di Pietro Orsatti su Left-Avvenimenti - 21 agosto 2009
Al processo Mori-Obinu, il colonnello Riccio ricostruisce le fasi dell’accordo fra Provenzano e lo Stato. L’infiltrato Ilardo parlò di un contatto tra il numero due della Cupola e Dell’Utri: la nascita di Forza Italia interessava molto a Cosa nostra. La storia racconta di un Bernardo Provenzano, negli anni dello stragismo di Cosa nostra, sempre più defilato e in disaccordo con Totò Riina. Talmente lontano dal padrone di quello che era diventata l’organizzazione mafiosa dopo la “mattanza” degli anni 70 e 80 da cercare in pezzi dello Stato una “relazione” strategica. E non è difficile addirittura ipotizzare una sua “collaborazione” nella cattura di Riina nel ’93. Queste ipotesi di una strategia di Binnu Provenzano in totale rottura con il capo della Cupola mafiosa si nascondono nelle pieghe di uno dei processi più clamorosi e contemporaneamente più invisibili degli ultimi decenni, quello al generale dei Ros (ed ex capo del Sismi) Mario Mori e al capitano Mario Obinu. Ad accusarli per il mancato arresto di Provenzano nel 1995 è stato un altro ufficiale dei carabinieri, il colonnello Michele Riccio. Al centro delle dichiarazioni di Riccio la famosa trattativa fra Stato e Cosa nostra, il famigerato “papello”, e il bagno di sangue delle stragi del ’92. E la testimonianza, e la morte, di un collaboratore, Luigi Ilardo, vice del capo mafia di Caltanissetta “Piddu” Madonia. Affidato direttamente a Riccio del quale diventa confidente, Ilardo venne infiltrato nell’ambiente mafioso di provenienza. L’ex boss nisseno riuscì perfino ad avvicinare Bernardo Provenzano, ottenendo un appuntamento il 31 ottobre 1995 in una cascina a Mezzojuso. Nonostante Ilardo avvisasse dell’occasione unica non si presentò nessuno ad arrestare Binnu consentendone la fuga. «Informai il colonnello Mori - ha dichiarato al processo Riccio -. Lo chiamai subito a casa per riferirgli dell’incontro e rimasi sorpreso, perché non me lo dimenticherei mai, non vidi nessun cenno di interesse dall’altra parte». Riccio era sul posto, avrebbe potuto intervenire immediatamente appena avuto il via libera dal capo dei Ros in Sicilia. «Mi disse che preferiva impegnare i propri strumenti, dei quali al momento era sprovvisto - prosegue Riccio nel suo racconto -. Noi eravamo pronti e non ci voleva una grande scienza per intervenire». L’ ufficiale ha parlato anche di un incontro a Roma fra il collaboratore e il colonnello. «Quando lo portai da Mori, Ilardo gli disse: “In certi fatti la mafia non c’entra, la responsabilità è delle istituzioni e voi lo sapete”. Io raggelai». E Binnu, sfuggito alla cattura, sparì per altri 11 anni. Dopo qualche mese Ilardo venne ucciso a Catania pochi giorni prima del suo ingresso “ufficiale” nel programma di protezione speciale per i collaboratori. Qualcuno sospetta grazie a una “spiata”. E Riccio, poi, ricorda come i nomi dei politici fatti da Ilardo venissero in seguito “stralciati” nella stesura del documento “Grande Oriente” proprio su richiesta di Mori. Uno fra tutti, quello di Marcello Dell’Utri. Ilardo aveva parlato esplicitamente di un contatto tra Provenzano e Dell’Utri, «l’uomo dell’entourage di Berlusconi», e di un «progetto politico», la nascita di Forza Italia, che interessava ai vertici della Cupola mafiosa. E motore di quel nuovo progetto politico, non a caso, era proprio l’allora capo di Publitalia. Riccio ha raccontato in aula nel 2002 di un incontro con l’avvocato Taormina e Marcello Dell’Utri: «Nello studio del professor Taormina mi venne detto che sarebbe stato positivo per il senatore Dell’Utri se nella mia deposizione avessi escluso che era emerso il suo nome nel corso della mia indagine siciliana. Io non risposi e rimasi sbalordito».Dopo le dichiarazioni di Riccio che hanno aperto il processo a Mori e Obinu, oggi si aggiunge il nuovo dichiarante Massimo Ciancimino (figlio di Vito, il sindaco del “sacco di Palermo”), che a settembre testimonierà anche nel processo in secondo grado a Marcello Dell’Utri. «Ero presente - ha dichiarato Massimo Ciancimino ai magistrati - quando a mio padre venne consegnato il papello». Un documento di peso, e che Vito Ciancimino avrebbe definito come “non accettabile” nella sua interezza valutando che solo alcuni punti potevano essere discussi e divenire nodi di un’eventuale trattativa. Sempre secondo “Massimino” il documento venne comunque consegnato dal padre al capitano De Donno e al generale Mori. Non solo: don Vito, nel racconto del figlio, indicò con mappe catastali alla mano (e documenti relativi ad allacci dell’acqua, luce e gas) l’abitazione di Totò Riina. La stessa abitazione che dopo l’arresto del capo mafioso non venne perquisita permettendo di conseguenza non solo la fuga (o meglio il trasloco) della moglie di Riina e dei figli ma addirittura la totale rimozione di ogni documento e traccia. Operazione eseguita, come emerse in seguito dal racconto di alcuni pentiti, da Leoluca Bagarella. Per questa mancata perquisizione, Mori e il comandante “Ultimo” (l’ufficiale che eseguì la cattura del boss) vennero rinviati a giudizio e in seguito assolti ma la stranezza della circostanza, unita alla vicenda delle dichiarazioni di Riccio e Ciancimino e della mancata cattura di Provenzano, lascia troppi interrogativi aperti. Interrogativi che si amplificano ancora di più quando Massimo Ciancimino ricorda come don Vito «alla fine morì con la consapevolezza di essere stato scavalcato e che qualcuno avesse preso in mano la trattativa mantenendo certi accordi».E torniamo a Provenzano, l’uomo della sommersione di Cosa nostra, colui che in molti ritengono abbia tradito e consegnato il suo capo, e amico fin dall’infanzia, Totò Riina. È sempre più pressante il sospetto che oltre alla trattativa del “papello”, quella delle richieste “non accettabili” avanzate da Totò Riina, contemporaneamente Binnu ne aprisse un’altra, più realistica e spregiudicata. Si smette di sparare, si buttano in cella tutti quelli che non vogliono deporre le armi e si fanno affari come “ai vecchi tempi”. A riaccendere i riflettori sull’anziano boss in carcere dal 2006 non sono solo le dichiarazioni di Riccio e Ciancimino jr ma anche le ultime rivelazioni emerse da un vecchio rapporto dei servizi segreti tedeschi, oggi ripreso dal dossier del Bka (la polizia criminale) sulla penetrazione delle mafie italiane in Germania e rilanciato in Italia dal quotidiano l’Unità. Secondo il documento, Provenzano aveva richiesto direttamente alla ’ndrangheta calabrese di acquistare una grossa quantità di esplosivo, poi utilizzato per la strage di via D’Amelio dove persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. E l’acquisto avvenne proprio in Germania dove i clan calabresi erano penetrati da tempo. Il rapporto parla esplicitamente di «ingenti quantitativi di esplosivo ad alto potenziale di provenienza militare» ordinati dai clan di Palermo. Borsellino andava spesso a Francoforte all’epoca perché impegnato nelle indagini sull’assassinio del magistrato Rosario Livatino nel 1990, visto che risultava che i killer del magistrato avevano trovato rifugio e appoggi in Germania. Dopo uno dei suoi viaggi, per verificare anche una pista sulla strage di Capaci, Borsellino aveva dichiarato ad alcuni amici: «Il tritolo è arrivato anche per me, lunedì scorso». E mentre nessuno impediva che la strage avvenisse, addirittura evitando che venisse messo in via D’Amelio quel divieto di sosta richiesto da scorta e magistrato da mesi, Provenzano, da bravo “ragioniere” di Cosa nostra, pianificava l’acquisto di quintali di sintex. In silenzio, aspettando solo il momento giusto. Che arrivò, puntualmente, la domenica del 19 luglio 1992.
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18820/78/
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 22 agosto 2009
La Storia della Sicilia contemporanea inizia con la spedizione dei Mille e l'annessione al neonato Regno d'Italia (1860) fino ad oggi.
La sera del 5 maggio 1860, dallo scoglio di Quarto (Genova), partiva la spedizione dei Mille, comandata dal generale Giuseppe Garibaldi, sui vaporetti Lombardo e Piemonte.
La mattina dell'11 maggio i vaporetti della spedizione sbarcavano nel porto di Marsala, non incontrando alcuna resistenza borbonica. Il 14 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi si proclama a Salemi dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II di Savoia.
I Mille di Garibaldi, affiancati da 500 "picciotti" (galeotti ricercati dal governo borbonico), sconfissero le truppe borboniche nella battaglia di Calatafimi (15 maggio). Intanto a Palermo scoppiava una violenta rivolta, dando così la possibilità a Garibaldi di conquistare facilmente la città, sbaragliando i battaglioni borbonici che combattevano contro i patrioti siciliani sia nel centro abitato che dalle navi ancorate al porto di Palermo.
Il 20 luglio i Mille sconfiggono definitivamente i Borboni nella battaglia di Milazzo e, nei giorni successivi, ottengono la resa di Messina, avendo così il passaggio aperto per continuare le battaglie contro il Regno delle Due Sicilie nel continente. La Sicilia invece è stata conquistata per intero ed è pronta per l'annessione al Piemonte.
Il plebiscito e l'unione al Regno d'Italia.
Il 21 ottobre 1860 nel Regno delle Due Sicilie si svolse il plebiscito per decidere l'annessione al Piemonte. In Sicilia, su 2.232.000 abitanti, gli iscritti alle liste elettorali erano circa 575.000. Si presentarono a votare in 432.720 (il 75,2 % degli aventi diritto), di cui 432.053 si dichiararono favorevoli e 667 contrari. La virtuale unanimità ottenuta dai favorevoli all'annessione, che venne peraltro riscontrata in tutti i plebisciti svolti nei vari stati preunitari, non ha mancato di sollevare forti dubbi sulla genuinità e sulla correttezza delle operazioni elettorali. Nel caso della Sicilia, inoltre, in tanti si erano illusi di una totale autonomia di governo basandosi sul fatto che nel primo periodo Garibaldi aveva proclamato la sua "dittatura" sulla regione occupata.
Prime delusioni.
Le classi più povere, i braccianti e i contadini avevano sperato che il nuovo ordinamento avrebbe assicurato la distribuzione delle terre dei latifondi e dei feudi della chiesa; ma i più si ritennero ingannati quando si resero conto che non sarebbe stata effettuata alcuna riforma agraria.
Il Conte Camillo Benso di Cavour, che avera fretta di definire l'atto di annessione nel timore di un intervento militare delle potenze amiche dei Borboni, scavalcando Garibaldi e le sue promesse, estese alla regione le leggi e i regolamenti in vigore nel Regno di Sardegna. Venne ignorato del tutto il fatto che la Sicilia godesse già di leggi speciali e di una certa forma di autonomia sotto i Borboni, ottenute anche a seguito di precedenti rivolte popolari, e furono trascurate le spinte autonomistiche che la Sicilia aveva sempre manifestato nei confronti dei poteri centrali succedutisi negli anni.
Tutto ciò provocò in poche settimane il passaggio dall’entusiasmo ad una vera e propria forma di ostilità per tutto ciò che sapeva di "piemontese". Non fu certo una buona mossa neanche quella di inviare funzionari e amministratori del nord Italia in Sicilia con la motivazione che c’era troppa corruzione e clientelismo. Il loro modo di pensare era diverso da quello degli isolani e questo aggravava le incomprensioni.
Oltre alla mancata distribuzione delle terre, promessa da Giuseppe Garibaldi, vennero introdotte nuove pesanti imposte come quella sul sale, sul macinato [1](che colpiva prodotti basilari per l'alimentazione delle classi inferiori come il pane e la pasta) [2] e venne attuato il sevizio militare obbligatorio. In un mondo contadino, in cui il numero di braccia era quello che faceva la quantità di raccolto, togliere alle famiglie soggetti giovani e in pieno vigore per il lungo servizio militare riduceva molte di queste alla disperazione. Il fatto era aggravato dalla mentalità locale che vedeva come disonorevole per la donna lavorare i campi o fare la spesa. Inoltre i renitenti e i disertori, dandosi alla macchia, finivano con l'ingrossare le file della malavita.
Il brigantaggio e lo sviluppo della mafia.
La nuova struttura amministrativa della regione e la creazione di ben quattro nuovi organismi di polizia lungi dal rivelarsi positivi misero le premesse per la rapida perdita del controllo del territorio, ben conosciuto dalla vecchia polizia borbonica ma spesso incomprensibile ai nuovi funzionari del nord Italia, e favorirono il dilagare della corruzione, degli intrallazzi e della guerra tra bande criminali. È in questo periodo che compare in maniera evidente il termine mafia. Nel 1863 ottiene un grande successo una commedia dal titolo "I mafiusi di la Vicaria", ambientata nella prigione di Palermo.
La mafia, da alcuni chiamata anche "maffia" (che tuttavia secondo il Correnti è un termine più toscano che siciliano[3]) esisteva già da tempo; secondo alcuni dalla dominazione araba, secondo altri dal periodo spagnolo e dell'Inquisizione e, secondo altri studiosi, addirittura dal periodo della dominazione romana per il controllo del "granaio di Roma" e dei suoi schiavi. Nel 1868, la parola "Mafia" veniva definita non come criminalità organizzata, ma precisamente ad un atteggiamento arrogante, spocchioso, insolente.
Ora che la mafia si "ufficializza" come sistema di difesa dei proprietari terrieri contro i furti, o come sistema dei campieri-gabellotti per intimidire gli stessi proprietari, diventa piano piano anche il mezzo mediante il quale le autorità piemontesi, impotenti a governare il territorio, tengono a freno ogni velleità di rivolta mettendo a capo dei municipi i "capi-rais" o personaggi indicati da questi.
Il nuovo ceto politico capisce che gli conviene fare patti di mutuo interesse con il mafioso locale. Questi amministra la sua giustizia, anche sommaria, risolvendo problemi che l’amministrazione venuta dal nord Italia non riesce neanche ad inquadrare; sopperisce, col suo paternalismo interessato, a risolvere problemi che lo Stato invece accentua e, agli occhi del popolano più misero, risulta quindi più efficiente e "giusto".
È forse questa l'origine della sfiducia verso lo Stato, che appare lontano e vessatorio.
I notabili locali e le nuove classi dirigenti si adattarono presto alle nuove regole, divennero presto convinti fautori, per proprio tornaconto, dell'annessione al Regno piemontese, alcuni anche per mantenere i vecchi privilegi.
Perfino la tardiva distribuzione delle terre del latifondo e dei feudi ecclesiastici, iniziata nel 1861, a gente troppo misera, che finiva con l'indebitarsi per acquistare le sementi ed era costretta a svendere le terre stesse per debiti, sortì solo l'effetto di riformare i latifondi con nuovi proprietari ed acquirenti e, per giunta, a prezzi stracciati.
Il romanzo "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, "I Viceré" di Federico de Roberto e i romanzi di Giovanni Verga illustrano bene tutto ciò.
Continua su: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_Sicilia_dall%27Unit%C3%A0_d%27Italia
La mattina dell'11 maggio i vaporetti della spedizione sbarcavano nel porto di Marsala, non incontrando alcuna resistenza borbonica. Il 14 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi si proclama a Salemi dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II di Savoia.
I Mille di Garibaldi, affiancati da 500 "picciotti" (galeotti ricercati dal governo borbonico), sconfissero le truppe borboniche nella battaglia di Calatafimi (15 maggio). Intanto a Palermo scoppiava una violenta rivolta, dando così la possibilità a Garibaldi di conquistare facilmente la città, sbaragliando i battaglioni borbonici che combattevano contro i patrioti siciliani sia nel centro abitato che dalle navi ancorate al porto di Palermo.
Il 20 luglio i Mille sconfiggono definitivamente i Borboni nella battaglia di Milazzo e, nei giorni successivi, ottengono la resa di Messina, avendo così il passaggio aperto per continuare le battaglie contro il Regno delle Due Sicilie nel continente. La Sicilia invece è stata conquistata per intero ed è pronta per l'annessione al Piemonte.
Il plebiscito e l'unione al Regno d'Italia.
Il 21 ottobre 1860 nel Regno delle Due Sicilie si svolse il plebiscito per decidere l'annessione al Piemonte. In Sicilia, su 2.232.000 abitanti, gli iscritti alle liste elettorali erano circa 575.000. Si presentarono a votare in 432.720 (il 75,2 % degli aventi diritto), di cui 432.053 si dichiararono favorevoli e 667 contrari. La virtuale unanimità ottenuta dai favorevoli all'annessione, che venne peraltro riscontrata in tutti i plebisciti svolti nei vari stati preunitari, non ha mancato di sollevare forti dubbi sulla genuinità e sulla correttezza delle operazioni elettorali. Nel caso della Sicilia, inoltre, in tanti si erano illusi di una totale autonomia di governo basandosi sul fatto che nel primo periodo Garibaldi aveva proclamato la sua "dittatura" sulla regione occupata.
Prime delusioni.
Le classi più povere, i braccianti e i contadini avevano sperato che il nuovo ordinamento avrebbe assicurato la distribuzione delle terre dei latifondi e dei feudi della chiesa; ma i più si ritennero ingannati quando si resero conto che non sarebbe stata effettuata alcuna riforma agraria.
Il Conte Camillo Benso di Cavour, che avera fretta di definire l'atto di annessione nel timore di un intervento militare delle potenze amiche dei Borboni, scavalcando Garibaldi e le sue promesse, estese alla regione le leggi e i regolamenti in vigore nel Regno di Sardegna. Venne ignorato del tutto il fatto che la Sicilia godesse già di leggi speciali e di una certa forma di autonomia sotto i Borboni, ottenute anche a seguito di precedenti rivolte popolari, e furono trascurate le spinte autonomistiche che la Sicilia aveva sempre manifestato nei confronti dei poteri centrali succedutisi negli anni.
Tutto ciò provocò in poche settimane il passaggio dall’entusiasmo ad una vera e propria forma di ostilità per tutto ciò che sapeva di "piemontese". Non fu certo una buona mossa neanche quella di inviare funzionari e amministratori del nord Italia in Sicilia con la motivazione che c’era troppa corruzione e clientelismo. Il loro modo di pensare era diverso da quello degli isolani e questo aggravava le incomprensioni.
Oltre alla mancata distribuzione delle terre, promessa da Giuseppe Garibaldi, vennero introdotte nuove pesanti imposte come quella sul sale, sul macinato [1](che colpiva prodotti basilari per l'alimentazione delle classi inferiori come il pane e la pasta) [2] e venne attuato il sevizio militare obbligatorio. In un mondo contadino, in cui il numero di braccia era quello che faceva la quantità di raccolto, togliere alle famiglie soggetti giovani e in pieno vigore per il lungo servizio militare riduceva molte di queste alla disperazione. Il fatto era aggravato dalla mentalità locale che vedeva come disonorevole per la donna lavorare i campi o fare la spesa. Inoltre i renitenti e i disertori, dandosi alla macchia, finivano con l'ingrossare le file della malavita.
Il brigantaggio e lo sviluppo della mafia.
La nuova struttura amministrativa della regione e la creazione di ben quattro nuovi organismi di polizia lungi dal rivelarsi positivi misero le premesse per la rapida perdita del controllo del territorio, ben conosciuto dalla vecchia polizia borbonica ma spesso incomprensibile ai nuovi funzionari del nord Italia, e favorirono il dilagare della corruzione, degli intrallazzi e della guerra tra bande criminali. È in questo periodo che compare in maniera evidente il termine mafia. Nel 1863 ottiene un grande successo una commedia dal titolo "I mafiusi di la Vicaria", ambientata nella prigione di Palermo.
La mafia, da alcuni chiamata anche "maffia" (che tuttavia secondo il Correnti è un termine più toscano che siciliano[3]) esisteva già da tempo; secondo alcuni dalla dominazione araba, secondo altri dal periodo spagnolo e dell'Inquisizione e, secondo altri studiosi, addirittura dal periodo della dominazione romana per il controllo del "granaio di Roma" e dei suoi schiavi. Nel 1868, la parola "Mafia" veniva definita non come criminalità organizzata, ma precisamente ad un atteggiamento arrogante, spocchioso, insolente.
Ora che la mafia si "ufficializza" come sistema di difesa dei proprietari terrieri contro i furti, o come sistema dei campieri-gabellotti per intimidire gli stessi proprietari, diventa piano piano anche il mezzo mediante il quale le autorità piemontesi, impotenti a governare il territorio, tengono a freno ogni velleità di rivolta mettendo a capo dei municipi i "capi-rais" o personaggi indicati da questi.
Il nuovo ceto politico capisce che gli conviene fare patti di mutuo interesse con il mafioso locale. Questi amministra la sua giustizia, anche sommaria, risolvendo problemi che l’amministrazione venuta dal nord Italia non riesce neanche ad inquadrare; sopperisce, col suo paternalismo interessato, a risolvere problemi che lo Stato invece accentua e, agli occhi del popolano più misero, risulta quindi più efficiente e "giusto".
È forse questa l'origine della sfiducia verso lo Stato, che appare lontano e vessatorio.
I notabili locali e le nuove classi dirigenti si adattarono presto alle nuove regole, divennero presto convinti fautori, per proprio tornaconto, dell'annessione al Regno piemontese, alcuni anche per mantenere i vecchi privilegi.
Perfino la tardiva distribuzione delle terre del latifondo e dei feudi ecclesiastici, iniziata nel 1861, a gente troppo misera, che finiva con l'indebitarsi per acquistare le sementi ed era costretta a svendere le terre stesse per debiti, sortì solo l'effetto di riformare i latifondi con nuovi proprietari ed acquirenti e, per giunta, a prezzi stracciati.
Il romanzo "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, "I Viceré" di Federico de Roberto e i romanzi di Giovanni Verga illustrano bene tutto ciò.
Continua su: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_Sicilia_dall%27Unit%C3%A0_d%27Italia
mercoledì 19 agosto 2009
Procura nissena potenziata, ma restano buchi d'organico
di Aaron Pettinari – 17 agosto 2009Caltanissetta.
Lo scorso marzo il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, aveva lanciato l'allarme: “I vuoti di organico nella Procura nissena sono ormai pesantissimi e raggiungono il 50%”. A distanza di cinque mesi il Csm ha accolto l'appello e ha nominato quattro nuovi procuratori che dal prossimo mese andranno a rafforzare la Procura di Caltanissetta. Si tratta di Gabriele Paci, ex pm a Palermo e oggi sostituto procuratore a Perugia, l'altro ex pm di Palermo Giovanni Di Leo, Marina Ingoglia, ex giudice di Trapani e poi in servizio alla Corte d'appello di Palermo, e Onelio Dodero, pubblico ministero a Torino. Rinforzi necessari per la Procura che detiene la delicatissima inchiesta sulle stragi del'92. “Il lavoro che stiamo facendo noi richiederebbe il triplo delle forze di cui disponiamo. Altro che ferie...” avevano detto lo stesso Lari e l'aggiunto Domenico Gozzo assieme agli altri sostituti del pool che indagano sui mandanti occulti delle Stragi. Nei prossimi sette-otto mesi dovranno essere raccolte le testimonianze del pentito Gaspare Spatuzza e sono previste anche una serie di audizioni a seguito delle recenti dichiarazioni del capo dei capi, Salvatore Riina e di Massimo Ciancimino. Ma restano da svolgere anche le indagini su Cosa Nostra e Stidda nisseno-gelese, sull'affare appalti e cemento depotenziato. Una mole di lavoro impressionante. E' anche per questo motivo che questi “rinforzi” sono tanto benauguranti ma, nonostante ciò, l'allarme è tutt'altro che cessato. “Sono come una boccata d'aria per il moribondo” - commenta lo stesso Sergio Lari - “Ben vengano i nuovi innesti ma la situazione resta comunque drammatica. Per quattro che arrivano ce ne sono due che se ne vanno. E' vero che tre entreranno alla Dda ma ci sono altri uffici del distretto che restano vuoti come la Procura dei minori. Allo stato attuale c'è stato si un miglioramento ma i buchi d'organico sono comunque del 30-35 %”. A questi numeri drammatici il Governo risponde che nei prossimi 4 anni “varerà un piano operativo straordinario di contrasto alla criminalità organizzata". Lo ha fatto ieri al vertice tra il Premier, Silvio Berlusconi, ed i ministri dell'Interno e della Giustizia. Un elenco di numeri, evidenziati in 10 pagine di rapporto, è stato presentato dal ministro Maroni. Numeri sul contrasto alle mafie e alle attività criminali. Semplici grafici e slide per dimostrare il calo dei reati negli ultimi 14 mesi, quel tanto che basta per inserire nelle statistiche anche il primo semestre del 2007, ovvero il periodo in cui l'indulto ha inciso maggiormente in termini di aumento dei crimini. Così si son gonfiati numeri e statistiche, affinché potesse riuscire al meglio la propoaganda mediatica tanto voluta dal Premier. Son quindi passate in secondo piano le considerazioni del Coisp (Sindacato Indipendente di Polizia) e dell'associazione nazionale dei Funzionari di Polizia: “ In tema di sicurezza e tutela dei cittadini il governo millanta risultati che non sono misurabili perché non ci sono numeri su cui poterli confrontare. Non capiamo perché Maroni da quando è al Viminale ha sospeso la pubblicazione del Rapporto sulla criminalità e, di fatto, ha censurato i dati in dettaglio, città per città, mese per mese, sulla sicurezza”. E poi ancora: “Sarebbe molto più utile che venissero pubblicati tutti i dati, come si faceva in passato, in modo da avere un serio contributo all’analisi del problema criminalità in Italia”. Evidentemente al Governo piace cantare che “Andrà tutto bene” e che ora possiamo star tranquilli perché partono le ronde. Certo è che tra Procure al collasso, tagli ai fondi delle forze dell'ordine e carceri piene c'è poco da star sereni.
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18738/78/
Lo scorso marzo il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, aveva lanciato l'allarme: “I vuoti di organico nella Procura nissena sono ormai pesantissimi e raggiungono il 50%”. A distanza di cinque mesi il Csm ha accolto l'appello e ha nominato quattro nuovi procuratori che dal prossimo mese andranno a rafforzare la Procura di Caltanissetta. Si tratta di Gabriele Paci, ex pm a Palermo e oggi sostituto procuratore a Perugia, l'altro ex pm di Palermo Giovanni Di Leo, Marina Ingoglia, ex giudice di Trapani e poi in servizio alla Corte d'appello di Palermo, e Onelio Dodero, pubblico ministero a Torino. Rinforzi necessari per la Procura che detiene la delicatissima inchiesta sulle stragi del'92. “Il lavoro che stiamo facendo noi richiederebbe il triplo delle forze di cui disponiamo. Altro che ferie...” avevano detto lo stesso Lari e l'aggiunto Domenico Gozzo assieme agli altri sostituti del pool che indagano sui mandanti occulti delle Stragi. Nei prossimi sette-otto mesi dovranno essere raccolte le testimonianze del pentito Gaspare Spatuzza e sono previste anche una serie di audizioni a seguito delle recenti dichiarazioni del capo dei capi, Salvatore Riina e di Massimo Ciancimino. Ma restano da svolgere anche le indagini su Cosa Nostra e Stidda nisseno-gelese, sull'affare appalti e cemento depotenziato. Una mole di lavoro impressionante. E' anche per questo motivo che questi “rinforzi” sono tanto benauguranti ma, nonostante ciò, l'allarme è tutt'altro che cessato. “Sono come una boccata d'aria per il moribondo” - commenta lo stesso Sergio Lari - “Ben vengano i nuovi innesti ma la situazione resta comunque drammatica. Per quattro che arrivano ce ne sono due che se ne vanno. E' vero che tre entreranno alla Dda ma ci sono altri uffici del distretto che restano vuoti come la Procura dei minori. Allo stato attuale c'è stato si un miglioramento ma i buchi d'organico sono comunque del 30-35 %”. A questi numeri drammatici il Governo risponde che nei prossimi 4 anni “varerà un piano operativo straordinario di contrasto alla criminalità organizzata". Lo ha fatto ieri al vertice tra il Premier, Silvio Berlusconi, ed i ministri dell'Interno e della Giustizia. Un elenco di numeri, evidenziati in 10 pagine di rapporto, è stato presentato dal ministro Maroni. Numeri sul contrasto alle mafie e alle attività criminali. Semplici grafici e slide per dimostrare il calo dei reati negli ultimi 14 mesi, quel tanto che basta per inserire nelle statistiche anche il primo semestre del 2007, ovvero il periodo in cui l'indulto ha inciso maggiormente in termini di aumento dei crimini. Così si son gonfiati numeri e statistiche, affinché potesse riuscire al meglio la propoaganda mediatica tanto voluta dal Premier. Son quindi passate in secondo piano le considerazioni del Coisp (Sindacato Indipendente di Polizia) e dell'associazione nazionale dei Funzionari di Polizia: “ In tema di sicurezza e tutela dei cittadini il governo millanta risultati che non sono misurabili perché non ci sono numeri su cui poterli confrontare. Non capiamo perché Maroni da quando è al Viminale ha sospeso la pubblicazione del Rapporto sulla criminalità e, di fatto, ha censurato i dati in dettaglio, città per città, mese per mese, sulla sicurezza”. E poi ancora: “Sarebbe molto più utile che venissero pubblicati tutti i dati, come si faceva in passato, in modo da avere un serio contributo all’analisi del problema criminalità in Italia”. Evidentemente al Governo piace cantare che “Andrà tutto bene” e che ora possiamo star tranquilli perché partono le ronde. Certo è che tra Procure al collasso, tagli ai fondi delle forze dell'ordine e carceri piene c'è poco da star sereni.
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18738/78/
ERBA DI CASA MIA
Canta La Maria vedova Spinelli
Erba di casa mia,
FUMAVO in fretta e poi VOLAVO via
quanta emozione, un TIRO AD UN CANNONE
tu che dicevi piano "amore mio FUMIAMO"
NEVE disciolta al sole,
sull'erba i nostri FILTRI ad aspettare
e mentre io t'insegnavo a ROTOLARE RITZLA
come un acerbo fiore finì il tuo MUSONE.
Ma un'altra FUMATINA chissà quando verrà
per questo dalla vita prendo quello che dà
FUMARE un'altra volta, ecco cosa farò
m'illuderò che sia ERBA DI CASA MIA.
Parole di Paolo Rivera
Dal blog di Beppe Grillo
Erba di casa mia,
FUMAVO in fretta e poi VOLAVO via
quanta emozione, un TIRO AD UN CANNONE
tu che dicevi piano "amore mio FUMIAMO"
NEVE disciolta al sole,
sull'erba i nostri FILTRI ad aspettare
e mentre io t'insegnavo a ROTOLARE RITZLA
come un acerbo fiore finì il tuo MUSONE.
Ma un'altra FUMATINA chissà quando verrà
per questo dalla vita prendo quello che dà
FUMARE un'altra volta, ecco cosa farò
m'illuderò che sia ERBA DI CASA MIA.
Parole di Paolo Rivera
Dal blog di Beppe Grillo
RENZO BOSSI: Mangia a sbafo a spese nostre.
La prima volta era in compagnia del papà.
Non avrebbe potuto mangiare lì, nel ristorante della Camera
al piano terreno del Palazzo di Montecitorio rigidamente riservato ai deputati,
ma pazienza, si è fatto uno strappo alla regola.
Poi, prima della pausa estiva, si è ripresentato da solo ed è stato fatto accomodare: Renzo Bossi, il figlio del leader leghista Umberto,
noto per i suoi successi scolastici (ha ripetuto tre volte l'esame di maturità),
ha preso gusto a sfamarsi ai tavoli della Casta Parlamentare.
Forse il rampollo del Senatùr si sente già onorevole di diritto ereditario.
Oppure è l'attrazione fatale che i segni del potere romano esercitano sulle camicie verdi in trasferta nella capitale.
fonte Espresso
EVVIVA, LA NUOVA CLASSE POLITICA IS COMING!!!
http://www.radicalsocialismo.it/index.php?option=com_fireboard&Itemid=209&func=view&id=37698&catid=1
martedì 18 agosto 2009
I nostri senatori del PD che inciuciano con i senatori del PdL.
Nicola Latorre - braccio destro di D'Alema del PD - suggerisce le risposte a Bocchino del PdL
lunedì 17 agosto 2009
La mia risposta ad un commento di un blogger.
Nel tuo discorso c'è un fondo di verità.
Gli italiani, abbrutiti da anni di pessima propaganda politica, si sono visti soffiare da sotto il naso e senza muovere un dito, qualsiasi diritto acquisito con lotte e sacrifici.
Vigliacchi lo siamo, fancazzisti anche, piacioni pure, amanti dell'estetica dippiù, ma da qui a dire che la mafia è migliore, ce ne vuole!
Berlusconi, però, è il peggio del peggio, perchè platealmente si avvale solo di personaggi mafiosi, suo padre lo ha ben introdotto nell'ambiente.
Non che gli altri politici siano di molto migliori di lui, per carità, nessuno potrebbe asserire ciò, ma lui resta sempre il peggiore, perchè avvantaggia solo le mafie e le grosse industrie, lasciando andare alla deriva la parte migliore della nazione, noi, quelli che il paese lo sostengono.
Lui è colpevole di aver introdotto leggi che impoveriscono di contenuti e di valori la vita dell'essere umano, lui rappresenta la parte peggiore del paese.
Lui propende per chi lo tiene al guinzaglio, i poteri occulti, le lobby.
Lui non è adatto a governare, perchè altamente ricattabile e, pertanto, nocivo.
Gli italiani, abbrutiti da anni di pessima propaganda politica, si sono visti soffiare da sotto il naso e senza muovere un dito, qualsiasi diritto acquisito con lotte e sacrifici.
Vigliacchi lo siamo, fancazzisti anche, piacioni pure, amanti dell'estetica dippiù, ma da qui a dire che la mafia è migliore, ce ne vuole!
Berlusconi, però, è il peggio del peggio, perchè platealmente si avvale solo di personaggi mafiosi, suo padre lo ha ben introdotto nell'ambiente.
Non che gli altri politici siano di molto migliori di lui, per carità, nessuno potrebbe asserire ciò, ma lui resta sempre il peggiore, perchè avvantaggia solo le mafie e le grosse industrie, lasciando andare alla deriva la parte migliore della nazione, noi, quelli che il paese lo sostengono.
Lui è colpevole di aver introdotto leggi che impoveriscono di contenuti e di valori la vita dell'essere umano, lui rappresenta la parte peggiore del paese.
Lui propende per chi lo tiene al guinzaglio, i poteri occulti, le lobby.
Lui non è adatto a governare, perchè altamente ricattabile e, pertanto, nocivo.
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