia la Raggi.

 

Commovente! 

Abbraccio spontaneo!

Ma fatevi una vita. - Marco Travaglio

 

Da quando la Nazionale ha vinto con merito l’Europeo, una congrega di spostati e pipparoli da Twitter e da carta straccia se la prende col Fatto come se avessimo perso noi. Tutto, come sempre accade nell’“informazione” all’italiana, si basa su una fake news: e cioè che noi tifassimo Inghilterra. Cosa che nessuno ha mai detto o scritto, anche se non ci sarebbe stato nulla di male: ciascuno ha il diritto di tifare per chi gli pare o di non tifare per nulla. L’unico articolo uscito sul Fatto contro la vittoria della Nazionale l’ha firmato Massimo Fini che, prevedendo al dettaglio l’uso politico della vittoria da parte di Draghi&C. (come in passato con Spadolini, Pertini e altri papaveri), confessava di tifare Belgio. Ma i due maggiori cazzari della politica non hanno nulla di meglio da fare che commentare ciò che non ho mai detto. E svariati “colleghi”, un istante dopo il rigore sbagliato da Saka, anziché gioire per l’Italia già twittavano contro di me (ma come siete messi? ma fatevi una vita). “Travaglio non ne azzecca una”: peccato che non avessi fatto alcun pronostico. Rispondendo alla Gruber, avevo solo detto che nelle eliminatorie avevamo battuto tre squadrette ed era presto per esultare. Peraltro, diversamente da chi vive in diretta social h 24, anche quando va al cesso, convinto che le sue gesta appassionino i più, non ho mai pensato che il mio tifo interessi a qualcuno. Ma c’è sempre chi me lo chiede. Ai tempi del doping e di Calciopoli, tifai contro la mia Juve finita nelle grinfie del clan Moggi e contro la Nazionale di Lippi &C. che ne era la legittima erede, nell’illusione di una bonifica. Ma il calcio restò marcio. E il tifo è roba di pancia: dalla mia non sale più nulla.

Domenica ho sofferto per Berrettini, poi ho assistito alla finale di Wembley nella più assoluta indifferenza: come se giocassero Malta e Lussemburgo. Meno indifferente mi lascia l’uso politico che il governo Draghi e i suoi trombettieri, molto più populisti di chi fingono di combattere, fanno della vittoria: prima profittando della distrazione generale per infilare il Salvaladri, come B. il 13 luglio ’94 (semifinale mondiale); poi calandosi le brache dinanzi agli azzurri per il bagno di folla in pullman contro il parere dei ministri della Salute e dell’Interno, in una “trattativa Stato-Bonucci” che ha coperto di ridicolo le istituzioni, oltre ad aggiungere focolai di Covid a quelli delle “notti magiche” con ammucchiate di piazza. Un discorso a parte meriterebbe un noto leccapiedi dal nome volatile che su Rep distribuisce patenti di “cretino anti-tifoso” a chi non lecca con e come lui. Ma, diceva La Rochefoucauld, “in questi tempi difficili è opportuno concedere il nostro disprezzo con parsimonia, tanto numerosi sono i bisognosi”.

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