sabato 27 maggio 2017

Sui musei si riapre lo scontro tra Governo e magistrati. Il Pd vuole riformare i Tar, i giudici: "Cambiare leggi, non i tribunali". - Claudio Paudice



Il prof Cerulli Irelli all'HuffPost: "Andava interpretata diversamente, ma le leggi siano scritte in modo più chiaro."


"Non ho parole, ed è meglio...". È con il tweet delle 9.37 di Dario Franceschini che iniziano le tensioni tra il Governo e giudici amministrativi. Ed è con il post su Facebook a mezzogiorno del segretario Pd Matteo Renzi che le tensioni si trasformano in uno scontro tra politica e magistratura. Dopo la decisione del Tar del Lazio di bocciare le nomine di cinque direttori di musei avvenute per effetto della riforma targata Franceschini è partito, puntuale, il treno delle dichiarazioni politiche. Con il segretario dem Matteo Renzi che ha di fatto indossato l'elmetto: "Non abbiamo sbagliato perché abbiamo provato a cambiare i musei: abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i Tar". Tar nel mirino, tanto che il ministro della Giustizia Andrea Orlando ne chiede una 'riforma'. "Andrebbero cambiati, senza demonizzarli, precisando meglio qual è l'ambito di competenza della politica e quello del tribunale amministrativo che spesso entra nel merito di scelte che dovrebbero essere della politica", ha dichiarato a L'Aria che Tira.
Il mondo ha visto cambiare in 2 anni i musei italiani e ora il TAR Lazio annulla le nomine di 5 direttori. Non ho parole, ed è meglio..
Con due sentenze, la 6170/2017 e la 6171/2017, i giudici laziali hanno bocciato cinque nomine di direttori di musei avvenute sulla base della riforma dei voluta da Dario Franceschini, sotto il governo Renzi, con il decreto legge 83/2014. Tre le motivazioni: criteri "magmatici" di valutazione dei candidati con riduzione a sole tre classi di merito (A, B e C), prove orali di una selezione pubblica svolte a porte chiuse, in alcuni casi via Skype. E un pasticcio, più lessicale che meramente giuridico, sull'assegnazione di incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione a candidati di origine straniera.
Un duro colpo per il Governo e, di riflesso, per il Pd di Matteo Renzi che proprio sul tema della cultura ha impostato larga parte della sua narrazione e che rivendica, non da oggi, la crescita di visitatori nei musei italiani degli ultimi anni. "Il fatto che il Tar del Lazio annulli la nostra decisione merita il rispetto istituzionale che si deve alla giustizia amministrativa ma conferma - una volta di più - che non possiamo più essere una repubblica fondata sul cavillo e sul ricorso", ha attaccato il segretario dem.
Gli attacchi serrati del Pd alla magistratura amministrativa non potevano passare sotto silenzio dei diretti interessati. "Le istituzioni rispettino i magistrati, chiamati semplicemente ad applicare le leggi, spesso poco chiare se non incomprensibili. La nomina di dirigenti pubblici stranieri (chiamati a esercitare poteri) è vietata nel nostro ordinamento. Se si vogliono aprire la porte all'Europa - e noi siamo d'accordo - bisogna cambiare le norme, non i Tar", ha dichiarato il presidente dell'Associazione nazionale magistrati amministrativi (Anma) Fabio Mattei.
"I concorsi - ha aggiunto Luca Cestaro, segretario generale Anma - per definizione sono pubblici. Un concorso il cui colloquio avviene via skype con candidati collegati magari dall'Australia e senza possibilita' di assistervi - com'è capitato ad alcuni candidati alla direzione dei musei - semplicemente non è un concorso. E' una conversazione privata, senza alcuna garanzia sulla trasparenza della procedura".
Posizione più cauta quella assunta dal professore Vincenzo Cerulli Irelli, esperto di diritto amministrativo: "È evidente che il decreto era volto a favorire l'adeguamento a standard internazionali nella gestione dei musei, in questo senso credo che il Tar abbia interpretato male la riforma Franceschini. L'intento era proprio quello di svecchiare questo Paese", ha commentato all'HuffPost. "Quanto alla questione degli orali a porte chiuse, qui è evidente l'errore procedurale: i concorsi si fanno a porte aperte. Tuttavia mi sembra esagerato che venga chiesto di riformare i Tar: come tutti i giudici a volte fanno bene, a volte male. Anzi, a me sembra che i Tar funzionino meglio di altri giudici. Di certo le norme vanno interpretate in base alla ratio e agli obiettivi che si danno. Certo, il decreto poteva essere scritto in maniera più chiara, ma io l'avrei interpretata diversamente dal Tar", ha concluso Cerulli Irelli.
Secondo i giudici del Lazio l'assegnazione della direzione dei musei, che si configura come incarico di livello dirigenziale, a cittadini stranieri non è esplicitata nel testo del decreto. In altre parole, la riforma Franceschini, per come è scritta, non deroga al divieto di assegnazione di incarichi dirigenziali a cittadini non italiani come regolato dal decreto legislativo 165/2001: "Le disposizioni speciali introdotte dall'art. 14, comma 2-bis, del d.l. 84/2014, convertito in l. 106/2014, non si sono spinte fino a modificare o derogare l'art. 38 d.lgs. 165/2001", si legge nella sentenza. Tradotto: se nel decreto fosse stato chiaramente superato il divieto stabilito dalla legge che regola le modalità di assegnazione di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, quali sono le figure di direttori di museo come stabilito dalla riforma Franceschini, le nomine in oggetto sarebbero state valide a tutti gli effetti.
HP
"Deve quindi affermarsi che il bando della selezione qui oggetto di contenzioso non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani in quanto nessuna norma derogatoria consentiva al MIBACT di reclutare dirigenti pubblici al di fuori delle indicazioni, tassative, espresse dall'art. 38 d.lgs. 165/2001", scrive sempre il Tar. E questo perché, si legge, "l'articolo 38 [..] non è citato". E l'entità e la portata della deroga in questione "va circoscritta al numero dei conferimenti di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione", in quanto è chiaro, "anche sotto il profilo di semplice analisi lessicale", che la riforma dei musei impatta esclusivamente sull'articolo 19 della norma di riferimento che regola la percentuale di personale di livello dirigenziale nelle pubbliche amministrazioni.
Quanto al fatto che alcune prove orali si siano svolte a porte chiuse, il giudice amministrativo rileva che "secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, al fine di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento tra i candidati di una selezione pubblica [...]) occorre che durante le prove orali sia assicurato il libero ingresso al locale, ove esse si tengono, a chiunque voglia assistervi e, quindi, non soltanto a terzi estranei, ma anche e soprattutto ai candidati, sia che abbiano già sostenuto il colloquio, sia che non vi siano stati ancora sottoposti [...] al fine di verificare di persona il corretto operare della commissione". Tradotto: i concorsi pubblici sono tutti a porte aperte per motivi di ovvia trasparenza. E non su Skype, come invece è accaduto per i candidati Stefano Carboni e Flaminia Gennari Santori, residenti in Australia il primo e in Usa la seconda.
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Infine il Tar del Lazio contesta le tre classi di giudizio dei candidati ammessi al colloquio con la Commissione: valutazione contraddistinta con tre lettere (A per i punteggi da 15 a 20 punti, B per i punteggi da 11 a 14 e C per i candidati meritevoli di 10 punti). "Come è noto, in punto di diritto, il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti", scrive il Tar. E infatti, nel caso in questione la "magmatica riconduzione" dei 20 punti alle tre classi di valutazione "non consente di comprendere il reale punteggio attribuito a ciascun candidato, anche in ordine al criterio di graduazione di ogni singolo punto dei 20 da assegnare all'andamento della prova orale, a conclusione del colloquio sostenuto".
HPhttp://www.huffingtonpost.it/2017/05/25/sui-musei-si-riapre-lo-scontro-tra-governo-e-magistrati-il-pd-v_a_22109486/?utm_hp_ref=it-homepage
Loro fanno le leggi, ma quando la magistratura le applica si ribellano.
"Le istituzioni rispettino i magistrati, chiamati semplicemente ad applicare le leggi, spesso poco chiare se non incomprensibili. La nomina di dirigenti pubblici stranieri (chiamati a esercitare poteri) è vietata nel nostro ordinamento. Se si vogliono aprire la porte all'Europa - e noi siamo d'accordo - bisogna cambiare le norme, non i Tar", ha dichiarato il presidente dell'Associazione nazionale magistrati amministrativi (Anma) Fabio Mattei. 

Lo sostengo da sempre: le leggi vengono costruite per essere interpretate e manipolate a seconda delle situazioni e per agevolare gli approfittatori, non per trasmettere un senso di logica e giustizia.

mercoledì 24 maggio 2017

Fondazioni e associazioni politiche, boom dopo il 2000 e ancora in crescita. In testa centrosinistra, debutta anche il M5s. - Luisiana Gaita

Fondazioni e associazioni politiche, boom dopo il 2000 e ancora in crescita. In testa centrosinistra, debutta anche il M5s

Dopo la prima edizione del 2015, l’osservatorio civico Openpolis torna a censire queste strutture nel dossier "Cogito ergo sum", non solo aggiornando i numeri ma soprattutto indagando il fitto network di collegamenti fra le circa cento strutture analizzate: “Collegamenti che non si limitano ai think tank, ma che si allargano anche a istituzioni pubbliche.”

Ne fanno parte ministri, sottosegretari, ex premier. Alcuni nomi sono ricorrenti, come nel caso dell’ex ministro Giulio Tremonti, dell’ex premier Giuliano Amato e di Franco Bassanini, più volte ministro e sottosegretario nonché attuale consigliere del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Cosa hanno in come questi politici? L’appartenenza a think tank, fondazioni e associazioni politiche, la cui crescita è ormai una realtà consolidata, fatta di una rete di legami, nomine, finanziamenti. C’è chi fa parte di più di una organizzazione e chi deve a quel ruolo anche un incarico istituzionale. Sei di queste realtà hanno al loro interno almeno due componenti dell’attuale esecutivo: dai ministri Graziano Delrio, Valeria Fedeli, Marianna Madia e Maurizio Martina (ma anche altri) al sottosegretario Maria Elena Boschi. Nel giro di due anni queste strutture sono passate da 65 a più di cento. Dopo la prima edizione del 2015, l’osservatorio civico Openpolis torna a censire queste strutture nel dossier ‘Cogito ergo sum’, non solo aggiornando i numeri ma soprattutto indagando il fitto network di collegamenti fra le circa cento strutture analizzate. “Collegamenti – si spiega nel rapporto – che non si limitano ai think tank, ma che si allargano anche a istituzioni pubbliche”. Dalle nomine di amministratori di aziende partecipate, ai casi di spoil system, fino a finanziamenti e bandi ministeriali. Nel frattempo, per colmare il vuoto normativo intorno a think tank e fondazioni politiche, nella XVII legislatura sono stati presentati vari disegni di legge, eppure i due testi presentati alla Camera e i due presentati al Senato sono tutti fermi alle Commissioni parlamentari.
QUALCHE DATO SUL FENOMENO – Il 52,94% delle strutture censite nascono come luogo di aggregazione politica o come componente di partito, ma negli ultimi anni si è assistito a un vero e proprio boom di queste organizzazioni, per il 93% nate dopo il 2000. I 3.026 incarichi rilevati sono ricoperti da 2.520 persone. Openpolis è riuscito a ricostruire la professione di 1.765 (il 70,04%) di loro: a fare da padrone sono i politici (592) e gli accademici (584), seguiti a distanza dagli imprenditori e dirigenti (215). Ma quando si analizzano i singoli incarichi, si scopre che delle 985 persone con incarichi dirigenziali o di rappresentanza per cui è stato possibile rintracciare la professione, il 51,88% sono politici, percentuale che sale al 67,77% nelle strutture nate per fare aggregazione politica o come componente di partito. Il 34,31% dei think tank, fondazioni e associazioni politiche sono collegate al centrosinistra mentre il 22,55% al centrodestra. A seguire le strutture di centro o liberali (il 14,71%) e quelle bipartisan (il 13,73%). Molto dietro quello di sinistra (6,86%) e di destra (5,88%). Rispetto al censimento del 2015, rientrano nell’analisi per la prima volta entità vicine al Movimento 5 stelle: Think tank group, e l’Associazione Gianroberto Casaleggio. Sul fronte trasparenza, sono 93 le organizzazioni che hanno dei canali di comunicazione attivi: il 46,25% pubblica sul sito internet lo statuto dell’associazione o fondazione. Molto pochi infatti i bilanci presenti, solamente 10 (10,75%), e ancora di meno (solo 6, il 6,45%) le strutture che decidono di pubblicare l’elenco di finanziatori e soci.
NOMINE, FINANZIAMENTI E LEGAMI TRA POLITICA E THINK TANK – Come sottolinea Openpolis “tre fenomeni emergono quando si incrociano i dati dei think tank con la sfera pubblica”. Il primo riguarda casi di spoil system: persone che fanno parte di queste strutture assieme a un determinato politico con un incarico pubblico che vengono nominate come capo del gabinetto o della segreteria particolare. L’osservatorio cita il caso di Pietro Paolo Giampellegrini, tra i fondatori della Fondazione Change, presieduta da Giovanni Toti (Forza Italia) e nominato segretario generale della giunta regionale ligure, presieduta dallo stesso Toti. Poi ci sono i finanziatori di una determinata fondazione guidata da un determinato politico, che vengono nominati in strutture pubbliche di cui è responsabile quello stesso politico. È il caso di Alberto Bianchi, presidente e finanziatore della Fondazione Openattualmente coinvolto nell’inchiesta Consip che nel maggio del 2014 è stato nominato nel Cda di Enel dal governo Renzi. Infine l’osservatorio ha registrato casi in cui “una persona appartenente ad un think tank vicino a una determinata area politica viene nominata in un organo pubblico esecutivo (come una giunta comunale) guidato da quella stessa area politica”. Massimo Colomban, tra i fondatori e massimi esponenti nel 2015 del Think Tank Group, organizzazione che vede al suo interno numerosi membri del M5s, è stato nominato nel settembre scorso assessore alle partecipate del comune di Roma dal sindaco Virginia Raggi. Si tratta di tre esempi, ma i casi sono diversi.
I MEMBRI ‘CONDIVISI’ E IL LEGAME CON IL GOVERNO – Fra le 93 organizzazioni per cui è stato possibile ricostruire un’anagrafica, 70 hanno almeno un membro condiviso con altre realtà (il 77%), mentre 19 hanno almeno 10 dei componenti anche in altre organizzazioni. In cima alla classifica Italianieuropei (con 32 membri) di Massimo D’Alema, Fondazione Italia Usa (23) presieduta dal giornalista Roberto Mostarda, Astrid (22) di Franco Bassanini, ex ministro e consigliere del premier e Aspen Institute Italia (21) dell’ex premier Giuliano Amato. Un altro tassello importante è il legame tra queste strutture e il governo: sono 19 quelle con al loro interno membri appartenenti anche al governo Gentiloni, ma sei di queste spiccano per la presenza di almeno due componenti: la Fondazione Nilde Iotti (il sottosegretario per i rapporto con il Parlamento Sesa Amici e i ministri Graziano Delrio, Valeria Fedeli e Marianna Madia)Italianieuropei (i ministri Claudio De Vincenti, Marianna Madia, Maurizio Martina, Pier Carlo Padoan), Centro studi politica internazionale (i sottosegretari Vincenzo Amendola e Sandro Gozi e il viceministro agli Esteri Mario Giro), Astrid (il sottosegretario Gianclaudio Bressa e il ministro Claudio De Vincenti), Equality Italia (il sottosegretario Benedetto Della Vedova e il ministro Roberta Pinotti), Open (il sottosegretario Maria Elena Boschi e il ministro Luca Lotti)
Un collegamento non da poco dato che i ministeri possono erogare contributi, sussidi e sovvenzioni a soggetti privati. “Finanziamenti mirati a premiare specifici progetti – si legge nel rapporto – o più in generale il tipo di attività svolto da associazioni e fondazioni”. Di fatto, tra le oltre cento strutture censite, tredici fra il 2014 al 2017 hanno ricevuto un qualche tipo di contributo economico fra i ministeri monitorati (Esteri, Istruzione, Cultura, Ambiente e Presidenza del consiglio). Guidano la fondazione istituto Gramsci, la fondazione sviluppo sostenibile e la fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII. “Esborsi leciti e dovuti – sottolinea il rapporto – ma che è giusto monitorare in casi specifici: la Fondazione De Gasperi, presieduta da Angelino Alfano, ha ricevuto nel 2016 20mila euro dal ministero degli Affari esteri, dicastero attualmente presieduto dallo stesso Alfano”.
LA RETE DI COLLEGAMENTI – Sono tredici le persone che hanno un qualche tipo di legame con almeno quattro strutture: fra loro troviamo politici, ex ministri, docenti universitari e amministratori di aziende pubbliche. Salvatore Biasco (docente ed ex deputato), Angelo Maria Petroni (docente, ed ex Cda Rai) e Giulio Tremonti (senatore, ex vice premier e ministro) sono i più ricorrenti con 5 membership diverse. Significativi anche i collegamenti tra le organizzazioni. Le più radicate nel network sono Fondazione Italia Usa, Italianieuropei, Aspen Institute Italia, Astrid e Italia decide. Non solo hanno il numero più alto di membri in altre strutture, ma anche quello di realtà ad esse collegate. Le 5 organizzazioni sono unite da 23 persone che, con incarichi diversi, sono presenti in almeno 2 di esse. Giuliano Amato, Franco Bassanini, Marta Dassù (cda Finmeccanica/Leonardo ed ex sottosegretario e viceministro esteri), Angelo Maria Petroni (docente ed ex membro cda Rai) e l’ex vicepremier Giulio Tremonti hanno un incarico in tre delle cinque strutture. Una delle poche organizzazioni che pubblica l’elenco dei propri finanziatori è la Fondazione Open, vicina all’ex premier Matteo Renzi. Attraverso i suoi finanziatori la fondazione Open è collegata ad altre 10 realtà.

martedì 23 maggio 2017

Attentato a Manchester.

Esplosione alla Manchester Arena, terrore e morti © AP

Strage a Manchester, dove un kamikaze si è fatto esplodere al concerto di Ariana Grande, idolo dei teenager, in una arena affollatissima di giovanissimi e di genitori: almeno 22 morti, 59 feriti e 12 dispersi. Ci sono anche bambini tra le vittime. Un 23enne è stato arrestato a Chorlton in connessione con l'attacco terroristico di ieri sera. (ansa)

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L'attentato a Manchester, oltre che addolorarmi, mi porta anche a riflettere e a domandarmi: perchè gli attentati sono diretti sempre verso la gente comune?
Perchè mai verso chi comanda?
Quello di Manchester, in particolare, potrebbe avere il significato di ritorsione mirata a vendicare i bambini siriani uccisi dai bombardamenti inglesi.
E tutti gli altri?
Possibile che le guerre volute e ordinate dai potenti causino come risultato le vendette di chi le subisce contro le popolazioni che non hanno alcun potere su decisioni così cruente?
Sono convinta che se gli attentati venissero fatti contro i potenti di turno, questi ultimi si esimerebbero dal fare guerre.
Credo, pertanto, che gli atti di terrorismo siano l'ennesima coercizione perpetrata da chi vuole comandare e mettere a tacere quelle poche voci ribelli.
Chomsky docet: 

2) Creare problemi e poi offrire le soluzioni. 

Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che sia il pubblico a richiedere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

Giovanni Falcone, chi lo chiamava “cretino” e chi non lo votò al Csm: ecco i nemici del giudice ucciso nella strage di Capaci. - Giuseppe Pipitone

Giovanni Falcone, chi lo chiamava “cretino” e chi non lo votò al Csm: ecco i nemici del giudice ucciso nella strage di Capaci

Dalle offese di Carnevale agli attacchi in diretta televisiva fino all'ultima provocazione di Berlusconi. A 25 anni dalla strage di Capaci ecco i nomi di chi ha provato in tutti i modi a rendere difficile l'esistenza del magistrato palermitano. Come Lino Jannuzzi che ai tempi della Superprocura definiva lui e De Gennaro "i maggiori responsabili della débâcle dello Stato di fronte alla mafia. Una coppia la cui strategia ha approdato al più completo fallimento".

C’è chi non si è pentito delle offese lanciate persino quando l’avevano già assassinato, ma anche chi ha chiesto scusa. Chi ha fatto delle scelte poi rivelatesi errate e adesso porta in tribunale i giornali che le ricordano, chi non ha mai più commentato certe critiche lanciate a favor di telecamera e chi invece nega persino le sue stesse parole. Sono i nemici di Giovanni Falcone, quelli che lo hanno osteggiato in vita rendendogli impossibile l’esistenza. Una categoria che non viene mai – o quasi mai – citata nelle decine di eventi organizzati ogni anno per commemorare il giudice palermitano. “I nemici principali di Giovanni furono proprio i suoi amici magistrati. Tanti furono gli attacchi e le sconfitte tanto che fu chiamato il giudice più trombato d’Italia e purtroppo lo è stato ed è stato lasciato solo”, ha ricordato la sorella Maria alla vigilia dell’anniversario numero 25 della strage di CapaciUn quarto di secolo dopo quel maledetto 23 maggio del 1992, tante, tantissime cose sono cambiate: a cominciare dalla stessa Cosa nostra e dall’Antimafia, fenomeni che negli anni sono addirittura arrivati a confondersi e compenetrarsi. Un gioco di specchi di cui sono piene le cronache degli ultimi anni e che soltanto nell’isola dei paradossi poteva andare in scena.
I nemici di Falcone – Confusa tra mille riflessi è stata anche la figura stessa di Falcone: la storia del giudice più trombato d’Italia, per citare la sorella Maria, è stata trasformata – spesso dai suoi stessi detrattori – in quella perfetta del magistrato appoggiato da tutti lungo la sua intera esistenza . Venticinque anni dopo la sua morte, il ricordo del magistrato siciliano e è finito annacquato da fiumi di retorica: oggi sembra quasi che Falcone sia stato in vita un uomo amato da tutti, mai attaccato o ostacolato da nessuno. E pazienza se i fatti siano andati in maniera diversa. D’altra parte la figura del giudice palermitano viene usata oggi come una sorta di santino: un nome da citare per dare solidità a qualsiasi tipo di ragionamento o di ragionatore. Solo per fare un esempio, rivendica di aver conosciuto Falcone persino quello che è considerato il capo dei capi di Mafia capitale. “Una volta mi accollarono un reato in Sicilia (il delitto di Piersanti Mattarella ndr), presi l’avvocato e andai da Falcone, il giudice Falcone a Palermo”, dice in un’intercettazione Massimo Carminati.  “Ma Falcone lo hai conosciuto di persona te?”, gli chiedono i suoi compari, come racconta il giornalista Lirio Abbate. “Mi ha interrogato. Persona intelligentissima, si vedeva proprio, aveva l’intelligenza che che gli sprizzava dagli occhi. Era anche una persona amabile nei modi”, risponde il Cecato dando vita a un dialogo grottesco.
L'ultima provocazione di Silvio: citarlo come esempio.
Dell'Utri - Berlusconi

Sono al limite dell’imbarazzo, invece, le ultime dichiarazioni di Silvio Berlusconi.”Falcone è il simbolo di come dovrebbe essere un magistrato”, ha detto l’ex cavaliere, intervistato dal Foglio. Chi magari pensava che il magistrato simbolo per Berlusconi dovesse somigliare al corrotto Vittorio Metta è dunque rimasto deluso. Ma l’ex premier ha addirittura rilanciato: “Al pensiero di Falcone si ispirano molte delle nostre idee sulla giustizia”. Il magistrato siciliano purtroppo non può replicare. In alternativa avrebbe respinto al mittente qualsiasi connessione con la ex Cirielli, il lodo Alfano, e la depenalizzazione del falso in bilancio, solo per citare qualche “idea sulla giustizia” di Forza Italia, partito fondato da Marcello Dell’Utri, detenuto a Rebibbia dopo la condanna in via definitiva per concorso esterno. Vale la pena di ricordare che Berlusconi – tra le altre cose – è stato lungamente indagato come mandante a volto coperto delle stragi del 1992 e 1993. “So che ci sono fermenti di procure che ricominciano a guardare a fatti del ’92, ’93, ’94: follia pura. Quello che mi fa male è che c’è chi sta cospirando contro di noi“, disse invece il leader di Forza Italia da presidente del consiglio in carica, quando la procura di Caltanissetta riaprì le indagini sulla strage di via d’Amelio, depistate dal falso pentito Vincenzo Scarantino.

L'Ammazzasentenze che lo offendeva anche da morto.

Corrado Carnevale

D’altra parte è sempre uno dei governi di Berlusconi che nel 2003 inserì un comma in Finanziaria per concedere al giudice Corrado Carnevale di essere reintegrato, recuperando gli anni di contributi pensionistici persi a causa delle inchieste a suo carico. Carnevale era stato lo storico presidente della prima corte di Cassazione che nel 1992 avrebbe dovuto giudicare le sentenze del primo Maxi processo a Cosa nostra. Per il gran numero di annullamenti decisi negli anni precedenti si era guadagnato un soprannome evocativo: l’Ammazzasentenze. Ed è per evitare di ammazzare pure gli ergastoli del primo Maxi processo che Falcone – nel frattempo approdato alla direzione degli Affari Penali del ministero della Giustizia – ottenne l’applicazione di un criterio di rotazione per i casi di mafia approdati alla Suprema corte. Carnevale non la prese bene. “I motivi per cui me ne sono andato non sono quelli di pressione di quel cretino di Falcone: perché i morti li rispetto, ma certi morti no“, diceva in una conversazione l’8 marzo del 1994, a meno di due anni dalla strage di Capaci. Un’intercettazione in cui il giudice non risparmia neanche la moglie di Falcone, Francesca Morvillo. “Io sono convinto che la mafia abbia voluto uccidere anche la moglie di Falcone che stava alla prima sezione penale della Corte d’Appello di Palermo per farle fare i processi che gli interessavano per fregare qualche mafioso“, dirà senza un minimo di compassione per la coppia appena assassinata da Cosa nostra.
Il risentimento dell’Ammazzasentenze – Quando il 10 novembre dello stesso anno gli investigatori gli danno lettura di quelle conversazioni, l’Ammazzasentenze confida: “Devo ammettere che io ho avuto del risentimento nei confronti del dottor Falcone”. Gli chiedono: “Neppure dopo la morte di Falcone si è placato quel suo grave risentimento?”. “No, devo ammettere di no”. Processato per concorso esterno, Carnevale è stato assolto in primo grado, condannato in appello a sei anni, prosciolto definitivamente in Cassazione. Dopo l’assoluzione torna a fare il giudice della corte di Cassazione, pensa di ricandidarsi come presidente della prima sezione ma lascia perdere. Poteva rimanere in servizio fino al 2015, ma decide di andare in pensione nel 2013 quando ha ormai 83 anni. Alcuni mesi dopo va a testimoniare al processo Capaci bis – quello nato dalle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza – e dice incredibilmente: “Non ho mai parlato di Falcone, non avevo motivo per farlo”. Ai giornalisti del Foglio e del Giornale che lo vanno a trovare a casa per intervistarlo invece racconta: “La casta a cui appartengo fin dal primo momento non mi ha visto di buon occhio. Temevano che potessi salire tanto in alto da influire sul loro lassismo. È la logica dell’invidia“.
Geraci e il voto al Csm che gli preferì Meli.
Ha azzerato praticamente gli interventi mediatici Vincenzo Geraci, altro nome che ha un ruolo nella carriera di Giovanni Falcone, perché insieme al magistrato siciliano era presente ai primi interrogatori di Tommaso Buscetta. Anni dopo Geraci è tra i consiglieri del Csm che la sera del 19 gennaio del 1988 bocciano la nomina di Falcone a capo dell’ufficio istruzione di Palermo. Era lo stesso posto ricoperto da Antonino Caponnetto, l’inventore del pool antimafia: sembrava scontato che la successione toccasse a Falcone. “Se da un lato, infatti, le notorie doti di Falcone e i rapporti personali e professionali che coltivo con lui mi indurrebbero a preferirlo nella scelta, a ciò mi è però dì ostacolo la personalità di Meli, cui l’altissimo e silenzioso senso del dovere, costò in tempi drammatici la deportazione nei campi di concentramento della Polonia e della Germania, dove egli rimase prigioniero per due anni. In tali condizioni vi chiedo pertanto di comprendere con quanta sofferenza e umiltà mi sento portato ad esprimere  il mio voto di favore”, dirà Geraci annunciando il suo sostegno alla candidatura dell’anziano Antonino Meli: di mafia sapeva poco o nulla ma era stato internato dai tedeschi. Venne nominato consigliere istruttore con 14 voti a favore, 10 contrari (tra i quali Gian Carlo Caselli) e 5 astenuti.
“Un giuda ci ha traditi” – “Quando Giovanni Falcone, solo per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il Csm, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Csm ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli”, si sfogherà Paolo Borsellino, nel suo ultimo intervento pubblico il 25 giugno del 1992. Borsellino non indicherà mai chi fosse quel Giuda: venne ucciso, infatti, meno di tre settimane dopo quell’intervento. Molti anni dopo, quindi, quando il giornalista Rino Giacalone tirerà in ballo Geraci, quest’ultimo lo querelerà per diffamazione. Oggi Geraci è procuratore generale aggiunto della Cassazione: in pratica è il vice di Pasquale Ciccolo, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati.
Il Corvo senza nome – Sempre per rimanere nel campo delle toghe non si può non citare il famoso caso del Corvo di Palermo, l’anonimo autore di lettere in cui si accusava Falcone di avere gestito illegalmente il pentito Totuccio Contorno: addirittura di averlo chiamato a Palermo per mandarlo a caccia dei boss del clan dei corleonesi. Accusato di essere il Corvo fu il giudice Alberto Di Pisa, condannato in primo grado a un anno a sei mesi e poi assolto definitivamente nel 1993. L’identità del Corvo non sarà mai individuata mentre tra i detrattori di Falcone si possono annoverare anche personaggi estranei alla magistratura. A cominciare magari da semplici e normali privati cittadini.

Quando i vicini di casa non lo volevano.

“Spostate i magistrati in periferia” – La Palermo in cui ha vissuto Giovanni Falcone era molto diversa dalla Palermo che si è svegliata dopo quello che i mafiosi battezzarono come l’Attentatuni. Un esempio? Una lettera pubblicata dal Giornale di Sicilia negli anni ’80. A scriverla è una donna che abita nelle vicinanze del condominio in cui Falcone fa ritorno ogni sera, blindato dalle auto della scorta. Il motivo della missiva? “Regolarmente tutti i giorni, al mattino, nel primissimo pomeriggio e la sera, vengo letteralmente assillata da continue e assordanti sirene di auto della polizia che scortano i vari giudici. Ora mi domando: è mai possibile che non si possa eventualmente riposare un poco nell’intervallo del lavoro? O quanto meno seguire un programma televisivo in pace?”; scriveva la vicina di casa del giudice che poi lanciava un invito: “Perché i magistrati non si trasferiscono in villette alla periferia della città, in modo tale che sia tutelata la tranquillità di noi cittadini lavoratori e l’incolumità di noi tutti, che nel caso di un attentato siamo regolarmente coinvolti senza ragione”. Parole che fanno un certo effetto. Soprattutto oggi che l’albero Falcone – nei pressi dell’abitazione del magistrato – sarà invaso da persone arrivate a Palermo da tutta Italia.
L’attacco in diretta tv – Le cose per Falcone non andavano meglio quando accettava di partecipare a qualche trasmissione televisiva. Nota, anzi notissima, è la puntata che Michele Santoro e Maurizio Costanzo dedicano in tandem alla memoria dell’imprenditore Libero Grassi, ucciso nell’agosto del 1991. In studio tra gli ospiti c’è il giudice palermitano, attaccato più volte in quell’occasione da personaggi che avranno storie future completamente diverse. “Falcone ha dichiarato che è notorio che l’onorevole Salvo Lima utilizzava la macchina degli esattori Salvo”, è l’intervento – in collegamento da Palermo – di Leoluca Orlando. “C’era bisogno che lo dicessi io perché si sapesse dei rapporti tra i Salvo e i Lima”, risponde Falcone, raccogliendo la replica dell’allora leader della Rete. “Ecco un’ulteriore conferma“, dice in diretta televisiva Orlando, che in pratica accusava Falcone di non aver perseguito volontariamente l’europarlamentare della Dc. Quelle accuse a Falcone saranno rinfacciata per anni al primo cittadino palermitano, il quale chiederà poi scusa per le sue parole. Quella trasmissione, però, è passata alla storia anche per l’intervento di Totò Cuffaro. “Ho assistito ad una volgare aggressione alla classe migliore che abbia la Democrazia Cristiana in Sicilia. Il giornalismo mafioso che è stato fatto stasera fa più male di dieci anni delitti”, è una parte dello sfogo del futuro governatore della Sicilia, poi condannato in via definitiva per favoreggiamento alla mafia. Per il video di quell’intervento – intitolato su youtube “Totò Cuffaro aggredisce Giovanni Falcone” – l’ex presidente siciliano ha querelato Antonio Di Pietro, che lo aveva postato sul suo blog: il tribunale gli ha dato ragione.

"Falcone, chi la protegge?". L'attacco di giornali e tv .

“Giovanni vattene da Roma” – E se oggi tutti concordano nel valutare come un salto di qualità nella lotta alla mafia il passaggio di Falcone a Roma per dirigere gli Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia, così non era in quel 1992. “Secondo me Falcone farebbe bene ad andarsene il più presto possibile dai palazzi ministeriali, perché l’aria non gli fa bene proprio“, disse l’avvocato Alfredo Galasso nella stessa puntata del Maurizio Costanzo Show, nota per l’esordio televisivo di Cuffaro. “Questo mi sembra scarso senso dello Stato. Al ministero di Grazia e Giustizia ci sono posti espressamente previsti per i magistrati”, fu la replica di Falcone, attaccato spesso per il suo trasferimento a Roma anche in altre salotti televisivi. “Noi abbiamo imparato a conoscerla quando viveva barricato laggiù e forse l’abbiamo un po’ mitizzata. Adesso che sta al ministero e che scrive editoriali sulla Stampa, le sue posizioni sembrano più morbide, più sfumate. Non vorrei dire che ci ha un po’ deluso negli ultimi tempi ma sicuramente è cambiato: lei lo sa? Ne è consapevole?”, gli chiede il 12 gennaio del 1992 Corrado Augias durante una puntata di Telefono Giallo. Una trasmissione che passa alla storia soprattutto per la domanda posta da una componente del pubblico. “Lei – chiederà una donna a Falcone – dice nel suo libro che in Sicilia si muore perché si è soli. Giacché lei fortunatamente è ancora con noi: chi la protegge?” La reazione del magistrato è amara: “Questo vuol dire che per essere credibili bisogna essere ammazzati?” 


I veleni di Jannuzzi: attacco al Maxi e alla Dna.


 Lino Jannuzzi
Critiche asprissime arriveranno a Falcone nello stesso periodo anche sulla stampa. È il momento in cui il magistrato siciliano è candidato a dirigere la cosiddetta Superprocura (cioè la procura nazionale antimafia) e il poliziotto Gianni De Gennaro  la Dia. Lino Jannuzzi, però, sul Giornale di Napoli li indicherà come i “maggiori responsabili della debacle dello Stato di fronte alla mafia… una coppia la cui strategia, passati i primi momenti di ubriacatura per il pentitismo e i maxi-processi, ha approdato al più completo fallimento. Da oggi, o da domani, dovremo guardarci da due Cosa Nostra, quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma. E sarà prudente tenere a portata di mano il passaporto”. Jannuzzi in seguito sarà senatore di Forza Italia per ben due legislature. In precedenza, tra l’altro – lo ricorda Caselli sul Fatto Quotidiano di qualche giorno fa – erano stati altri due futuri parlamentari di centrodestra ad attaccare Falcone dalle colonne del Giornale e del Giornale di SiciliaOmbretta Fumagalli Carulli e Guido Lo Porto. Nei loro articoli il maxi-processo viene definito un “un processo-contenitore abnorme, un meccanismo spacciato come giuridico”, mentre i procedimenti genericamente contro Cosa nostra vengono bollati come “messinscene dimostrative, destinate a polverizzarsi sotto i colpi di quel po’ che è rimasto dello Stato di diritto”, “montature” allestite dai “registi del grande spettacolo della lotta alla mafia”.
“Un mediocre pubblicista” – Gli opinionisti non saranno teneri neanche quando Falcone darà alle stampe un libro –  Cose di Cosa nostra – scritto alla fine del 1991 insieme a Marcelle Padovani. “Scorrendo il libro-intervista di Falcone, “Cose di cosa nostra”, s’avverte (anche per il concorso di una intervistatrice adorante) proprio questo: l’eruzione di una vanità, d’una spinta a descriversi, a celebrarsi, come se ne colgono nelle interviste del ministro De Michelis o dei guitti televisivi”, scriverà Sandro Viola in un’editoriale durissimo pubblicato da Repubblica il 9 gennaio del 1992. “A Falcone non saranno necessarie, ma a me servirebbero, invece, due o tre particolari  illuminazioni: così da capire, o avvicinarmi a capire, come mai un valoroso magistrato desideri essere un mediocre pubblicista“, sarà la chiusa di quell’articolo, che oggi è quasi introvabile online. Come i nemici di Falcone: attivissimi quando il giudice era vivo, evaporati dopo il botto di Capaci. E in qualche caso diventati amici intimi del magistrato assassinato. Ma – ovviamente – soltanto post mortem.

Note sulla lunga marcia del sistema.



… “Lunga Marcia” per quanto riguarda la distanza, ma a tempo di record ogni giorno di più e incessantemente in stato di tensione, tanto il Sistema funziona senza riprendere fiato in modalità di superenergia che sembra non avere limiti di utilizzo, fino a che morte o autodistruzione non seguano. La Lunga Marcia è scandita a ritmo incredibile da una serie stupefacente di catastrofi, e da altrettante stupidaggini, o mostruose coglionerie, se vogliamo adoperare un linguaggio disinvolto per il rilassamento degli animi. In questo Regno delle catastrofi, il Sistema mette in mostra un’ immaginazione straripante che meriterebbe gli si applicasse come motto la variante di una delle più famose massime del maestro Audiard:        (“I cretini osano qualunque cosa, è proprio per questo che li si riconosce):  “Il Sistema  osa qualunque cosa ed è proprio per questo che lo si riconosce.”
Dalla Corea del Nord all’Afghanistan (e qui torniamo sull’immagine di una delle catastrofi più vecchie del periodo), passando per Macron-La Rotonde (hotel dove il candidato ha fatto una festa dopo il primo turno delle presidenziali-N.d.T.), il Sistema trotterella quanto mai soddisfatto di se stesso. Nulla più sembra poterlo fermare e niente in verità può fermarlo; la sua ambiziosa aspirazione ormai non è più la stabilità di una egemonia di ferro per tenerci imprigionati senza fine e senza incrinature, ma è diventata al contrario il ritmo, il movimento, lo spasmo super potente e continuo in una direzione senza il minimo significato, a meno che non ci si attenga all’equazione superpotenza-autodistruzione.
Anche se gli avvenimenti francesi meritano la nostra attenzione, quelli di Washington D.C., con Trump che stupisce per la sua capacità di adattarsi alla superpotenza del Sistema , non ne sono meno degni e  di quelli ci interessiamo.  Con Trump che è rapidamente passato da Trump versione 1 a Trump versione 2, il Sistema sembra aver trovato non solo un servitore-marionetta ma anche piuttosto uno zelante produttore, che non cessa di alimentarsi avidamente non tanto alle pressioni dello “Stato profondo” ma piuttosto al suo fascino, al quale sembra molto sensibile. Un  fascino al quale infine soccombe con tanto zelo, sempre esagerando, fino a far pensare che sia a volte lui, Trump, il burattinaio piuttosto che la marionetta. Adam Garrie scrive, per certi versi molto giustamente, – ma  si vedrà più avanti che ci sembra ugualmente possibile  proporre altre sfumature: “Le convinzioni di Donald Trump sembra che si siano trasformate meno a causa delle manovre intimidatorie dello “Stato profondo” e  più a causa della sua credulità alle suggestioni dello “Stato profondo”.”
IN EFFETTI, C’È LA GUERRA IN AFGHANISTAN.
Fermiamoci un attimo a considerare una situazione dimenticata… Si potrebbe credere che lo sgancio in pompa magna della madre di tutte le bombe, la MOAB, su un a montagna famosa perché bucherellata come un groviera e perché da rifugio al locale Stato Maggiore dell’ISIS, avrebbe potuto raddrizzare la situazione della guerra in Afghanistan. Piuttosto si potrebbe credere in definitiva a un concatenamento di causa ed effetto, e poi come se si volesse dare in tal modo l’occasione di una ritorsione spaventosamente mortifera, che venga piuttosto dai talebani che dall’ipotetico e tentacolare ISIS.
Comunque sia, alcuni giorni dopo l’enorme esplosione della Moab un terribile attacco dei suddetti talebani contro  un accampamento dell’esercito regolare afgano ha causato notevoli perdite, dell’ordine di 200 morti, tra i quali si trovano senza dubbio alcuni componenti della macchina americanista che compare in tutte le sconfitte delle forze globaliste.
Questo attacco (dei talebani) ha in effetti dato inizio a una crisi grave in Afghanistan, nella struttura-simulacro pseudo-locale organizzata a colpi di  miliardi di dollari dagli Stati Uniti per resistere o anche – audaci sogni- avere la meglio sui talebani:  questra struttura posticcia si rivela ogni giorno sempre più tanto sforacchiata da sembrare un groviera ridotto in brandelli da una bomba MOAB. Il Segretario alla Difesa Mattis si è precipitato in Afghanistan con uno scalo imprevisto durante un periplo originariamente riservato a blandire i suoi unici amici, gli Israeliani, mentre diverse personalità  delle forze di sicurezza afgane,  tra le quali il ministro della Difesa stesso, davano le dimissioni o piuttosto erano obbligati a farlo da un presidente afgano messo alle corde. Non è facile essere il burattino di un padrone così scoppiettante e distruttivo, e così straordinariamente stupido, maldestro e impotente, come sono gli Stati Uniti, il suo Pentagono, il suo “Stato profondo”, e tutto l’ambaradan. (Vedremo più avanti che però c’è una soluzione, per tutto il catalogo s’intende…)
Improvvisamente, com’è ovvio, Washington D.C. pensa una misura rivoluzionaria e che è già stata provata: mandare delle truppe statunitensi di rinforzo in Afghanistan… Soprattutto non si cambia una squadra che perde, e che perde ancora, e che perde sempre, ecco un altro assioma immutabile del Sistema. Questa volta siamo sicuri che il presidente Trump saprà trovare le parole per convincerci che una “forza terribile”, una “invisibile armata” terrestre, è in partenza per trasformare una guerra interminabile (16 anni di fila) in una guerra lampo, irresistibile per i titoli di apertura della stampa televisiva del Sistema, diventata ormai la sua prima rete di comunicazione.
Un dettagliato articolo di WSWS (World Socialist Web Site) avantieri ci dava una descrizione accettabile della catastrofica situazione afghana dopo 16 anni di guerra… E noi annotavamo nella presentazione dell’articolo: “L’articolo segnala che, quando la guerra fu iniziata nel 2001, l’obiettivo strategico degli Stati Uniti era di stabilire dopo la caduta della Unione Sovietica la loro egemonia sulle regioni del Centro Asia che contengono la seconda  zona al mondo di riserve e di giacimenti petroliferi accertati. ”
Dopo 16 anni di guerra -e 800 miliardi di dollari più tardi-, gli Stati Uniti hanno dimostrato in modo convincente la loro impotenza e la loro totale incapacità di instaurare e stabilizzare un regime a loro favorevole a Kabul, che tenga il paese in modo soddisfacente per i loro obiettivi strategici. Il che fa scrivere di conseguenza a WSWS.org che gli Stati Uniti, 16 anni dopo, non sono riusciti in nessun modo a consolidare gli obiettivi strategici dell’imperialismo USA, come previsti nel 2001. La Russia domina tuttora più che mai la zona, con le sue ricchezze del sottosuolo, mentre la Cina afferma il suo ruolo in accordo con la Russia posando in particolare una rete di oleodotti orientati verso Est e non verso l’Ovest come prevedeva il grandissimo gioco degli Stati Uniti. Ad ogni buon conto, e dato che ormai è questo  il meccanismo automatico di servizio, i capi militari statunitensi nella regione hanno assunto a loro carico le accuse del Sistema della comunicazione USA  a Washington secondo le quali quello che capita “va a favore della  Russia”, che rifornisce di armi, materiali, suggerimenti, e incantesimi magici, i talebani. Il generale Nicholson che comanda le truppe statunitensi in Afghanistan non ha per niente rigettato questa ipotesi, è un obbligo di servizio, mentre Mattis la sviluppava per conto suo…
DALL’AFGHANISTAN ALLA COREA DEL NORD
Ma no, in definitiva la guerra in Afghanistan non è la loro tazza di tè, non è più sexy, è datata, è irrancidita, secondo l’espressione che un filosofo mondano ha impiegato ampiamente a proposito della Francia. Per converso si converrà che costituisce un punto di riferimento famoso e in questo caso un convincente richiamo, su dove ci portano le follie del Sistema, sulla vacuità estrema della sua superpotenza e sulla produzione straordinaria di impotenza nello sviluppo di questa dinamica di superpotenza.
Passando ad un altro argomento, ecco il famigerato Global Strike Command della USAF che ha effettuato  ieri 26 aprile 2017 un urgente test di un ICBM Minuteman III, lanciato dalla base di Vanderberg verso il Pacifico, -ma ci (e vi)  rassicurano che si trattava soltanto di “un missile balistico intercontinentale non armato e il test era previsto da tempo ed è non è da mettere in relazione con la situazione in Nord Corea, e che i lanci si susseguono a cadenze regolari. “ Dunque nessun rapporto con la Corea del Nord,  allo stesso modo che il lancio di un ICBM ATLAS il 27 ottobre 1962, in piena crisi di Cuba, non aveva alcun rapporto con la situazione a Cuba in piena crisi dei missili, e poi il lancio era previsto da molto tempo nel quadro di un programma di test di routine. Alla notizia del lancio, Kennedy aveva reagito in privato con un furioso scoramento, “che figlio di p… “ (all’indirizzo del generale Curtiss Le May che aveva ordinato di persona il lancio contravvenendo agli ordini del Presidente). Questa volta possiamo essere sicuri che il presidente Donald sarà certamente soddisfatto di questa dimostrazione di forza che dovrebbe spaventare adeguatamente Kim della Corea….
…oppure il lancio del vecchio Minuteman III (un esemplare della fine degli anni 1960) è stato effettuato per toccare il cuore dei senatori che ieri si sono riuniti alla Casa Bianca credendo che si sarebbero sentiti un discorso sulla Corea del Nord. Fin dalla sua convocazione questa riunione non lasciava presagire niente di buono, perché si sapeva bene che non era stato fatto nessun progresso diplomatico, che la Corea del Nord aveva intenzione di effettuare un test nucleare che avrebbe portato gli Stati Uniti a rispondere in un modo o nell’altro, che la convocazione del Senato in queste condizioni non poteva che prendere l’aspetto di una seduta di informazioni che preludesse alla richiesta dei poteri di guerra attribuiti al Presidente, indirizzata alla Alta e Augusta Assemblea.
Il colonnello Lang del sito STT (Sic  Transit Tyrannis) diceva  il 25 aprile 2017 la sua convinzione, già espressa altrove, che questa riunione doveva riguardare la possibilità di un conflitto nordcoreano, come lui aveva già previsto (un conflitto), per il periodo da maggio a giugno:
“Tutti i 100 Senatori sono invitati alla Casa Bianca per un briefing sulla Corea del Nord. Questo è un fatto inusuale. Durante la prima Guerra del Golfo io venivo mandato al Congresso ogni giorno per informare entrambe le camere. Faccio notare che andavamo noi  là, e non avveniva il contrario. Ci riferiscono che saranno ricevuti da Tillerson, Mattis, McMaster, Coates. Alcuni relatori ben preparati condurranno effettivamente la riunione.”
“Mi sembra che i senatori verranno preparati ad un  probabile insuccesso della politica di Trump nei confronti della Cina e della Nord Corea. Una dichiarazione di guerra o un’autorizzazione per l’uso delle forze armate richiederebbe un voto da tutti e due i rami del Congresso. Così… Potete aspettarvi probabilmente  di vedere un sacco di membri delle due Camere che visitano la Casa Bianca al più presto, se non è già capitato.
“Il gruppo di combattimento Carl Vinson arriverà nelle acque coreane entro pochi giorni. Lo USS Michigan, un sottomarino capace di lanciare missili da crociera si trova a Busan nella Corea del Sud per riposo e vacanza e per rifornirsi di vettovaglie. Come ho scritto qui c’è la disponibilità di due portaerei in più e delle loro navi di supporto per i primi di giugno. Tutto questo migliora la situazione se siete il comandante di campo o un ammiraglio della flotta.”
DALLA PROSPETTIVA DELLA TERZA GUERRA MONDIALE ALLA PROSPETTIVA  BUSINESS-AS-USUAL.
…E poi no, niente affatto! Sorpresa, la riunione della Casa Bianca, alla quale Trump non assisteva perché ha altri impegni, ha partorito un topolino macilento. La politica Usa in materia, passa dalla prospettiva della terza guerra mondiale alla prospettiva di una politica di normale amministrazione con una  rapidità che lascia sconcertati e la dice lunga sul morale dei cospiratori e sulla potenza della loro visione strategica. Un comunicato Tillerson-Mattis ci annuncia che durante questa importante riunione  è stata presa la solenne decisione di continuare esattamente come prima: politica di sanzioni, pressioni, denunce scandalizzate, politica del  “ti tengo d’occhio, cattivaccio” (per Kim di Corea), una politica già vecchia di 30 anni. L’antifona è quasi religiosa: “Tenetemi sennò faccio un disastro”.
Alessandro Mercouris, nel suo articolo del 27 aprile 2017, commenta secondo il suo punto di vista, che a noi pare ottimista, questa ennesima versione di “più si cambia e più si rimane uguali”: “Certo non c’è qui nessuna proposta di un’azione militare in risposta ai test nucleari o al lancio di missili balistici nordcoreani, e ancora meno di un intervento militare preventivo per impedire questi test,  e la risoluzione suggerisce che queste opzioni, semmai siano state seriamente considerate, adesso sono state scartate. Sebbene  la risoluzione dica che “gli sforzi del passato non sono riusciti a fermare gli illegali programmi di armamento della Nord Corea ed i test nucleari e quelli dei missili balistici”, ciò che propone – “fare Pressione sulla Nord Corea… con sanzioni economiche più severe e con interventi diplomatici insieme ai nostri alleati e ai nostri partner regionali” – è la stessa politica perseguita dalle precedenti amministrazioni USA.
“Potrebbero avere prevalso più miti consigli e  il Presidente Trump è stato dissuaso da qualunque azione militare pericolosa contro la Corea del Nord che egli avesse pianificato, oppure  le varie minacce e le manovre militari delle ultime recenti settimane non fossero mai state prese seriamente, ed  erano solo un bluff. Se è così, allora, come s’è detto prima, le carte sono state calate domenica, quando il presidente della Cina  Xi Jimping ha telefonato al presidente Trump  e lo ha messo in guardia dicendogli che la Cina non avrebbe cambiato la sua politica per le minacce degli Stati Uniti. La dimensione del fallimento dei tentativi di ingannare la Cina fingendo di intraprendere azioni più pesanti contro la Corea del Nord è illustrata da un fatto che lo spiega bene: la dichiarazione non menziona neanche la Cina – e ancora meno fa domande al proposito-  anche se la Cina è stata al centro dell’azione diplomatica per settimane.
“Qualunque sia la ragione, il Presidente Trump ha agito saggiamente se, come sembra in questo caso, ha evitato un’azione militare. Se stava bluffando – e questa sembra essere di gran lunga la più credibile spiegazione delle sue azioni – allora è stato scoperto il bluff, e gli è stata data un’importante lezione, e cioè che con la Cina non bisogna mai bluffare.
Speriamo che impari la lezione e si regoli di conseguenza in futuro.”
SWING TRA TRUMP. 1.0 E TRUMP 2.0
“Speriamo che Trump impari la lezione ed agisca di conseguenza in futuro”? Trump, l’uomo dei reality show, che impara una “lezione di saggezza”, o addirittura che concepisca persino l’idea di saggezza? Tutto ciò ci lascia scettici… Per il resto notiamo come sia notevole e molto inusuale che una decisione di questa pseudo-importanza sia firmata e autenticata da un comunicato comune di due ministri e non dal Presidente stesso.
Questo può essere interpretato a piacere: che lo “Stato profondo” che oggi è obbligato a trattenere Trump piuttosto che convertirlo al fascino della guerra, abbia deciso di frenare? Che Trump abbia comunque la testa altrove e stia per dimenticare la Corea del Nord che minaccia la civiltà, poiché vuol far passare davanti al Congresso delle iniziative importanti di politica interna (la sua riforma fiscale, eventualmente una riedizione dell’Obamacare rivisitato)? D’altra parte Trump lavora oscillando prima  tra un temporaneo ritorno al Trump  1.0, e poi a una  conferma del Trump 2.0, facendo  o lasciando dire che ha deciso di liquidare il NAFTA (North American Free Trade Agreement) e dicendo qualche ora più tardi ai suoi amici canadesi e messicani che la liquidazione del NAFTA non è all’ordine del giorno. Contemporaneamente circolano  voci di corridoio secondo le quali il  famigerato muro americano-messicano che ha sconvolto tante anime fragili e sensibili, non si sa ancora bene e se sarà fatto o no. Gringo que pasa? (“che succede Gringo?”)
L’ARMATA RUSSA IN CAMPAGNA  (SIRIANA)?
Questa rapida conversione verso la pacificazione non ci convince più che la tensione degli ultimi giorni riguardo la Corea del Nord (notando certo che la fase di pseudo-tensione ha un aspetto molto più volatile che quella della pseudo-pacificazione e per definizione può condurre più direttamente e più decisamente alla guerra). Per esempio, che cosa faranno lo “Stato profondo” (Deep State) ed il vulcanico Trump, se domani Kim-di-Corea, come è estremamente probabile, farà comunque il suo test nucleare, come ci ha già informati? Accetteranno di perdere la faccia senza arrossire di fronte a questo orribile ed irridente Kim-di-Corea? La pressione dei mezzi di comunicazione del Sistema- la stampa  del sistema, gli esperti in conflitti taroccati, i parlamentari ultra guerrafondai-, lasceranno (al Deep State- N.d.T.)  una scelta diversa dall’annuncio che agiranno e colpiranno con forza?
Oppure, altro esempio che ci permette di fare zapping da una zona di conflitto all’altra e di allargare conseguentemente la lunghezza già considerevole della Lunga Marcia, che cosa faranno lo “Stato profondo” e il vulcanico Trump se domani la Russia farà realmente ciò che si annuncia qua e là e cioè lo schieramento di unità terrestri in Russia ? (N.d.T.: pare un evidente refuso: forse dovrebbe leggersi”…lo schieramento di unità terrestri in SIRIA…”)
In effetti questa è una delle più recenti voci di corridoio in voga e cioè l’annuncio della possibilità dello schieramento di importanti unità dell’armata russa (una divisione aviotrasportata della Guardia e un battaglione Spetsnaz). Il sito STT ha dato dei precisi dettagli per la struttura di questo possibile intervento, le sue ragioni e i suoi probabili obiettivi. Il colonnello Lang stesso ne ha parlato, il recente 25 aprile 2017, naturalmente con i distinguo abituali – tanto, in questa epoca volatile, la comunicazione è un gigantesco gioco d’azzardo nel quale si perde spesso, ma a volte si vincono enormi poste…
“Vi sono voci sul fatto che la Russia possa rispondere favorevolmente a una richiesta prevedibile del governo siriano perché mandi truppe di terra russe. Se questo è vero allora sono probabilmente corrette due cose: 1 -I Russi hanno deciso che stanno trattando con un prodotto instabile nella persona dell’occupante della Casa Bianca e che devono mettere Donald Trump di fronte al fatto compiuto in Siria al più presto possibile, per ridurre la possibilità di ulteriori disavventure che riecheggino l’apparentemente estemporanea decisione di attaccare la base aerea siriana di Shayirat per rappresaglia. 2.  Potrebbero sentirsi sicuri che lo schieramento delle loro forze di terra non provocherà un’altra risposta incongrua. Forse stanno aspettando che gli Stati Uniti siano già  troppo occupati altrove, per esempio in Corea, per intervenire? Potrebbe darsi, ma potrebbe anche darsi che le voci dell’intervento di truppe terrestri sia solo una fantasia giornalistica, o pura disinformazione.”
Allora teniamo in caldo questa possibilità siriana che magari salterà fuori, perché è meglio avere numerose crisi in corso per non perdere il ritmo della Lunga Marcia…
LA MARIONETTA CHE MANIPOLA  IL SUO MANIPOLATORE
Comunque sia, tutta questa situazione, o i diversi aspetti di questa situazione che coinvolgono il Sistema degli Stati Uniti in una situazione caotica di superpotenza, continuano a dipendere molto da un personaggio poco comune, come il presidente Trump. Abbiamo visto prima quello che Adam Garrie dice di Trump e di quello che è diventato, la versione 2.0 di Trump – modello  turbo- ( “Le convinzioni di Donald Trump sembra che si siano trasformate meno a causa delle manovre intimidatorie dello “Stato profondo” e di più a causa della totale suggestionabilità di Trump dalle influenze dello “Stato profondo”). Il titolo del suo articolo è “Il dottor strana-Trump ovvero come ho imparato a non prosciugare le fogne e ad amare lo “Stato profondo”, ed è evidente l’analogia col dottor Stranamore di Kubrick ovvero “Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la Bomba”.
Effettivamente l’analogia è eccellente in quanto il titolo di Kubrick non si riferisce tanto a un personaggio del film quanto piuttosto a lui stesso, un Kubrick caricatura paradossale che, imitando tutti i pazzi che lo circondano, deciderà di smetterla di pensare troppo in modo critico e finalmente adorare la Bomba come fanno tutti. Ma si tratta meno di credulità che di  disinteresse per qualunque forma di responsabilità, di pensiero critico profondo, eccetera, per interpretare effettivamente questo personaggio da reality show quale è Trump, che noi abbiamo cercato di descrivere: piuttosto di credere a qualunque cosa di ciò gli si dica (credulità), non credere a niente del tutto e prendere quello che viene in funzione dell’effetto di comunicazione del presente immediato (1)-( Big Now). ( Applausi, editoriali fioriti del Washington Post e del New York Times, seducenti bellezze della Cnn che rievocano la sublime Zazzera del Presidente, eccetera).
Tentando di ridiventare seri bisogna dire quanto Trump (sia la versione 1, sia la versione 2- ma la seconda ancora più della prima-), anche considerandolo come “domato” dal Sistema se non prigioniero dello “Stato profondo” del Sistema, sia  in realtà un elemento volatile, imprendibile, estremamente difficile da controllare, fino al ribaltamento della situazione, perché è totalmente irrazionale. È la “teoria del burattino” di Wallerstein(2), finora applicato ai “pupazzi” degli Stati Uniti (il pioniere fu il presidente afgano Karzai),  questa volta applicata al Presidente degli Stati Uniti stesso, ultimo burattino degli Stati Uniti, quando la marionetta diventa manipolatrice di quelli che la manipolano, che ne sia cosciente o meno.
In un articolo del 24 maggio 2014, citavamo un’analisi del filosofo Immanuel Wallerstein sull’ inversione della situazione che fa sì che “i burattini” manipolati dal Sistema (gli Stati Uniti, le élites del Sistema, lo “Stato profondo”, l’establishment, eccetera) si rivoltassero contro i loro burattinai per manovrarli, a causa della goffaggine e degli errori colossali del Sistema e dell'osceno modo di manipolare proprio questa sua eccessiva potenza. “Mi sembra che questa sia un’interpretazione errata e fantastica della realtà della nostra situazione attuale, che è di un caos crescente, come risultato della crisi strutturale del nostro Sistema mondiale moderno. Non credo che le élites riusciranno a manipolare i loro sottoposti di livello inferiore ancora a lungo. Penso che i sottoposti stiano sfidando le élites, facendosi gli affari loro, e cercando di manipolarli. Questo è certamente un fatto nuovo. È una politica che va dal basso verso l’alto piuttosto che dall’alto verso il basso…“. Con Trump siamo arrivati al caso estremo dove la marionetta è a capo della potenza che la maneggia,  che lui potrebbe puntualmente maneggiare, e che riesce a maneggiare inconsciamente con le sue trovate estemporanee, la sua volubilità, le sue iniziative incongrue, il suo stile scoppiettante e le sue dichiarazioni imprevedibili e destabilizzanti…
MACRON? NON C’E’ PIU’ LA SERVITU’ DI UNA VOLTA
Questo ci riporta per un momento alla situazione francese che a parer nostro, è contraddistinta sempre più dalla straordinaria mancanza di spessore, se non  dalla mancanza di sostanza tout-court, del candidato già presidente Macron. Anche lì c’è un gioco che sembra l’inversione del rapporto manipolatore-manipolato. Macron evidentemente burattino mosso dal Sistema, malgrado la sua strategia “vorrei fare bene”,  diventa il manipolatore senza dubbio incosciente dei suoi padroni e precipita la situazione verso orizzonti sconosciuti, incomprensibili e forieri di sviluppi straordinari, con i suoi errori, i suoi slanci improvvisi, i suoi accessi di rabbia infiammata e i suoi programmi così straordinariamente e sovranamente vuoti. (A margine noi avremo una dimostrazione dello stato più che eccellente dei legami che ci tengono, noi francesi, strettamente legati ai nostri grandi “amici americani”.)
Ciò che scrive Philippe Grasset (PhG) martedi, nel suo Journal-dde.crisis, si collega alla constatazione fatta qui su Trump,  come la fa lui su Macron (che si intestardisce a descrivere come “Micron”) come futuro presidente ed ex-Presidente della Repubblica francese; si tratta dell’ estrema mediocrità e dell’estrema volatilità del personale dirigente… “È sempre di più vero che il problema del Sistema è che il personale dirigente del Sistema non è più quello di una volta… […] Questa penuria di personale qualificato proprio nel momento del massimo trionfo del Sistema, può darsi che sia proprio la chiave, il codice post-moderno, della formula della sua autodistruzione. Il sapiens (2) deve sempre interpretare un ruolo, non è mai veramente disoccupato…
Come si fa a immaginare una Marcia così Lunga, quella del Sistema, a questa fulminea velocità dovuta alla sua superpotenza, senza temere uno scarto o un errore irreparabile? È una specie di principio dei vasi comunicanti: quanto più il Sistema sviluppa a gran voce la sua estrema potenza, e lo sa Dio che non ha remore, tanto più i servitori che si sceglie sono stupidi, barocchi e scoppiettanti, imprevedibili e incontrollabili, infantili, irresponsabili e incoscienti. È in questo modo che forse noi abbiamo, ripetiamolo, il segreto della trasmutazione magica dalla superpotenza all’autodistruzione. (“il codice postmoderno della formula della sua autodistruzione”)
NOTE
(1)“big-Now” è la storia ridotta al tempo presente, priva di una “narrazione -guida”, la visione a termine cortissimo (iper-corto) dei poteri politici che si sono ridotti a considerare solo la stretta contemporaneità (estratto da un commento di PhGrasset al libro di Peter Rushkoff : “Present Shock: When Everything Happens Now “ – dedefensa- faits et commentaires-29 gen 2014)
(2) Immanuel Maurice Wallerstein – è un sociologo ed economista statunitense, Docente alla Columbia University.
(3) “sapiens-Système”: l’uomo ragionevole (sapiens) diventa uno strumento del Sistema (sapiens-Système) e complice di questo, anche se saltuariamente una parte di lui si ribella (dedefensa-ibidem.