sabato 1 agosto 2020

Uranio, protestano i parà del Tuscania: “Missioni brevi e più soldi ai malati”. - Alessandro Mantovani

Uranio, protestano i parà del Tuscania: “Missioni brevi e più soldi ai malati”

Livorno - Dopo la denuncia del “Fatto” la rappresentanza ha incontrato i vertici del reggimento.

“Mi sono arruolato nel 1982, ho fatto tutte le missioni all’estero, quando mi hanno tolto la tiroide ci hanno trovato 18 metalli, mi hanno negato la causa di servizio copiando pari pari da endocrinologiaoggi.it. Alla fine del 2018 sono andato anch’io in Iraq, non sapevamo delle questioni tra il generale Vannacci e il Coi, il Comando operativo interforze. Ci hanno fatto firmare un foglio sull’uranio impoverito e l’inquinamento, ma non sono stati presi provvedimenti, neanche le mascherine”.

Parla così Franco Careddu, appuntato scelto e delegato Cobar del I° reggimento carabinieri paracadutisti Tuscania. Il reparto d’élite della Seconda Brigata mobile dell’Arma è sottosopra. L’esposto del generale Roberto Vannacci, che ha comandato la missione in Iraq dal settembre 2017 all’agosto 2018 e accusa gli Stati maggiori di non avergli consentito di tutelare i militari dalle possibili contaminazioni legate all’uranio impoverito, non poteva passare inosservato. Il Fatto Quotidiano ne ha scritto il 18 giugno. In Iraq c’erano e ci sono tuttora un centinaio di carabinieri del Tuscania e di altri reparti, Vannacci ha scritto che l’unica cosa da fare è ridurre la durata delle missioni a quattro mesi, cioè “la media” indicata nel 2017 alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, allora a capo del Comando interforze e oggi capo di Stato maggiore della Marina, mentre in realtà durano molto di più. Al Tuscania contano “quattro decessi per leucemia, oltre venti militari ammalati per patologie tumorali alla tiroide, quattro militari per patologie varie dell’apparato digerente” si legge in una delibera del 30 giugno del Cobar Tuscania, la rappresentanza militare, che ha ottenuto un incontro con i comandanti del reggimento e della brigata, tenutosi il 13 luglio. In totale, secondo l’Osservatorio militare, sono 379 i morti e quasi 8.000 i malati.

“Sono i comandanti che chiedono di restare in Iraq più di quattro mesi – racconta Careddu –. Quello perché spara bene, quello perché è un bravo infermiere, quell’altro per un altro motivo, e poi perché non ci sono i voli, ora poi con le quarantene…”. Chiedono anche mascherine e dispositivi di protezione, nonché visite specialistiche al rientro, ma soprattutto missioni più brevi. “Attualmente un collega è lì da 380 giorni”, fa sapere Careddu. E maggiore attenzione dalla gerarchia: “Le valutazioni della commissione medica di La Spezia si fermano spesso al 24 per cento di invalidità, dal 25 in su c’è il vitalizio”, È noto che i giudici molto spesso rettificano o ribaltano la “giurisdizione domestica” della Difesa, che però continua a resistere fino in Cassazione dopo almeno 150 sentenze sfavorevoli. La riunione del 13 luglio al Tuscania non ha dato grandi risultati: “Una pacca sulla spalla”, dice Careddu. Il comandante ha preferito non rispondere al Fatto.

In Iraq i successori di Vannacci hanno fatto sottoscrivere ai militari un documento in cui c’è scritto, sulla base di studi britannici, che i “valori di Du”, depleted uranium, sono “apprezzabili” solo “a pochi millimetri dalle carcasse dei mezzi” colpiti con il noto munizionamento, quindi c’è il “divieto” di “avvicinarsi a meno di 10 metri da rottami di mezzi militari (in particolare corazzati) o similari”. Nessun accenno alle nanoparticelle di metalli diversi dall’uranio che secondo un’ormai vasta letteratura scientifica si diffondono con la combustione delle corazze e di altri obiettivi.

Domenico Leggiero, dell’Osservatorio militare, attacca: “Impossibile che un capo di Stato maggiore continui a svolgere il proprio ruolo dopo che è stato accertato che ha rilasciato dichiarazioni false a una Commissione d’inchiesta e quindi al parlamento. Impossibile che un comandante resti inascoltato dopo aver denunciato fatti gravissimi. I ministri sapevano, la politica deve intervenire”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/08/01/uranio-protestano-i-para-del-tuscania-missioni-brevi-e-piu-soldi-ai-malati/5886945/

Il Fatto Quotidiano - Vauro

La vignetta di Vauro

Il complotto della realtà. - Marco Travaglio

Vita da startupper: 1. l'esaltazione - Impresa In Corso - Blog per ...

Ieri, oltre a lodare il Corriere della Sera col più lusinghiero degli elogi (“È peggio del Fatto Quotidiano”), il Cazzaro Verde ha proseguito nella deriva psicoalcolica che contraddistingue le sue estati al Papeete Beach. È tornato a gridare al complotto per il via libera del Senato al processo Open Arms, vaneggiando di “giustizia politica alla Palamara” (che mai s’è occupato di inchieste sulla sua persona). Se l’è presa con l’altro Matteo perché “cambia idea tre volte al giorno”: e il fatto che avesse creduto alla sua promessa di salvarlo la dice lunga sul suo acume, visto che la parola dell’Innominabile è un optional anche per i parenti stretti. Poi ha annunciato di avere già studiato (verbo insolito, per lui) il modo di trascinare alla sbarra accanto a sé il premier Conte, che “sul divieto di sbarco a Open Arms era in totale accordo con me, come tutto il Consiglio dei ministri”, dunque fu suo “complice”. Purtroppo il Consiglio dei ministri non si riunì mai per discuterne, visto che lui l’8 agosto aveva rovesciato il governo.

Il 9 agosto i legali di Open Arms chiesero al Tribunale dei minori di Palermo di far sbarcare i minorenni dalla nave carica di migranti. Il 12 il Tribunale chiese spiegazioni al governo. Il 13 Conte ordinò a Salvini di far sbarcare almeno i minori, invano. Il 14 il Tar Lazio sospese il divieto di sbarco. La nave fece rotta sull’Italia, ma senza ricevere l’indicazione del porto sicuro da Salvini. Che quello stesso giorno attaccò il premier perché era di parere opposto al suo: “Conte mi ha scritto per lo sbarco di alcune centinaia di migranti a bordo di una nave Ong. Gli risponderò garbatamente che non si capisce perché debbano sbarcare in Italia”. Il 15 Conte pubblicò una nuova, durissima lettera a Salvini (per i giudici, la prova che il ministro fece tutto da solo contro le indicazioni del premier): “Ti ho scritto ier l’altro una comunicazione formale, con la quale, dopo avere richiamato vari riferimenti normativi e la giurisprudenza in materia, ti ho invitato, ‘nel rispetto della normativa in vigore, ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori’… Con mia enorme sorpresa, ieri hai riassunto questa mia posizione attribuendomi, genericamente, la volontà di far sbarcare i migranti a bordo. Comprendo la tua ossessiva concentrazione nell’affrontare il tema dell’immigrazione riducendolo alla formula ‘porti chiusi’. Sei… proteso a incrementare i tuoi consensi. Ma parlare come Ministro dell’Interno e alterare una chiara posizione del tuo Presidente del Consiglio, scritta nero su bianco, è questione diversa. È un chiaro esempio di sleale collaborazione, l’ennesimo, che non posso accettare”.

Poi rivendicava la linea di “maggiore rigore rispetto al passato” contro l’immigrazione clandestina e i successi in Ue sulle redistribuzioni: “Francia, Germania, Romania, Portogallo, Spagna e Lussemburgo mi hanno appena comunicato di essere disponibili a redistribuire i migranti… Siamo agli sgoccioli di questa nostra esperienza di governo… ho sempre cercato di trasmetterti i valori della dignità del ruolo che ricopriamo e la sensibilità per le istituzioni che rappresentiamo. La tua foga politica e l’ansia di comunicare, tuttavia, ti hanno indotto spesso a operare ‘slabbrature istituzionali’, che a tratti sono diventate veri e propri ‘strappi istituzionali’”. Era l’antipasto del liscio e busso che Conte gli avrebbe riservato in Senato cinque giorni dopo. Infatti Salvini cedette e sbarcarono tutti.

Ecco: l’unico complotto in corso contro Salvini è quello della realtà dei fatti che, appena apre bocca, s’incaricano puntualmente di smentirlo. Sempre e su tutto. Partecipa a un convegno sul Covid e fa il negazionista, violando la legge sulle mascherine nei luoghi chiusi affollati: e subito i contagi risalgono, tant’è che pure Zaia gli ricorda che il virus è tutt’altro che estinto. Tuona, in ottima compagnia, contro la “svolta autoritaria” per la proroga dello stato di emergenza: e ieri, non bastando le sapienti lezioni di Zagrebelsky e di altri giuristi veri, Mattarella ricorda a chi sproloquia di libertà violate che “libertà non è fare ammalare gli altri: non dobbiamo rimuovere” il Covid-19 e i suoi danni “per rispetto dei morti, dei sacrifici affrontati dai nostri concittadini: altrove il rifiuto di quei comportamenti provoca drammatiche conseguenze”. Ancora una volta la realtà dei fatti contro le balle della propaganda. E siccome il pugile suonato è pure sfigatissimo, viene sbugiardato persino dai dati Istat sul calo del Pil: dati terribili per tutt’Europa, ma meno peggiori in Italia che in altri Paesi, come la Spagna e la Francia, portati a modello perché più bravi a riaprire prima. Il 21 aprile, con più di 400 morti al giorno, il Cazzaro Verde chiedeva di riaprire tutto, visto che “in Austria hanno aperto un sacco di negozi e attività commerciali, in Germania idem, in Spagna e in tanti altri Paesi”. Il 28 aprile gli fece eco l’altro Matteo, noto economista pure lui: Francia, Germania, Spagna “stanno ripartendo più velocemente di noi e ci strappano fette di mercato”, basta “tenere il Paese agli arresti domiciliari”. Ora i dati Istat dicono che nel secondo trimestre 2020 (dalla fine del lockdown all’inizio della fase 3), l’Italia ha perso il 12,4% del Pil, contro il 13,8 della Francia e il 18,5% della Spagna. Nulla si sa della Svizzera e delle Bahamas, ma basta chiedere a Fontana.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/08/01/il-complotto-della-realta/5886893/

venerdì 31 luglio 2020

Quando Renzi e Salvini attaccavano il governo sulla crisi post-Covid: “Riaprire l’Italia come altri Paesi Ue”. Ecco cosa dicono i dati del Pil.

Quando Renzi e Salvini attaccavano il governo sulla crisi post-Covid: “Riaprire l’Italia come altri Paesi Ue”. Ecco cosa dicono i dati del Pil

Ad aprile l'ex premier definiva "allucinante" la riapertura dei negozi in Germania "mentre noi siamo in queste condizioni". Per il segretario del Carroccio l'Italia rischiava una "guerra commerciale" da Paesi come Spagna e Francia se l'esecutivo non avesse subito avviato la fase 2. Ora l'Istat fornisce i dati sull'andamento del prodotto interno lordo in quel periodo.

L’Italia contava ancora più 400 morti al giorno per coronavirus quando Matteo Salvini, il 21 aprile, chiedeva di riaprire il Paese il prima possibile, visto che “in Austria hanno aperto una sacco di negozi e attività commerciali, in Germania idem, in Spagna e in tanti altri Paesi europei”. Pena, a suo dire, il rischio di una “guerra commerciale all’Italia” da parte degli alleati. Pochi giorni dopo, il 28 aprile, sosteneva lo stesso anche Matteo Renzi: un presidente del Consiglio deve guardare “il numero dei posti di lavoro, l’andamento del pil, le previsioni internazionali“. Francia, Germania, Spagna “stanno ripartendo più velocemente di noi” e “ci strappano fette di mercato“. Non si può “tenere il Paese agli arresti domiciliari“. Un coro bipartisan contro la crisi dovuta al Covid ripetuto per settimane da una fetta del centrodestra, dall’ex premier di Rignano e a un certo punto pure dal segretario dem Nicola Zingarettisecondo cui la riapertura dei negozi prevista inizialmente per il primo giugno era “molto lontana”. Eppure, quegli indici del Pil citati da Renzi, oggi dicono in parte il contrario. Nel secondo trimestre 2020, cioè nel periodo che va dalla fine del lockdown all’inizio della fase 3l’Italia ha segnato un calo del 12,4%. Com’è andata altrove? Quei Paesi che per Salvini e co. dovevano essere presi a modello hanno fatto peggio di noi. Nello stesso periodo in Francia il crollo è stato del 13,8%, mentre in Spagna addirittura del 18,5%. Solo la Germania ha fatto meglio, portando a casa un -10,1%.

I paragoni del centrodestra con gli altri Paesi Ue – Nel corso dei lunghi mesi di lockdown i leader politici hanno più volte cambiato posizione sulle misure adottate dall’esecutivo. Il segretario del Carroccio, a inizio marzo, predicava di “chiudere tutta l’Italia” prima che “sia troppo tardi”, salvo poi correggere il tiro a distanza di poche settimane. “A Mattarella ho detto che prima si torna a lavorare, in sicurezza, con le mascherine, meglio è. In Germania lavorano, in Turchia lavorano e le nostre aziende rischiano di perdere il treno”, dice l’11 aprile al Tg4. “Veneto e Lombardia sono state le prime a chiudere e a imporre restrizioni. Qua il tessuto produttivo sta soffrendo più che altrove”, insiste tre giorni dopo a Telelombardia, sostenendo che “qualcuno sta approfittando del virus per fare concorrenza sleale alle nostre imprese”.

Una linea a cui si accodano pure i governatori di centrodestra. “Abbiamo due possibilità: tenere chiuso tutto e morire in attesa che il virus se ne vada oppure ripartire. Tutti alla fine hanno deciso di convivere col virus e riaprire, perchè oltre un certo limite la chiusura non è sostenibile”, dichiara il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, mentre il suo virologo di fiducia Andrea Crisanti si affanna a fare il più alto numero di tamponi possibile. “Molti altri Paesi europei sono già ripartiti, è necessario ragionare subito del nostro futuro“, gli fa eco Attilio Fontana, sebbene solo la Lombardia quel giorno segni +941 contagi e 231 morti in più. Poi si arriva a fine aprile, quando il premier Conte tiene una conferenza stampa per spiegare ai cittadini le tappe della fase 2, incentrata sulla prudenza e sulle indicazioni del Comitato tecnico scientifico. Le opposizioni si sollevano contro il governo e accusano Palazzo Chigi di “massacrare interi settori”. Salvini parla di “dramma economico difficilmente recuperabile”, mentre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sentenzia: “Un’altra lunga e confusa conferenza stampa di Conte per dirci che, in sostanza, la fase due è quasi identica alla fase uno”.

Da Zingaretti a Renzi, polemiche anche in maggioranza –In quell’occasione non sono mancati malumori nemmeno tra le forze di maggioranza. “Qualsiasi scelta sui tempi di riapertura deve essere orientata a limitare al massimo la recrudescenza di una diffusione che probabilmente ci sarà, ma che va tenuta sotto controllo, con il costante supporto della scienza”, spiega al Corriere della Sera il segretario dem Zingaretti. Che prova a inseguire gli avversari sul terreno della lotta alla crisi mandando un messaggio a Palazzo Chigi: “Mi permetto di suggerire al governo di affidarsi alle curve epidemiche per riavviare le attività di alcune categorie, come ristoranti, bar o, in generale, il commercio. Verificando anche la data del primo giugno che mi pare molto lontana“. Molto più duro il fondatore di Italia Viva, secondo cui è “allucinante” la riapertura dei negozi in Germania “mentre noi siamo in queste condizioni e abbiamo il problema che in Italia non si riapre”.

Parole che in realtà non suonano nuove nelle dichiarazioni pubbliche rese dagli esponenti del suo partito già da fine marzo, ancora prima rispetto al cambio di linea deciso da Salvini. “Perché i gruppi italiani possono produrre acciaio in Germania, o matite in Francia, e non in Italia?”, si chiede il deputato di Iv Massimo Ungaro, puntando il dito contro la “prateria alla concorrenza degli altri che hanno già riaperto”. Per questo, aggiunge, “è fondamentale riaprire le fabbriche” gradualmente “già adesso”. Altrimenti, “la crisi economica rischia di creare anch’essa vittime come quella sanitaria”. Questioni di priorità, insomma. “Dicono tutti che sì, bisogna riaprire. E decidere come farlo. Solo che gli altri, che si sono organizzati per tempo, sono già partiti”, chiosa l’ex premier nella sua Enews del 14 aprile, prendendo a esempio i casi di Spagna e Francia. Proprio i Paesi che, nel secondo trimestre 2020, hanno subito il contraccolpo più duro in termini di Prodotto interno lordo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/07/31/quando-renzi-e-salvini-attaccavano-il-governo-sulla-crisi-post-covid-riaprire-litalia-come-altri-paesi-ue-ecco-cosa-dicono-i-dati-del-pil/5886028/

Amenità.





Il Protocazzaro. - Marco Travaglio

Caso camici, trovati i 25mila mancanti nella sede del cognato di ...

E niente, non si riesce a stargli dietro. Questo Fontana è un’iradiddio: spara più balle delle macchinette automatiche lanciapalle con cui si allenano i tennisti. Di questo passo il record del Cazzaro è in serio pericolo. Riavvolgiamo il nastro.

A mia insaputa. “Non sapevo nulla della procedura e non sono intervenuto in alcun modo” (8.6). Falso. Il suo assessore Raffaele Cattaneo dichiara a verbale di aver informato Fontana della fornitura di 75mila camici per 513mila euro affidata dalla regionale Aria Spa alla Dama Spa (l’azienda di suo cognato e di sua moglie, Andrea e Roberta Dini) fin da subito, cioè dal 16 aprile. E lui intervenne per trasformare il contratto oneroso in donazione solo il 20maggio, quando Report aveva scoperto tutto.

Date ballerine. “Solo il 12 maggio sono stato informato che la fornitura di camici da Dama era a titolo oneroso” (in Consiglio Regionale, 27.7). Falso: oltre alla smentita del suo assessore, c’è quella dell’ex ad di Aria Spa, Filippo Bongiovanni: “Comunicai la fornitura di Dama alla segreteria di Fontana il 10 maggio”.

Donazione lucrosa. “Quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch’io. Fare anch’io una donazione” (La Stampa, 26.7). “Ho voluto alleviare l’onere dell’operazione, partecipando personalmente alla copertura di parte del mancato introito. È stata una decisione spontanea. Col mio legame avevo solo arrecato svantaggio a un’azienda legata alla mia famiglia” (in Consiglio Regionale, 27.7). Ma era il cognato che voleva fare la donazione o è lui che gliel’ha imposto e poi ha tentato di risarcirlo con i 250mila euro che voleva bonificare dal suo conto svizzero, ma furono bloccati per sospetto riciclaggio? E che senso ha risarcire qualcuno per i mancati introiti di una donazione, per definizione gratuita e senza introiti? Che cos’era, beneficenza a pagamento?

Regione indenne. “Regione Lombardia non ha speso un euro per la fornitura dei camici” (in Consiglio Regionale, 27.7). Sì, ma non grazie a lui che avallò la fornitura da 513mila euro: grazie a Report che scoprì lo scandalo e al Fatto che lo raccontò in anteprima, inducendo tutti alla precipitosa retromarcia. In ogni caso la Regione ha subìto un bel danno: ha firmato un contratto per 75mila camici, ma la ditta dei congiunti di Fontana ne ha consegnati solo 49mila. Gli altri 26mila Dini, quando seppe che non ci avrebbe più guadagnato, li tenne per sé e tentò di venderli a prezzo maggiorato a una clinica di Varese: la Gdf li ha trovati e sequestrati ieri perquisendo l’azienda come corpo del reato di frode in pubblica fornitura.

Già, perché il contratto Aria-Dama resta valido: la Regione non l’ha mai tramutato in donazione, dunque Dama è inadempiente.
Camici utilissimi. “In quel frangente avremmo acquistato camici e mascherine da chiunque, mi creda” (al Foglio, 29.7). Purtroppo lo smentisce Bongiovanni: “Quei camici alla Regione non servivano più”.

Nassau vende moda. “Escludo che mia madre sia mai stata alle Bahamas, non ho idea di come sia venuta fuori questa storia. A quanto ne so quei soldi sono sempre rimasti a Lugano… I risparmi di una vita dei miei genitori” (ibidem, 29.7). “Quello all’estero era un conto che avevano i miei genitori, una cosa purtroppo di moda a quei tempi” (a Repubblica, 28.7). Infatti dal Varesotto partivano ogni giorno voli charter per le Bahamas, il famoso ponte aereo Varese-Nassau, dove le dentiste (come mamma Fontana, la più cara del mondo) e gli impiegati alla mutua (come babbo Fontana, il più pagato del mondo) portavano i risparmi: nel caso di specie, 5,3 milioni. Peccato non aver saputo di quella simpatica moda, sennò ne avremmo approfittato tutti.

Macché evasori. “Evasione fiscale? Ma che dice? I miei hanno sempre pagato tutte le tasse, mia madre era super fifona, figurarsi evadere… Non so davvero dirle perché portassero fuori i loro risparmi” (ibidem). E perché Fontana, avvocato dal 1980, vice-pretore onorario (cioè magistrato) dal 1983, politico della Lega Nord dal 1990, non gliel’ha mai domandato? Secondo lui, perché mai una coppia di italiani, se vuol pagare le tasse, nasconde i soldi su due trust alle Bahamas? Per esotismo? Se i soldi fossero stati legalmente esportati pagando le tasse, che bisogno c’era dello schermo dei due trust a Nassau? E perché Fontana, dopo averli ereditati, redasse la voluntary disclosure con la legge del 2014 per rimpatriare i capitali illecitamente esportati? E perché, se li fece rientrare in Italia, li lasciò su un conto all’Ubs di Lugano?

Conto dormiente. “Comunque era un conto non operativo da almeno la metà degli anni 80” (ibidem). Balla pure questa: quel conto, fra il 2009 e il 2013 (quando sua madre aveva 86-90 anni e lui ne era contitolare e beneficiario), movimentò centinaia di migliaia di euro. Faceva tutto la vecchina o vi operava pure lui nel sonno?
Tutto dichiarato. “Quel conto è dichiarato, pubblico, trasparente, riportato nella mia dichiarazione patrimoniale sui siti regionali fin dal primo giorno del mio mandato” (ibidem). Peccato che nel 2017 l’Anac abbia multato Fontana per aver omesso nel 2016 la dichiarazione patrimoniale obbligatoria dei 5,3 milioni scudati in Svizzera nel 2015. A risentirci alla prossima balla.

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Almirante-Berlinguer: la provocazione politica va in Piazza. - Antonio Padellaro

L'Anpi tuona: "Non può esserci una piazza Almirante a Terracina"

Un anno fa, nel libro Il Gesto di Almirante e Berlinguer (PaperFirst) proponevo di dedicare una piazza alla battaglia comune condotta contro il terrorismo degli anni di piombo da due personaggi diversissimi e che militavano su fronti contrapposti, ostili. Due “nemici” che, come documentato da testimonianze dirette (quella di Massimo Magliaro, all’epoca dei fatti portavoce del segretario missino) decisero di incontrarsi più volte in segreto, tra il 1978 e il 1979, in una stanza di Palazzo Montecitorio, per condividere informazioni, e forse anche una condotta comune. Mentre un duplice nemico mortale – le Br e lo stragismo fascista – stava minacciando le basi stesse della democrazia repubblicana.

Che dire allora della mozione approvata dal consiglio comunale di Terracina di intitolare una piazza ad Almirante e Berlinguer? Quando pure fosse ispirata a un apprezzabile tentativo di pacificazione retrospettiva, appare tuttavia come un atto improvvisato che ha il difetto di fornire, nell’accostamento tra il fascista repubblichino e lo storico leader del Pci, una motivazione troppo generica. E dunque facilmente sospettabile di essere usata per finalità politiche di stampo locale.

Nella mia proposta invece l’accento era sul “gesto”, finalizzato a quel bene comune chiamato interesse nazionale in un momento tragico della nostra storia.

Si dice che quando la casa brucia non conta di che colore è la divisa dei pompieri: infatti, riportando alla luce quella antica vicenda volevo dimostrare che quel “gesto” – senza mettere minimamente sullo stesso piano fascisti e antifascisti, carnefici e vittime, valori e disvalori – testimoniava un modo nobile di intendere la politica di cui oggi, nell’era dell’insulto mediatico, non rimane più traccia.

A chi da sinistra parla di “indegno accostamento” vorrei ricordare che nel giorno dei funerali di Enrico Berlinguer la presenza di Giorgio Almirante alle Botteghe Oscure, il suo sostare in raccoglimento davanti alla salma del “nemico” non suscitò alcuno sdegno nel popolo rosso e ancora oggi viene ricordata come una manifestazione di rispetto e anche di coraggio. Omaggio ricambiato qualche anno dopo quando furono Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta, nella sede del Msi, a sostare deferenti davanti alle salme di Almirante e di Pino Romualdi.

Ho scritto: “Perché non dedicare una via, una piazza a quanti presero seriamente la propria vita e quella degli altri? Sfidando il timore di non essere compresi? Di essere fraintesi? Mettendo al posto dell’odio, il rispetto. Della rivalità, la comprensione. Del sarcasmo, la lealtà. E forse, chissà, l’amicizia?”. Rilette oggi, illuminate dai bagliori di uno scontro politico sempre più rabbioso, suonano come le parole di un illuso.

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