giovedì 14 aprile 2016

Atlante, il fondo salva-banche: cos'è e come funziona. - Andrea Telara

Nell'infografica realizzata da Centimetri il Fondo Atlante. © ANSA

Ecco i meccanismi con cui presto opererà il frutto dell'accordo raggiunto tra i nostri maggiori gruppi creditizi e il Governo.


Tutti i dettagli non sono ancora definiti ma la strada sembra ormai segnata: presto nascerà un nuovo fondo per aiutare le banche italiane e ricapitalizzarsi e a liberarsi delle sofferenze. Si chiamerà Atlante ed è il frutto di un accordo raggiunto tra i maggiori gruppi creditizi del Paese, con la regia del governo. Ecco, di seguito, una panoramica su come funzionerà questo nuovo organismo.

Cos'è Atlante

Sarà un fondo d'investimento con una strategia di gestione che, nel gergo degli addetti ai lavori, viene definita “alternativa”, perché non acquista i più comuni strumenti finanziari negoziati sul mercato come le azioni e i bond, ma altri prodotti come le obbligazioni bancarie subordinate che hanno un profilo di rischio medio-alto.

Chi lo gestirà

Le attività di gestione sono affidate a Quaestio Sgr, una società di diritto lussemburghese che opera sotto la guida di Alessandro Penati, docente di finanza alla Cattolica. Quaestio è partecipata dalla Fondazione Cariplo (37%) e da altri soggetti istituzionali come la Cassa dei Geometri. Consulenti dell'operazione saranno lo studio legale Bonelli Erede e Bank of America-Merrill Lynch.

Quanti soldi avrà a disposizione

Atlante dovrebbe avere una dotazione di 6 miliardi di euro, la cui maggior parte sarà investita da una serie di soggetti già individuati. Le fondazioni bancarie metteranno circa 500 milioni, altri 3 miliardi arriveranno dalle banche (in particolare, 1 miliardo sarà versato soltanto da Intesa e UniCredit). Poi dovrebbe aggiungersi anche la Cassa Depositi e Prestiti, con un investimento di almeno 500-600 milioni di euro, lo stesso previsto per Sga, una società a proprietà pubblica che è nata negli anni '90 per salvare il Banco di Napoli. Oltre ai 6 miliardi di dotazione iniziale, il fondo Atlante potrebbe disporre di altre risorse, raccolte indebitandosi.

Le Hawaii presentano il piano per divenire rinnovabili al 100%.

Le Hawaii presentano il piano per divenire rinnovabili al 100%

La principale utility dello Stato americano spiega come passare ad un’alimentazione completamente a base di rinnovabili entro il 2045. 

(Rinnovabili.it) – Meno di 30 anni per divenire completamente sostenibile sotto il profilo energetico. Questa la scommessa delle Hawaii, che si candida così a divenire banco di prova per l’indipendenza energetica degli USA. La principale utility energetica dello Stato, la HECO, ha presentato al regolatore un nuovo piano di sviluppo che punta diritto all’obiettivo del 100% di energie rinnovabili entro il 2045. Il programma, elaborato assieme alle sue controllate Maui Electric e Hawaii Electric Light Company, è stato presentato ufficialmente la scorsa settimana e si concentra in gran parte sulla modernizzazione della rete e, naturalmente, sulle fonti alternative come il fotovoltaico e l’energia eolica.

Secondo HECO, le Hawaii hanno già raggiunto oltre il 23% di energie rinnovabili nella produzione del 2015, e il percorso verso il 100% è a portata di mano. Cinque saranno le direttive perseguite per non mancare il bersaglio (il cui programma sarà comunque aggiornato ogni 5 anni):

– L’implementazione di una smart grid con l’installazione di una rete wireless moderna,         contatori intelligenti e altre tecnologie finalizzate ad ammodernare la rete elettrica esistente e migliorare l’integrazione delle risorse energetiche distribuite.
– L’emissione bandi per proposte di progetti  focalizzati sull’energia rinnovabile, con una capacità complessiva di oltre 350 MW da sviluppare entro il 2022.
– L’implementazione di comunità basate sull’energia rinnovabile, al fine di consentire ai clienti che non possono permettersi di istallare un impianto fotovoltaico domestico di riceverne comunque i benefici.
– Studiare e sviluppare sistemi di  immagazzinamento dell’energia, sia su scala utility, che a livello domestico.
– Favorire una maggiore penetrazione del fotovoltaico integrato su i tetti delle abitazioni.

Il piano si concentrerà anche su microreti e gas naturale; secondo le previsioni elaborate al computer per il 2045, il mix hawaiano dovrebbe includere: 1.215 MW di tetti solari,  36 MW di fotovoltaico in feed-in-tariff, 872 MW di fotovoltaico su scala utility, 529 MW di energia eolica onshore, 800 MW di energia eolica off-shore, 21 MW di energia idroelettrica e 118 MW di energia geotermica.

Siamo ancora più piccoli nel nuovo albero della vita. - Eleonora Degano

albero vita genoma batteri
L’albero della vita come ci appare oggi, inclusa la diversità degli organismi di cui non abbiamo che il genoma. Da Nature Microbiology

L'albero ha guadagnato rami per oltre 1000 nuovi tipi di batteri e archei scoperti negli ultimi 15 anni. Su Nature Microbiology il lavoro degli scienziati di Berkeley.

SCOPERTE – L’albero della vita, che ci mostra le relazioni fondamentali di discendenza tra i diversi gruppi tassonomici di organismi, ha appena cambiato volto. E si è fatto decisamente più complesso, una volta guadagnati i “rami” di oltre 1000 nuovi tipi di batteri e archei scoperti nel corso degli ultimi 15 anni dai ricercatori di Berkeley. “La nuova rappresentazione non tornerà utile solo ai biologi che si occupano di ecologia microbica, ma anche ai biochimici alla ricerca di nuovi geni e ai ricercatori al lavoro sull’evoluzione e sulla storia del pianeta Terra”, commenta Jill Banfield, tra gli autori del nuovo albero appena pubblicato su Nature Microbiology.
Per “leggerlo” funziona sempre allo stesso modo: le estremità dei rami rappresentano la vita sulla Terra oggi, mentre i rami che li collegano al tronco segnalano le relazioni evolutive tra i vari organismi. Un ramo che si divide in due in prossimità delle punte significa che gli organismi hanno un antenato comune recente, mentre uno che si biforca più vicino al tronco implica una divergenza evolutiva che risale a un passato più lontano.
La vera rivoluzione ha avuto inizio quando gli scienziati hanno potuto ricercare il genoma dei batteri direttamente nell’ambiente, senza la necessità di coltivarli in laboratorio: molte specie dipendono in maniera simbiotica – come spazzini o parassiti – da altri batteri o animali, perciò non riescono a sopravvivere da sole. Il nuovo albero della vita e ci dimostra, una volta in più, che gli eucarioti non sono che una minuscola parte della biodiversità, un termine che usiamo sempre più spesso ma senza davvero considerare l’enorme quantità di organismi che abbraccia. Da una seconda visualizzazione per il nuovo albero, in cui gli organismi vengono raggruppati in base alla distanza evolutiva e non sfruttando la tassonomia, emerge che circa un terzo della biodiversità deriva dai batteri, un terzo dai batteri che non siamo in grado di coltivare in laboratorio e meno di un terzo da archei ed eucarioti.
Il gruppo di Banfield ha lavorato in collaborazione con più di dieci colleghi che hanno sequenziato le nuove specie, aggiungendo ai genomi già noti più di un migliaio di altri non ancora pubblicati. Hanno costruito un albero fondato su 16 geni che codificano per proteine nei ribosomi, includendovi più di 3000 organismi, uno per ogni genere di cui abbiamo un genoma del tutto (o quasi del tutto) sequenziato a disposizione. Piante, esseri umani e animali non-umani sembrano molto meno importanti, ora. “È il primo albero a tre domini basato sul genoma a incorporare questi organismi non coltivabili”, conferma Banfield, “e rivela l’enorme portata di queste linee di discendenza ancora poco conosciute”. Perché in effetti di loro non abbiamo che il genoma, che è comunque sufficiente a offrirci una prospettiva nuova sulla storia della vita sul pianeta.
Dove li abbiamo trovati?
Questi batteri non solo rendono ardua la coltura in laboratorio, ma spesso provengono da luoghi che ai nostri occhi appaiono piuttosto inospitali. Sono i cosiddetti organismi estremofili, che vivono in condizioni di temperatura, salinità o pH estremamente bassi (o alti) e vi prosperano. Un esempio sono quelli delle sorgenti termali di Yellowstone, scoperti sempre dai ricercatori di Berkeley, o i batteri delle distese saline nel deserto di Atacama, in Cile, o ancora quelli che se la spassano nei geiser, nel nostro intestino, sotto i rifiuti tossici o all’interno della bocca di animali come i delfini.
A capire per primo l’importanza di una rappresentazione di questo tipo fu Charles Darwin, che nel 1837 provò a immaginarla in un disegno sul suo taccuino per poi crearne una versione più strutturata, comparsa sul suo libro L’Origine delle specie (1859).
albero vita darwin evoluzione
L’albero della vita di Darwin (1859). Wikimedia Commons public domain
La sua intuizione era proprio quella di mostrare come gli animali, le piante e i batteri fossero correlati gli uni agli altri. Gli archei non hanno fatto la loro comparsa fino al 1977, quando fu dimostrato che pur essendo monocellulari come i batteri erano organismi separati, e da allora l’albero non ha fatto che arricchirsi fino a includere le scoperte di genomica e biologia molecolare, che hanno integrato le conoscenze tassonomiche. A oggi nel database dell’Integrated Microbial Genomes del Joint Genome Institute sono compresi 30 437 genomi dei tre domini della vita (Bacteria, Archaea ed Eukarya).
Da quella prima di bozza di Darwin l’albero è cambiato parecchio, come abbiamo visto. A saltare subito all’occhio, in quello nuovo, è un grosso ramo descritto dagli scienziati di Berkeley come “candidate phyla radiation”, scoperto solo di recente e composto unicamente da batteri simbionti. Apparentemente, al suo interno troviamo circa la metà della diversità evolutiva dei batteri a noi nota. “Quest’incredibile diversità significa che esiste un numero a dir poco incredibile di organismi di cui stiamo appena iniziando a conoscere le peculiarità, il che potrebbe cambiare la nostra comprensione della biologia”, dice Brett Baker, co-autore dello studio e oggi ricercatore al Marine Science Institute dell’Università del Texas ad Austin.

mercoledì 13 aprile 2016

La riforma della Costituzione: come cambiano il Senato e il resto, in breve. - Vittoria Patanè


Aula del Senato a Palazzo Madama


La Camera dei Deputati, dopo un lungo iter parlamentare e un’ultima approvazione alquanto travagliata, ha approvato in via definitiva il disegno di legge di riforma costituzionale, noto anche come DdL Boschi. Adesso toccherà ai cittadini, tramite referendum popolare, esprimere il proprio voto su un provvedimento che cambia i connotati alla carta costituzionale e con essa al Senato e al Titolo V.
L’Aula di Montecitorio ha detto sì con 361 voti a favore e 7 contrari. Le opposizioni hanno deciso di non partecipare al voto, abbandonando le loro postazioni nel momento più opportuno, evitando che il provvedimento ottenesse la maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera e dunque aprendo legislativamente la strada alla consultazione referendaria.
All’interno di questo articolo riassumeremo i principali cambiamenti apportati al disegno di legge, spiegando in breve quali saranno i cambiamenti più importanti.  Il cambiamento più importante riguarda senza dubbio l’addio al bicameralismo perfetto che ha contraddistinto la storia politica e istituzionale del nostro Paese, introdotto dai padri costituenti allo scopo di “mettere al sicuro” la democrazia dopo il periodo fascista. Addio alle Province e al CNEL, nuova divisione delle competenze tra Stato e Regioni e differente modalità di elezione del Capo dello Stato.
Camera dei Deputati
Per la Camera l'unica modifica è indiretta: ci saranno sempre 630 deputati eletti a suffragio universale (elezione diretta dei cittadini), ma per via del depotenziamento del Senato saranno gli unici ad avere voce in capitolo nel momento in cui si voterà la fiducia al Governo.
Senato della Repubblica
Sarà composto da 100 Senatori: 21 sindaci, 74 consiglieri regionali e 5 senatori nominati dal Capo dello Stato, cui si aggiungono gli ex presidenti della Repubblica e gli attuali senatori a vita. Voterà solo leggi relative a Costituzione, minoranze linguistiche, elezioni locali e referendarie. Sulle leggi ordinarie potrà chiedere modifiche alla Camera, che avrà comunque l'ultima parola. Se però la legge riguarda il rapporto Stato - Regioni, Montecitorio potrà respingere la richiesta a maggioranza assoluta. Sulle leggi di bilancio il Senato avrà a disposizione quindici giorni per esprimere il proprio parere, non vincolante, a maggioranza assoluta.
I 95 senatori saranno suddivisi tra le Regioni in base al loro peso demografico, eletti dai Consigli con metodo proporzionale in base alle indicazioni espresse dai cittadini durante le elezioni regionali (ma il come verranno scelti non è ancora chiaro). Uno per Regione (e provincia autonoma) dovrà essere un sindaco. La durata del mandato dei senatori "regionali" coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, mentre quelli di nomina presidenziale resteranno in carica sette anni non rinnovabili. Non avranno indennità, ma godranno dell’immunità. Non è chiaro se avranno rimborsi spese.
Presidente della Repubblica
Sarà eletto da Camera e Senato (senza delegati regionali), ma per le prime 3 votazioni saranno necessari ⅔ dei componenti. Al quarto scrutinio si passa a ⅗. Dal settimo in poi basterà la maggioranza dei ⅗ dei votanti, un forte ribasso rispetto alla maggioranza assoluta richiesta attualmente dal terzo scrutinio in poi. Potrà sciogliere solo la Camera.
Stato - Regioni
Vengono accentrate a livello statale le competenze in materia di energia, protezione civile nazionale, infrastrutture strategicje. Su temi di interesse nazionale e previa proposta del Governo, Montecitorio avrà la possibilità di approvare alcune leggi che rimangono di competenza delle Regioni.
Consulta
Non è più prevista l’elezione in seduta comune. Dei 15 Giudici, 2 saranno eletti dal Senato, 3 dalla Camera. Metodo: maggioranza dei ⅔ dell’assemblea nei primi due scrutini, maggioranza dei ⅗ in seguito.
Voto a data certa
Nasce l’istituto del voto a data certa che garantisce una corsia preferenziale ai DdL del Governo. Quest’ultimo potrà chiedere alla Camera di concedere la priorità a un disegno di legge “essenziale” (ma non leggi bicamerali, elettorali, ecc.). Montecitorio avrà 70 giorni per votarlo.
Referendum
Scende il quorum per i referendum abrogativi per i quali sono state raccolte 800mila firme. Basterà la metà degli elettori delle ultime elezioni politiche. Viene introdotto il referendum propositivo. Le leggi di iniziativa popolare avranno bisogno di 150mila firme (prima erano 50mila) per la presentazione, ma la Camera dovrà indicare tempi precisi per il loro esame.
Decreti d’urgenza
Introdotti dei limiti per i decreti legge: non si potrà utilizzare per le materie per cui vige la “riserva di Assemblea”, cioè costituzionale ed elettorale, la ratifica di trattati internazionali e l'approvazione di bilanci e consuntivi. Cambia anche il procedimento di conversione: 30 giorni dalla presentazione e 10 giorni per la delibera delle modifiche dalla data di trasmissione del DdL di conversione da parte della Camera, che deve avvenire entro 40 giorni dalla presentazione.
Legge Elettorale
Su richiesta di un quarto dei deputati o di un terzo dei senatori le leggi elettorali potranno essere sottoposte al vaglio preventivo della Consulta che dovrà dare un giudizio di legittimità entro 30 giorni. Se la legge sarà ritenuta illegittima, non potrà essere promulgata.
Province e CNEL
Le Province verranno definitivamente cancellate dalla Costituzione mentre il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro verrà definitivamente abrogato.

Modello 730 precompilato online dal 15 aprile: istruzioni e scadenze. - Marta Panicucci

Tasse fisco
Un modulo dell'Agenzia delle Entrate (con informazioni inventate) IBTimes Italia/Candido Romano

A partire dal 15 aprile è disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate il modello 730 precompilato per la dichiarazione dei redditi 2015. Da quest’anno non solo sarà disponibile il modello 730 precompilato, ma anche il modello Unico web e modello Unico online. La procedura da seguire per l’invio del modello 730 precompilato è semplice e intuitiva, il sistema segue il contribuente passo per passo. Ma il contribuente ha anche la possibilità di rivolgersi al CAF, a un professionista abilitato oppure al datore di lavoro che ha dato la disponibilità a prestare assistenza fiscale che con delega potranno  portare a termine l’operazione per conto del contribuente. Ma vediamo i passaggi per coloro che intendono presentare da soli il modello 730 precompilato.
Dal 15 aprile modello 730 precompilato online: come si accede
Da venerdì 15 aprile sarà disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate il modello 730 precompilato e il modello Unico. Il contribuente deve eccedere al sito con le credenziali, per farlo ha cinque diverse possibilità:
  • Credenziali dell'Agenzia delle Entrate
  • Le credenziali di Fisconline
  • SPID il nuovo "Sistema Pubblico dell'Identità Digitale" per accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione
  • INPS con il Pin dispositivo (direttamente dal sito dell'ente di previdenza)
  • NOiPA con l'utenza riservata per i servizi online del Portale della Pubblica Amministrazione (direttamente dal Portale NoiPA).
Infine, l'accesso al modello precompilato è possibile anche con l'utilizzo della Carta Nazionale dei Servizi. E’ sufficiente una di queste credenziali per avere accesso alla propria area riservata e consultare il modello 730 precompilato. Qui le indicazioni dell'Agenzia delle Entrate.
Modello 730 precompilato: invio o modifica
Dopo aver effettuato l’accesso, il contribuente può consultare la propria dichiarazione dei redditi. Nel modello 730 precompilato 2016 sono già indicate detrazioni fiscali come le spese sanitarie, esclusi però i farmaci da banco, quelli senza ricetta, le spese funebri, le spese universitarie, le spese per la ristrutturazione di immobili, l’acquisto di mobilil’efficientamento energetico e i contributi per la previdenza complementare.
Di fronte al modello 730 precompilato il contribuente può: inviare la dichiarazione precompilata così com’è perché ritiene che sia completa e corretta, altrimenti modificare o integrare il modelloprecompilato correggendo le informazioni sbagliate o aggiungendo informazioni mancanti.
Comunque sia, dopo l’invio del modello precompilato, è possibile consultare la dichiarazione e verificare ancora una volta la correttezza dei dati. Da ricordare che chi presenta da solo il modello 730 precompilato senza modifiche, oppure tramite il proprio sostituto d’imposta oppure con modifiche che non incidono sul calcolo del credito o dell’imposta, non è soggetto ai controlli e non deve presentare le ricevute.
Modello Unico web e Unico online
Insieme al modello 730 precompilato, a partire dal 15 aprile saranno disponibili anche il modello Unico online e il modello Unico web per le persone fisiche. Anche in questo caso il contribuente dopo aver effettuato l’accesso, potrà consultare il modello Unico. Nel caso del modello Unico web il contribuente deve modificare e inviare, mentre per il modello Unico online deve scaricare il software e seguire le indicazioni del sistema.
Modello 730 precompilato: prossime scadenze
Dal 15 aprile il modello 730 sarà online, ma gli appuntamenti con l’Agenzia delle Entrate non finiscono qui. Ricapitoliamo le scadenze successive:

  • 2 maggio: da questa data il contribuente può modificare o inviare senza modifiche il modello 730 precompilato
  • 7 luglio: termine ultimo per la trasmissione del modello 730 precompilato. Il termine vale sia nel caso di presentazione diretta sul sito dell’Agenzia sia nell'ipotesi di presentazione al sostituto d'imposta oppure a un intermediario. È probabile che la scadenza per l’invio del modello precompilato sia rinviata al 25 luglio così come accaduto lo scorso anno. In questo caso i contribuenti avrebbero più tempo per modificare e inviare il modello precompilato, ma sarebbero a rischio i rimborsi IRPEF nella busta paga di luglio.
  • 30 settembre: scade il termine per la presentazione della dichiarazione correttiva.
  • 25 ottobre: il contribuente può presentare un 730 integrativo tramite CAF o professionista abilitato.
  • 10 novembre: entro tale data deve essere presentato, se necessario, il 730 rettificativo , in caso di errore da parte del sostituto d’imposta o del CAF.
http://it.ibtimes.com/modello-730-precompilato-online-dal-15-aprile-istruzioni-e-scadenze-1446851

Italia inferno dei lavoratori: tasse sul lavoro in crescita, salari bassi e occupazione stagnante. Ecco i dati. - Marta Panicucci

Nonostante il governo continui a parlare di ripresa dell’occupazione e della “più grande operazione di riduzione delle tasse mai vista in Italia” i dati OCSE sulle tasse sul lavoro raccontano un’altra storia. E l’Organizzazione mondiale per la cooperazione e lo sviluppo economico non può essere certo accusata di “gufismo” nei confronti del governo italiano. 
Salari più bassi della media UE e tasse molte più alte dei Paesi dell’OCSE: è questo il cocktail letale che ammazza il mercato del lavoro italiano. Ma il governo, nonostante ogni organizzazione economica mondiale, dalla BCE al Fondo monetario internazionale, abbia più volte consigliato all’Italia di agire sul costo del lavoro, continua a dare mancette e sgravi fiscali temporanei che lasciano il tempo che trovano mentre una generazione di giovani è costretta a vagare per l’Europa e per il mondo alla ricerca di un lavoro, ciò che l’Italia non è più in grado di offrire.
Secondo lo studio “Taxing Wages” dell'Ocse, il cuneo fiscale (ovvero il prelievo fiscale complessivo tra tassazione e contributi previdenziali) nel 2015 è aumentato di 0,76 punti percentuali arrivando così al 49%. L’Italia sale al quarto posto tra i 34 Paesi OCSE per il peso delle tasse sullo stipendio di un lavoratore medio “single” senza figli, arrivando al pari dell'Ungheria, superando la Francia (48,5%) e allontanandosi ancor più dalla media OCSE (35,9%). L’aumento delle tasse sul lavoro in Italia è da imputare alle tasse sul reddito, dal momento che i contributi previdenziali sono rimasti stabili.
Le imposte sul reddito, infatti, nel 2015 sono salite dal 16,7% del 2014 al 17,5% a cui si aggiungono i contributi a carico del dipendente pari al 7,2% e i contributi a carico del datore di lavoro per il 24,3%. Per quanto riguarda le tasse sul lavoro al primo posto tra i Paesi OCSE troviamo la Svizzera, seguita dal Belgio e dalla Germania (dove però lo stipendio lordo è molto più consistente).
Ma l’Italia non solo risulta tra i primi Paesi OCSE per la tasse sul lavoro, ma occupa anche gli ultimi posti in classifica per quanto riguarda il reddito medio. Secondo i dati del JobPricing nel Salary Outlook 2016 (anticipati dal Sole 24 Ore), nel 2015, la retribuzione annua lorda di un dipendente in Italia era di 28.693 euro. Circa 3.700 euro in medio rispetto alla media UE di 32.419 euro.Con questo dato l’Italia si posiziona al nono posto con un forte distacco dalla Francia (37.427 euro) e dalla media tedesca (45.953 euro). Non solo i lavoratori in Italia incassano uno stipendio medio nettamente inferiore rispetto ai loro colleghi europei, ma viene anche eroso da una tassazione sul lavoro tra le più alte dei 34 Paesi dell’OCSE.
Come se non bastasse questa mattina è arrivato anche l'ultimo rapporto trimestrale su occupazione e situazione sociale, pubblicato dalla Commissione Ue su dati relativi al terzo trimestre 2015. L'Italia risulta essere il Paese europeo con il tasso più basso di popolazione attiva, l'unico dove rimane sotto il 65% a fronte di una media del 72,8% in costante miglioramento. Il Belpaese detiene anche il primato per il tasso più elevato di 'scoraggiati' (14,4% della forza lavoro), cioè coloro che hanno smesso di cercare lavoro. 
Questi sono numeri, dati, provenienti da fonti internazionali attendibili, non da gufi nostrani e raccontano di un mondo del lavoro italiano tutt’altro che vantaggioso. A cui si aggiunge la difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro con un rapporto che non sia precario e magari sottopagato. Il governo Renzi nel momento del suo insediamento ha dichiarato guerra alla disoccupazione, in particolare quella giovanile, promettendo ricette vincenti per ridare slancio all’occupazione messa in ginocchio da 7 anni di crisi economica. Purtroppo, però, i risultati attesi non sono mai arrivati perché l’esecutivo continua a seguire la strada delle mancette e degli sgravi fiscali una tantum anziché imboccare la strada di una riduzione strutturale e permanente delle tasse sul lavoro.
La scorsa settimana anche il Fondo monetario internazionale è tornato per l’ennesima volta a ribadire l’importanza della riduzione del cuneo fiscale in Paesi che ancora hanno problemi di occupazione. “Le riforme che comportano uno stimolo fiscale sono le più preziose, compresa la riduzione cuneo fiscale e l'aumento della spesa pubblica per le politiche attive del mercato del lavoro” scrive il FMI nel suo World economic outlook.“Ora – prosegue - è il momento giusto in molte economie avanzate per portare avanti ulteriori riforme dei prodotti e del mercato del lavoro: c'è un forte bisogno e c'è margine sostanziale per riformare, il contesto politico è favorevole, e tali riforme possono aumentare i potenziali livelli di produzione e di occupazione nel medio termine”.
Insomma il messaggio è chiaro e corretto, ma il governo proprio non ci sente. Gli 80 euro ai dipendenti per aumentare i consumi non hanno sortito l’effetto sperato perché i lavoratori hanno considerato questo bonus una mancetta passeggera e se lo mettono da parte. Stesso discorso per gli sgravi fiscali per le assunzioni: hanno fatto registrare un aumento dei contratti a tempo indeterminato nel 2015, ma già nei primi mesi del 2016 quando gli sgravi di sono dimezzati nel valore economico e nella durata, i contratti sono crollati, così come l’occupazione.
Il vero problema del mercato del lavoro italiano, è bene ripeterlo fino allo sfinimento, sono le tasse sul lavoro. Un cuneo fiscale troppo alto impedisce ai datori di lavoro di assumere e frena i consumi perché la maggior parte dei lavoratori a conti fatti si mette in tasca un magro stipendio.Una diminuzione consistente e strutturale delle tasse sul lavoro per alleggerire il carico sui datori di lavoro e mettere in tasca dei lavoratori più soldi e un piano serio di investimenti per ridare slancio alla produttività: questa è l’unica strada da seguire per dare una possibilità all’Italia. Peccato che il governo le abbia girato le spalle. 

Come pulire il colon in modo naturale.




Il colon, anche conosciuto come intestino crasso, si trova alla fine del sistema digerente. Tra le sue funzioni c’è quella di espellere le feci, ma è anche relazionato con il nostro sistema immunitario.
Pulire il colon è molto importante al fine di evitare malattie come cancro colo-rettale, polipi, colite, diverticolite, colon irritabile, ecc. e molte altre che possono derivare da queste. Vi presentiamo gli alimenti più adeguati per mantenerlo in salute.

Alimenti ricchi di fibra

Se pensiamo agli alimenti più salutari per l’intestino, la prima cosa che ci viene in mente è la fibra. Ma non è importante soltanto evitare i prodotti raffinati: dovremmo anche scegliere gli alimenti che la contengono già in natura, evitando quelli in cui la fibra è stata aggiunta artificialmente. Oggi giorno, per esempio, il pane integrale di solito non è realmente prodotto con farina integrale, ma si prepara con farina bianca a cui viene successivamente aggiunta della crusca. Per questo dovreste cercare sempre di scegliere alimenti ricchi di fibra e che abbiano subito meno trasformazioni possibili.
Trovate naturalmente della fibra nei seguenti alimenti di origine vegetale:
  • Frutta fresca e disidratata
  • Verdure e ortaggi
  • Legumi
  • Frutta secca
  • Cereali integrali come riso, miglio, quinoa o granoturco, anche contenuti nel pane e nella pasta.

Acqua

Quando aumentate la quantità di fibra nella vostra dieta, è importante aumentare anche il consumo di acqua tra un pasto e l’altro, perché altrimenti durante i primi giorni potreste soffrire di stitichezza, a causa della mancanza di liquidi.
È consigliabile bere almeno tra i 6 e i 10 bicchieri al giorno, tenendo in conto che la quantità di acqua di cui il vostro corpo necessita dipende dall’età, dall’attività fisica che svolgete e dalla temperatura esterna. Inoltre possono influire anche alcune malattie dei reni o insufficienze cardiache congestizie. In questi casi vi raccomandiamo di consultare il vostro medico.

Calcio

Alcuni studi hanno dimostrato che il calcio ridurrebbe il rischio di cancro del colon e del retto. È buona norma assumerlo attraverso alimenti che lo contengono in modo naturale e, per assimilarlo meglio, evitare tutti quelli che si presentano come “arricchiti di calcio”. Lo troverete nei seguenti alimenti:
  • Sesamo (semi, tahin, olio, gomasio…)
  • Ortaggi a foglia verde (spinaci, bietole, broccoli…)
  • Salmone
  • Sardine
  • Mandorle (anche nelle bibite)

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Vitamina D

Quando parliamo del calcio facciamo riferimento anche alla vitamina D, visto che questa è imprescindibile per assimilarlo nel modo adeguato. Per di più, è un altro dei modi per prevenire il cancro al colon e al retto.
La vitamina D viene spesso chiamata la vitamina della “luce del sole”, visto che il corpo la produce quando la pelle viene esposta direttamente ai raggi solari. Potete quindi prendere il sole per un breve lasso di tempo e, possibilmente, di prima mattina o nel tardo pomeriggio.
Ci sono anche alcuni alimenti che la contengono:
  • Salmone
  • Sgombro
  • Sardine
  • Uovo
  
Se vivete in una zona poco soleggiata durante tutto l’anno, potete prendere in considerazione l’idea di assumerla attraverso degli integratori per alcuni periodi.

Acido folico

L’acido folico, o vitamina B9, aiuta l’organismo a creare nuove cellule e, oltre ad essere fondamentale durante la gravidanza e ad avere numerose proprietà, riduce anche il rischio di soffrire di cancro al colon. Lo troviamo all’interno di:
  • Ortaggi a foglia verde (bietole, broccoli, spinaci)
  • Asparagi
  • Piselli
  • Lenticchie
  • Ceci
  • Fragole
  • Arance
  • Papaya

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Magnesio

Questo minerale viene impiegato per trattare i disturbi della digestione associati al tratto intestinale, come il colon irritabile, e aiuta anche a ridurre il rischio di cancro. È bene assumere alimenti ricchi di magnesio ogni giorno:
  • Cacao
  • Semi di zucca
  • Semi di lino
  • Semi di girasole
  • Mandorle
  • Anacardi
  • Noci del Brasile
  • Fagioli bianchi di Spagna
  • Piselli
  • Ortaggi a foglia verde
    

È possibile anche assumere un integratore di cloruro di magnesio o citrato di magnesio per due o tre mesi.

Attenzione alla carne rossa e trattata

Per mantenere una buona salute intestinale, dobbiamo anche tener conto di alcuni alimenti che non la beneficiano, poiché, depositandosi nell’intestino, possono putrefarsi e alla lunga arrivare ad intossicare l’organismo. È questo il caso delle carni rosse e trattate. Per questo motivo, è meglio optare per la carne di pollame ecologica, il pesce, le uova, i legumi, ecc. Questi alimenti vi forniranno le proteine e l’energia necessarie per l’organismo.

Attenzione ai latticini

Se soffrite di colon irritabile dovrete evitare, oltre alle carni rosse, anche il latte e i suoi derivati. Potete fare una prova per un mese e poi reinserirli nella vostra dieta. Se non li tollerate bene, il vostro intestino reagirà immediatamente.
Durante questo lasso di tempo, potete sostituire il latte con delle bevande vegetali.

Il kuzu, un regolatore intestinale

Il kuzu, o kudzu, è una radice in polvere che ha delle meravigliose proprietà rigeneranti e regolatrici per il colon. Come potete assumerlo? Diluite un cucchiaio di kuzu tritato in un bicchiere di acqua fredda, evitando di utilizzare un cucchiaio di metallo (meglio in legno o in ceramica). Fate poi bollire il liquido in un pentolino e a fuoco lento, senza dimenticarvi di mescolare costantemente. Dopo un paio di minuti vedrete cambiare la consistenza e il colore del liquido, che diventerà denso e trasparente. Spegnete quindi il fuoco, lasciatelo raffreddare e assumetelo lontano dai pasti. Potete prenderlo una o due volte al giorno, finché non noterete dei miglioramenti.