Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 1 agosto 2020
Il complotto della realtà. - Marco Travaglio
Ieri, oltre a lodare il Corriere della Sera col più lusinghiero degli elogi (“È peggio del Fatto Quotidiano”), il Cazzaro Verde ha proseguito nella deriva psicoalcolica che contraddistingue le sue estati al Papeete Beach. È tornato a gridare al complotto per il via libera del Senato al processo Open Arms, vaneggiando di “giustizia politica alla Palamara” (che mai s’è occupato di inchieste sulla sua persona). Se l’è presa con l’altro Matteo perché “cambia idea tre volte al giorno”: e il fatto che avesse creduto alla sua promessa di salvarlo la dice lunga sul suo acume, visto che la parola dell’Innominabile è un optional anche per i parenti stretti. Poi ha annunciato di avere già studiato (verbo insolito, per lui) il modo di trascinare alla sbarra accanto a sé il premier Conte, che “sul divieto di sbarco a Open Arms era in totale accordo con me, come tutto il Consiglio dei ministri”, dunque fu suo “complice”. Purtroppo il Consiglio dei ministri non si riunì mai per discuterne, visto che lui l’8 agosto aveva rovesciato il governo.
Il 9 agosto i legali di Open Arms chiesero al Tribunale dei minori di Palermo di far sbarcare i minorenni dalla nave carica di migranti. Il 12 il Tribunale chiese spiegazioni al governo. Il 13 Conte ordinò a Salvini di far sbarcare almeno i minori, invano. Il 14 il Tar Lazio sospese il divieto di sbarco. La nave fece rotta sull’Italia, ma senza ricevere l’indicazione del porto sicuro da Salvini. Che quello stesso giorno attaccò il premier perché era di parere opposto al suo: “Conte mi ha scritto per lo sbarco di alcune centinaia di migranti a bordo di una nave Ong. Gli risponderò garbatamente che non si capisce perché debbano sbarcare in Italia”. Il 15 Conte pubblicò una nuova, durissima lettera a Salvini (per i giudici, la prova che il ministro fece tutto da solo contro le indicazioni del premier): “Ti ho scritto ier l’altro una comunicazione formale, con la quale, dopo avere richiamato vari riferimenti normativi e la giurisprudenza in materia, ti ho invitato, ‘nel rispetto della normativa in vigore, ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori’… Con mia enorme sorpresa, ieri hai riassunto questa mia posizione attribuendomi, genericamente, la volontà di far sbarcare i migranti a bordo. Comprendo la tua ossessiva concentrazione nell’affrontare il tema dell’immigrazione riducendolo alla formula ‘porti chiusi’. Sei… proteso a incrementare i tuoi consensi. Ma parlare come Ministro dell’Interno e alterare una chiara posizione del tuo Presidente del Consiglio, scritta nero su bianco, è questione diversa. È un chiaro esempio di sleale collaborazione, l’ennesimo, che non posso accettare”.
Poi rivendicava la linea di “maggiore rigore rispetto al passato” contro l’immigrazione clandestina e i successi in Ue sulle redistribuzioni: “Francia, Germania, Romania, Portogallo, Spagna e Lussemburgo mi hanno appena comunicato di essere disponibili a redistribuire i migranti… Siamo agli sgoccioli di questa nostra esperienza di governo… ho sempre cercato di trasmetterti i valori della dignità del ruolo che ricopriamo e la sensibilità per le istituzioni che rappresentiamo. La tua foga politica e l’ansia di comunicare, tuttavia, ti hanno indotto spesso a operare ‘slabbrature istituzionali’, che a tratti sono diventate veri e propri ‘strappi istituzionali’”. Era l’antipasto del liscio e busso che Conte gli avrebbe riservato in Senato cinque giorni dopo. Infatti Salvini cedette e sbarcarono tutti.
Ecco: l’unico complotto in corso contro Salvini è quello della realtà dei fatti che, appena apre bocca, s’incaricano puntualmente di smentirlo. Sempre e su tutto. Partecipa a un convegno sul Covid e fa il negazionista, violando la legge sulle mascherine nei luoghi chiusi affollati: e subito i contagi risalgono, tant’è che pure Zaia gli ricorda che il virus è tutt’altro che estinto. Tuona, in ottima compagnia, contro la “svolta autoritaria” per la proroga dello stato di emergenza: e ieri, non bastando le sapienti lezioni di Zagrebelsky e di altri giuristi veri, Mattarella ricorda a chi sproloquia di libertà violate che “libertà non è fare ammalare gli altri: non dobbiamo rimuovere” il Covid-19 e i suoi danni “per rispetto dei morti, dei sacrifici affrontati dai nostri concittadini: altrove il rifiuto di quei comportamenti provoca drammatiche conseguenze”. Ancora una volta la realtà dei fatti contro le balle della propaganda. E siccome il pugile suonato è pure sfigatissimo, viene sbugiardato persino dai dati Istat sul calo del Pil: dati terribili per tutt’Europa, ma meno peggiori in Italia che in altri Paesi, come la Spagna e la Francia, portati a modello perché più bravi a riaprire prima. Il 21 aprile, con più di 400 morti al giorno, il Cazzaro Verde chiedeva di riaprire tutto, visto che “in Austria hanno aperto un sacco di negozi e attività commerciali, in Germania idem, in Spagna e in tanti altri Paesi”. Il 28 aprile gli fece eco l’altro Matteo, noto economista pure lui: Francia, Germania, Spagna “stanno ripartendo più velocemente di noi e ci strappano fette di mercato”, basta “tenere il Paese agli arresti domiciliari”. Ora i dati Istat dicono che nel secondo trimestre 2020 (dalla fine del lockdown all’inizio della fase 3), l’Italia ha perso il 12,4% del Pil, contro il 13,8 della Francia e il 18,5% della Spagna. Nulla si sa della Svizzera e delle Bahamas, ma basta chiedere a Fontana.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/08/01/il-complotto-della-realta/5886893/
venerdì 31 luglio 2020
Quando Renzi e Salvini attaccavano il governo sulla crisi post-Covid: “Riaprire l’Italia come altri Paesi Ue”. Ecco cosa dicono i dati del Pil.
I paragoni del centrodestra con gli altri Paesi Ue – Nel corso dei lunghi mesi di lockdown i leader politici hanno più volte cambiato posizione sulle misure adottate dall’esecutivo. Il segretario del Carroccio, a inizio marzo, predicava di “chiudere tutta l’Italia” prima che “sia troppo tardi”, salvo poi correggere il tiro a distanza di poche settimane. “A Mattarella ho detto che prima si torna a lavorare, in sicurezza, con le mascherine, meglio è. In Germania lavorano, in Turchia lavorano e le nostre aziende rischiano di perdere il treno”, dice l’11 aprile al Tg4. “Veneto e Lombardia sono state le prime a chiudere e a imporre restrizioni. Qua il tessuto produttivo sta soffrendo più che altrove”, insiste tre giorni dopo a Telelombardia, sostenendo che “qualcuno sta approfittando del virus per fare concorrenza sleale alle nostre imprese”.
Una linea a cui si accodano pure i governatori di centrodestra. “Abbiamo due possibilità: tenere chiuso tutto e morire in attesa che il virus se ne vada oppure ripartire. Tutti alla fine hanno deciso di convivere col virus e riaprire, perchè oltre un certo limite la chiusura non è sostenibile”, dichiara il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, mentre il suo virologo di fiducia Andrea Crisanti si affanna a fare il più alto numero di tamponi possibile. “Molti altri Paesi europei sono già ripartiti, è necessario ragionare subito del nostro futuro“, gli fa eco Attilio Fontana, sebbene solo la Lombardia quel giorno segni +941 contagi e 231 morti in più. Poi si arriva a fine aprile, quando il premier Conte tiene una conferenza stampa per spiegare ai cittadini le tappe della fase 2, incentrata sulla prudenza e sulle indicazioni del Comitato tecnico scientifico. Le opposizioni si sollevano contro il governo e accusano Palazzo Chigi di “massacrare interi settori”. Salvini parla di “dramma economico difficilmente recuperabile”, mentre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sentenzia: “Un’altra lunga e confusa conferenza stampa di Conte per dirci che, in sostanza, la fase due è quasi identica alla fase uno”.
Da Zingaretti a Renzi, polemiche anche in maggioranza –In quell’occasione non sono mancati malumori nemmeno tra le forze di maggioranza. “Qualsiasi scelta sui tempi di riapertura deve essere orientata a limitare al massimo la recrudescenza di una diffusione che probabilmente ci sarà, ma che va tenuta sotto controllo, con il costante supporto della scienza”, spiega al Corriere della Sera il segretario dem Zingaretti. Che prova a inseguire gli avversari sul terreno della lotta alla crisi mandando un messaggio a Palazzo Chigi: “Mi permetto di suggerire al governo di affidarsi alle curve epidemiche per riavviare le attività di alcune categorie, come ristoranti, bar o, in generale, il commercio. Verificando anche la data del primo giugno che mi pare molto lontana“. Molto più duro il fondatore di Italia Viva, secondo cui è “allucinante” la riapertura dei negozi in Germania “mentre noi siamo in queste condizioni e abbiamo il problema che in Italia non si riapre”.
Parole che in realtà non suonano nuove nelle dichiarazioni pubbliche rese dagli esponenti del suo partito già da fine marzo, ancora prima rispetto al cambio di linea deciso da Salvini. “Perché i gruppi italiani possono produrre acciaio in Germania, o matite in Francia, e non in Italia?”, si chiede il deputato di Iv Massimo Ungaro, puntando il dito contro la “prateria alla concorrenza degli altri che hanno già riaperto”. Per questo, aggiunge, “è fondamentale riaprire le fabbriche” gradualmente “già adesso”. Altrimenti, “la crisi economica rischia di creare anch’essa vittime come quella sanitaria”. Questioni di priorità, insomma. “Dicono tutti che sì, bisogna riaprire. E decidere come farlo. Solo che gli altri, che si sono organizzati per tempo, sono già partiti”, chiosa l’ex premier nella sua Enews del 14 aprile, prendendo a esempio i casi di Spagna e Francia. Proprio i Paesi che, nel secondo trimestre 2020, hanno subito il contraccolpo più duro in termini di Prodotto interno lordo.
Il Protocazzaro. - Marco Travaglio
E niente, non si riesce a stargli dietro. Questo Fontana è un’iradiddio: spara più balle delle macchinette automatiche lanciapalle con cui si allenano i tennisti. Di questo passo il record del Cazzaro è in serio pericolo. Riavvolgiamo il nastro.
A mia insaputa. “Non sapevo nulla della procedura e non sono intervenuto in alcun modo” (8.6). Falso. Il suo assessore Raffaele Cattaneo dichiara a verbale di aver informato Fontana della fornitura di 75mila camici per 513mila euro affidata dalla regionale Aria Spa alla Dama Spa (l’azienda di suo cognato e di sua moglie, Andrea e Roberta Dini) fin da subito, cioè dal 16 aprile. E lui intervenne per trasformare il contratto oneroso in donazione solo il 20maggio, quando Report aveva scoperto tutto.
Date ballerine. “Solo il 12 maggio sono stato informato che la fornitura di camici da Dama era a titolo oneroso” (in Consiglio Regionale, 27.7). Falso: oltre alla smentita del suo assessore, c’è quella dell’ex ad di Aria Spa, Filippo Bongiovanni: “Comunicai la fornitura di Dama alla segreteria di Fontana il 10 maggio”.
Donazione lucrosa. “Quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch’io. Fare anch’io una donazione” (La Stampa, 26.7). “Ho voluto alleviare l’onere dell’operazione, partecipando personalmente alla copertura di parte del mancato introito. È stata una decisione spontanea. Col mio legame avevo solo arrecato svantaggio a un’azienda legata alla mia famiglia” (in Consiglio Regionale, 27.7). Ma era il cognato che voleva fare la donazione o è lui che gliel’ha imposto e poi ha tentato di risarcirlo con i 250mila euro che voleva bonificare dal suo conto svizzero, ma furono bloccati per sospetto riciclaggio? E che senso ha risarcire qualcuno per i mancati introiti di una donazione, per definizione gratuita e senza introiti? Che cos’era, beneficenza a pagamento?
Regione indenne. “Regione Lombardia non ha speso un euro per la fornitura dei camici” (in Consiglio Regionale, 27.7). Sì, ma non grazie a lui che avallò la fornitura da 513mila euro: grazie a Report che scoprì lo scandalo e al Fatto che lo raccontò in anteprima, inducendo tutti alla precipitosa retromarcia. In ogni caso la Regione ha subìto un bel danno: ha firmato un contratto per 75mila camici, ma la ditta dei congiunti di Fontana ne ha consegnati solo 49mila. Gli altri 26mila Dini, quando seppe che non ci avrebbe più guadagnato, li tenne per sé e tentò di venderli a prezzo maggiorato a una clinica di Varese: la Gdf li ha trovati e sequestrati ieri perquisendo l’azienda come corpo del reato di frode in pubblica fornitura.
Già, perché il contratto Aria-Dama resta valido: la Regione non l’ha mai tramutato in donazione, dunque Dama è inadempiente.
Camici utilissimi. “In quel frangente avremmo acquistato camici e mascherine da chiunque, mi creda” (al Foglio, 29.7). Purtroppo lo smentisce Bongiovanni: “Quei camici alla Regione non servivano più”.
Nassau vende moda. “Escludo che mia madre sia mai stata alle Bahamas, non ho idea di come sia venuta fuori questa storia. A quanto ne so quei soldi sono sempre rimasti a Lugano… I risparmi di una vita dei miei genitori” (ibidem, 29.7). “Quello all’estero era un conto che avevano i miei genitori, una cosa purtroppo di moda a quei tempi” (a Repubblica, 28.7). Infatti dal Varesotto partivano ogni giorno voli charter per le Bahamas, il famoso ponte aereo Varese-Nassau, dove le dentiste (come mamma Fontana, la più cara del mondo) e gli impiegati alla mutua (come babbo Fontana, il più pagato del mondo) portavano i risparmi: nel caso di specie, 5,3 milioni. Peccato non aver saputo di quella simpatica moda, sennò ne avremmo approfittato tutti.
Macché evasori. “Evasione fiscale? Ma che dice? I miei hanno sempre pagato tutte le tasse, mia madre era super fifona, figurarsi evadere… Non so davvero dirle perché portassero fuori i loro risparmi” (ibidem). E perché Fontana, avvocato dal 1980, vice-pretore onorario (cioè magistrato) dal 1983, politico della Lega Nord dal 1990, non gliel’ha mai domandato? Secondo lui, perché mai una coppia di italiani, se vuol pagare le tasse, nasconde i soldi su due trust alle Bahamas? Per esotismo? Se i soldi fossero stati legalmente esportati pagando le tasse, che bisogno c’era dello schermo dei due trust a Nassau? E perché Fontana, dopo averli ereditati, redasse la voluntary disclosure con la legge del 2014 per rimpatriare i capitali illecitamente esportati? E perché, se li fece rientrare in Italia, li lasciò su un conto all’Ubs di Lugano?
Conto dormiente. “Comunque era un conto non operativo da almeno la metà degli anni 80” (ibidem). Balla pure questa: quel conto, fra il 2009 e il 2013 (quando sua madre aveva 86-90 anni e lui ne era contitolare e beneficiario), movimentò centinaia di migliaia di euro. Faceva tutto la vecchina o vi operava pure lui nel sonno?
Tutto dichiarato. “Quel conto è dichiarato, pubblico, trasparente, riportato nella mia dichiarazione patrimoniale sui siti regionali fin dal primo giorno del mio mandato” (ibidem). Peccato che nel 2017 l’Anac abbia multato Fontana per aver omesso nel 2016 la dichiarazione patrimoniale obbligatoria dei 5,3 milioni scudati in Svizzera nel 2015. A risentirci alla prossima balla.
Almirante-Berlinguer: la provocazione politica va in Piazza. - Antonio Padellaro
Un anno fa, nel libro Il Gesto di Almirante e Berlinguer (PaperFirst) proponevo di dedicare una piazza alla battaglia comune condotta contro il terrorismo degli anni di piombo da due personaggi diversissimi e che militavano su fronti contrapposti, ostili. Due “nemici” che, come documentato da testimonianze dirette (quella di Massimo Magliaro, all’epoca dei fatti portavoce del segretario missino) decisero di incontrarsi più volte in segreto, tra il 1978 e il 1979, in una stanza di Palazzo Montecitorio, per condividere informazioni, e forse anche una condotta comune. Mentre un duplice nemico mortale – le Br e lo stragismo fascista – stava minacciando le basi stesse della democrazia repubblicana.
Che dire allora della mozione approvata dal consiglio comunale di Terracina di intitolare una piazza ad Almirante e Berlinguer? Quando pure fosse ispirata a un apprezzabile tentativo di pacificazione retrospettiva, appare tuttavia come un atto improvvisato che ha il difetto di fornire, nell’accostamento tra il fascista repubblichino e lo storico leader del Pci, una motivazione troppo generica. E dunque facilmente sospettabile di essere usata per finalità politiche di stampo locale.
Nella mia proposta invece l’accento era sul “gesto”, finalizzato a quel bene comune chiamato interesse nazionale in un momento tragico della nostra storia.
Si dice che quando la casa brucia non conta di che colore è la divisa dei pompieri: infatti, riportando alla luce quella antica vicenda volevo dimostrare che quel “gesto” – senza mettere minimamente sullo stesso piano fascisti e antifascisti, carnefici e vittime, valori e disvalori – testimoniava un modo nobile di intendere la politica di cui oggi, nell’era dell’insulto mediatico, non rimane più traccia.
A chi da sinistra parla di “indegno accostamento” vorrei ricordare che nel giorno dei funerali di Enrico Berlinguer la presenza di Giorgio Almirante alle Botteghe Oscure, il suo sostare in raccoglimento davanti alla salma del “nemico” non suscitò alcuno sdegno nel popolo rosso e ancora oggi viene ricordata come una manifestazione di rispetto e anche di coraggio. Omaggio ricambiato qualche anno dopo quando furono Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta, nella sede del Msi, a sostare deferenti davanti alle salme di Almirante e di Pino Romualdi.
Ho scritto: “Perché non dedicare una via, una piazza a quanti presero seriamente la propria vita e quella degli altri? Sfidando il timore di non essere compresi? Di essere fraintesi? Mettendo al posto dell’odio, il rispetto. Della rivalità, la comprensione. Del sarcasmo, la lealtà. E forse, chissà, l’amicizia?”. Rilette oggi, illuminate dai bagliori di uno scontro politico sempre più rabbioso, suonano come le parole di un illuso.
Le tre facce della Meloni per ottenere consenso. - Daniela Ranieri
A un certo punto, in era ante-pandemia, quando non avevamo niente di serio a cui pensare, è diventato di moda elogiare Giorgia Meloni. Non lo facevano solo Rita dalla Chiesa e il Codacons, con le solite motivazioni (“Porta avanti i veri valori; conosce i problemi di Roma”), ma anche Le Monde, il giornale parigino della borghesia illuminata (“È dotata di un tasso di simpatia record”), e gente di sinistra: per Bertinotti “è corretta e leale”, per Roberto Vecchioni “è più a sinistra di Renzi” (e ci voleva poco), per l’archistar Fuksas “la coerenza di Giorgia Meloni è unica, è una persona profondamente legata al suo popolo”, quasi che elogiare la Meloni fosse diventato un distintivo di sciccheria da parte di gente talmente serena ideologicamente da potersi permettere di apprezzare una che condivide le idee di Ignazio La Russa, purché fosse contro il governo. Chissà cosa pensano, i fan, della performance che ha visto impegnata Giorgia alla Camera durante il voto per la proroga dello stato di emergenza, quando si è fisicamente trasfigurata, passando dall’immagine della sovranista popolana che capta gli umori del mercato della Garbatella e li porta nel palazzo del potere (a volte anche con derive un po’ così, coi toni della sora Giorgia che consiglia la fettina migliore al bancone macelleria), a quella furente e incendiaria della oppositrice che lancia l’allarme per la “vera e propria deriva liberticida” che “il governo ha messo in campo con la scusa del coronavirus”.
L’allocuzione di Giorgia est omnis divisa in partes tres:
1) Accusa al governo di voler prorogare lo stato d’emergenza per fare cose nocive e/o favori a non precisate entità: per esempio, per “consentire alla Azzolina di buttare qualche centinaio di milioni euro in banchi a rotelle con cui gli studenti potranno giocare all’autoscontro”, tasto molto battuto sui social; rovinare il turismo; costringere commercianti e imprenditori a chiudere. Non c’è chi non sappia, ormai, che lo stato di emergenza non ripristina il lockdown, ma è un assetto istituzionale e logistico dello Stato che si prepara a fronteggiare ogni evenienza. In questa fase del discorso Meloni è caricata a pallettoni, mischia un po’ di Cassese e un po’ di Agamben, ma non si sa quanto ci creda ella stessa.
2) Accusa il governo di volere poteri speciali per stare “abbarbicato alla poltrona”: in base a questo assunto, Meloni chiede elezioni subito, anche se ci sono state due anni fa. Peraltro giusto un anno fa Salvini provò a “capitalizzare il consenso” (cit. Conte) chiedendo i pieni poteri e le elezioni sulla base di quei sondaggi di cui oggi entrambi, siccome ora premiano Conte, disconoscono l’attendibilità (e si sa in che stato si aggira oggi Salvini per l’Italia). in questa fase Meloni tiene la mano in tasca, minacciosa e blasé. Non si respira nessun sentimento autentico verso “gli italiani”: è pura guasconeria.
3) Accusa il governo di aver fatto in 5 mesi cose che non c’entrano con la pandemia: dalla lotta contro l’omofobia (“Che, adesso il Covid aumenta i casi d’intolleranza verso gli orientamenti sessuali? ’N c’entra niente!”), alla sanatoria degli immigrati. Questo passaggio serve a ribadire i puntelli di Fratelli d’Italia, ad assecondare l’intolleranza quasi epidermica di certi elettori verso immigrati e gay, ciò che fa dire agli ammiratori di Giorgia che ella ha i valori ed è coerente.
Il climax è raggiunto con l’anafora di “Con quale faccia?!” ripetuto 5 volte, in cui si mischia tutto, le multe ai commercianti. gli inseguimenti coi droni, i “clandestini che violano i nostri confini” e poi vanno “a zonzo violando la quarantena”.
Al di là del merito politico, ci si chiede com’è successo che una ex missina e ministra di Berlusconi, ammiratrice devota di Almirante, abbia guadagnato una stima trasversale. Forse è stato anche per via delle parodie “simpatiche” che di lei sono state fatte sui social e nei programmi di satira Tv, con la messa in burletta del suo stile oratorio tra battaglia di Lepanto e televendite di Wanda Marchi, che Giorgia è diventata pop. Meloni ha marciato su questa popolarità e, mentre la sua faccia sui manifesti ringiovaniva, lei politicamente invecchiava, accontentandosi di scavarsi una nicchia di schiettezza popolana in contrasto con la torva facies da questurino del citofonatore. Adesso che egli è bastonato dai suoi numerosi guai, è lei a fare la faccia truce. Sotto Covid la destra ha perso il treno, non ha saputo farsi carico dell’istanza di protezione degli italiani, e mentre Salvini si è rifugiato nella negazione della realtà e nella libertà di contagio, alla Meloni, che la mascherina la indossa perché sa che c’è un’emergenza, è rimasto questo impopolarissimo spicchio di mercato, inteso per una volta in senso elettorale (fermo restando che farebbe bene a tornare in quello rionale, dove scoprirebbe che tra le paure dei cittadini non c’è la deriva liberticida).