Luigi Di Maio? Un “vero leader”, uno “studente preparato”. A dirlo non è Vito Crimi, ma Renato Brunetta. Il falco berlusconiano ha esalato parole di amore puro nei confronti del ministro degli Esteri: “Di Maio è giovane, intelligente, rispettoso, veloce, sa ascoltare e con un vecchio signore come me si è sempre comportato bene”. Non solo: “Di Maio sta trasformando un movimento caotico in un partito strutturato e responsabile. E queste imprese non le raggiungi se non sei un leader”.
Ovviamente è lo stesso Brunetta che, prima delle elezioni del 2018, tuonava parole sature di stima nei confronti del “vero leader” 5 Stelle: “Caro Luigi Di Maio, spudorato e ignorante. Stai truffando i cittadini con la barzelletta del candidato premier e della lista di ministri al Quirinale. Vergognati e studia un po’ di diritto costituzionale. Trovati un lavoro e solo dopo cita il professor Brunetta”.
Cosa è successo? Due cose. La prima è il terrore della scomparsa, che attanaglia (anche se mai lo ammetterà) un navigato marpione della politica come Brunetta. La seconda è il mero opportunismo politico, che è poi in realtà (per Di Maio) null’altro che un bel cetriolone in arrivo. Da quanto tempo non si sente parlare di Brunetta? Mesi, anzi anni. Che in politica son quasi secoli. Troppo intelligente (e orgoglioso) per ridursi a elemosinare scranni televisivi di contrabbando come un Gasparri qualsiasi, Brunetta non dà segno di sé da un bel po’. Sono lontani gli scontri con Bignardi e Gruber, sono lontane le caricature (geniali) di Crozza. Dell’economista che sognava il Nobel, amava Craxi e vinceva il premio Rodolfo Valentino (non è una battuta), non parla più nessuno. L’ultima volta è stato avvistato in un recente servizio di Enrico Lucci a Cartabianca. Lucci provava a chiedergli qualcosa, e Brunetta – camminando senza mai fermarsi – ripeteva ossessivamente e astiosamente: “Grazie, buon lavoro!”.
La smisurata antipatia, che Brunetta ostenta e brandisce come un bizzarro merito padronale, non è certo scemata. L’uomo resta quello di prima, aduso a tuonare contro satira, Pubblica amministrazione “fannullona” e “culturame” de sinistra. A mutare è stato lo scenario politico, che ha reso marginale Forza Italia e dunque anche lui, certo poco entusiasta della crescita (un tempo) di Salvini e (tuttora) di Meloni. “Alleati” che deve detestare così tanto politicamente da arrivare a (fingere di) apprezzare il non plus ultra del grillismo. Ovvero, per berlusconiani e non solo, il male assoluto. E qui viene il secondo punto: l’opportunismo politico. Il “sì” allo scostamento di bilancio. I toni più istituzionali. Addirittura il riconoscimento pubblico al nemico. Tutto questo, in un Paese politicamente normale, sarebbe meraviglioso: l’opposizione che fa squadra col governo, di fronte al vile nemico comune (il Covid). Sarebbe bello. Fidarsi dei berlusconiani è però una perversione ormai sconcia e decaduta, dentro la quale sono naufragati non pochi leader di centrosinistra. Di Maio, sin qui, ha sempre risposto alle avance forziste con una sorta di “Se vogliono appoggiarci esternamente gratis, per me va bene”. Ma Brunetta, uomo tanto scaltro quanto spregiudicato, non fa nulla politicamente gratis. Come Berlusconi. Se Brunetta stima personalmente Di Maio, okay. Se questa corrispondenza (per ora univoca) di amorosi sensi si traduce però in un allargamento ufficiale della maggioranza, allora è la fine. Per i 5 Stelle, e tutto sommato chi se ne frega: chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Ma più che altro per il Paese. E questa sì che sarebbe una sciagura.