giovedì 5 marzo 2020

Coronavirus, la sanità italiana definanzata da dieci anni. Tagliati 43mila dipendenti e i posti letto sotto la media Ue. Ecco tutte le criticità. - Fiorina Capozzi

Coronavirus, la sanità italiana definanzata da dieci anni. Tagliati 43mila dipendenti e i posti letto sotto la media Ue. Ecco tutte le criticità

Le risorse sono aumentate, ma meno dell'inflazione. Tutto è iniziato con il governo di Mario Monti. La stagione della spending review ha portato in dote una sforbiciata alla spesa sanitaria da 6,8 miliardi fino al 2015. Da allora le cose sono andate sempre peggio: sono scattati i piani di rientro per le Regioni con uno squilibrio nella sanità e i governatori hanno tagliato ancora. Intanto sono aumentati i ticket e i letti sono diminuiti a 3,2 per 1000 abitanti contro una media europea di 5. Le liste d'attesa sono rimaste lunghe e i livelli minimi di assistenza sono una chimera soprattutto al Sud.
Non bastava la riforma del Pronto Soccorso. L’emergenza Coronavirus dà la batosta finale al Sistema Sanitario Nazionale. L’allarme partito dalle Regioni più colpite dall’epidemia ha aperto un dibattito nazionale sullo stato di salute della sanità italiana. A partire dalla scarsa disponibilità di personale e di posti letto per far fronte ai casi che richiedono cure ospedaliere. Ma la politica da un decennio sta tagliando risorse alla sanità, penalizzando non solo gli ospedali pubblici, ma anche i privati convenzionati. In dieci anni sono sono stati sottratti al Ssn 37 miliardi.
Secondo uno studio del centro di ricerche indipendente Gimbe, fra il 2010 e il 2019 c’è stato un progressivo definanziamento della sanità pubblica. O meglio: c’è stato un aumento di risorse per 8,8 miliardi, ma l’incremento è stato inferiore al tasso d’inflazione producendo di fatto una decurtazione del budget. Inoltre, la politica ha favorito la nascita di assicurazioni e fondi sanitari per compensare il ridimensionamento della spesa in sanità andando a vantaggio solo di alcune categorie di persone e mettendo a rischio l’universalità del servizio.
I tagli di Monti – Tutto è iniziato con il governo di Mario Monti. La stagione della spending review ha portato in dote una sforbiciata alla spesa sanitaria da 6,8 miliardi fino al 2015. Nei desiderata dell’allora ministro Renato Balduzzi, il taglio della spesa avrebbe dovuto essere accompagnato da una migliore gestione delle risorse. Ma così non è stato: secondo quanto riferì Quotidiano Sanità, in soli due anni “la mazzata, batosta o che dir si voglia, c’è stata: meno posti letto: circa 7.000 che portano così i tagli totali di posti letto dal 2000 ad oggi (10 dicembre 2012, ndr) a quota 72.000”.
I piani di rientro regionali – Da allora le cose sono andate sempre peggio. In nome del risanamento dei bilanci locali e delle aziende sanitarie sono scattati i piani di rientro per le Regioni con uno squilibrio nella sanità superiore al 5 per cento del finanziamento complessivo. Così i governatori hanno tagliato ancora. Nel Lazio, ad esempio, Nicola Zingaretti ha cassato 3.600 posti letto e chiuso diversi ospedali. In compenso il bilancio regionale della sanità è tornato in positivo, ma il prezzo da pagare per la collettività è stato alto in termini di costi e servizi. Al posto degli ospedali, sono proliferate le più “economiche” Case della salute, strutture ambulatoriali sul territorio nate per offrire alcune cure primarie. Tuttavia, un focus sullo stato di salute della sanità pubblicato dall’Ufficio parlamentare di bilancio il 2 dicembre 2019 ha evidenziato tutti i limiti del nuovo modello messo in campo dai governatori: “L’insufficiente potenziamento dei servizi territoriali pone un’incognita sul successo dell’operazione, con segnali di razionamento delle prestazioni rispetto ai bisogni, che emergono in particolare nei servizi di emergenza”.
Risorse per il personale scese di 2 miliardi in otto anni – Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, le risorse per il personale sono scese di due miliardi fra il 2010 e il 2018. Ma per Gimbe le cose starebbero anche peggio: nello stesso periodo dei 37 miliardi di risparmi, almeno il 50% dei tagli è stato “scaricato” sul personale dipendente e convenzionato riducendo di fatto i servizi per i cittadini. “A questo andamento ha corrisposto un ridimensionamento del numero di lavoratori, compresi medici e infermieri, in particolare nelle Regioni in piano di rientro, e un peggioramento delle condizioni di lavoro”, scrivono gli esperti dell’ufficio parlamentare che raccontano come siano andati persi 42.800 dipendenti a tempo indeterminato.
Numero di posti letto sceso sotto la media europea – Il numero di posti letto per 1.000 abitanti negli ospedali è sceso di gran lunga sotto la media europea. Secondo il centro studi dell’ufficio parlamentare, l’indicatore era al 3,9 nel 2007 e al 3,2 nel 2017 contro una media europea diminuita da 5,7 a 5. La flessione maggiore è stata registrata nelle Regioni sottoposte per prime a piano di rientro. Inoltre, secondo dati Eurostat, il numero di posti letto in strutture residenziali per cure a lungo termine era pari a 4,2 per 1.000 residenti in Italia nel 2017, contro 9,8 in Francia, 11,5 in Germania e 8,2 nel Regno Unito, mentre la percentuale di soggetti che dichiarano di aver utilizzato servizi di assistenza domiciliare, riferita al 2014, risulta essere del 3,5 per cento in Italia, contro il 4 per cento della media europea.
Meno disavanzo, più ticket – Il disavanzo sanitario è stato ridotto, ma il ticket è progressivamente aumentato. In dieci anni, il gettito complessivo dei cosiddetti ticket, escluse le strutture accreditate dove il dato non viene rilevato, è passato da 1,8 miliardi nel 2008 a 3 miliardi nel 2018. “La riduzione dei disavanzi riflette anche l’aumento dei livelli delle compartecipazioni richieste ai cittadini e delle aliquote di imposta”, spiega uno studio dell’Upb sullo stato di salute della sanità dello scorso 2 dicembre 2019. Non solo: l’introduzione del superticket, cioè della quota fissa di 10 euro per ricetta sull’assistenza specialistica ambulatoriale introdotta nel 2011 “ha probabilmente rappresentato un rilevante fattore di riduzione della domanda di prestazioni pubbliche, spingendo verso la rinuncia alle cure o verso il privato”, come puntualizza lo studio sullo stato di salute della sanità italiana.
Raddoppiata la quota dei poveri che rinunciano a cure – Il costo della sanità sulle famiglie è invece aumentato ed è raddoppiata la quota dei più poveri che rinunciano alle cure. “L’aumento delle compartecipazioni alla spesa, in connessione con il peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie in seguito alla crisi, ha contribuito a provocare un forte incremento della quota di cittadini che hanno rinunciato a visite mediche per il costo eccessivo, passata, secondo dati Eurostat (indagine EU-SILC), dal 3,9 per cento nel 2008 al 6,5 nel 2015” prosegue l’indagine. Ad avere la peggio, le fasce più deboli della popolazione: “Se si guarda al 20 per cento di popolazione più povera, si osserva addirittura un aumento della frequenza di cittadini che hanno rinunciato a visite mediche per motivi economici dal 7,1 per cento nel 2004 al 14,5 nel 2015”, evidenzia l’analisi. “Inoltre negli ultimi anni, mentre la spesa pubblica pro capite in termini reali passava da 2.266 dollari a parità di potere d’acquisto del 2012 a 2.235 nel 2018, quella privata out of pocket (compartecipazioni alla spesa e pagamenti diretti di servizi e prestazioni) e per assicurazioni volontarie aumentava in media da 710 dollari pro-capite a 776 (dal 2,1 al 2,3 per cento del pil)”, come sottolinea studio.
Livelli minimi di assistenza? Una chimera – Intanto le liste d’attesa sono rimaste lunghe e i livelli minimi di assistenza (lea) sono una chimera. Soprattutto nel Sud. “Le Regioni che, secondo il nuovo sistema di garanzia, non assicurano i Lea sono tutte quelle del Mezzogiorno, il Lazio, e anche la Provincia di Bolzano, la Valle d’Aosta e il Friuli-Venezia Giulia. Quest’ultima, in realtà, anche se in termini di punteggio complessivo supera la Regione Marche, considerata adempiente, presenta una valutazione insufficiente sulla prevenzione”, prosegue l’indagine dell’ufficio parlamentare.
L’aumento del costo delle prestazioni specialistiche ha allargato il mercato per fondi e assicurazioni, sostenuti dalla politica. Ad aggravare la situazione di discriminazione economica fra i cittadini nell’accesso alle cure mediche è poi arrivata anche alla decisione del governo Renzi di agevolare fiscalmente il welfare aziendale sottraendo indirettamente risorse al sistema sanitario nazionale .
Per il futuro ulteriore lieve riduzione dei fondi in rapporto al pil – E le prospettive non sono affatto rosee. “Per il futuro, le previsioni di spesa sanitaria a legislazione vigente contenute nella Nadef 2019 indicano una ulteriore lieve riduzione in rapporto al Pil, dal 6,6% del 2019 al 6,5% nel 2022”, precisa l’ufficio studi parlamentare. “Questa strategia politico-finanziaria documenta inequivocabilmente che per nessun Governo nell’ultimo decennio la sanità ha mai rappresentato una priorità politica – si legge nel report di Gimbe -. Infatti, quando l’economia è stagnante la sanità si trasforma inesorabilmente in un “bancomat”, mentre in caso di crescita economica i benefici per il SSN non sono proporzionali, rendendo di fatto impossibile il rilancio del finanziamento pubblico”. Una situazione insostenibile che emerge con forza nei casi di emergenza come quello del Coronavirus.

Istruzioni per l’uso - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 5 Marzo

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Ora che l’Italia chiude momentaneamente per coronavirus, si avverte più che mai l’esigenza che ciascuno faccia il suo mestiere. Il governo quello di prendere decisioni adeguate alla situazione che varia di ora in ora e di comunicarle con serietà e sobrietà come ha fatto ieri Conte, usando come bussola la Costituzione, che tutela la salute e non le lobby di Confindustria. L’opposizione quello di controllare l’opera del governo senza sconti, ma anche senza pregiudizi. Le Regioni e i Comuni quello di muoversi in sintonia col governo, evitando bizzarrie, alzate d’ingegno e fughe solitarie per far titolo sui social o sui giornali. Gli esperti quello di fornire supporti scientifici senza perdersi in beghe e rivalità fra colleghi, che più d’ogni altra cosa contribuiscono a seminare il panico. Noi giornalisti quello di informare esclusivamente con notizie documentate, evitando gli opposti estremismi dell’allarmismo e del tuttovabenmadamalamarchesa. Tutti i cittadini quello di discutere finché vogliono gli ordini delle autorità, ma intanto di obbedire alla lettera senza tante pippe, perché l’esperienza di questi giorni insegna che basta la disobbedienza di uno solo per fare guai mostruosi.

I politici sfusi e i peones che non hanno ministeri né funzioni né partiti da rappresentare, ma la cui parola purtroppo ha un peso inversamente proporzionale all’intelligenza, parlino solo se interrogati, contino fino a 100 prima di rispondere e lo facciano quando hanno qualcosa da dire, cioè tendenzialmente mai.

I virologi da divano, che sanno sempre cosa non si sarebbe dovuto fare (ma un po’ meno cosa si dovrebbe fare), si mettano in autoquarantena: di virus ce ne basta uno alla volta.

Gli autoflagellanti fan degli altri Paesi che fanno pochi controlli, nascondono il virus sotto il tappeto, spacciano i morti da coronavirus per “normali” casi di influenza sperando di passare ’a nuttata e salvare la bottega a spese nostre, ricordino che certe furbate durano poco. Il problema non è quanti tamponi, ma quanti malati: se uno finisce in terapia intensiva non è perché gli han fatto il tampone, ma perché sta malissimo. O vogliamo combattere la febbre abolendo i termometri?

I sindaci alla Sala, ansiosi di “riaprire Milano” e “tornare alla normalità entro due mesi”, la smettano di farsi belli come se i sacrifici imposti dalle autorità fossero fregole malate di menti sadiche e la piantino di alimentare aspettative che nessuno sa quando potrà soddisfare. Le città riapriranno e torneranno alla normalità quando gli esperti saranno certi che il contagio è sotto controllo.

Meglio una recessione pilotata con pochi morti oggi che una catastrofe incontrollata con una strage domani. Lo dimostra la Cina: prima ha sigillato la provincia di Wuhan, e ora il contagio sembra in ritirata. L’epidemia non è una gara d’appalto di Expo, retrodatabile a piacere.

I governatori alla Fontana, Zaia, Ceriscioli e Musumeci imparino da altri colleghi a lavorare in silenzio (come centinaia di medici e infermieri che operano senza soste né cambi-turno rischiando la pelle in ogni istante), visti i danni che fanno appena aprono bocca, anche a tre metri di distanza di sicurezza.

Chi, pur non essendo un esperto, padroneggia un po’ la materia, aiuti gli altri meno aggiornati a non confondere il giusto allarme con l’assurdo allarmismo e a leggere correttamente i dati: non tutti i positivi sono malati di coronavirus, non tutti i malati sono intubati in rianimazione, quasi nessuno degli intubati rischia la pelle. I tassi di mortalità, che oscillano fra il 2 e il 3%, sono sovrastimati rispetto alle normali influenze perché le influenze si sa quante sono, mentre i casi di Coronavirus sono molti più di quelli noti, essendo difficilmente distinguibili dalle influenze e ricercati e diagnosticati da poche settimane. Quindi i morti per coronavirus sono probabilmente inferiori a quelli per influenza (circa 8 mila all’anno in Italia) e infinitamente inferiori a quelli per infezioni ospedaliere (altri 10 mila l’anno). Fermo restando che anche un solo morto, per quanto anziano o debilitato da altre patologie, è di troppo.

Il vero e unico oggetto dell’allarme (che non è allarmismo, è sacrosanta precauzione) non è il numero o la percentuale dei morti, ma l’espandersi del contagio. E non perché i contagiati abbiano meno possibilità di guarire del previsto (guariranno quasi tutti). Ma perché subito, qui e ora, rischiano di non trovare né posti letto né medici né infermieri sufficienti negli ospedali, in particolare nei reparti di rianimazione delle zone più “infette”. Quindi, non potendo moltiplicare dall’oggi al domani i letti e il personale, anche a causa dei tagli degli ultimi anni nella sanità pubblica e delle scriteriate politiche regionali a vantaggio dei privati (altro che “modello”), non resta che tentare di ridurre qui e ora il contagio con misure più drastiche di quelle già adottate. Più precauzioni si usano e più sacrifici si fanno oggi, più presto finirà l’emergenza e tornerà la normalità. Anche perché, in attesa di cure specifiche e vaccini, il primo nemico del coronavirus pare sia il caldo.

Nella cacofonia degli esperti, molti dei quali diveggiano in tv come soubrette e tronisti, a naso daremmo ascolto a Maria Rita Gismondo, che ha non solo i titoli, ma anche lo stile giusto per comunicare: informato, pacato, allarmante il giusto ma mai allarmistico-catastrofico. Fidiamoci di lei e di quelli come lei. Convinti di interpretare l’umore dei lettori, rivolgiamo un sobrio invito ai dirigenti della Serie A di calcio: abbiamo cose più serie a cui pensare che il campionato, quindi giocate a porte chiuse o a casa vostra e piantatela di rompere i coglioni.

Conte e lo sputtanamento di Salvini. - Tommaso Merlo


Mentre Conte rassicurava ed informava gli italiani sui nuovi provvedimenti, Salvini sputtanava l’Italia su un giornale spagnolo dicendo che “il governo è incapace di gestire la crisi”.
Nemmeno l’aggravarsi dell’epidemia riesce a placare un Salvini che appare giorno dopo giorno sempre più fuori controllo. Non riesce a contenersi nemmeno difronte ad un’epidemia che rischia di mettere gravemente in crisi l’intero sistema paese. Davvero un comportamento politico ma anche umano vergognoso ed irresponsabile che qualifica più di mille comizi chi sia davvero Matteo Salvini. E molti cittadini sembrano rendersene conto visto che la Lega viene confermata in forte calo nei sondaggi. Del resto i momenti di crisi servono anche a questo.
A porsi nuove domande, a rivedere tutto sotto una nuova prospettiva cogliendo così meglio la verità che ci circonda. E la verità che sta emergendo è cristallina. Conte è stato infamato fin dal giorno del suo insediamento. Prima dai giornalai di sinistra, poi da quelli di destra. E questo perchè troppo alieno al vecchio regime partitocratico. Conte è un cittadino libero, un professionista prestato alla politica. Nemmeno lui avrebbe immaginato di diventare premier quando anni addietro avvicinò il Movimento 5 Stelle. Eppure eccoli lì, al suo secondo mandato. Eccolo lì senza padroni o ideologie da servire, ma con valori forti e volontà di mettersi al servizio della propria comunità nazionale.
Un abisso rispetto a Salvini.
Un abisso morale, culturale, di competenze ma anche politico nel senso più nobile del termine.
Politica è servizio. Nient’altro che servizio disinteressato alla propria comunità. Non è fango propagandistico per colpire i nemici e prendersi il potere. Non è tifo, non è sterile chiacchiera, non è arrivismo e cinico egoismo.
Conte ha invitato per l’ennesima volta le opposizioni all’unità mentre Salvini sputtanava l’Italia su un giornale spagnolo. Ha parlato agli italiani con la franchezza che lo contraddistingue ed ha rivendicato la linea della “trasparenza” adottata. Il governo non ha fatto giochi sporchi sull’epidemia, non ha minimizzato, non ha nascosto la verità sotto al tappeto ma si è messo ad inseguire il virus per contenerlo, si è messo al lavoro. Il coronavirus non ha colore politico – ha ribadito Conte – e va vinto con l’impegno di tutti. Con serietà, con responsabilità. Dai politici all’ultimo cittadino di provincia. Conte annuncia anche un Modello Genova per far fronte all’emergenza che sta diventando economica e quindi sociale. Una reazione veemente dello Stato e della politica ad una tragedia improvvisa, un simbolo di rinascita e cambiamento. Ma poi si sa come è andata a finire a Genova. L’allora nascituro governo gialloverde reagì alla grande e la giurò ai Benetton, poi strada facendo Salvini ha fatto saltare tutto dalla spiaggia per tentare il colpo di mano ed oggi difende le concessioni autostradali sputando sui suoi ex alleati. Sembrano passati secoli, ma il nuovo ponte genovese è lì, in piedi, come Conte. Un cittadino prestato alla “cosa pubblica” verso un vecchio politicante di “professione”. Un uomo e un governo serio che lavora per fronteggiare la crisi e un personaggio che sputtana il proprio paese in un momento di grave difficoltà.
Un premier all’altezza e un personaggio a cui sarebbe pericolosissimo affidare le redini del nostro paese.

mercoledì 4 marzo 2020

Consip, chiusa indagine su Lotti e Saltalamacchia, accusati di rivelazione segreto d’ufficio. Stralciata posizione di Del Sette.

Consip, chiusa indagine su Lotti e Saltalamacchia, accusati di rivelazione segreto d’ufficio. Stralciata posizione di Del Sette

Dopo la decisione del gip che ha respinto la richiesta di archiviazione, la Procura di Roma va verso la formulazione della richiesta di rinvio a giudizio per l'ex ministro e il generale dei carabinieri. Sarà giudicato da un altro collegio, invece, l'altro alto ufficiale.

Chiusa l’indagine per rivelazione di segreto d’ufficio nei confronti di Lotti e Saltalamacchia, stralciata la posizione di Tullio Del Sette. È quanto fatto dalla Procura di Roma, che dopo la decisione del gip che ha respinto la richiesta di archiviazione, ha proceduto alla chiusura di un filone della maxinchiesta sul caso Consip che vede indagati proprio per il reato di rivelazione del segreto d’ufficio l’ex ministro dello Sport del governo Gentiloni e il generale dei carabinieri, Emanuele Saltalamacchia. I due già compaiono come imputati assieme ad altri nel processo principale per l’accusa di favoreggiamento. Nei confronti di Lotti e Saltalamacchia il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi dovranno, ora, formulare la richiesta di rinvio a giudizio. Alla luce di questa novità il processo principale, che si celebra davanti alla ottava sezione collegiale, è stato aggiornato al prossimo 30 giugno in attesa dell’udienza preliminare per Saltalamacchia e Lotti.

Secondo la Procura, l’ex ministro Lotti, il 3 agosto del 2016, ha rivelato all’allora ad di Consip Luigi Marroni “l’esistenza di una indagine penale che interessava gli organi apicali passati e presenti di quella società e, in particolare, di una attività di intercettazione telefonica sull’utenza in suo uso”, mentre Saltalamacchia secondo l’accusa ha rivelato allo stesso Marroni che la procura di Napoli indagava su Consip. Dal processo ha invece chiesto ed ottenuto di essere stralciato il generale dei carabinieri Tullio Del Sette, imputato per rivelazione del segreto di ufficio e favoreggiamento per aver informato nell’estate del 2016, Luigi Ferrara, all’epoca presidente di Consip, che c’era un’inchiesta penale sul conto dell’imprenditore campano Alfredo Romeo e di essere cauto “nelle comunicazioni a mezzo telefono”. “Alla base di questa scelta – ha spiegato il difensore di Del Sette, l’avvocato Fabio Lattanzi – c’è l’interesse ad una veloce definizione della sua posizione”. L’alto ufficiale sarà quindi giudicato da un altro collegio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/03/consip-chiusa-indagine-su-lotti-e-saltalamacchia-accusati-di-rivelazione-del-segreto-dufficio-stralciata-la-posizione-di-del-sette/5723906/?fbclid=IwAR2El69S0q0Ynttk0OfL0kf_SoyodqDRBrAaFVJ38bWOiAe9mp-bvWLXyIs

"Castelli Romani, l’inciucio tra Lega e Italia Viva". - Vincenzo Bisbiglia


Accordi locali - Da Anzio ad Albano Laziale fino a Rocca di Papa: i renziani vanno con la destra.

Prove d’intesa fra Italia Viva e i partiti di destra in alcuni Comuni della provincia di Roma. Lo schema che a livello nazionale solletica le fantasia dei due Matteo, Matteo Salvini e Matteo Renzi, appare materializzarsi alle porte della Capitale. Soprattutto a Frascati, noto centro dei Castelli Romani, dove il primo cittadino Roberto Mastrosanti è da qualche settimana ufficialmente il primo sindaco di Italia Viva.
Ufficialmente “civico”, con un passato nell’Udc, Mastrosanti è sostenuto da una maggioranza di centrodestra composta da consiglieri legati a Fratelli d’Italia e di Forza Italia. Gli azzurri sono il vicesindaco, un assessore e un consigliere, mentre il partito di Giorgia Meloni esprime 3 consiglieri comunali. Finché i legami di partito non erano stati svelati, però, si è potuto continuare a giocare a carte coperte.
L’accordo è venuto fuori quando il primo cittadino ha dichiarato la propria adesione al progetto renziano, scatenando i vertici di FdI, che ne hanno chiesto la sfiducia. Ne è nata una riunione di fuoco che ha interessato anche i leader a livello regionale, ai quali tuttavia i tre consiglieri meloniani hanno risposto picche, conservando il loro sostegno al primo cittadino. “Uno è già stato mandato via, gli altri verranno cacciati se voteranno il bilancio”, afferma il coordinatore provinciale, Marco Silvestroni. I rumors parlano del cosiddetto “lodo-Ciocchetti”, un accordo spinto dall’ex parlamentare Udc, passato da poco a Fratelli d’Italia, che guarderebbe di buon occhio l’accordo con i renziani per arginare il dem Bruno Astorre, coordinatore del Pd nel Lazio e persona che nei Castelli romani ha da sempre il grosso dei propri consensi. Uno schema evidentemente ripercorribile a livello nazionale. Sul territorio è molto attivo anche il senatore 5S, Emanuele Dessì, fedelissimo della consigliera regionale Roberta Lombardi e fra i fautori dell’accordo Pd-M5S.
Non solo Frascati. Nei giorni scorsi il Fatto ha raccontato il “laboratorio Anzio”, dove il consigliere Marco Maranesi, passato da Forza Italia a Italia Viva, sostiene il sindaco leghista Candido De Angelis, con l’appoggio esterno di una ex rappresentante dem in rotta con il partito. Ma è dalle prossime elezioni che potrebbero arrivare le novità piu’ importanti in tema di alleanze.
Ad Albano Laziale, nel cuore dei Castelli, il coordinatore provinciale di Italia Viva, Luca Andreassi, ha prima annunciato la sua candidatura a sindaco, poi si è ritirato sostenendo il candidato del centrosinistra Massimiliano Borelli; ora, tuttavia, parrebbe essere tentato proprio dalle sirene di Fratelli d’Italia che gli starebbero insistentemente offrendo il loro sostegno. Andreassi smentisce qualsiasi coinvolgimento con i suoi ex colleghi di partito – ha un passato in Alleanza Nazionale – e la stessa cosa sta facendo FdI, ma il dialogo in chiave anti Pd-M5S prosegue. Infine il caso di Rocca di Papa. La scomparsa del sindaco eroe Emanuele Crestini – morto a giugno 2019 dopo aver coordinato i soccorsi in seguito all’esplosione di un’ala della palazzina comunale – ha lanciato la prima cittadina a interim, Veronica Cimino, che potrebbe a giorni ufficializzare il proprio passaggio a Italia Viva. Anche qui le appartenenze di partito, quando non dichiarate, sono “mascherate” dai simboli civici.
Cimino, in realtà, risulta da sempre vicina alla Lega, ma il 3 febbraio scorso è stata avvistata alla kermesse renziana di Cinecittà, in compagnia del suo collega di Frascati, Mastrosanti: la proposta sul piatto è quello di un apparentamento Italia Viva-Lega al ballottaggio.
La sublimazione del teorema dei due Matteo.

Quel quadro è di Artemisia Gentileschi. La scoperta a Londra. - Roberta Scorranese


Artemisia Gentileschi, Davide e Golia (1639 circa; olio su tela, 201 x 133 cm; Collezione privata)


Un restauro ha svelato la firma nella spada nel dipinto che ha come soggetto Davide e Golia. La più famosa pittrice del Seicento vive un momento di grande popolarità.

Un Davide elegante e sinuoso, seduto, con la testa di Golia che giace ai suoi piedi. Fino a poco tempo fa la firma di questo dipinto era nascosta — offuscata dagli strati del tempo — proprio nella spada, ma un restauro firmato da Simon Gillespie a Londra l’ha portata alla luce: quel soggetto biblico, datato 1639, è di Artemisia Gentileschi. Non solo: sarebbe stato eseguito proprio durante quel breve — e in parte ancora oscuro — soggiorno londinese nel quale l’artista romana (1593-1654) raggiunse il padre Orazio, ormai anziano, impegnato della decorazione di un soffitto in una residenza della Corte.

La storia del quadro.
La notizia arriva a poche settimane dall’inaugurazione della grande mostra che la National Gallery dedica alla pittrice e proprio a Londra si dipana questa storia affascinante, che comincia nel 1975, quando il dipinto apparve per la prima volta in un’asta da Sotheby’s. All’epoca venne attribuito a Francesco Guerrieri, un apprezzato allievo di Orazio, ma quando, nel 1996, il connoisseur Gianni Papi vide una riproduzione fotografica in bianco e nero del quadro cominciò a pensare ad Artemisia. Oggi la nuova attribuzione è firmata proprio da Papi, importante studioso dei caravaggeschi, in un articolo in via di pubblicazione su The Burlington Magazine. Al Corriere Papi racconta: «Il proprietario, che vuole restare anonimo, acquistò il quadro nel 2018 in un’asta della Hampel Fine Art a Monaco. Mi chiese di studiarlo. Poi partì anche il restauro. Subito ho riconosciuto la mano di Artemisia: il color ocra dell’abito di Davide, per esempio. E la stessa figura centrale di Davide rimanda ai famosi autoritratti di Artemisia. Ma dietro c’è una grande quantità di documenti che attribuiscono alla pittrice più di un quadro con un soggetto simile».

Verrà prestato ad un museo.
Poi, nei laboratori di Gillespie, ecco la scoperta della firma, ben leggibile da vicino sulla spada con cui il guerriero ebreo decapita Golia, il gigante filisteo che terrorizzava il suo popolo. «Artemisia», si legge e Papi commenta: «Quello di Londra potrebbe essere addirittura appartenuto alle collezioni di Carlo I». Tracce di questa ipotesi ricorrono in un testo di Horace Walpole, autore del XVIII secolo: «Il re Carlo I d’Inghilterra aveva diverse opere di Artemisia Gentileschi e la migliore era David con la testa di Golia». Il dipinto non entrerà nella mostra alla National Gallery, ma sarà visibile nel Simon Gillespie Studio, a Mayfair, durante quasi tutto il periodo dell’esposizione, da aprile a giugno. E poi, naturalmente, si stanno facendo le prime ipotesi sul destino di un’opera come questa, che potrebbe essere ceduta in comodato d’uso dal proprietario a qualche museo pubblico. Di certo colpisce il tempismo di questa ri-attribuzione, che arriva in un momento in cui Artemisia è molto popolare: oltre alla mostra londinese, da poco sono state restaurate alcune sue lettere indirizzate all’amante Francesco Maria Maringhi, mentre il Nationalmuseum di Stoccolma ha acquistato una sua Santa Caterina. Si parla della «rivincita» tardiva di una delle pochissime pittrici del Seicento passate alla storia. Papi provoca: «Chiamiamola pittore e non pittrice: va confrontata con i grandi artisti del suo tempo, non con “le donne”». Già, perché purtroppo a quel tempo le donne pittrici erano pochissime mentre i “Grandi artisti”, manco a dirlo, erano tutti maschi.


Corruzione all’assessorato regionale all’Agricoltura, arrestati funzionari e imprenditori (VIDEO) (FOTO) - Ignazio Marchese



Terremoto all’assessorato regionale all’Agricoltura. I finanzieri dalla scorsa notte hanno arrestato imprenditori e funzionari accusati a vario titolo, associazione per delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità materiale e ideologica in atto pubblico, rivelazione di segreto d’ufficio, soppressione e occultamento di atti pubblici.
In carcere sono finiti I fratelli Giovanni Salvatore e Francesco Di Liberto imprenditori di Belmonte Mezzagno rispettivamente di 40  e 43 anni il primo amministratore unico della Di Liberto srl e il secondo già rappresentante legale della General Tec Soc. Coop., Filippo Cangialosi, 55 anni, già funzionario dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura – I.P.A. di Palermo e attualmente in servizio al Dipartimento dell’Agricoltura dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura; Paolo Giarrusso, 53 anni, amministratore unico della Meatech Gmbh.

Ai domiciliari sono finiti Vincenzo Geluso, 48 anni, già sindaco del Comune di San Cipirello e attualmente componente dell’Ufficio di gabinetto dell’Assessore Regionale all’Agricoltura; Antonino Cosimo D’Amico, 55 anni, già ispettore capo dell’I.P.A. di Palermo e attualmente Dirigente del Dipartimento dell’Agricoltura dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura; Ciro Maurizio Di Liberto, 46 anni, tecnico progettista della Di Liberto Srl e fratello dei citati Giovanni Salvatore e Francesco; Nunzia Salvina Pipitone, 36 anni, prestanome nonché moglie di Giovanni Salvatore Di Liberto;  Roberto Percivale 60 anni, intermediario all’estero dei fratelli Di Liberto; Marco Iuculano, 48 anni, rappresentante legale della LPB Soc. Coop.; Giovanni Calì, 61 anni, attuale rappresentante legale della General Tec Soc. Coop.; Riccardo Puccio, 41 ani e  Francesco Sclafani 70 anni, ingegneri di Marineo; Giuseppe Guttadauro, 50 anni, avvocato e imprenditore agricolo; Alessandro Mocciaro Li Destri 46 anni, imprenditore agricolo; Giuseppe Tavarella, 59 anni, già legale rappresentante del Consorzio Agrario di Palermo S.c.a.r.l. e poi in servizio presso l’Ispettorato dell’agricoltura di Palermo.
Sono stati sottoposti all’obbligo di dimora nel comune di residenza con contestuale obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria: Lillì Napoli, 59 anni, Maria Luisa Virga 51 anni, dirigenti presso l’I.P.A. di Palermo; Gaetano Ales, 52 anni, funzionario dell’IPA di Palermo; Salvatore Picardo, 57 anni, responsabile dell’area 4 tecnica – SUAP del Comune di San Cipirello; Ciro Spinella, 64 anni, agronomo di Marineo; Girolamo Lo Cascio, 48 anni già rappresentante legale della General Tec Soc. Coop.; Alessandro Russo, 40 anni, tecnico progettista della Di Liberto S.r.l. Maria Concetta Catalano 61 anni, dirigente dell’Ufficio intercomunale dell’agricoltura “Basse Madonie”.
I finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo, guidato dal colonnello Gianluca Angelini, nell’ambito di indagini coordinate dal Procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Sergio Demontis, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal gip del Tribunale di Palermo nei confronti di 24 soggetti, di cui 4 sottoposti a custodia cautelare in carcere, 12 ristretti agli arresti domiciliari, 8 sottoposti all’obbligo di dimora nel comune di residenza con contestuale obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Con il medesimo provvedimento il G.I.P. ha disposto il sequestro preventivo di 14 imprese, 3 delle quali con sede all’estero (Ungheria, Austria e Romania), per un valore di circa 24 milioni di euro, nonché il sequestro, anche per equivalente, di disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili per oltre 12,5 milioni di euro, pari all’ammontare dei contributi pubblici indebitamente percepiti. Bloccata, inoltre, l’erogazione di contributi indebiti per ulteriori 3,5 milioni di euro.
Le indagini dei Finanzieri del Gruppo Tutela Spesa Pubblica del Nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo si sono concentrate sull’iter di concessione di finanziamenti pubblici in agricoltura nell’ambito dei PSR (Programma di Sviluppo Rurale) Sicilia 2007/2013 e 2014/2020 che ruotano intorno all’I.P.A. (Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura) della Regione Sicilia, ente deputato alla valutazione circa l’ammissibilità delle istanze volte ad ottenere le pubbliche provvidenze, di origine europea e nazionale.
Dalle attività svolte, sono nati due filoni di indagine: il primo relativo alla percezione indebita di rilevanti finanziamenti pubblici, il secondo, invece, incentrato sull’operato dei funzionari pubblici deputati al controllo dei requisiti e all’attribuzione dei punteggi per l’ammissione al contributo delle domande di finanziamento.
Nell’ambito del primo filone investigativo, sono state approfondite le domande di finanziamento a valere sulle misure 121 e 123 del PSR Sicilia 2007/2013 per un valore di circa 10 milioni di euro percepiti nel periodo 2012 – 2018 da due società riconducibili direttamente o indirettamente ai fratelli Giovanni Salvatore e Francesco Di Liberto di Belmonte Mezzagno (PA), ovvero: la Diliberto S.r.l., per un ammontare complessivo di quasi 6 milioni di euro, in relazione all’ammodernamento dell’azienda agricola e per la realizzazione di un mattatoio sito in Ciminna (PA), e la LPB Soc. Coop, per un ammontare complessivo di oltre 4 milioni di euro, con riguardo alla realizzazione di un complesso agro-industriale nel Comune di Monreale (PA).
Le attività investigative, svolte anche con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e servizi di appostamento e pedinamento, nonché sfruttando i canali della cooperazione internazionale di polizia, hanno consentito di accertare l’esistenza di una spregiudicata consorteria criminale, ideata, promossa e diretta dai fratelli Di Liberto, finalizzata all’ottenimento, in modo illecito, di rilevanti finanziamenti pubblici concessi dalla Regione Siciliana e alla perpetrazione di reati di falso, con la connivenza di professionisti e di Filippo Cangialosi, funzionario istruttore presso l’I.P.A. di Palermo.
I fratelli Di Liberto, anche mediante fatture false, sono riusciti a incassare indebitamente non solo le erogazioni afferenti alle già citate domande di finanziamento, ma, nel mese di dicembre 2019, anche la prima tranche di una terza domanda di finanziamento, presentata sempre a nome della Di Liberto S.r.l. a valere sulla misura 4.2 del PSR Sicilia 2014/2020, per un ammontare complessivo di circa 2,5 milioni di euro.
Le indagini hanno ricostruito articolati artifici e raggiri consistiti nell’aver documentato costi superiori a quelli effettivamente sostenuti per la realizzazione dei programmi di investimento oggetto di pubblica contribuzione, attraverso false fatturazioni da parte di società italiane ed estere. Utilizzato documentazione mendace, sia di natura bancaria che amministrativo-contabile. Falsificato certificati dell’ASP di Palermo.
Il secondo filone investigativo ha consentito di accertare l’esistenza di pratiche clientelari tese a favorire illegittimamente talune domande di finanziamento rientranti nell’ambito dei citati PSR Sicilia 2007/2013 e PSR Sicilia 2014/2020, poste in essere da pubblici ufficiali in servizio presso l’IPA di Palermo.
I riscontri effettuati dalle Fiamme Gialle hanno consentito di accertare l’esistenza di molteplici cointeressenze tra i soggetti privati proponenti le domande di finanziamento e i dirigenti/funzionari dell’IPA di Palermo, finalizzate all’illecito ottenimento di rilevanti finanziamenti pubblici concessi dalla Regione Siciliana attraverso l’alterazione o addirittura la sostituzione dei documenti posti a supporto delle richieste. In particolare, è stata accertata: la corruzione del pubblico ufficiale Filippo Cangialosi, funzionario istruttore presso l’I.P.A. di Palermo, da parte di  Giuseppe Tavarella, un altro funzionario dello stesso Ente e già legale rappresentante del Consorzio Agrario di Palermo S.c.a.r.l., in relazione alle domande di finanziamento e di pagamento presentate da quest’ultima società nell’ambito della Misura 124 del PSR Sicilia 2007/2013, per le quali Cangialosi ha attestato falsamente di aver svolto controlli, concludendo la procedura con esito positivo.
Il Consorzio Agrario non incorreva così in sanzioni e nella restituzione di quanto indebitamente percepito. Quale corrispettivo per la propria infedeltà, Cangialosi otteneva dal corruttore Tavarella, in virtù del proprio ruolo, una corsia preferenziale per alcune domande di finanziamento presentate da soggetti di suo interesse.
La corruzione del pubblico ufficiale Antonino Cosimo D’Amico, all’epoca a capo dell’IPA di Palermo, da parte di Giuseppe Guttadauro, per il tramite di Mocciaro Li Destri, in relazione a domande di aiuto a valere sulla misura 4.1 del PSR Sicilia 2014/2020 per un totale di oltre 3,5 milioni di euro. In particolare, D’Amico è intervenuto sui membri delle commissioni di controllo affinché condizionassero in senso favorevole le valutazioni sulle istanze presentate dal Guttadauro producendo false attestazioni, distruggendo documenti compromettenti per poi sostituirli con documenti regolari. In cambio della sua opera criminosa, D’Amico otteneva la promessa da Guttadauro che il suo nominativo sarebbe stato preso in considerazione per il conferimento dell’incarico di capo di gabinetto dell’Assessore all’Agricoltura della Regione Siciliana. Guttadauro nel 2017 disse a D’Amico che ne avrebbe parlato con Gianfranco Micciché, presidente dell’Assemblea regionale Siciliana, fratello del suocero.
I membri della commissione Lilli Napoli e Maria Concetta Catalano rispondono dei delitti di tentata truffa per il conseguimento di pubbliche erogazioni e falso.
La perpetrazione di condotte di rivelazione di segreti d’ufficio, falso ideologico/materiale in atto pubblico, soppressione occultamento e distruzione di atto pubblico poste in essere a vario titolo dai già citati D’Amico, Cangialosi e Napoli, nonché da Gaetano Ales funzionario dell’IPA di Palermo, Vincenzo Geluso all’epoca dei fatti sindaco del Comune di San Cipirello  e attualmente componente dell’Ufficio di gabinetto dell’Assessore Regionale all’Agricoltura, e Salvatore Picardo responsabile dell’area 4 tecnica – SUAP del Comune di San Cipirello, in relazione ad una domanda di finanziamento di 159 mila euro, presentata nell’ambito della Misura 7.5 del PSR Sicilia 2014/2020 dal Comune di San Cipirello e relativa ad un progetto per la riqualificazione dell’area a parcheggio su corso Trento e la realizzazione di un centro di informazione turistica. In particolare, gli indagati alteravano atti pubblici veri, allegati alla pratica di finanziamento già assunta in carico dall’IPA di Palermo, apponendovi delle date che non erano state indicate in sede di deposito nonché formando nuovi documenti essenziali mancanti, che venivano inseriti nella pratica come se fossero presenti al momento del deposito.
L’opera non è stata realizzata perché non risultava inserita dal Comune nel programma triennale delle opere pubbliche.
In queste ore i finanzieri del comando provinciale, agli ordini del generale Antonio Nicola Quintavalle Cecere, stanno facendo una serie di perquisizioni.
Le imprese sottoposte a sequestro sono:
DI LIBERTO S.r.l., con sede in Belmonte Mezzagno (PA);
LPB Soc.Coop., con sede in Marsala (TP);
SUD ALLEVAMENTI Società Cooperativa Agricola, con sede in Belmonte Mezzagno (PA);
ZOO COOP SOCIETÀ COOPERATIVA a.r.l., con sede in Mezzojuso (PA);
MARGI Società Cooperativa a.r.l., con sede in Ciminna (PA);
O.T. Market Unipersonale S.r.l., con sede in Bolognetta (PA);
SOCIETÀ AGRICOLA MEDITERRANEA ALLEVAMENTI a.r.l., con sede in Belmonte Mezzagno (PA);
G.R. TRASPORTI s.r.l., con sede in Belmonte Mezzagno (PA);
GENERAL T.E.C. Società Cooperativa, sede in Belmonte Mezzagno (PA);
ditta individuale AGRIGROUP, sede in Belmonte Mezzagno (PA);
MEATECH Gmbh con sede in Austria;
MEATECH Company Kft con sede in Ungheria;
S.C. DIL.RO. Livestock con sede in Romania.
Prosegue incessante l’azione della Guardia di Finanza di Palermo, coordinata dalla locale Procura della Repubblica, a tutela del bilancio dell’Unione Europea, nazionale e regionale e a contrasto dell’indebita percezione di finanziamenti pubblici e dei reati contro la Pubblica Amministrazione.