Governi e ministri, è noto, vanno e vengono. Capi di gabinetto e alti burocrati restano e comandano, a volte fanno lunghi giri e poi ritornano. Qualche decina di grand commis – consiglieri di Stato, magistrati amministrativi, etc – che detengono un potere immenso. Sacerdoti di una religione laica che scrive e interpreta le leggi (comprese quelle che permettono di distaccarli fuori ruolo nei ministeri o nelle Authority, di cui poi giudicano gli atti). Il governo Draghi non fa eccezione. Anzi è anche il risultato di una delicata battaglia sotterranea che ha visto la capitolazione di Giuseppe Conte.
C’è un partito della burocrazia, il cui stratega – o almeno così lui prova ad accreditarsi – è il giurista Sabino Cassese, principe degli amministrativisti, già giudice della Consulta, ministro con Ciampi e voce ascoltatissima della maionese impazzita detta establishment italiano. Il nostro ha passato mesi a bombardare a mezzo stampa il governo Conte, considerato inadeguato a gestire la crisi e il Recovery Plan. Con la nascita del governo di Mario Draghi, con cui vanta ottimi rapporti, non si è tenuto: “È in linea con le mie aspettative”, ha esultato, auspicando che il neo esecutivo “non sia a termine”.
Tanta gioia magari si spiega anche con il ritorno al comando dei suoi numerosi allievi, una schiera nutrita con ottime entrature al Quirinale e tra i quali si contano Giulio Napolitano (figlio di Giorgio) e Bernardo Giorgio Mattarella (figlio di Sergio) o avvocati di grido come Andrea Zoppini (e il suo rinomato studio). Una fitta rete di potere che può vantare oggi diverse posizioni chiave nei ministeri la neo-titolare della Giustizia, Marta Cartabia, vicina a Comunione e Liberazione, nonché giudice costituzionale negli anni in cui alla Consulta sedeva anche Cassese. Questo mondo – oggi in attrito con quel che resta della filiera andreottiana incarnata dal Gran Visir del berlusconismo Gianni Letta e dal faccendiere Luigi Bisignani, prova a tessere le file del gioco e sembra avere il sopravvento. Al punto che Cartabia viene perfino indicata tra i papabili futuri presidenti della Repubblica.
Conte non è estraneo alla macchina della giustizia amministrativa, è stato vicepresidente del Consiglio di presidenza dell’organo di autogoverno (il Cpga). Ai tempi del governo gialloverde, Cassese era stato anche prodigo di elogi (“sei meglio di Gentiloni”), ma dall’estate 2020 qualcosa è cambiato; è iniziato il bombardamento che oggi vede il suo esito vittorioso.
Il ritorno più clamoroso, in questo senso, è quello di Roberto Garofoli a Palazzo Chigi: arriva, in quota Quirinale, addirittura come sottosegretario alla Presidenza. Consigliere di Stato, nel Conte I fu costretto alle dimissioni da capo di gabinetto al Tesoro (arrivato con Padoan in quota Enrico Letta, fu confermato da Tria) su input dell’allora premier: il portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino, lo attaccò insieme ai “pezzi di merda” del ministero dell’Economia accusati da 5Stelle e Lega di sabotare il governo non facendo saltare fuori i soldi per il ddl Bilancio 2019. Tra i “pezzi di merda” c’era anche l’allora Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, neo ministro dell’Economia.
Oggi, stando alle indiscrezioni, dal repulisti di Cassese&Draghi si dovrebbe salvare (per ora) Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi: fedelissimo di Conte e bersaglio prediletto di Cassese nei suoi editoriali contro i Dpcm scritti “da chi meriterebbe di essere mandato in Siberia”, nel Palazzo si dice che debba la riconferma ai buoni uffici di Mattarella jr. Chi dovrebbe saltare è invece Ermanno De Francisco, l’uomo che Conte ha chiamato a capo dell’Ufficio legislativo a Palazzo Chigi, anche lui, come Chieppa, vicino al presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, ex ministro del governo Monti, nominato al vertice di Palazzo Spada proprio da Conte.
Al suo posto dovrebbe arrivare un altro fedelissimo di Patroni Griffi, Carlo Deodato, giudice del Consiglio di Stato, già capo di gabinetto al ministero degli Affari europei con Paolo Savona, che seguì quando quest’ultimo fu dirottato alla presidenza della Consob (è stato segretario generale dell’Authority).
Vicino ad Andrea Zoppini – ha scritto con lui un Manuale di diritto civile edito da “Nel diritto”, casa editrice con fatturato milionario della moglie di Garofoli – è anche Giuseppe Chinè, che dovrebbe sostituire Luigi Carbone (anche lui consigliere di Stato in distacco) come capo di gabinetto al Mef: magistrato amministrativo (cresciuto alla scuola di Vincenzo Fortunato, potentissimo al Tesoro ai tempi di Tremonti e Monti), oggi capo della Procura federale della Figc, Chinè è stato capo di gabinetto di Beatrice Lorenzin alla Salute (governo Renzi) e al Miur con Marco Bussetti (in quota Lega nel governo Conte I).
Gradita a Giorgetti, ma anche al mondo dem, è la papabile nuova capo di gabinetto di Garofoli, Daria Perrotta: già capo segreteria del leghista quando era sottosegretario a Palazzo Chigi coi gialloverdi, ricoprì lo stesso ruolo con Maria Elena Boschi nell’esecutivo Gentiloni; oggi è consulente di Dario Franceschini al Mibact.
Al ministero dello Sviluppo, Giorgetti dovrebbe invece portarsi Paolo Visca, alto funzionario della Camera e capo di gabinetto di Matteo Salvini da vicepremier .
In quota Confindustria, ma vicina al finanziere-costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, al ministero della Pubblica amministrazione di Renato Brunetta dovrebbe arrivare l’ex dg di Viale dell’Astronomia, Marcella Panucci. Invece Gaetano Caputi, che fu direttore generale Consob ai tempi di Giuseppe Vegas, è in pole position per la stessa poltrona al ministero del Turismo del leghista Massimo Garavaglia.
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