martedì 26 novembre 2013

Ikea sbarca in città: tra due anni il primo punto vendita“

Apre Ikea a Palermo, fra due anni arriva il secondo store siciliano


Confermati le indiscrezioni che vedrebbero il colosso svedese intenzionato ad aprire uno store nel capoluogo. La dirigenza dovrà individuare il terreno su cui costruire: si parla di Carini, dietro al Poseidon, Ciaculli e Tommaso Natale.
Apre Ikea a Palermo, fra due anni arriva il secondo store siciliano

Se per molti era solo un "sogno", adesso potrà diventare realtà: Ikea sbarca a Palermo. Niente più viaggi verso la zona del catanese per arredare casa a prezzi stracciati. Il colosso svedese punta ad aprire un secondo punto vendita in Sicilia. Non è ancora stato individuato lo spazio da destinare al megastore, ma la dirigenza potrebbe aver buttato l'occhio su un terreno alle spalle del centro commerciale Poseidon di Carini.
tempi d'attesa previsti per vedere aperto il punto vendita della catena scandinava ammonterebbero a circa due anni - secondo alcune fonti di SiciliaInformazioni -, giusto il tempo di individuare la location più adatta, incontrare l'Amministrazione comunale e ottenere autorizzazioni e licenze. Confermati dunque i rumors che già da un anno sussurravano questa possibilità. Oltre al terreno di Carini, è possibile che il negozio sorga dalle parti di Ciaculli o Tommaso Natale. Con ogni probabilità sarà escluso il centro città.
Nonostante i prezzi low cost, anche Ikea Italia accusa il colpo della crisi: chiude il biennio 2012/13 con un fatturato da 1.526 milioni di euro, registrando un calo del 4,5%, ma incrementando allo stesso tempo la quota di mercato nel settore arredo (+9,3%). Il comparto arredi "è il più grande acquirente al mondo di mobili italiani - si legge in una nota dell'azienda - che rappresentano l'8,1% degli approvvigionamenti di Ikea per tutti i suoi 338 negozi)".

ttp://www.palermotoday.it/economia/apre-ikea-palermo.html

Berlusconi: Boccia, revisione processo.


In paese normale voto decadenza dopo delibera corte su Severino.

(ANSA) - ROMA, 26 NOV - "Se fosse così mi aspetto una revisione del processo come per qualsiasi altro cittadino". Lo afferma il deputato Pd Francesco Boccia a Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24, a proposito delle nuove carte e testimonianze sulla condanna di Berlusconi.

Inoltre, aggiunge, "in un paese normale si sarebbe aspettata la delibera della Corte sull'interpretazione della legge Severino".


PD-Pdl partito unico.

La casa del padre.



Sgomento e fastidio per raggiungere la casa del padre per il tradizionale incontro familiare. Tutto era grigio, triste, e quasi quasi gli intoppi che si ponevano durante il cammino erano graditi: si faceva strada la speranza di non raggiungerla mai ed avere una qualsiasi scusa per non andarci. 
Quella casa era intrisa di faziosità e finzione. 
Ci arrivò, purtroppo, ma si mise in disparte, in un angolo, ad osservare come quell'ammasso informe di individui rideva ed ostentava allegria; solo in quei giorni, però, perchè per il resto del tempo, quando non erano insieme, si sparlavano e criticavano aspramente.
Mentre era intensa a guardare, quel tizio che non aveva mai calcolato un centesimo, un nessuno qualsiasi, le si avvicinò, le posò il palmo della mano sinistra sulla fronte e, con occhi indagatori, le infilò due dita sull'inguine destro all'altezza del colon, sussurrandole: "come sta il tuo fegato?" 
Impallidì, impressionata. Come faceva quel tizio che non sapeva nemmeno fosse un medico, ad indovinare il suo cruccio?
Passata la sorpresa, intravide, da dietro la parete, suo padre uscire curvo e nudo dal bagno mentre diceva "La mamma è ancora dentro". 
Il suo corpo era flaccido, tendente al giallognolo, il viso triste. Lei lo guardò con commiserazione mentre pensava alla mamma morta qualche tempo fa e non gli disse niente, restò zitta, non rispose. Pensò alla mamma che trascorreva tanto tempo in quel bagno strano, lunghissimo, azzurrognolo.
Con lei era finito tutto, tutto aveva perso valore e colore.

Impegnatissimo...



Sta selezionando le nuove leve per il Parlamento?

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Napolitano e il processo sulla Trattativa: se questo è un presidente… - Lorenzo Baldo

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Ormai è un dato di fatto. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sostiene di non avere “in alcun modo ricevuto dal dottor D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le ‘ipotesi’, solo ‘ipotesi’ da lui enucleate” escludendo di aver ricevuto indicazioni riguardanti il “vivo timore a cui questi ha fatto il generico riferimento nella drammatica lettera del 18 giugno”. “Né io – prosegue Napolitano nella lettera inviata ad Alfredo Montalto, presidente della Corte di Assise davanti a cui si celebra il processo sulla Trattativa – avevo modo e motivo, neppure riservatamente, di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Né mai, data la natura dell’ufficio ricoperto dal dottor D’Ambrosio durante il mio mandato, come anche durante il mandato del presidente Ciampi, ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo ed esercitavo funzioni pubbliche del tutto estranee a qualsiasi responsabilità di elaborazione e gestione di normative antimafia”. 
Bastano queste poche righe per sprofondare nel più totale disgusto. In quale altro Paese “civile” un presidente della Repubblica si arrogherebbe il diritto di rimettere in discussione la decisione della Corte di ascoltarlo in un processo che potrebbe riscrivere – come minimo – il corso della storia degli ultimi 30 anni? Le motivazioni addotte dal Capo dello Stato hanno un quid di surreale.
Davvero Napolitano ritiene possibile far credere di non essere mai stato depositario di alcun “ragguaglio” su quello che è stato molto di più di un semplice sfogo? Come è possibile credere alla versione di chi nega di aver mai approfondito i temi più inquietanti citati dal suo ex consigliere giuridico? 
“Lei sa di ciò che ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone – scriveva Loris D’Ambrosio a Giorgio Napolitano il 18 giugno 2012 –. E sa che in quelle poche pagine non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi - solo ipotesi di cui ho detto anche ad altri - quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi. Non le nascondo di aver letto e riletto le audizioni all’Antimafia di protagonisti e comprimari di quel periodo e di aver desiderato di tornare anche a fare indagini, come mi accadde oltre 30 anni fa dopo la morte di Mario Amato ucciso dai terroristi...”. 
Purtroppo, nel citato libro di Maria Falcone (Giovanni Falcone un eroe solo, ed. Rizzoli, 2012), di quegli oscuri “episodi del periodo 1989-1993” che l’hanno “preoccupato” e “fatto riflettere”, non c’è traccia, solo alcuni limitati riferimenti alla solitudine di Falcone dopo il fallito attentato all’Addaura e alle polemiche seguite alla sua prima idea di Superprocura. 
Sono forse sopraggiunti dei tagli alla bozza definitiva del manoscritto? 
D’Ambrosio millantava, o che altro? 
Certo è che la lettera di Napolitano ad Alfredo Montalto è un insulto all’intelligenza. 
E soprattutto alla giustizia. 
In un Paese “normale” il Capo dello Stato sarebbe il primo a voler contribuire al raggiungimento della verità. 
In Italia, invece, il presidente della Repubblica solleva conflitti di interesse nei confronti delle Procure che istruiscono delicatissimi processi, evita di manifestare sostegno e solidarietà verso quegli stessi magistrati minacciati di morte e soprattutto oppone un silenzio tombale quando viene chiamato a testimoniare. 
Nella speranza che il prossimo presidente non ci faccia rimpiangere quello attuale non resta che aggrapparsi alle parole di Sandro Pertini che mai come oggi vorremmo risentire al Quirinale. “Non accetterò mai di diventare il complice di coloro che stanno affossando la democrazia e la giustizia in una valanga di corruzione – aveva detto in una vecchia intervista rilasciata a Nantas Salvalaggio –. Non c’è ragione al mondo che giustifichi la copertura di un disonesto, anche se deputato. Lo scandalo più intollerabile sarebbe quello di soffocare lo scandalo”. “Io spero che i documenti dei famosi ‘pretori d’assalto’ siano vagliati con rigore. Spero che tutto sarà discusso in aula, e nessuna copertura sarà frettolosamente inventata dai padrini dell’assegno sottobanco… Mi fanno pena i magistrati e i politici che cercano di tagliare le gambe ai pretori dell’inchiesta sullo scandalo del petrolio. Dicono che sono troppo giovani: ma da quando la giovinezza è un reato? Se mai è un sintomo esaltante e meraviglioso: significa che il Paese ha una riserva di coraggio e di onestà nelle nuove generazioni”. Su quella “riserva di coraggio e di onestà” pesa oggi la grande responsabilità di continuare – nonostante tutto – a lottare e ad andare avanti. Cercando comunque la verità. Al di là che ci sia o meno un presidente reticente.

Marco Pomar





Berlusconi: "Sono arrivate dagli Usa delle carte che mi scagioneranno. Ghedini, mostra le carte ai signori."

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Marco Pomar

   

Il presidente Letta dichiara guerra alla violenza contro le donne. Il sottosegretario Guerra condivide. 
Traduzione: Letta dichiara sui giornali di volere la guerra contro la violenza sulle donne, Guerra l’ha letta e condivide la guerra di Letta. Il presidente di commissione Boccia, letta la dichiarazione sulla guerra di Letta, non condivide, e boccia la guerra, ma la dichiarazione della Guerra che condivide la guerra di Letta non l’ha letta, quindi non si sa se Boccia boccia solo la guerra di Letta o anche la guerra di Guerra, senza averla letta.


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