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venerdì 14 settembre 2012
“Il nostro progetto? Irrealizzabile”. Fiat, nuova marcia indietro su ‘Fabbrica Italia’. - Gaia Scacciavillani
Sorpresa: il piano Fabbrica Italia della Fiat torna ad essere un progetto, solo che non è più possibile farvi riferimento perché dal suo lancio nell’aprile 2010 ad oggi ”le cose sono profondamente cambiate”. Lo dichiara la Fiat in una nota a fronte delle richieste di chiarimento dei sindacati dei giorni scorsi relativamente alle intenzioni del Lingotto: due anni fa, infatti, la casa torinese aveva annunciato il progetto che avrebbe dovuto essere accompagnato da investimenti per 20 miliardi di euro.
“Il nostro piano per l’Italia rappresenta anche una grande opportunità per creare posti di lavoro in Italia”, aveva dichiarato il gruppo guidato da Sergio Marchionne il 21 aprile 2010 in occasione della presentazione del piano industriale del gruppo al 2014, precisando che l’obiettivo era “di produrre entro il 2014, in Italia, oltre un milione di veicoli destinati all’esportazione, di cui circa 300.000 destinati al mercato statunitense. La percentuale di esportazioni crescerà quindi dal 44% nel 2009 al 65% nel 2014. Il livello degli investimenti che si vuole destinare all’Italia sul periodo di piano è enorme, pari ai due terzi di quelli di tutti i business del Gruppo Fiat a livello mondiale”.
Un anno e mezzo dopo, però, era stato lo stesso amministratore delegato della Fiat, Marchionne, a smentire tutto categoricamente. “Fabbrica Italia non era altro che una dichiarazione d’intenti, a dimostrazione dell’impegno verso il Paese. Sfortunatamente continua ad essere intenzionalmente mal compresa”, dichiara infatti agli industriali torinesi il 25 ottobre 2011 aggiungendo che è “impossibile precisare gli investimenti sito per sito” e che l’obiettivo è “mantenere, nei limiti del possibile, i posti di lavoro in Italia”.
Cambio di rotta che stupì perfino la Consob. Tanto che nel giro di due giorni il Lingotto venne costretto a dei chiarimenti ufficiali. “Il progetto Fabbrica Italia non è mai stato un piano finanziario, ma l’espressione di un indirizzo strategico che Fiat intende seguire ed ha il significato e lo scopo di esprimere l’impegno di Fiat a risolvere le problematiche che interessano i suoi siti industriali italiani e contribuire allo sviluppo delle potenzialità industriali del Paese”, recita una nota del Lingotto datata 27 ottobre 2011 in risposta a una richiesta della vigilanza dei mercati finanziari, precisando che “condizioni imprescindibili per il raggiungimento di tale risultato, il concorso di tutte le componenti sociali, sindacati ed istituzioni, nell’assicurare la governabilità dei siti produttivi e l’attuazione degli accordi che garantiscono adeguata flessibilità operativa”.
Non senza tradire un certo disappunto, poi, Torino aggiungeva che “alla luce dei possibili fraintendimenti, equivoci ed irrealistiche attese di dettaglio collegate al progetto Fabbrica Italia, Fiat, si asterrà, con effetto immediato, da qualsiasi riferimento a Fabbrica Italia, fermi restando gli impegni già assunti ed il suo generale intento strategico di contribuire alla soluzione dei problemi industriali dell’Italia ed al suo futuro sviluppo”.
Neanche un anno ed ecco che ora si torna allo status di progetto, benché “impossibile”. Anche perché, sottolinea Fiat parafrasando un intervento del premier Mario Monti della scorsa primavera a Cernobbio, “la Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva. La Fiat ha scelto di gestire questa libertà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l’importanza dell’Italia e dell’Europa”. E viene rimandato a ottobre ogni dettaglio sull’entità del ridimensionamento. Con buona pace degli operai del gruppo - non più tardi di ieri è stata annunciata una nuova settimana di cig a Mirafiori - e dei sindacati.
“Con questa dichiarazione si straccia l’ultimo velo di ipocrisia di un piano Fabbrica Italia che non è mai decollato lasciando i lavoratori nella cassa integrazione e nell’incertezza”, commenta Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom. “Anche a Pomigliano metà dei lavoratori non sono rientrati. Cadono le illusioni di chi pensava che lasciando dieci minuti di pausa o dando disponibilità agli straordinari comandati arrivassero gli investimenti. Dovrebbero riflettere tutti quelli che hanno firmato le intese. Tutto ciò accade con la complicità irresponsabile di una classe dirigente che ha lasciato da soli i lavoratori e in qualche misura la stessa Fiat”.
”Se dalla nota della Fiat emerge che il famoso piano Fabbrica Italia rischia di non esserci più siamo di fronte ad un problema molto serio”, aggiunge il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, che partecipa a un dibattito alla festa dei metalmeccanici torinesi della Cgil a proposito del comunicato della Fiat. Ancor più serio se si considera che nel bilancio degli ultimi due anni non c’è solo il mancato decollo del piano Fabbrica Italia. C’è anche il caso di Termini Imerese. L’impianto siciliano della Fiat inattivo da quasi un anno, mentre gli operai sono in cassa integrazione.
Anzi, 450 sono nel limbo tra cassa integrazione ed esodo e avrebbero dovuto essere coperti dal decreto sugli esodati. Lo stop alla conversione del provvedimento, che complessivamente riguarda 55mila lavoratori, impedirebbe però al Lingotto di richiedere un ulteriore anno di cig per i restanti dipendenti dello stabilimento, col conseguente licenziamento collettivo a partire dal primo gennaio di tutti i lavoratori e a catena anche delle tute blu dell’indotto, in totale 2.200 persone.
Il segretario della Fiom palermitana, Roberto Mastrosimone, punta il dito contro il Pdl. “Sebbene in commissione Lavoro alla Camera il via libera alla conversione del decreto avesse ottenuto l’unanimità – dice – al momento di calendarizzare il provvedimento per l’aula il Pdl si è opposto sostenendo che manca il via libera della commissione Bilancio alla copertura finanziaria. Se il decreto non sarà convertito entro il 6 ottobre si blocca tutto, migliaia di lavoratori perderanno tutto”. La Fiom, poi, sollecita il governo ad accelerare i tempi sulla vertenza. “Aspettavamo una convocazione al ministero dello Sviluppo per il 15 settembre, ma al momento tutto tace”.
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M5S Toscana: Zero PriVilegi in Consiglio Regionale
"In questi giorni i media sono impegnati ad analizzare puntigliosamente ogni accadimento che coinvolge il MoVimento 5 Stelle; siamo dunque orgogliosi di poter annunciare a tutti i cittadini della Toscana che i gruppi a 5 Stelle della loro regione hanno raggiunto l'obiettivo della raccolta firme per presentare la proposta di legge regionale denominata "Zero PriVilegi" che mira ad abbattere i privilegi della politica in Regione ed i relativi costi per un risparmio annuo di 4,5 milioni di euro. La legge propone infatti di tagliare la retribuzione dei consiglieri regionali attraverso la diminuzione dell'indennità di carica e di funzione e l'abolizione dell'indennità di fine mandato, del trattamento di missione, della diaria e del rimborso spese di trasporto. I moduli, con le migliaia di firme raccolte (ben oltre la necessaria soglia di legge) saranno consegnate all'ufficio competente della Regione il giorno 17 settembre 2012, alle ore 9:30. Nell'occasione attivisti e simpatizzanti si ritroveranno davanti al palazzo del Consiglio Regionale, a Firenze, per festeggiare il successo dell'iniziativa e ricordare a tutti i consiglieri regionali, i quali si troveranno presto a discuterla, che sono i cittadini a decidere del loro futuro tramite la democrazia dal basso, diretta e partecipativa e non i vari partiti politici. La stampa tutta è invitata a partecipare." MoVimento 5 Stelle Toscana
Monti: “Temo che sforzi siano vanificati”. E non chiude a un futuro politico.
Il premier, in un'intervista al Washington Post, afferma di "non avere ancora pensato" a un'eventuale candidatura. "Per adesso il futuro politico sul quale sono concentrato finisce con le elezioni". E si dice "preoccupato" per la sorte che le misure prese dal suo esecutivo avranno nella prossima legislatura.
“Ho paura che tutti gli sforzi vengano vanificati e non ho ancora riflettuto sul mio futuro”. Così il premier Mario Monti, in un’intervista al Washington Post concessa lo scorso week end a Cernobbio risponde a una domanda sul suo futuro e sulla possibilità che gli venga chiesto da una coalizione di partiti, dopo le prossime elezioni, di rimanere alla guida del governo. “Sono stato talmente impegnato a governare il Paese in questi difficili mesi”, dice il premier, “da non aver potuto riflettere su una tale ipotesi e su quale risposta dare a una richiesta del genere”. “Il futuro politico sul quale sono concentrato – aggiunge Monti- finisce nella primavera del prossimo anno con le elezioni”.
Il presidente del Consiglio è inoltre “preoccupato” che gli sforzi fatti dal governo e i progressi compiuti dal Paese siano vanificati dopo l’uscita di scena del suo esecutivo. “Naturalmente sono preoccupato”, risponde il premier intervistato dal Washington Post, “ma ho la speranza – poi prosegue – che questo non accadrà perché i politici hanno avuto il tempo di riflettere e stanno lavorando al loro rinnovamento”. Inoltre, aggiunge Monti, “l’Italia, come altri Paesei, sta operando nell’ambito di regole europee che limitano il grado di politiche creative che possono essere introdotte da qualsiasi nuovo governo o Parlamento”.
Il premier, inoltre, parlando dei sacrifici richiesti agli italiani, sottolinea come sia “doloroso per il governo chiederli e doloroso per i cittadini accettarli”, aggiungendo che “per completare il processo di riforme avviato dal governo tecnico ci vorranno anni”. “Forse – sottolinea Monti- se fossimo un normale governo politico sarebbe ancora più difficile”. “Per questo – aggiunge nell’intervista pubblicata due giorni fa dal Washington Post – è importante per me in quanto primo ministro e per i miei ministri distanziarci da qualsiasi speculazione sul futuro, finché ricopriamo questi incarichi la gente capirà che questi sacrifici sono necessari e avrà la speranza che questo consentirà all’Italia di mettersi su un cammino nuovo, più solido e produttivo”.
Monti mette di nuovo l’accento su quanto fosse drammatica la situazione dell’Italia quando, a novembre dell’anno scorso, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano spinse per le dimissioni dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi per aprire la via al governo tecnico. ”E’ molto inusuale per un Paese chiedere a delle persone che non sono politici di arrivare e guidarlo – spiega – Questo dà la misura di quanto cattiva fosse la situazione”. Monti afferma di non aver esitato ad accettare il ruolo di capo del Governo, e di aver avuto ben presente la gravità della situazione: “Mi è stato chiesto di governare per circa 13 mesi, il che implica immediate, forti, urgenti e dure azioni per impedire che l’Italia esplodesse finanziariamente portando con sé l’esplosione del’Eurozona. Fin dal primo giorno gli Stati Uniti e il presidente Obama sono stati inusualmente interessati a quello che facevamo e molto incoraggianti”.
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Crisi, Confindustria: “Calo consumi più grave del dopoguerra”. Pil -2,4%.
Secondo il Centro studi quest’anno il Pil scenderà del 2,4%, mentre il prossimo si prevede -0,6%, contro il -0,3% precedente: "In sostanza la recessione si prolunga e la ripresa è ritardata alla prossima primavera”. I consumi nel 2012 registreranno “la flessione più grave del dopoguerra (-3,6%) e nel 2013 torneranno sui livelli del 1997”.
Come nel dopoguerra. I dati dei consumi, in calo per effetto della crisi, dicono questo. Confindustria conferma la stima sul pil 2012, ma peggiora la previsione sul 2013. Stando ai dati del Centro Studi, quest’anno il Pil scenderà del 2,4% (stesso dato di giugno), mentre il prossimo si prevede -0,6%, contro il -0,3% precedente: “In sostanza la recessione si prolunga e la ripresa è ritardata alla prossima primavera”. I consumi procapite nel 2012 registreranno “la flessione più grave del dopoguerra (-3,6%) e nel 2013 torneranno sui livelli del 1997”.
La spesa delle famiglie diminuirà del 3,2% nel 2012 e dell’1% nel 2013. “L’economia italiana resta in profonda recessione e non sono ancora netti i segnali di inversione del ciclo” secondo il Centro studi per cui “l’incertezza rimane elevata”, non solo per lo scenario globale, ma anche per le prossime elezioni, visto che tra l’altro “non è chiaro con quali norme si andrà al voto”. Nel 2013 l’Italia raggiungerà il pareggio di bilancio strutturale secondo cui “in termini strutturali (cioè aggiustati per il ciclo economico, ndr) il deficit pubblico sarà allo 0,7% del Pil per quest’anno e allo 0,2% per il prossimo”. Il pareggio di bilancio, che si ottiene quando ci si trova all’interno di un range dello 0,5%, sarà quindi raggiunto. Il deficit non strutturale è invece previsto al 2,1% del pil per il 2012 e all’1,4% per il 2013.
”Fino a oggi, le conseguenze della crisi sul Pil italiano (-6,9% dal picco del terzo trimestre 2007), risultano di entità superiore agli effetti della prima guerra mondiale, mentre – si legge nel rapporto ‘Le sfide dell’economia’ sono state molto meno dirompenti di quelli della seconda (Pil -45%), anche se probabilmente risulteranno più persistenti, date le diverse velocità di recupero”. Tra il secondo trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011, in Italia i disoccupati sono 758mila in più, gli occupati sono invece rimasti “sostanzialmente invariati”. A fine 2013, la forza lavoro non utilizzata (disoccupati + cig) salirà al 13,9%, dal 12,8% di fine 2012.
Tra gli elementi positivi che caratterizzano le stime, il direttore del Centro studi Luca Paolazzi ha citato “la risposta dell’Europa alla crisi, con il clima dell’eurozona che è nettamente cambiato”, ma anche la sentenza della Corte di Karlsruhe, un elemento “molto positivo che va al di là del meccanismo dell’Esm”. A pesare, però, c’è “il rallentamento globale”, con il “calo del commercio mondiale”, e la “brusca frenata dei Paesi emergenti”. Per Paolazzi, “le cause e le conseguenze della crisi permangono”. Tra le prime, “le bolle del credito e quella immobiliare, associate con gli eccessi di indebitamento di famiglie e imprese e con l’alta leva delle banche”. Tra le seconde, “l’alta disoccupazione, che induce negative aspettative di reddito e conseguente maggior parsimonia” e “il lungo percorso di rientro dei conti pubblici”. Nel Rapporto, il Csc avverte anche che “gli investimenti fissi lordi si riducono dell’8,8% nel 2012 e tendono a stabilizzarsi nel 2013 (-0,5%)”. Quanto al commercio estero, il Csc stima che “le esportazioni di beni e servizi crescano dello 0,7% nel 2012 e dell’1,2% nel 2013. Le importazioni crollano del 7,7% quest’anno per tornare a salire dello 0,9% nel prossimo”.
John M. Keynes e il Mahatma Gandhi. Il Centro studi di Confindustria si affida al grande economista e al padre dell’India moderna per descrivere la situazione in cui è invischiata l’economia e per spiegare che, credendo nelle proprie possibilità, è possibile ripartire. Nella premessa al Rapporto si propongono infatti due citazioni. La prima è di Keynes: “Ci siamo invischiati – si legge – in un colossale pasticcio, avendo commesso marchiani errori di controllo di un meccanismo delicato, il cui funzionamento non comprendiamo. Il risultato è che le nostre possibilità di creare ricchezza si sono guastate, forse per un lungo periodo di tempo”. La seconda di Gandhi: “Le persone spesso diventano quel che sono convinte di essere. Se continuo a ripetere a me stesso che non sono capace di fare una certa cosa, è probabile che finisca davvero per diventare incapace di farla. All’opposto, se ho la convinzione che posso farla, acquisirò certamente ciò che occorre per farla, anche se non lo possedevo originariamente”.
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