Il regolamento prevedeva che qualsiasi soggetto interessato, e non solo la magistratura, poteva chiedere la rimozione di contenuti online giudicati “illeciti”. Ma la battaglia in Rete ha dato i suoi frutti: Tranne la Lega nord, tutte le forze politiche hanno votato contro.
Censura a Internet? Prego, ripassare un’altra volta. E’ questo il senso del voto di oggi alla Camera che ha respinto l’emendamento alla legge comunitaria ribattezzato “bavaglio al web” presentato dal parlamentare della Lega nord Giovanni Fava. Con l’eccezione del Carroccio che ha espresso il suo sì, il regolamento è stato respinto da una maggioranza che farebbe impallidire anche quella che sostiene il governo Monti. Hanno votato contro Pdl, Idv, Fli, Api, Pd e Udc.
Ma cosa proponeva l’emendamento Fava? Secondo il regolamento, qualsiasi soggetto interessato avrebbe potuto chiedere ai provider la rimozione di un post o l’oscuramento di un sito qualora i contenuti fossero giudicati illeciti dal richiedente. Ora come ora un contenuto pubblicato su Internet può essere rimosso solo con un intervento della magistratura. Se la legge fosse passata, questo diritto si sarebbe esteso di fatto a chiunque, anche arbitrariamente, considerasse un qualsiasi contenuto “illecito”. Sorvolando sulla vaghezza della definizione “illecito”, l’emendamento avrebbe provocato un vero e proprio ingolfamento di moltissimi siti a cominciare da Google, Facebook e ovviamente Youtube. Ma c’è di più: tale normativa sarebbe stata in aperto contrasto con le direttive europee che prevedono la neutralità dei provider e dei fornitori di servizi su Internet.
Nonostante il “no, grazie” ricevuto dall’Aula, il padrino del “bavaglio al web” non ha nessuna intenzione di arrendersi. “Non mi fermo qui, vado avanti. Da qui a fine legislatura mi riprometto di trovare una soluzione”, ha detto Fava dopo la doccia fredda che gli ha riservato Montecitorio.
Plaudono invece al voto della Camera le forze politiche che maggiormente si sono battute contro l’emendamento incriminato. A partire dall’Italia dei Valori. “E’ stata una battaglia per la democrazia – ha scritto Antonio Di Pietro sulla sua pagina Facebook – Alla Lega e Fava dico: giù le mani dal web, la libera informazione non si tocca”.
“C’è un problema di contraffazione che vale alcuni miliardi di euro all’anno”, ha ribattuto Fava sottolineando che il provvedimento era ispirato alla tutela della proprietà intellettuale su Internet. Il problema, come ha sottolineato il giurista Guido Scorza, era che in nome della difesa del copyright si sarebbe limitata pericolosamente la “libertà di manifestazione del pensiero online”.
Esattamente come è successo pochi giorni fa in America dove due disegni di legge – il Sopa e il Pipa – formalmente ispirati alla lotta alla pirateria, ma che in realtà andavano a colpire la libertà d’espressione, sono stati rimandati al mittente dal primo sciopero generale della Rete. Anche nel caso del “Sopa italiano” il contributo della Rete e il dibattito che n’è scaturito sono stati fondamentali per il voto parlamentare. La novità è che, per una volta, i nostri politici hanno ascoltato e fatto propri perplessità della comunità italiana online.
Ma cosa proponeva l’emendamento Fava? Secondo il regolamento, qualsiasi soggetto interessato avrebbe potuto chiedere ai provider la rimozione di un post o l’oscuramento di un sito qualora i contenuti fossero giudicati illeciti dal richiedente. Ora come ora un contenuto pubblicato su Internet può essere rimosso solo con un intervento della magistratura. Se la legge fosse passata, questo diritto si sarebbe esteso di fatto a chiunque, anche arbitrariamente, considerasse un qualsiasi contenuto “illecito”. Sorvolando sulla vaghezza della definizione “illecito”, l’emendamento avrebbe provocato un vero e proprio ingolfamento di moltissimi siti a cominciare da Google, Facebook e ovviamente Youtube. Ma c’è di più: tale normativa sarebbe stata in aperto contrasto con le direttive europee che prevedono la neutralità dei provider e dei fornitori di servizi su Internet.
Nonostante il “no, grazie” ricevuto dall’Aula, il padrino del “bavaglio al web” non ha nessuna intenzione di arrendersi. “Non mi fermo qui, vado avanti. Da qui a fine legislatura mi riprometto di trovare una soluzione”, ha detto Fava dopo la doccia fredda che gli ha riservato Montecitorio.
Plaudono invece al voto della Camera le forze politiche che maggiormente si sono battute contro l’emendamento incriminato. A partire dall’Italia dei Valori. “E’ stata una battaglia per la democrazia – ha scritto Antonio Di Pietro sulla sua pagina Facebook – Alla Lega e Fava dico: giù le mani dal web, la libera informazione non si tocca”.
“C’è un problema di contraffazione che vale alcuni miliardi di euro all’anno”, ha ribattuto Fava sottolineando che il provvedimento era ispirato alla tutela della proprietà intellettuale su Internet. Il problema, come ha sottolineato il giurista Guido Scorza, era che in nome della difesa del copyright si sarebbe limitata pericolosamente la “libertà di manifestazione del pensiero online”.
Esattamente come è successo pochi giorni fa in America dove due disegni di legge – il Sopa e il Pipa – formalmente ispirati alla lotta alla pirateria, ma che in realtà andavano a colpire la libertà d’espressione, sono stati rimandati al mittente dal primo sciopero generale della Rete. Anche nel caso del “Sopa italiano” il contributo della Rete e il dibattito che n’è scaturito sono stati fondamentali per il voto parlamentare. La novità è che, per una volta, i nostri politici hanno ascoltato e fatto propri perplessità della comunità italiana online.