Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 7 agosto 2021
Il teorema di Pitagora al tempo dei Babilonesi
Una tavoletta babilonese riscrive la storia della matematica.
Il più antico esempio di geometria applicata del mondo impresso su una tavoletta babilonese (fonte: UNSW Sydney) |
E' il più antico esempio di geometria applicata, a fini catastali.
La tavoletta d’argilla, rinvenuta in Iraq nel 1894 e indicata con la sigla Si.427, “è l’unico esempio noto di documento catastale dell’antico periodo babilonese: in questo caso ci racconta i dettagli legali e geometrici di un campo che è stato diviso dopo la vendita di una sua parte”, spiega Mansfield. “Con questa tavoletta possiamo davvero vedere per la prima volta perché i Babilonesi erano interessati alla geometria: serviva a tracciare i confini in maniera precisa. Questo avveniva in un periodo in cui la terra iniziava a diventare privata: le persone volevano stabilire i giusti confini per avere buone relazioni di vicinato, e questo è proprio quello che ci dice questa tavoletta”.
Secondo Mansfield, la scoperta potrà avere importanti implicazioni anche per la storia della matematica, perché “nessuno si aspettava che i Babilonesi usassero le terne pitagoriche in questo modo”. Una lista di quelle utili per le applicazioni sui terreni sarebbe riportata sopra una seconda tavoletta dello stesso periodo, chiamata Plimpton 322, che i periti babilonesi avrebbero usato come una sorta di manuale per risolvere i loro problemi pratici: una strategia ben diversa dalla trigonometria dei Greci, concepita osservando le stelle nel secondo secolo avanti Cristo.
ANSA
Mario Er Vescica. - Marco Travaglio
Qualche settimana fa, volendo in fondo un gran bene al nostro premier, fummo colti da un vago senso di inquietudine nell’apprendere da Il Tempo che “Draghi non molla mai, neanche per andare in bagno”: “Alla Camera la sua resistenza in aula è stata lodata da tutti e alcuni hanno proposto di conferirgli l’ambitissimo premio ‘vescica di ferro’, dedicato a chi rimane al proprio posto per ore e ore senza andare al gabinetto”. Egli non evacua: trattiene. Ora, nell’imminenza del Ferragosto, pensavamo che si sarebbe concesso un po’ di relax per recuperare le energie e soprattutto le minzioni perdute. Invece niente. Ieri Repubblica titolava: “Il potere che non va in vacanza da Andreotti a Draghi: storie di stakanovisti e insonni. Il premier fa sapere che non andrà in ferie”, lui che “si è preso sulle spalle il suo compito con uno spirito che Giuliano Amato, altro ragionevole stakanovista del potere, ha sintetizzato con la formula latina coactus tamen voluit, l’ha voluto per obbligo, ma l’ha voluto”. Un po’ come il Duce, che lasciava “la luce accesa nottetempo a Palazzo Venezia… per cui gli italiani si riposavano e lui, fervido, vegliava”. Come Parri, che “si fece posteggiare una brandina nel suo ufficio al Viminale”. Giù giù fino al babbo Silvio e all’erede Matteo, che vantavano pacchianamente ritmi vertiginosi e veglie leggendarie. Ma, “lontano da certi accomodamenti nazionali”, “Draghi non è tipo da produrre questi spettacolini”: “a Palazzo Chigi si lavora in piena estate e la scelta non dovrebbe troppo sorprendere”. Vuoi vedere – ci siam detti – che Er Vescica trattiene pure ad agosto? Poi, inoltrandoci nella lettura, abbiamo scoperto con sollievo che “ha trovato il modo di passare qualche ora di meritatissimo riposo”. Non, si capisce, in una volgare o banale località di villeggiatura. Forse alla toileette.
Chi non ha di questi problemi è Salvini: già non faceva una mazza neppure da vicepremier e ministro dell’Interno, figurarsi da senatore, cioè da disoccupato. Ieri dal Papeete Beach, tra una visita della Guardia di Finanza e l’altra, anziché festeggiare gli ori degli atleti italiani, twittava contro il sottoscritto che, a suo dire, tifava contro (fatto mai accaduto). Si può comprendere un poveretto che da due anni non ne azzecca una ed è costretto ad arrampicarsi sui campioni olimpionici per fingere di aver vinto lui. Ma in Italia c’è un solo leader che fino a qualche anno fa ripeteva “Il Tricolore mi opprime” e tifava contro gli Azzurri perché “Non esiste un articolo della Costituzione in cui c’è scritto che bisogna tifare Italia”. Il suo nome è Salvini. Il che smentisce almeno la sua fama di fannullone: secondo un noto aforisma, infatti, “i cattivi a volte si riposano, gli imbecilli mai”.
ILFQ
venerdì 6 agosto 2021
Colpa per colpa, tutti i carnefici di Mps. - Nicola Borzi e Carlo Di Foggia
Nomi e ruoli. L’agonia della banca. Quante distrazioni Da Mussari e i suoi fino ai “vigilanti” Draghi, Tarantola, Vegas, a Orcel e all’ex ministro Padoan: ecco attori e comparse del disastro senese.
L’ultima tappa del disastro Mps – lo spezzatino e la cessione a UniCredit – costerà allo Stato almeno 8 miliardi. A dispetto della cifra, però, nessuno, né il ministro dell’Economia né le autorità bancarie, si prende la briga di spiegare come si è arrivati a questo punto. Ecco una breve e inesaustiva lista dei volenterosi carnefici del Monte.
Giuseppe Mussari. Avvocato cresciuto nei Ds, banchiere dilettante per sua stessa ammissione, nasce dalemiano ma si fa apprezzare dai potentati senesi che lo fanno presidente della fondazione che controlla l’istituto. Nel 2006 si fa nominare presidente della banca e l’anno dopo decide lo sciagurato acquisto di AntonVeneta: la paga tre volte il valore pagato all’olandese Abn Amro dal Santander di Emilio Botin, che gliela vende a scatola chiusa tramite il capo italiano, Ettore Gotti Tedeschi, seguace dell’Opus Dei come Botin. L’acquisto, chiuso a crisi finanziaria mondiale già scoppiata, scasserà la banca. Le famose operazioni in derivati (Alexandria e Santorini) serviranno solo tamponare le falle. Chi ha appoggiato Mussari? La lista di chi applaudì all’operazione è lunghissima. In cima ci sono Franco Bassanini e Giuliano Amato, per un decennio eletti a Siena e forti influencer delle sorti di Mps.
Annamaria Tarantola. Nel 2007, responsabile dell’area vigilanza della Banca d’Italia, è la burocrate addetta a interfacciarsi coi vertici del Monte per l’acquisto di AntonVeneta. Li incontra più volte, una anche con il governatore Draghi. “Ci raccomandammo con Mussari di fare l’acquisto per bene”, spiegò ai pm senesi. Nessuno dei vertici di Bankitalia impone una due diligence della banca. “Non ci fu segnalato che Mps aveva acquisito AntonVeneta senza due diligence. Per prassi, Banca d’Italia caldeggia sempre, in caso di acquisizioni, la due diligence preventiva”, spiegò ai magistrati l’allora dg di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, deceduto nel 2019. Monti promuove Tarantola nel 2012 alla presidenza della Rai. Oggi è consigliera economica a Palazzo Chigi.
Vincenzo De Bustis. Banchiere dalemiano, a fine ’99 convince Mps a strapagare per 1,3 miliardi Banca 121, che guida. Operazione che inizia a picconare i conti: lui passa armi e bagagli a Siena, insieme ad alcuni manager fidati. Plurimultato dalle autorità di vigilanza, il suo nome comparirà anche nel disastro della Popolare di Bari.
Mario Draghi. È il governatore di Bankitalia quando Mussari decide di strapagare AntonVeneta. Nel 2008 autorizzò l’acquisto perché “non in contrasto con la sana e prudente gestione della banca”. Eppure la Vigilanza sapeva che AntonVeneta era decotta perché l’aveva ispezionata a fine 2006. Dopo che Mussari e il dg Antonio Vigni lo incontrano in Via Nazionale, il secondo si appunta “Bankitalia sarà al vs fianco”. A gestire la pratica ci sono Tarantola e Saccomanni. Draghi è riuscito a non essere mai sentito da nessuno sulla vicenda: né dai pm, né nei procedimenti giudiziari, né dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche dove il presidente Pier Ferdinando Casini si guardò bene dal convocarlo per non attirare le ire del Quirinale. A novembre 2011 passa alla Bce. Gli ispettori inviati a Siena hanno scoperto il derivato Alexandria. Nello stesso mese, il suo successore Visco convoca Mussari e Vigni e gli dice di togliersi di mezzo. “La Banca d’Italia ha fatto con Montepaschi tutto quanto doveva, in modo appropriato e a tempo debito. Si tratta di un caso isolato e legato non tanto alla gestione quanto a condotte criminali”, spiegherà qualche mese dopo.
Giuseppe Vegas. È un monumento al vigilante distratto. Alla guida della Consob dal 2010, riesce, come la vigilanza di Bankitalia, a non vedere o a intervenire sempre in ritardo. Il trionfo è sulle operazioni in derivati usate dalla banca per mascherare le perdite. Basta leggere la sentenza che ha condannato a 6 anni per falso in bilancio i successori di Mussari e Vigni, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, chiamati a risolvere la grana senese. Nel settembre 2011, l’Authority di Borsa attiva gli ispettori di Bankitalia dopo un esposto anonimo (l’autore è un manager di Mps) sull’operazione Alexandria. Gli ispettori capiscono che si tratta di un derivato creditizio e affidano il sospetto a un rapporto che consegnano (giugno 2012) alla Consob, titolare del potere di vigilanza sui bilanci. Consob avvia un iter lungo e farraginoso per decidere se sono derivati o no e quindi come contabilizzarli (nel primo caso a “saldi chiusi” nel secondo a “saldi aperti”, con riflessi immediati sui bilanci). Insieme a Bankitalia, l’8 marzo 2013 redigono un documento per stabilire che vanno contabilizzati a “saldi aperti” e – incredibilmente – solo dopo chiede un parere agli organismi internazionali di settore. Pochi giorni dopo, il 21 marzo, redige una nota in cui i tecnici dell’Authority scrivono di ritenere Alexandria e Santorini due derivati a tutti gli effetti. Ma non accade nulla.
Risultato: solo nel 2015 Consob decide che Mps deve correggere i bilanci perché, trattandosi di derivati, andavano contabilizzati a “saldi chiusi” mentre l’omologa tedesca Bafin aveva imposto a Deutsche Bank di considerare Santorini come tale già nel 2013. Le multe per la vicenda a Mussari e compagnia arrivano solo nel 2018, sei anni dopo, e per questo gigantesco ritardo sono state quasi tutte annullate. La Corte d’appello di Catanzaro, per dire, ha annullato quella di Mussari “per decadenza della Consob dall’esercizio della potestà sanzionatoria, in ragione della riscontrata inerzia nel- l’accertamento degli illeciti” visto che l’Authority “già dal 2014 era al corrente almeno del nucleo essenziale delle condotte contestate”.
Pier Carlo Padoan. È il conflitto d’interessi incarnato. Nel 2016, da ministro dell’Economia lascia il Monte in crisi a bagnomaria per non disturbare la campagna referendaria di Renzi, di cui accetta tutti i diktat, compreso quello di cacciare l’ad di Mps Viola per far posto a un manager gradito a Jp Morgan, con cui Renzi si era speso in promesse. Nel 2017 nazionalizza Mps con 5,4 miliardi. Dopo averli bruciati, si candida a Siena col Pd, poi abbandona il seggio dopo la nomina a presidente di UniCredit, la banca che ora si prenderà la polpa di Mps dopo la pulizia a carico dello Stato.
Andrea Orcel. Oggi guida UniCredit e il cerchio si chiude. Dalla banca d’affari Merrill Lynch partecipa a tutte le tappe del disastro (non il solo della sua lunga carriera). È il consulente dello spezzatino di Abn Amro: prima rifila l’Antonveneta a Botin, poi convince Mussari a prendersela al triplo. Oggi, in UniCredit, può godersi il frutto di quelle scelte.
ILFQ
Tanti elogi a Renato: così l’agente Betulla è ritornato a Palazzo. - Romana Allegra Monti e Giacomo Salvini
Neo-assunto. Il giornalista ha scritto diversi articoli celebrativi su ministro e governo.
Niente da dire: Renato Farina alias “agente Betulla”, si è conquistato sul campo l’assunzione come consulente giuridico del ministro Renato Brunetta. Da quando il governo Draghi si è insediato, sulle colonne di Libero il giornalista un tempo al servizio dei Servizi ha elogiato e celebrato le magnifiche gesta del premier, del commissario straordinario Figliuolo e di tutti i suoi ministri (tranne uno: Speranza, da lui considerato un pericoloso bolscevico). Ma ancora più di Draghi, Betulla ha dimostrato un particolare affetto nei confronti di Brunetta che, 6 mesi dopo, lo ha portato con sé al ministero della Funzione Pubblica.
Il 14 febbraio, dopo il giuramento, Libero apre il giornale con un titolo al limite del grottesco: “Brunetta ministro di alto profilo”. Svolgimento di Farina: “È la garanzia del ‘nessun dorma’”, “Il migliore che sia capitato all’Italia nel settore della Pubblica amministrazione”, “un professore di rilievo internazionale”. E ancora, il ritratto di Brunetta è un lungo florilegio di note biografiche in cui il ministro appare come il nuovo De Gaulle: “Nasce da famiglia poverissima”, “ha dovuto conquistarsi il diritto di svettare, trasformando le difficoltà in trampolino delle volontà”, “la carriera universitaria sfolgorante” e “una spasmodica lotta ai fannulloni”. Poi, la rivelazione di Farina: “Confesso, non parlo per sentito dire, non ho letto il suo profilo di Wikipedia: lo conosco”. Infatti hanno curato insieme una collana di libri su Libero e per cinque anni sono stati nello staff alla Camera di Forza Italia. E così il giudizio non può che essere imparziale e pungente: “Mi sono convinto per esperienza – scriveva Farina il 14 febbraio – che quest’uomo sia uno dei pochi giganti del pensiero in circolazione”. Un Nobel mancato. Betulla tesse le lodi anche dell’autrice della futura riforma della giustizia, a suo dire denigrata dal centrosinistra: “La Cartabia – scrive Farina il 16 febbraio – è riuscita a far funzionare come un orologio svizzero la Corte costituzionale che con lei, anche se positiva al Covid, marciava al galoppo”. E dal galoppo al galoppino, è un attimo.
L’inarrestabile Farina appunta al petto di Draghi e Cartabia una medaglia al valore per la cattura dei “brigatisti e assassini che se la spassavano in Francia”, definendola una “grande operazione” con un titolone sull’edizione di Libero del 29 aprile 2021. Come se li avessero catturati loro, a mani nude. Certo il soggetto preferito del suo lambire è il sommo Draghi, che affianca in ogni fondamentale e cruenta battaglia, come quella contro l’eccessivo utilizzo di parole inglesi: “Smart working, babysitting… chissà perché dobbiamo usare tutte queste parole inglesi”. Una frase che Farina definisce come “memorabile, penetrata negli animi ben oltre la crème intellettuale. […] Un sano moto di rivolta, in fondo patriottica”. Lo ha incensato persino quando, in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, Draghi ha chiuso la porta ai giornalisti (quindi la sua categoria, almeno sulla carta). Ma non basta. Quando il governo annuncia le riaperture di bar e ristoranti del 26 aprile, il merito di questo incredibile risultato è di Draghi e del suo “algoritmo di buon senso e e buon governo: salute + serenità sociale, fiducia nei cittadini + ragionevolezza = apertura progressiva”. Qualsiasi cosa voglia dire. Ma che ne pensa Betulla delle nomine volute dal premier? Su Libero del 21 aprile, Farina definisce Figliuolo come “l’uomo scelto perché stimato universalmente quale campione di logistica militare”. Mica come Arcuri. Lui ha le medaglie sul petto: “Figliuolo risolve i problemi quando fischiano i proiettili o sono lì per arrivare i missili”. Uno così non poteva che meritare una promozione.
ILFQ
Un Betulla è per sempre. - Marco Travaglio
L’arruolamento di Renato Farina nello staff del ministro Renato Brunetta in qualità nientemeno che di “consulente giuridico” è un segnale incoraggiante per almeno tre motivi. Il primo è etico: il Governo dei Migliori premia un giornalista che violò la legge prendendo soldi dai servizi segreti come “agente Betulla”. Il secondo è deontologico: il Governo dei Migliori porta a esempio per i giovani un giornalista espulso dall’albo per aver venduto la professione al Sismi del generale Niccolò Pollari e del fido Pio Pompa non per 30 denari, ma per 30mila euro, pubblicando fake news e realizzando false interviste per carpire informazioni ai pm e depistare l’indagine sul sequestro dell’imam Abu Omar, rapito e deportato in Egitto dalla Cia per torturarlo in santa pace. Il terzo è meritocratico: se il Governo dei Migliori ha un tale culto della competenza da promuovere a “giurista” un tizio che ha patteggiato 6 mesi per favoreggiamento in sequestro di persona, c’è speranza per tutti. Si dice sempre che l’America è il paese delle opportunità: e l’Italia, allora? Basta conoscere le lingue, ma soprattutto la lingua come ascensore sociale, e nessuna via è preclusa. Il 14 febbraio, appena Brunetta tornò sul luogo del relitto, cioè della PA, Farina gli dedicò su Libero un sobrio ritratto dei suoi: “Meno male che c’è lui. È l’unica autentica sorpresa di questo governo… È un numero primo. Il migliore ministro che sia capitato all’Italia nel settore… Un professore di rilievo internazionale… la stampa internazionale l’aveva individuato nel campo dell’economia del lavoro come un potenziale Nobel… uno dei pochi giganti del pensiero in circolazione… altissimo profilo intellettuale e morale”. Infatti gli ha fatto un contrattino piuttosto stitico da 18mila euro l’anno: solo per il rimborso saliva, meritava ben di più, specie ora che a Libero gli Angelucci tagliano i compensi.
Il curriculum del giureconsulto è di tutto rispetto. Ciellino, prima al Sabato, poi all’Indipendente e al Giornale con Vittorio Feltri, si sbuccia le ginocchia intervistando B. e si specializza in bufale: interviste mezze inventate alla Ariosto e a Massimo Fini, campagna contro la Boccassini accusata di “rapire bambini”, cose così. Nel ’94 diventa portavoce di Irene Pivetti, di cui – politicamente, s’intende – si invaghisce. Un giorno Feltri gli racconta, d’accordo con l’intera redazione, di avere in pagina un servizio fotografico della Pivetti senza veli: lui se la beve, le prova tutte per bloccare la pubblicazione e alla fine, fra l’ipossia e l’ictus, s’inginocchia al direttore sporgendogli un assegno ed esalando un “Ti prego, le foto le ricompro io, metti tu la cifra”, prima di essere sommerso da una risata omerica.
Lo nota subito l’Ufficio Disinformatija del Sismi, diretto da Pompa, che i giornalisti scomodi li spia e quelli come lui li arruola. “Io – gli dice Farina – ti do anche la pattumiera, poi sei tu a scegliere, perché molte cose che girano nell’ambiente giornalistico sono anche tentativi di depistaggio, no?”. In cambio di cotanta monnezza, Pompa gli passa “soffiate” basate sul nulla, che Betulla mette in pagina sotto dettatura e senz’alcun controllo. Annuncia attentati di al Qaeda mai esistiti. Sputtana nemici veri o presunti del Sismi, tipo Prodi e De Gennaro. Insulta gli ostaggi italiani in Iraq: Simona Pari e Simona Torretta (“le vispe terese”), Giuliana Sgrena (rapita dai “suoi amici terroristi”), Enzo Baldoni (“un pirlacchione” da “vacanze intelligenti”). In cambio si contenta di poco: ai Mondiali in Germania, Pompa gli regala due biglietti di tribuna per Italia-Ghana e lui lo ringrazia sulla prima di Libero, in codice cifrato: “Ho usato amici che la sanno lunga. Fatta! Grazie a Pio e a Dio”.
Nel maggio 2006, in missione per conto di Pio, realizza una falsa intervista ai pm Spataro e Pomarici che indagano sul sequestro Abu Omar per rubare i segreti dell’inchiesta. Non sa che Pompa è intercettato e dunque pure lui che lo chiama mentre va all’appuntamento per ripassare le domande. Pensa di buggerare i due pm, che invece lo aspettano al varco per buggerare lui. Domanda loro cosa sappiano di Pollari, con una scusa astutissima: “Io sono cattolico, Pollari è cattolico, mi spiacerebbe se un cattolico facesse cose brutte”. Manca poco che i pm finiscano sotto il tavolo per le risate. Poi, appena esce, l’agente Farina Doppio Zero fa rapporto telefonico a Pompa: “È stata durissima, quasi quasi Pomarici mi voleva arrestare, ma alla fine li ho messi nell’angolo e ho avuto quel che cercavo”. Stavolta i pm all’ascolto possono sbudellarsi tranquillamente. Indagato per favoreggiamento, si difende alla grande. Si dipinge come un patriota della “quarta guerra mondiale” (senza spiegare quale sia la terza) in difesa della “civiltà ebraico-cristiana”. Sostiene di aver mediato nel ’99 nientemeno che tra Milosevic e D’Alema (che smentisce). Racconta di aver aderito al Sismi perché “è come se mi fossi innamorato di Pollari”. Ricorda una velina su eventuali attentati a Londra che lui, su Libero, tradusse così: “Tettamanzi e Formigoni nel mirino del terrorismo”, ma ammette: “Fu una mia esasperazione”. E ai 30mila euro preferiva “una nomina a commendatore”, però la cosa sfumò e allora li prese, ma solo per donarli a un santuario. Alla fine patteggia. E vince di diritto un seggio di FI alla Camera, poi torna sparare betullate su Libero. Voi capite perché ora è “consigliere giuridico” dei Migliori. Averne.
ILFQ