martedì 6 novembre 2012

Trattativa, i pm: “Berlusconi e Dell’Utri approdo” del patto con la mafia. - Giuseppe Pipitone


Trattativa, i pm: “Berlusconi e Dell’Utri approdo” del patto con la mafia


I magistrati depositano una memoria al processo di Palermo contro i 12 presunti responsabili del "patto scellerato" tra boss e uomini delle istituzioni. L'ex premier non è indagato, ma viene indicato come colui che, arrivato al governo 1994, assicura "garanzie" a Cosa nostra insieme al suo braccio destro. Nel documento di 22 pagine la ricostruzione, più storica che giudiziaria, di quei fatti.

La “travagliata” trattativa fra Stato e mafia “trovò finalmente il suo approdo”, nel 1994, “nelle garanzie assicurate dal duo Dell’Utri-Berlusconi. Lo scrivono i pm di Palermo, coordinati da Antonio Ingroia, nella “Memoria a sostegno di rinvio a giudizio” dei 12 imputati accusati di aver contribuito al perfezionamento del patto tra i boss di Cosa nostra e uomini delle istituzioni tra il 1992 e il 1994. Il documento di 22 pagine riassume 120 faldoni di prove, testimonianze, intercettazioni e documenti. E’ la summa dell’atto d’accusa, in cui l’espressione “Ragion di Stato” fa capolino fino alla fine. Nell’ultimo giorno da procuratore aggiunto a Palermo di Antonio Ingroia, i magistrati che indagano sulla trattativa Stato-mafia hanno depositato la memoria (qui il documento integrale) per meglio spiegare la richiesta di rinvio a giudizio, firmata nel luglio scorso, per i dodici indagati per quel “patto scellerato”. La settimana scorsa, davanti al gup Piergiorgio Morosini, si era tenuta la prima udienza preliminare del procedimento che vede per la prima volta alla sbarra importanti boss mafiosi insieme ad esponenti politici ed alti ufficiali del carabinieri. Un procedimento che si preannuncia difficile, soprattutto per la delicatezza del reato contestato a quasi tutti gli imputati, ovvero quello disciplinato dall’articolo 338 del codice penale: violenza o minaccia al corpo politico dello Stato (“Trattativa, l’accusa e la difesa”: guarda l’infografica di ilfattoquotidiano.it).
Per meglio chiarire l’oggetto giuridico della loro inchiesta i pm Nino Di MatteoLia SavaFrancesco De Bene e Roberto Tartaglia, coordinati da Ingroia, hanno quindi deciso di fornire a Morosini anche una breve e stringatissima  ricostruzione dei fatti contestati agli imputati. Un analisi cronologica, più storica che giudiziaria, del biennio stragista 92-93, in cui i magistrati fanno un salto indietro  fino al 1989: prima del crollo del muro di Berlino, infatti, “la grande criminalità aveva approfittato della copertura politica della guerra fredda per intessere, all’interno del sistema politico-istituzionale, una serie di rapporti che hanno fatto dell’Italia uno degli snodi degli interessi macroeconomici del crimine mondiale”. Dopo invece si determina “la fine della giustificazione storica della collaborazione con la grande criminalità”. Ed è per questo che Cosa Nostra recide i rapporti con la politica dichiarando guerra allo Stato, lanciando contemporaneamente segnali di pace.
Una concatenazione di eventi che – secondo i pm – è interpretata da due frasi simbolo. “Una – scrivono – è quella di Riina, che spiega ai suoi soldati: «Dobbiamo fare la guerra allo Stato per poi fare la pace». L’altra è del boss Leoluca Bagarella: «In futuro non dobbiamo più correre il rischio che i politici possano voltarci le spalle»”. L’obiettivo strategico di Cosa Nostra è costruire le premesse per un nuovo rapporto con la politica, perché  fosse la mafia  “ad esprimere direttamente le scelte politiche attraverso i suoi uomini, senza alcuna mediazione. Annullare la politica ed i politici tradizionali per favorire l’ingresso della mafia in politica, tout court”.
Per arrivare alla pace però c’è prima bisogno di fare la guerra. Una guerra in cui i protagonisti sono  “i boss mafiosi Riina, Provenzano, BruscaBagarella e il postino del papello Antonino Cinà, autori immediati del delitto principale, in quanto hanno commesso, in tempi diversi, la condotta tipica di minaccia a un corpo politico dello Stato, in questo caso il governo, con condotte diverse ma avvinte dal medesimo disegno criminoso, a cominciare dal delitto Lima. L’avvio di una campagna del terrore contro il ceto politico dirigente dell’epoca al fine di ottenere i benefici ed i vantaggi che furono poco dopo specificati nel papello di richieste che Riina fece pervenire ai vertici governativi”.
La minaccia secondo i pm si è realizzata, prospettando  “agli uomini-cerniera (ovvero i politici come Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri, e i carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno n.d.a) perché ne dessero comunicazione a rappresentanti del governo, l’organizzazione e l’esecuzione di omicidi e stragi ed altri gravi delitti ai danni di esponenti politici e delle Istituzioni se lo Stato non avesse accolto la richiesta di benefici di varia natura che veniva formulata dai capi di Cosa Nostra”. È in questo contesto che finisce indagato Nicola Mancino per falsa testimonianza.  “Chi condusse la trattativa – scrivono sempre i pm – fece un’attenta valutazione: il Ministro dell’Interno in carica Vincenzo Scotti era ritenuto un potenziale ostacolo, mentre Mancino veniva ritenuto più utile in quanto considerato più facilmente influenzabile da politici della sua stessa corrente, ed artefici della trattativa come il coimputato Mannino e da chi lo circondava, a cominciare dal Capo della Polizia Parisi”.
Il ruolo di Parisi, nel frattempo deceduto, sarebbe per i pm molto importante nel periodo in cui l’oggetto principale della trattativa era l’alleggerimento del 41 bis. Il capo della polizia infatti era molto vicino all’allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro “che, come emerso da varie e convergenti deposizioni testimoniali, ebbe un ruolo decisivo negli avvicendamenti Scotti-Mancino e Martelli-Conso, e nella sostituzione di Nicolò Amato col duo Capriotti-Di Maggio, attraverso i quali seguì l’evoluzione delle vicende del 41 bis strettamente connesse all’offensiva stragista del 1993”.
La trattativa però non è stata soltanto una delicata partita di scacchi con singoli obiettivi tattici, come salvare la vita agli uomini politici inseriti nella black list di Riina, o alleggerire il 41 bis. “Ma – spiegano i pm – ha avuto ad oggetto un nuovo patto di convivenza Stato-mafia, senza il quale Cosa Nostra non avrebbe potuto sopravvivere e traghettare dalla Prima alla Seconda Repubblica. Un patto di convivenza che, da un lato, significava la ricerca di nuovi referenti politici e, dall’altro lato, la garanzia di una duratura tregua armata dopo il bagno di sangue che in quegli anni aveva investito l’Italia”.
E per questo che dalla fine del 1993 in poi la trattativa prosegue dietro le quinte, senza clamore. “Si completò, in tal modo, il lungo iter di una travagliata trattativa che trovò finalmente il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell’Utri -Berlusconi (come emerge dalle convergenti dichiarazioni di Spatuzza,  Brusca e Giuffrè)”.  I pm infatti mettono nero su bianco che il nuovo patto Stato-mafia fu siglato nel 1994 ,“non prima di avere rinnovato la minaccia al governo Berlusconi appena insediatosi”.  Una paragrafo della memoria i magistrati lo dedicano anche a Massimo Ciancimino, imputato di concorso esterno a Cosa Nostra e calunnia, ma anche “fonte di prova dalla controversa attendibilità intrinseca (visto che in questo processo assume anche la veste di imputato del delitto di calunnia), ma a cui, d’altra parte, va riconosciuto di aver fornito notizie e informazioni, che, laddove ed in quanto riscontrate, si sono rivelate preziose”.
Spazio anche alle nebulose testimonianze rese negli scorsi mesi dagli esponenti politici dell’epoca. “Questo Ufficio – scrivono i magistrati – è consapevole del fatto che non si è del tutto rimossa quella forma di grave amnesia collettiva della maggior parte dei responsabili politico-istituzionali dell’epoca (un’amnesia durata vent’anni), che avrebbe dovuto arrestarsi”. Un’amnesia dovuta forse a “una male intesa (perciò mai dichiarata) Ragion di Stato che fornisce apparente legittimazione alla trattativa e che coinvolge sempre più ampi e superiori livelli istituzionali”. Una ragion di Stato che però non basta ad evitare il procedimento odierno. Il perché è tutto contenuto nell’ultima frase con cui i pm concludono la memoria: “Si è ritenuto doveroso esercitare l’azione penale nei confronti degli odierni imputati nella ferma convinzione che l’unica vera Ragione di Stato è quella verità che questo Ufficio non ha mai smesso, e mai smetterà, di cercare”.

lunedì 5 novembre 2012

I postumi della sbronza da Cav. - Andrea Alicandro

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Non è una ri-discesa in campo quella di Silvio Berlusconi, ma una risacca. Per analizzare il fenomeno Silvio, stavolta, possiamo trarre ispirazione da un autore spagnolo, Juan Bas, che, forse, non è proprio un autore di best seller, ma ha scritto un libro, il ‘Trattato sui postumi della sbornia’, che è perfetto per descrivere la parabola berlusconiana. Dal 94 al 2011 gli italiani hanno preso una colossale sbornia collettiva. Di quelle che il giorno dopo ‘altro che mal di testa’. Si sono svegliati dopo l’ubriacatura politica e mediatica e hanno scoperto – come l’ubriaco dopo una folle notte di bagordi – che è rimasto solo il mal di testa, un certo senso di nausea e di disgusto. E giura a se stesso: mai più! E’ la risacca, quel malessere generalizzato che intorpidisce i sensi e impedisce di bere di nuovo, anche se per poco. Berlusconi deve affrontare la risacca del berlusconismo. Per vent’anni ha illuso, promesso, aggredito, insultato, galvanizzato. Ora è un leader solo che ha l’unico obiettivo di raggranellare qualche voto per contare ancora qualcosa in Parlamento o – detto fuor di metafora – per continuare a ‘tenere per le palle’ (politicamente s’intende) il governo, come fa ora. E’ rimasto quasi un anno in silenzio mediatico, sperando di riuscire a farsi dimenticare. Non c’è riuscito perché i sondaggi non premiano il Pdl, ma non è sparito dalla scena, come qualcuno troppo frettolosamente aveva previsto. La sentenza di condanna gli ha dato nuova linfa e un pretesto per tornare in campo dopo l’annunciato ritiro. Ma il suo appeal è a picco, non riuscirà a riconquistare la maggioranza in parlamento. Ma non è un buon motivo per gioire. Il vero punto, infatti, è un altro: sconfitto Berlusconi, c’è da superare il ‘berlusconismo’. Per troppo tempo gli italiani si sono abbeverati all’osteria di Silvio e ancora non riescono a smettere. Superata la ‘risacca’, quando gli tornerà sete, avranno voglia di confrontarsi con la politica vera – quella dell’impegno, della partecipazione, della rappresentanza, dei programmi e dell’idea di società – o ricascheranno nelle tentazioni del berlusconismo – leaderismo puro, personalismo, mediatizzazione della politica, giovanilismo e finto cambiamento -  travestito da ‘grillismo’ o ‘renzismo’?

http://www.articolo21.org/2012/11/i-postumi-della-sbronza-da-cav/

I tempi stanno cambiando.



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Elezioni Sicilia, parla il pentito Mutolo: “Messaggio della mafia per Pdl e Udc”. - Silvia Truzzi


Elezioni Sicilia, parla il pentito Mutolo: “Messaggio della mafia per Pdl e Udc”


Il collaboratore di giustizia dà la sua lettura della vittoria di Rosario Crocetta: "Ho paura che ci sarà una stagione più violenta di quella del ‘92-‘93. L’unica speranza è il neo presidente: se riesce veramente a fare pulizia, può darsi che l'Isola si salvi", Sull'astensionismo dei detenuti dice: "Quelli che non hanno votato sono controllati da Cosa nostra che spera in una reazione dei politici".

Cosa nostra è stata cosa sua: “Mi chiamo Gaspare Mutolo, sono nato a Palermo il 5 febbraio 1940, nel quartiere di Pallavicino e sono cresciuto tra i vicoli di Mondello e Partanna. Sono un collaboratore di giustizia. Voglio raccontare la mafia, di cui ho fatto parte, combinato nel 1973, fino al 15 agosto del 1991″. È l’incipit di un libro di memorie – “La mafia dentro” – che Mutolo sta ultimando insieme alla scrittrice Anna Vinci. Le Regionali in Sicilia, il pentito Mutolo le legge così: “Se la mafia voleva, faceva andare a votare e mettere in minoranza a Crocetta, un uomo onesto che ha sempre lottato alla mafia. Ma ha lasciato che vincesse, per mandare un messaggio a Pdl e Udc. I boss si sono sentiti traditi”.
Mutolo, da cosa si sono sentiti traditi i mafiosi?Dalle promesse non mantenute. I loro beni sono stati, in parte, confiscati. I padrini sono da vent’anni dentro, gli uomini più importanti al carcere duro: mi spiego?
Crocetta ostacolerà la mafia: non è un controsenso?
No, perché Crocetta non se la prenderà solo con le coppole storte, ma anche con i referenti politici. Io ho paura che ci sarà una stagione più violenta di quella del ‘92-‘93. L’unica speranza è Crocetta: se riesce veramente a fare pulizia, può darsi che la Sicilia si salvi.
La mafia si sta organizzando?
Questo silenzio – che non succedono cose, che non ci sono omicidi – era una direttiva di Provenzano, poco prima di essere arrestato: stare sette anni senza fare rumore. Se lo Stato non riesce a dare una svolta, molti personaggi importanti che stanno a Roma, avranno cose da temere: avevano garantito che per i siciliani sarebbe andata diversamente. Se torniamo indietro, sappiamo perfettamente che la mafia si muove sempre per un interesse vitale. Il primo segnale c’era stato nell’87, quando la mafia smise di votare per la Democrazia cristiana e scelse i socialisti: nell’84 era nato il maxi-processo, e dopo tre anni erano ancora tutti dentro. Quello era un messaggio alla Dc che perdeva tempo, diceva ai boss di avere pazienza.
Lei se lo ricorda?
Alle famiglie, sia quelle di sangue che quelle di mafia, ci comandarono di votare Psi. Io ero nel carcere all’Ucciardone per il maxi-processo. Venne da me Peppe Leggio e mi disse: “Ga spare tu dici alla tua famiglia che vota per i socialisti”. A lui sicuramente glielo aveva detto qualche personaggio più importante.
Poi è caduta la Prima Repubblica.
Visto che sono collaboratore di giustizia, ho potuto ascoltare un’intercettazione ambientale, in cui si sentivano parlare alcuni boss riuniti in un’albergo dei Graviano. Ancora non era nata Forza Italia che già parlavano di sostenerla: cercavano i nuovi referenti, dopo la fine della diccì.
Perché dice che la situazione oggi è preoccupante?
La mafia in Sicilia è in condizioni di pilotare ancora – ma veramente – il voto, con le buone o con le maniere sue. Cosa nostra sa bene a che livello è la collusione con la politica, quindi secondo me i mafiosi hanno permesso di vincere a Crocetta per dire ai signori politici che stanno a Roma: guardate che questo a noi ci ha sempre combattuto, ma ora cercherà di combattere anche a voi. Loro parlano così. La morte di Enzo Fragalà, avvocato e deputato del Pdl ucciso a bastonate nel 2010, secondo me è stato uno degli ultimi omicidi della mafia, ed è stato l’ennesimo avvertimento. Questa delle regionali è un’avvisaglia per le elezioni nazionali. I politici cambiano partito, ma gli uomini sono sempre gli stessi. E quando si voterà per il nuovo governo e per le Camere, se non ci saranno provvedimenti favorevoli ai boss, come – mi ripeto, ma è molto importante – è stato promesso vent’anni fa, si avvierà una stagione ancora più violenta.
Ha votato solo lo 0,6 per cento dei detenuti. In tutte le carceri siciliane. Lirio Abbate ha scritto sull’Espresso : “All’istituto di pena di Pagliarelli di Palermo dove si trovano rinchiusi i mafiosi, su 1.300 detenuti solo uno si è presentato al seggio elettorale, ed è in custodia cautelare per reati che non sono di mafia”. Che significato ha l’astensione dei detenuti?
È un sintomo coerente con la mia lettura. L’ordine è stato categorico, evidentemente. Quelli che non hanno votato sono controllati dalla mafia. E ora la mafia spera che i politici hanno una reazione. I voti della mafia sono stati fermi, per adesso . Vede, così a lungo i mafiosi non ci sono stati mai dentro, soprattutto con questo regime duro del 41-bis. Per loro è una cosa inaccettabile. Dell’Utri, Schifani, Berlusconi sono ancora nei posti chiave: i pezzi da novanta vogliono mandare un messaggio. Prova ne sia che c’è ancora il processo sulla trattativa e sappiamo quali sono le richieste della mafia.
Come funzionava il voto di scambio, finché lei era mafioso?
Ci sono quelli che fanno i grandi affari, che sono il perno di tutto. Hanno detto a Milano che la ‘ndrangheta ha venduto i voti a quell’assessore: ma quelle sono sciocchezze, regalini. Le cose importanti, che importano a tutte le mafie, sono i grandi appalti, i business veri, i soldi che possono arrivare. Mafia e politica si sono sempre sostenute a vicenda, perché avevano interessi comuni.
Lei aveva rapporti con i politici?
Mi trovavo ad andare da qualche politico, come Ernesto Di Fresco o l’onorevole Matta, amicissimo di Lima e Ciancimino. Ci andavo perché volevo segnalare una persona che m’interessava, per un concorso all’università o in ospedale. In queste occasioni, loro parlavano anche di politici, carabinieri o magistrati che davano disturbo. Ma attenzione: non è che dicevano “sparategli”. Di Fresco mi fece il nome di Dalla Chiesa, che andava dagli studenti a parlare di mafia e faceva i controlli nelle autoscuole, perché non venisse concesso il foglio rosa ai mafiosi. Più che lamentele, erano consigli.
da Il Fatto Quotidiano del 4 novembre 2012

Crisi, aumentano gli 'affamati': 3,7 mln italiani a mense poveri.



Roma - (Adnkronos) - Allarme Coldiretti: nel 2012 incremento del 9% delle persone costrette a ricevere cibo o pasti gratuiti. E' il massimo dell'ultimo triennio. Rapporto Istat sulle prospettive per l'economia italiana nel 2012-13: disoccupazione all'11,4%  nel 2013. Redditi e consumi ancora in calo.

Roma, 5 nov. - (Adnkronos) - Aumentano in Italia anche gli 'affamati'. Infatti si registra un incremento del 9% delle persone che sono state costrette a ricevere cibo o pasti gratuiti in mensa o nelle proprie case. E' quanto emerge da un analisi della Coldiretti, in occasione della diffusione dei dati Istat sulle prospettive per l'economia italiana nel 2012-2013.
Gli italiani indigenti che hanno ricevuto pacchi alimentari o pasti gratuiti attraverso i canali no profit che distribuiscono le eccedenze alimentari hanno raggiunto - sottolinea la Coldiretti - quasi quota 3,7 milioni, il massimo dell'ultimo triennio, secondo la relazione sul 'Piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti 2012', realizzata dall'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea).
"Per effetto della crisi economica e della perdita di lavoro si sta registrando - precisa la Coldiretti - un aumento esponenziale degli italiani senza risorse sufficienti a sfamarsi. Erano 2,7 milioni nel 2010, sono saliti a 3,3 milioni nel 2011 ed hanno raggiunto il massimo di 3,7 milioni nel 2012 (3.686.942). Una situazione drammatica che rappresenta la punta di un iceberg delle difficolta' che incontrano molte famiglie italiane nel momento di fare la spesa.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Economia/Crisi-aumentano-gli-affamati-37-mln-italiani-a-mense-poveri_313862306389.html

I famosi "ristoranti pieni" di Berlusconi.

Gdf sequestra 65 mln di beni, nei guai anche gruppo Marzotto.



Procura di Milano indaga su 13 persone, anche componenti famiglia. Accusa e' di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.

MILANO - La Guardia di Finanza di Milano sta dando esecuzione a un decreto di sequestro preventivo di beni immobili, terreni e partecipazioni societarie nella disponibilità di 13 persone, alcuni dei quali riconducibili alla famiglia Marzotto, accusate di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
Tra i tredici indagati (per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi) figurano Matteo, Vittorio, Diamante, Maria Rosaria Cristiana e Margherita della famiglia Marzotto, e Andrea Isabella e Rosanna della famiglia Donà Delle Rose. Le indagini coordinate dai pubblici ministero Laura Pedio e Gaetano Ruta sono nate da una verifica fiscale fatta dall'agenzia delle entrate e riguardano la vendita del marchio Valentino Fashion Group da parte dei Marzotto e Donà Delle Rose avvenuta nel 2008 al fondo Permira. Secondo l'accusa sarebbe stata realizzata una plusvalenza di 200 milioni di euro, ottenuta in Lussemburgo (attraverso la società Icg, di cui sono proprietari) senza pagare le tasse per circa 65 milioni di euro (di qui il sequestro di oggi che riguarda immobili, tra cui una villa a Cortina e case a Roma).
"Attraverso le indagini svolte - spiega una nota della Guardia di Finanza - è stato possibile individuare i luoghi in cui venivano effettivamente assunte le decisioni ed impartite le direttive sulla gestione della società di diritto lussemburghese. Le risultanze probatorie hanno permesso di riqualificare la holding come soggetto fiscalmente residente nel territorio nazionale con conseguente emersione dell'obbligo di denuncia al Fisco di una plusvalenza da cessione di partecipazioni".
Una villa a Trissino, con oltre 50 stanze, una abitazione, con 30 stanze, e diversi terreni: queste le proprietà nel vicentino di cui è stato disposto il sequestro preventivo nell'ambito dell'inchiesta a Milano per omessa dichiarazione dei redditi che vede coinvolti anche esponenti della famiglia Marzotto. La villa nei mesi scorsi aveva ospitato la cerimonia funebre di Giannino Marzotto, uno dei capostipite della famiglia. Sulle proprietà poste sotto sequestro preventivo non sono stati apposti sigilli perché, come è stato spiegato dalla Guardia di Finanza, il provvedimento è finalizzato a impedire l'eventuale compravendita o la dissipazione dei beni fino alla definizione del procedimento in corso. In Veneto, analoga sorte é toccata a una villa a Cortina d'Ampezzo.
 Durante il governo Berlusconi tutti erano invogliati a non dichiarare i redditi e a non pagare le tasse.

Fischi e spintoni per Fini. Ira ai funerali di Rauti.



Folla gli grida: 'Badoglio' e 'traditore'. Presidente Camera li ignora ed entra in chiesa per i funerali.

Il presidente della Camera Gianfranco Fini è stato contestato dalla folla a Roma al funerale dell'ex segretario dell'Msi Pino Rauti. "Vai via", sono le urla che si sono levate all'esterno al passaggio di Fini accompagnato anche da fischi.
La contestazione è avvenuta all'esterno prima che iniziassero le esequie. Alcuni testimoni parlano di "fischi, urla e spintoni all'indirizzo di Gianfranco Fini". Secondo quanto si è appreso la figlia di Rauti, Isabella, presente col marito Gianni Alemanno, avrebbe tentato di calmare gli animi.
Saluti romani e l'urlo 'Badoglio': così la folla assiepata fuori la chiesa di San Marco a Roma per i funerali di Pino Rauti ha contestato il presidente della Camera Gianfranco Fini. Al suo arrivo molti hanno fatto il saluto romano e altri lo hanno apostrofato come 'Badoglio'. Fini ha ignorato le proteste ed è entrato in chiesa.
Oltre a 'Badoglio', qualcuno ha urlato 'traditore'. Il presidente della Camera ha percorso la navata centrale della chiesa scortato dalle guardie del corpo e si è seduto accanto all'ex sottosegretario Alfredo Mantovano. La cerimonia funebre, ritardata di alcuni minuti ma non sospesa, è poi iniziata dopo che Isabella Rauti ha riportato la calma tra i partecipanti alle esequie del padre.
"Camerata Pino Rauti, Presente". Cosi la folla assiepata fuori la chiesa San Marco ha salutato l'ex segretario dell'Msi al termine dei funerali. Al momento del saluto la bara era fuori dalla chiesa. "Boia chi molla, il grido di battaglia" l'urlo seguito al 'Presente' e poi una serie di canti di destra e tanti saluti romani.
DAVANTI ALLA CHIESA BANCO CON GADGET DI DESTRA - Un banchetto con gadget e simboli della destra. E' spuntato alla fine delle esequie dell'ex segretario dell'Msi Pino Rauti davanti la chiesa di San Marco a Piazza Venezia a Roma. Il banchetto vende portachiavi, spille e statuette con fasci littori e l'effigie di Benito Mussolini. In mostra anche croci celtiche e la bandiera della Repubblica di Salò. Molti acquistano. E qualcuno se ne va con la bandiera con la croce celtica sfoggiata come un mantello.
AMICO RAUTI A FOLLA, NESSUNO FACCIA 'PRESENTE' - "Nessuno faccia il 'presente'. Lo farò solo iò". Così Bruno di Luia, attivista di destra e amico di Pino Rauti, ha redarguito la folla che ha seguito le esequie dell'ex segretario dell'Msi a Roma. Il 'presente' è il tipico saluto di destra col quale si omaggiano i morti: al nome della persona scomparsa segue tre volte l'urlo 'presente' e poi il saluto romano.
PRESENTE' FUORI CHIESA E 'BOIA CHI MOLLA' - "Camerata Pino Rauti, Presente". Cosi la folla assiepata fuori la chiesa San Marco ha salutato l'ex segretario dell'Msi al termine dei funerali. Al momento del saluto la bara era fuori dalla chiesa. "Boia chi molla, il grido di battaglia" l'urlo seguito al 'Presente' e poi una serie di canti di destra e tanti saluti romani.
STORACE, OGGI FINI HA PAGATO SUOI ERRORI - "Sono credente e solo per questo non ho partecipato alla contestazione a Fini. Era un funerale. Ma il presidente della Camera, pur volendo rendere omaggio a Rauti, ha agito a freddo. Ho appreso da funzionari del cerimoniale capitolino che la presenza di Fini non era prevista". E' quanto scrive su Facebook, Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra. "Se ha deciso solo all'ultimo momento di partecipare ai funerali di Rauti, ha sbagliato e di grosso - aggiunge - Su di lui si è scatenato il rancore di persone e comunità diverse che si ritrovavano nel lutto per un capo che se ne va in un mondo sempre più disperso e principalmente a causa sua. Fini avrebbe fatto bene ad astenersi, la sua è apparsa ai più una presenza provocatoria, anche se forse l'avrebbe presa peggio se fosse stato ignorato. Il presidente della Camera doveva saperlo. Per questo ho preferito andarmene".

Ha avuto ciò che si meritava.
Ha tenuto in piedi un governo capestro, ha votato leggi vergogna, è uno degli artefici della "violenza da macelleria messicana" al G8 di Genova.