mercoledì 16 marzo 2016

Mafia Capitale, il caso Sacrofano: paese regno di Carminati, guidato dall’ex ras del Msi e impossibile da sciogliere. - Marco Pasciuti

Mafia Capitale, il caso Sacrofano: paese regno di Carminati, guidato dall’ex ras del Msi e impossibile da sciogliere

A 15 mesi dallo scoppio dello scandalo e a 14 mesi dall'avvio dell'iter di commissariamento, il governo non ha ancora deciso il destino del comune alle porte di Roma, per i magistrati base operativa del clan del "cecato". Alfano parla di un nuovo "monitoraggio", ma in municipio nessuno sa nulla e lo scorso agosto il prefetto Gabrielli aveva annunciato che ne avrebbe chiesto lo scioglimento. Risultato: i sospetti non sono stati fugati e il sindaco Tommaso Luzzi, nato e cresciuto politicamente nella destra romana e indagato per associazione mafiosa, rimane al suo posto.


E’ tutto coperto da segreto
Secretata la relazione della commissione di accesso, secretata anche quella del prefetto Gabrielli. Il ministro dell’Interno ha annunciato ieri che nel comune è stato “attivato un gruppo di esperti per un costante monitoraggio”, ma in municipio non ne sanno nulla. Intanto è passato oltre un anno dal 2 gennaio 2015, giorno in cui vennero nominati i commissari chiamati a stabilire se a Sacrofano, 7mila anime sulla via Flaminia, c’era la mafia. Quella stessa Mafia Capitale capeggiata da Massimo Carminati, che a Sacrofano aveva residenza e base operativa, capace secondo i pm di piazzale Clodio di infiltrare il Campidoglio e le amministrazioni pubbliche di Roma e provincia. Quattordici mesi senza che nessuno abbia detto una parola chiara sulla questione, passati i quali Tommaso Luzzi, il sindaco indagato per associazione di stampo mafioso, è ancora al suo posto.
Tutto comincia la mattina del 2 dicembre 2014, quando scoppia lo scandalo di Mafia Capitale che investe, oltre a Roma, 4 comuni della provincia: Castelnuovo di Porto, Morlupo, Sant’Oreste e, appunto, Sacrofano. La macchina dei controlli si mette subito in moto: per Sacrofano la commissione di accesso agli atti viene nominata dal prefetto Giuseppe Pecoraro il 2 gennaio 2015, si insedia l’8 gennaio, conclude i propri lavori l’8 luglio e invia la propria relazione al nuovo prefetto Franco Gabrielli. Il quale, il 19 agosto 2015, nel corso della riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza, annuncia che avrebbe sottoposto al Viminale la proposta di scioglimento per infiltrazioni mafiose solo nel caso di Sacrofano.
Sulla faccenda cade una coltre di silenzio che dura mesi, poi il 26 gennaio 2016 il prefetto cambia idea: “Con riferimento alle commissioni d’accesso nei 4 comuni toccati dall’inchiesta del Mondo di mezzo, l’attività si è conclusa – spiega quel giorno in audizione in commissione Antimafia – su Sacrofano ci sono alcuni interventi su alcuni dirigenti. Non si è ritenuto di sciogliere nessuna delle assemblee dei 4 comuni”. Quali sono gli interventi? Vengono rimossi la responsabile dell’ufficio urbanistico e uno dei dirigenti dell’ufficio raccolta rifiuti. Provvedimenti ritenuti insufficienti da Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, che nella stessa sede avanza una richiesta precisa: Morlupo e Sacrofano “sono realtà che necessitano di un monitoraggio dal quale si possa prevedere la nomina di nuove commissioni d’accesso”. In particolare a Sacrofano “il monitoraggio deve esser particolarmente penetrante e potrebbe portare ad ulteriori approfondimenti“.
Solo 24 ore dopo, il 27 gennaio, il maresciallo capo del Ros Roberta Cipolla viene ascoltata come testimone nell’aula bunker del tribunale di Roma in cui si celebra il processo a Mafia Capitale. E fa da contraltare alle parole di Gabrielli confermando i legami tra Carminati e Luzzi: a fare da collante tra i due – spiega il maresciallo – è Giuseppe Ietto, imprenditore che il gip definisce “colluso” perché “partecipa all’associazione mettendo a disposizione le proprie imprese e attività economiche nel settore della ristorazione”. 
Detto l’ingegnere, Ietto aiuta Carminati a organizzare una cena di fine campagna elettorale per Luzzi. “Vonno fatto pesce, famo pesce, volemo fa’ de carne, famo de carne. (…) Per Tommaso la faccio de lusso”, spiegava il cecato a Gaglianone il 6 maggio 2013, due settimane prima della cena imbandita in piazza il 24 maggio, a due giorni dalle elezioni.
Passano altri due mesi di silenzio e il 15 marzo il ministro Alfano spiega in Antimafia: “E’ stato attivato su mia precisa indicazione, presso la prefettura di Roma, un gruppo di esperti per un costante monitoraggio dei comuni di S. Oreste, Sacrofano e Morlupo. Queste tre amministrazioni verranno controllate negli ambiti più sensibili fino al mese di dicembre prossimo e anche oltre, se sarà necessaria una proroga della misura”.
A Sacrofano nessuno sa nulla. “Qui non risulta – spiega aIlFattoQuotidiano.it Gianluigi Barone, consigliere comunale diSacrofano Progetto Comune – a noi non è stato comunicato l’insediamento né l’inizio dei lavori di alcun gruppo di esperti”. Altra singolarità: per Sant’Oreste e Morlupo i procedimenti erano stati dichiarati dallo stesso Viminale conclusi da tempo. Lo si legge sul sito del ministero, nell’apposita sezione, intitolata “Insussistenza dei presupposti per lo scioglimento degli enti locali per condizionamento mafioso, dove vengono pubblicati i decreti con i quali – in base all’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali che regola l’iter di commissariamento – il ministero certifica la fine dei procedimenti: sul procedimento relativo a Sant’Oreste il Viminale aveva messo una pietra sopra l’11 novembre 2015, quello in carico al comune di Morlupo era stato dichiarato concluso il 28 ottobre
Per avere un’idea più chiara bisognerebbe leggere le relazioni della commissione d’accesso e del prefetto, ma non si può.  “Noi abbiamo chiesto di leggere la relazione del prefetto attraverso una richiesta di accesso agli atti – spiega ancora Barone – ma il 12 ottobre 2015 ci è stato risposto che il procedimento era ancora secretato perché in fase istruttoria”. Impossibile conoscere anche la data in cui la prefettura ha inviato la relazione al Viminale: alla nostra richiesta, il ministero ha risposto con il silenzio.
Il comma 5 dell’articolo 143, poi, prevede che in casi come questo “in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 (collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ndr) con decreto del Ministro dell’interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente”. Ma il ministero non è obbligato a pubblicare il decreto e anche sulle motivazioni per le quali il Viminale ha deciso per il supplemento di indagine è sceso il silenzio. Morale della favola: a 15 mesi dallo scoppio di Mafia Capitale e a 14 mesi dall’avvio dell’iter di commissariamento per mafia, i sospetti non sono stati fugati e il sindaco di Sacrofano Tommaso Luzzi, indagato per associazione mafiosa, rimane al suo posto.
Eppure “la legge ha una logica ben precisa – spiega Giulio Marotta, responsabile dell’Osservatorio di Avviso Pubblico, la rete degli enti locali contro le mafie – quando ci sono dei gravi sospetti sull’esistenza di possibili infiltrazioni mafiose in un’amministrazione pubblica, bisogna prendere una decisione in tempi brevi“. “Il procedimento dell’art. 143 – continua Marotta – è estremamente scadenzato: la commissione di accesso ha tre mesi, rinnovabili per altri tre mesi, per indagare e inviare la sua relazione al prefetto; quest’ultimo ha 45 giorni per inviare la sua relazione al ministero; il governo poi ha 3 mesi per decidere, qualunque sia la decisione finale, scioglimento oppure archiviazione. Lo scopo della legge è chiaro: occorre acquisire celermente tutti gli elementi utili e poi informare l’opinione pubblica e gli elettori sulle responsabilità accertate e su tutte le misure utili a ripristinare la legalità, evitando che un’amministrazione su cui pende un sospetto di infiltrazione mafiosa rimanga sottoposta a tale sospetto troppo a lungo“. Troppo tardi.
SACROFANO, LA TERRAZZA DALLA QUALE CARMINATI COMANDAVA SU ROMA
I pm di Roma non hanno dubbi: Sacrofano era il quartier generale della cupola. Lì, in via Monte Cappelletto 12, c’è la villa in cui viveva Carminati; lì ha la sua ditta Agostino Gaglianone, costruttore, braccio operativo del Nero nel settore del mattone, arrestato pure lui per associazione di stampo mafioso; lì viveva Riccardo Brugia, braccio militare del sodalizio; lì è domiciliato anche Cristiano Guarnera, altro ras del cemento cui la Guardia di Finanza ha sequestrato beni per 100 milioni di euro. Ma fino al 30 novembre 2014 era stato un paesino come tanti. Tutto cambiò quella mattina, quando i carabinieri bloccarono una Smart in una stradina di campagna e fecero scendere l’uomo alla guida: per una volta impaurito, Carminati, uno dei quattro re di Roma, alzò le mani e scese dalla macchina. Quel giorno si cominciò a capire che Sacrofano, 7mila abitanti sulla via Flaminia, era la terrazza dalla quale l’imperatore comandava su Roma.
Per comandare servono i luogotenenti. Nel 2013 Tommaso Luzzi è presidente e amministratore delegato di Astral, società che gestisce la viabilità della regione Lazio. A gennaio i rapporti con la cupola si fanno più stretti, quando Salvatore Buzzi fa assumere nelle sue cooperative alcune persone di Sacrofano su richiesta del sindaco. Risultato: “6 segnalati, 4 assunti, 1 ha rinunciato, 1 inadeguata”. Ben presto a Carminati serve che Luzzi diventi sindaco a Sacrofano. Così si mette a disposizione per organizzare con Gaglianone una bella cena di fine campagna elettorale: “Tu metti il locale, io metto il catering“. “Perché Tommaso a me – raccontava Carminati al figlio Andrea il 4 maggio 2013 in un bar di Vigna Stelluti – me serve lì in zona da noi come sindaco”. “La settimana prossima – continua – vieni a cena con me. Quella sera verrà forse anche Gramazio. Luca c’ha trent’anni e fa il capogruppo alla Regione. Il padre è senatore”.
Il trentenne è Luca Gramazio, figlio del senatore Domenico: alla Pisana è capogruppo del Pdl. “Gramazio aveva sostenuto la candidatura a sindaco del Luzzi – si legge nell’ordinanza del dicembre 2014 – ma la politica amministrativa del sindaco di Sacrofano appariva, nelle parole dei sodali, ampiamente vincolata alle decisioni intraprese dall’organizzazione”. Cosa spingeva Luzzi, effettivamente eletto il 27 maggio 2013, a obbedire a Carminati? “Gramazio – continuano gli inquirenti – in Consiglio regionale era anche membro della Commissione Bilancio, pertanto, nelle condizioni di influire sulla disposizione di fondi da assegnare agli enti localiUna “capacità coercitiva dell’organizzazione” esemplificata come meglio non si potrebbe dallo stesso Carminati: Luzzi “non può fare nulla – domanda in via retorica il boss a Gaglianone il 18 aprile 2014 – perché i soldi vengono dalla Regione, se lui non fa quello che dimo noi, Luca (Gramazio, ndrgli blocca tutto“.
LUZZI, LE RADICI NELLA DESTRA ROMANA E IL GRUPPO STORICO DI ALLEANZA NAZIONALE
Un humus politico e umano, quello della destra romana, in cui si muovono diversi protagonisti dell’inchiesta di Mafia Capitale – da Gianni Alemanno a Carlo Pucci, fino a Luca Gramazio – figlio del senatore Domenico cui Luzzi è “da sempre al fianco“, si legge sul sito del comune di Sacrofano – a processo per associazione mafiosa. “Il 19 ottobre 2015 Luzzi ha organizzato una manifestazione a sostegno dell’amministrazione comunale – continua Barone – da Roma sono venuti il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri e il senatore Domenico Gramazio, padre di Luca”. Amici “di tante battaglie”, come scriveva Gasparri in un tweet del 24 maggio 2013, il giorno della cena organizzata da Carminati e 3 giorni prima che Luzzi venisse eletto sindaco, in una manifestazione a sostegno dell’amico. Un’amicizia pluridecennale, un rapporto che si perde nella storia della destra romana per Luzzi, che vanta un passato illustre nel Movimento Sociale Italiano: dal 1975 al 2001, segretario politico (“il più giovane d’Italia”) del circolo Appio Latino Metronio, prima sede nella capitale del Msi dal 1947, poi membro del gruppo storico di Alleanza Nazionale con i vari Gianfranco Fini, Francesco Storace, Domenico Gramazio, Altero Matteoli, lo stesso Gasparri. E poi una vita nel consiglio della Regione Lazio, di cui diventerà vice-presidente, sotto le insegne di An.
IL COMMISSARIAMENTO? UNA QUESTIONE POLITICA
Diversi i  processi nel curriculum di Luzzi, da ultimo lo scandalo Mafia Capitale. “Perché rimuovere due dirigenti non indagati e lasciare al suo posto il sindaco indagato?”, domanda ancora Barone. La questione è di natura politica: secondo il comma 7 dell’articolo 143 del Tuel, “nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, il Ministro dell’interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione del prefetto, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui dà conto degli esiti dell’attività di accertamento”. Cosa che il Viminale non ha fatto, perché il procedimento non è concluso.
Quindi il ministero si trova di fronte a due alternative, entrambe così rischiose da dover essere evitate: “Se il governo commissaria Sacrofano – conclude Barone – e quindi stabilisce che nel paese regno di Carminati c’è un sodalizio mafioso, saranno in molti quelli che si domanderanno per quale motivo l’assemblea comunale di Roma non è stata sciolta, come ha già fatto lo stesso Luzzi. D’altra parte, mettere nero su bianco che a Sacrofano la mafia non c’è e che tutto è stato risolto con la rimozione di due dirigenti è pericoloso per Alfano: se, infatti, Carminati e soci venissero condannati nel processo, il ministro verrebbe sbugiardato. Meglio quindi lasciare tutto a bagnomaria”. Ovvero non fare nulla, rimandare ogni intervento e attendere l’esito del processo.

Italiani uccisi in Zimbabwe. - Walter Caporale



Eccoli i due ITALIANI ASSASSINI UCCISI OGGI IN ZIMBABWE. Ed io dovrei piangere per la loro morte??? Comunicato Stampa - ZIMBABWE: UCCISI DUE CACCIATORI PROFESSIONISTI ITALIANI. VIVEVANO IN ZIMBABWE PER UCCIDERE ANIMALI E GUIDARE SAFARI. - 

Roma, 14 marzo 2016. Lo Zimbabwe è uno dei meravigliosi Paesi Africani dove da anni, purtroppo, per far fronte alla crisi economica, cacciatori assassini europei ed americani pagano circa 500 euro al giorno per uccidere, legalmente, animali protetti in altre zone ed in via di estinzione: leoni, elefanti, rinoceronti, giraffe, bufali...

Claudio Chiarelli si era trasferito da decenni in Africa per seguire le sue due grandi passioni: la caccia e la natura. 
Insieme al figlio, anche lui cacciatore, erano diventati Guide Safari e per cacciatori. " La morte dei due cacciatori italiani non mi sorprende:" dichiara Walter Caporale, Presidente degli Animalisti Italiani Onlus - chi semina vento raccoglie tempesta. 
Ci dicono che i due cacciatori sono stati uccisi durante una azione contro i bracconieri. Io frequento l'Africa da molti anni e posso garantire che purtroppo la corruzione è capillare e diffusissima e che tutti - italiani e locali - accettano soldi per la caccia anche di frodo. 
Le stesse Guardie dei Parchi, pagate in genere dai 100 ai 300 euro massimo al mese, sono le prime ad essere disponibili per i cacciatori italiani ed occidentali, anche per la loro profonda conoscenza degli animali e del territorio. 
Dunque: nè santi nè eroi nè profeti. I due cacciatori italiani sono morti perché avevano scelto di vivere in Zimbabwe e di dedicare la loro vita alla caccia ad animali selvatici e selvaggi. 
Del resto, Claudio e Massimiliano sono stati uccisi nelle stesse zone in cui Walter Palmer, il criminale dentista americano ammazzó nei mesi scorsi, oltre ad altre centinaia di elefanti e giraffe, il leone Cecil. 
In Africa tutti fingono di combattere il bracconaggio, e magari ogni tanto lo fanno anche per coprire le apparenze: dopodiché il 90% delle stesse persone che va a caccia, accetta soldi dai turisti occidentali che vogliono provare l'ebbrezza criminale, immorale, vile ed ignobile di uccidere un leone o un elefante".








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lunedì 14 marzo 2016

Attrazione fatale!


Foto di Toni Tino

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Spese pazze alla Regione Sicilia: soldi pubblici per musica, giocattoli e gioielli.




La Corte dei Conti ha condannato in primo grado alcuni parlamentari dell'Ars, l'assemblea regionale siciliana. Le indagini della Corte dei Conti, che ora coinvolgono altri parlamentari siciliani, si concentrano sugli acquisti effettuati con soldi pubblici e non rendicontati. Dalle carte emergono acquisti di giocattoli, musica, abbigliamento.

https://www.youtube.com/watch?v=9ROvMQZcHcY

Abruzzo, i fiumi “malati” di salmonella. E l’azienda che dovrebbe vigilare è stata sanzionata per scarichi inquinanti. - Maurizio Di Fazio



Scarichi abusivi, sia civili che industriali in aumento. Depuratori fuori norma o ko. Discariche en plen air. L'ente, che si finanzia con le bollette dell'acqua e che dovrebbe aiutare a vigilare, ha ricevuto undici verbali di contestazione con sanzioni di decine di migliaia di euro.

Scarichi abusivi, sia civili che industriali in aumento. Depuratori fuori norma o ko. Discariche en plen air. I fiumi abruzzesi sono malati, affetti dalla salmonella e da altri agenti patogeni che si trasmettono all’uomo. Il loro inquinamento è pericoloso per la nostra salute e compromette la balneabilità delle acque, e così le stesse potenzialità turistiche di una regione baciata dai parchi nazionali, dalle montagne e da una costa lunghissima. L’estate è vicina, eppure manca ancora un’autentica e condivisa politica di risanamento ambientale. E latita anche una vera e sistematica operazione-trasparenza “attraverso la pubblicazione di tutti i dati sulla depurazione e la qualità delle acque in possesso di Arta (Agenzia regionale tutela ambiente), province e società di gestione; la divulgazione delle sanzioni elevate per gli scarichi non a norma; la pubblicazione dei progetti in corso o finanziati o in programma su un unico sito della Regione, con informazioni aggiornate sullo stato di avanzamento dei lavori”.
La denuncia arriva dal Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua, che ha chiamato a raccolta in una mega-manifestazione oltre cinquanta tra comitati, associazioni e sigle sindacali, al grido di “Ora basta. Vogliamo mari e fiumi puliti”. “Stop a nuove captazioni: i fiumi non possono tollerare altri prelievi. Semaforo verde per un programma straordinario di controllo e bonifica dai rifiuti delle aree golenali, e per l’utilizzo anche di droni per scoprire gli inquinatori. Maggiori fondi alla depurazione e per il rinnovo delle reti idriche colabrodo” le altre richieste urgenti del Forum.
L’aggiornamento dei siti web istituzionali procede a singhiozzo, e a rilento, i monitoraggi sono a macchia di leopardo e pertanto per avere un quadro e una prospettiva d’insieme non resta che incrociare gli ultimi dati resi pubblici dall’Arta relativi al 2014. L’hanno fatto gli ambientalisti locali, scoprendo criticità allarmanti. “È venuto fuori che su 154 controlli per la ricerca di salmonella sulle acque superficiali, tra le province di PescaraL’Aquila e Chieti, ben 73 sono risultati positivi, pari al 47% del totale”. E si viene spesso a conoscenza di problemi igienico-sanitari fluviali solo quando un singolo sindaco dirama un’ordinanza di divieto di uso dell’acqua.
Anche la quantità appurata di escherichia coli (che può provocare vomito, diarrea acuta, crampi addominali…) era sovente al di sopra del tetto massimo consentito di 4 mila UFC/100 ml. “Il record è quello di Fosso La Raffia vicino Capistrello e Avezzano, con una punta di 1.100.000 UFC/100 ml”. Fiumi-cloaca, insomma, in certi tratti, considerata pure la presenza non occasionale di tracce di zincosolventi clorulaticadmio.
Secondo le ragioni di chi protesta, sul banco degli imputati ci sono i controllori politici e gli organi di gestione come l’Aca (Azienda comprensoriale acquedottistica). L’anno scorso quest’ente, che si finanzia con le bollette dell’acqua e che dovrebbe aiutare a vigilare sull’inquinamento del fiume, ha ricevuto undici verbali di contestazione con sanzioni di decine di migliaia di euro. Per scarichi reflui non autorizzati e per il superamento dei limiti di legge degli inquinanti fuoriusciti dagli scarichi. L’Aca è in concordato preventivo dal 2013, ed è in via di risanamento dalla montagna di debiti ereditati dalle precedenti gestioni, più di cento milioni di deficit: “Il partito dell’acqua ha scialacquato decine di milioni di euro – spiega al Fatto.it Augusto De Sanctis, del Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua -. Soldi sottratti agli investimenti, e al risanamento dei fiumi”.

ARRIVA IN ITALIA LA SUPER RISONANZA PER BRUCIARE CELLULE TUMORALI!



Arriva una super risonanza in grado di bruciare le cellule del cancro. Il macchinario della risonanza magnetica è combinato con un macchinario che emette ultrasuoni ad altissima intensità focalizzandoli in un punto in modo da “bruciare” con precisione, in modo non invasivo e con l’assenza quasi totale di effetti collaterali.
Una vera e propria rivoluzione, quindi, quella che sta per approdare in Italia. La super risonanza verrà inaugurata presso l’Irst (Istituto scientifico romagnolo per la cura dei tumori): che consentirà – sottolinea Dino Amadori, direttore scientifico dell’Ircs – di dare al via ad una piano di ricerca per la diagnosi e cura dei tumori unico nel panorama internazionale.
L’Istituto, per i prossimi tre anni, porterà avanti tre progetti sperimentali per valutare l’accuratezza diagnostica, sicurezza, tollerabilità, comfort e costo-efficacia di questo tipo d’indagine, la capacità della risonanza nell’individuare i danni procurati al fegato dai farmaci chemioterapici e l’utilizzo degli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità nel trattamento dalle metastasi ossee e del dolore. ‘La particolarità di questo strumento – spiega Amadori – chiamato Rm 3Tesla con sistema Hifu (High-Intensity Focused Ultrasound), è di avere una potenza doppia rispetto alla risonanza “standard” e ciò permette di “vedere” lesioni tumorali di solo un millimetro quando in genere sotto i 5 millimetri non sono monitorabili. Non solo, è possibile analizzare meglio i tessuti compresi quelli molli’.
 Non solo. La super risonanza è in grado di registrare gli aspetti di funzionamento degli organi: ‘Per esempio – continua – studiando il cervello si possono vedere le reazioni delle diverse aree al dolore e se ne può monitorare l’intensità. Ciò ci consentirà di curarlo meglio’.

Corruzione, tangenti in cambio di sentenze tributarie favorevoli: 4 arresti. - Ersilio Mattioni

Corruzione, tangenti in cambio di sentenze tributarie favorevoli: 4 arresti

Destinatari del provvedimento di custodia in carcere, eseguito dagli uomini delle Fiamme Gialle, sono stati Luigi Vassallo già detenuto a Opera nell’ambito della stessa inchiesta, un imprenditore, i giudici Luigi Pellini (commercialista) e Gianfranco Vignoli Rinaldi (avvocato). Per entrambi la Procura ha chiesto gli arresti domiciliari.

Inchiesta sulla giustizia tributaria, un’altra mazzetta da 60mila euro e altri quattro arresti. La procura di Milano scoperchia “un vasto sistema di corruzione che coinvolge giudici tributari, professionisti e altri soggetti disposti a risolvere le proprie vertenze pagando (…) Un sistema che è stato utilizzato per azzerare complesse indagini della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate”.
Le tangenti per addomesticare le sentenze venivano recapitate “a giudici compiacenti” attraverso “pacchi natalizi con decine di biglietti da 500 euro”. Così “si sono annullati accertamenti milionari”, scrivono i pubblici ministeri titolari dell’inchiesta ‘Dredd’, Laura Pedio ed Eugenio Fusco.
Destinatari del provvedimento di custodia in carcere, eseguito questa mattina dagli uomini delle Fiamme Gialle, sono stati Luigi Vassallo (avvocato, professore universitario a Pavia e giudice d’appello della Commissione tributaria regionale della Lombardia, già detenuto a Opera nell’ambito della stessa inchiesta: per lui si tratta del terzo mandato di arresto) e l’imprenditore Matteo Invernizzi, residente a Trescore Balneario (Bergamo), amministratore di fatto della Eurocantieri Srl, società attiva nell’edilizia e sottoposta ad accertamenti fiscali, che nel 2013 avrebbe comprato due sentenze. Una dalla Commissione tributaria regionale e l’altra dalla Commissione tributaria provinciale, secondo l’accusa con il contributo determinante dei giudici Luigi Pellini (commercialista, di Milano) e Gianfranco Vignoli Rinaldi (avvocato, anche lui di Milano). Per entrambi la Procura ha chiesto gli arresti domiciliari, “in ragione della loro età, essendo ultra 70enni”. Le richieste degli inquirenti sono state accolte dal Giudice per le indagini preliminari, Manuela Cannavale.
Indagato a piede libero anche un ex finanziere, Agostino Terlizzi, che ha rivestito ruoli di comando nella Fiamme Gialle, lavorando presso la tenenza di Castel San Giovanni in provincia di Piacenza, dove vive. Numerosi i contatti tra l’ex Gdf (la cui abitazione è stata perquisita) e Vassallo. In una mail Terlizzi trasmette al giudice tributario alcuni documenti che riguardano la situazione dell’imprenditore Invernizzi e la Eurocantieri Srl.
La Procura mette nero su bianco le enormi difficoltà nel condurre l’indagine, che vede in Vassallo un vero dominus. Quest’ultimo “non ha inteso chiarire alcunché rispetto alle proprie condotte”, come del resto “nessuno (fra indagati e coinvolti) ha inteso fornire un contributo spontaneo, che pure ci si poteva attendere da chi esercita funzioni giurisdizionali”. Neppure Marina Seregni (commercialista 70enne di Monza, giudice tributario di primo grado, arrestata lo scorso 28 gennaio e interrogata in carcere: ha fornito elementi utili all’inchiesta. Per i pm Pedio e Fusco, attorno al nebuloso mondo della giustizia tributaria, vige “la regola del silenzio”. Una tesi già proposta da Antonio Di Pietro a metà degli anni ‘90.
Ma la svolta nelle indagini è comunque arrivata. Fondamentale la perquisizione dello studio Vassallo, dove sono stati trovati quattro telefoni cellulari (due Blackberry e due Smartphone), sei ‘chiavette’ elettroniche, tre pc portatili e cinque fissi, oltre a vari documenti (fra cui una bozza di sentenza favorevole all’imprenditore Invernizzi) e agende per gli appuntamenti. Prezioso il contributo della segretaria di Vassallo, Mirella Orbani. È stata lei, testimone oculare e parte attiva nella preparazione delle bustarelle, a fornire alcune importanti conferme e ad aiutare la Guardia di finanza a decifrare la “contabilità riservata”.
Gli inquirenti hanno ricostruito l’incontro tra Vassallo e Invernizzi, quando l’imprenditore consegnò al giudice tributario la somma di 60mila euro in contanti: “Ricordo – riferisce Orbani – che Matteo Invernizzi (il giorno 11 dicembre 2013) è venuto in studio da noi (…) con una busta contenente 60 mila euro in contanti e la consegnò a Vassallo. Quando siamo rimasti soli, io e Vassallo, quest’ultimo ha aperto la busta in mia presenza e ha contato il denaro. Ricordo che erano tutte banconote da 500 euro”.
La tangente sarebbe poi stata suddivisa. Lo testimonierebbero alcuni appunti sulla agende e sulle buste, puntualmente interpretati dalla segretaria Orbani. Il 18 dicembre 2013 si legge: “-5 (Agostino) = 55”. Secondo i pm Pedio e Fusco, questo “lascia intendere che Vassallo abbia effettuato un prelievo di 5 mila euro da destinare verosimilmente a Terlizzi (ex Gdf, ndr)”. Due giorni dopo, il 20 dicembre, un altro prelievo dalla busta, sempre di 5 mila euro. Ricostruisce Orbani: “Vassallo aveva pronto un cesto natalizio da consegnare al dottor Luigi Pellini (giudice tributario, ndr). Mi disse che sarebbe andato all’appuntamento per consegnare la busta coi contanti e il cesto”. Il 23 dicembre, infine, è il turno del giudice Vignoli Rinaldi: altri 5 mila euro. “Come per Pellini – chiarisce la Orbani – (Vassallo) portò un cesto di Natale”.
I rimanenti 45mila euro vengono depositati in una cassetta di sicurezza presso la Banca Unicredit di piazza San Babila a Milano, dove infatti il denaro viene trovato dalla Guardia di finanza. Assieme a un’altra busta con dentro 1.400 euro. Anche questo contante proviene, secondo i pm, dall’imprenditore Invernizzi, il quale si sarebbe accordato con Vassallo per la consegna (avvenuta solo parzialmente) di ulteriori 5 mila euro in caso di sentenze favorevoli. Circostanze che si sono in effetti verificate, in un caso con qualche difficoltà. Lo scrive lo stesso giudice Vignoli Rinaldi in una mail indirizzata a Vassallo: “Ho dovuto lottare, o meglio tenere a bada (…) la testardaggine del giudice relatore (Rag. Antonio Rigoldi). Quest’ultimo sosteneva – a ragione – che nel ricorso (della Eurocantieri Srl, ndr) era stata chiesta solo la sospensione della cartella e non il suo annullamento”. Ma alla fine, chiosa il giudice soddisfatto, “ho convinto presidente e relatore ad accogliere il ricorso, anche nel merito”.