sabato 3 gennaio 2015

Cloruro di magnesio:il rimedio che cura praticamente TUTTO! Ma non te lo diranno mai.

cloruro di magnesio

Il cloruro di magnesio cura praticamente tutto, già si sapeva dal 1915 ma nessuno ci ha mai informato, dato il costo irrisorio perchè è uno scarto del sale.

Le sue proprietà infatti, come spesso accade, furono scoperte per caso nel lontano 1915 dal prof. Pierre Delbet , ma le case farmaceutiche hanno voluto censurare questa informazione, in quanto le proprietà benefiche del cloruro di magnesio sono talmente tante che avrebbero limitato la vendita di una grossa quantità di farmaci tale da farle fallire totalmente…
Il magnesio, la panacea per tutti i mali  o quasi, solo che ad usarlo sono veramente in pochi. Eppure, pur trattandosi di un prodotto di scarto del sale, quindi dal costo irrisorio, il cloruro di magnesio è in grado di risolvere una gran quantità di malanni, trattandosi di un elemento fondamentale per la vita di oltre 300 enzimi, e quindi anche per l’organismo. Le sue proprietà, come spesso accade, furono scoperte per caso nel lontano 1915 dal prof. Pierre Delbet che, da allora, ha dedicato buona parte della sua attività professionale a trovare sempre nuovi utilizzi per questa sostanza a dir poco sorprendente. Il professore in questione, utilizzando per la prima volta una soluzione di cloruro di magnesio per lavare le ferite, si accorse che non solo queste guarivano più in fretta, ma i tessuti non subivano alcun tipo di danno.
Ed ecco quindi che, con il tempo, il prof. Pierre Delbet si rese conto che il cloruro di magnesio era in grado di curare una gran quantità di mali, anche semplici acciacchi e, non solo, visto che riusciva anche a ridurre l’incidenza di alcune malattie. L’elenco è lunghissimo e va dalla cura dell’epilessia, alla distrofia, sclerosi, poliomielite, tumori, asma, bronchite cronica, broncopolmonite, enfisema polmonare, pertosse, raucedine, affezioni intestinali, malattie cervicali, tensioni muscolari, artriti, sciatiche, dolori ai muscoli, calcificazioni, osteoporosi, depressioni, ansie, paure, mali di testa, febbri, fuoco di sant’Antonio, orticarie, tetano, rabbia, parotite, rosolia, morbillo e numerose altre malattie dell’infanzia.
Le incredibili proprietà terapeutiche del cloruro di magnesio
Esiste un sale bianco che ha del magico: è il cloruro di magnesio, una soluzione tutta naturale per prevenire e curare moltissimi disturbi, ma anche tonificare e depurare l'organismo in modo efficace ed economico. Serve a tutti: grandi e piccini, piante e animali. Non ha controindicazioni, si acquista in farmacia senza ricetta medica e si prepara da soli. Luigi Mondo ripercorre la storia e gli usi di questo rimedio e illustra moltissime ricette per la salute e il benessere a base di cloruro di magnesio, da solo o abbinato ad altri rimedi naturali, come oli essenziali, infusi e decotti d'erbe.

Putin non vuole la guerra e fa di tutto per evitarla.Ecco il VIDEO censurato che lo dimostra.

putin russia usa guerra obama

Ecco un video governativo trasmesso sulle tv russe che in Europa non ci faranno mai vedere! E’ la dimostrazione lampante che Obama e la Merkel sono gli artefici dell’innesco di una sempre più probabile 3^ guerra mondiale, e noi, come i soliti caproni che seguirono i nazisti, ci stiamo schierando dalla parte sbagliata ancora una volta.



Mentre Putin sta facendo di tutto per evitare la guerra (l’esatto contrario di ciò che vogliono farci credere le nostre tv e i nostri cari giornalisti). Infatti nel video il governo russo spiega al suo popolo la verità, rivelando per filo e per segno i motivi del comportamento degli Usa nei loro confronti e il perchè hanno bisogno di una guerra contro la Russia per rimettere in piedi la loro economia. Inoltre il governo invita il popolo a restare compatto in modo da non trascinare la Russia verso la guerra.

http://jedasupport.altervista.org/blog/esteri/putin-non-vuole-la-guerra-obama/?utm_campaign=UpCloo&utm_medium=inline-grey&utm_source=it-ti76NZtoy-jedasupport.altervista.org&doing_wp_cron=1420304786.4250340461730957031250

Ecco chi sono IN REALTA’ Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. - AuroraSito

Vanessa e Greta rapite, video su YouTube. Jihadisti al-Nusra: “Le abbiamo noi”
Nella foto SOTTO uno dei due soldati siriani della 93.ma Brigata sequestrati dagli islamisti, ovvero dai fidanzatini delle due odalische d’Italia, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, per le quali ci apprestiamo a pagare un salatissimo riscatto. Dopo che i terroristi assassinarono il primo soldato, chiesero al secondo di dire che “Lo Stato islamico è eterno”. Invece, prima di essere ucciso con un colpo alla testa, questi ha risposto: “Giuro su Dio che vi annienteremo!”. I soldati siriani sanno che tra il massacro del loro popolo e la distruzione della Siria ci sono solo loro, ma vediamo chi sono invece veramente le nostre due eroine…
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Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono le ‘cooperanti’ filo-islamiste scomparse il 1 agosto nella provincia di Aleppo, in Siria, dopo essere state infiltrate dai servizi segreti italiani e turchi in territorio siriano. La Farnesina, ovvero il ministero degli Esteri italiano, al solito sproloquia di “progetti umanitari nel settore sanitario e idrico” seguiti dalle cooperanti. In Siria e in una zona bellica? Le due ‘cooperanti’ operano assieme a Roberto Andervill, dell’IPSIA Varese, ONG delle ACLI, che dopo essersi distinto in Bosnia e Kosovo, dove la presenza islamista è notevole, è divenuto un attivista a favore della “Rivoluzione antigovernativa”.
BERSANI CONTRO ASSAD
Con Marzullo e Ramelli ha creato il progetto Horryaty (“per servizi idrici, sanitari e culturali” da sviluppare in Siria, a credergli) e per cui si sono infiltrti nell’area rurale di Idlib dalla Turchia, accompagnati dai terroristi che affliggono la Siria e con l’evidente supporto dei servizi d’intelligence italiani e turchi, (ovvero della NATO). Andervill, a conferma dei sospetti, il 7 agosto ha chiuso la pagina facebook del progetto Horryaty proprio quando due suoi elementi sono ‘scomparsi’.
Strane le affermazioni del soggetto: “E’ lei che ha mandato le due ragazze in Siria? “Assolutamente no. Intanto chiariamo una cosa: Horryaty non è un Organizzazione Governativa o una Onlus. E’ semplicemente un gruppo di tre persone che hanno a cuore un paese e hanno deciso di fare qualcosa per aiutarlo”.” Quindi? Una comitiva per una scampagnata, o qualcos’altro d’incofessabile? Tale presa di distanza suscita solo ulteriori sospetti.
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Come si può notare l’IPSIA godeva della fattiva collaborazione dell’Associazione della Comunità Araba Siriana in Italia, una bella congrega di farabutti vicina al PD della quale abbiamo già parlato in altre occasioni su Informare e che ritroveremo più avanti ma proseguiamo con la vicenda delle due vispe terese.
Già in precedenza Vanessa Marzullo aveva compiuto un rapido viaggio nella Siria assediata e martirizzata dagli stessi criminali che l’accompagnavano. Il 6 aprile era a Homs, il 22 a Duma, centinaia di chilometri più a sud, presso Damasco.
Tutto ciò è impossibile senza l’appoggio delle intelligence dei paesi interessati e dei terroristi operanti in Siria: “Come avete fatto a entrare in Siria? Lei era il più esperto del gruppo, è stato a Gaza, in Bosnia. Chi ha trovato in contatti per passare il confine?”
“Certo, non siamo entrati da soli. Ci ha aiutato un gruppo di persone conosciute prima di partire, persone fidate. Abbiamo anche lavorato con altre associazioni italiane come We are Onlus e Rose di Damasco. Siamo sempre stati tutti e tre consapevoli dei rischi che correvamo e ci siamo organizzati in modo da passare il confine solo quando è strettamente necessario. Non siamo degli stupidi”.
Già, Rose di Damasco, sulla relativa pagina facebook si legge: “MATERIALI RACCOLTI VENGONO PORTATI IN SIRIA ATTRAVERSO I NOSTRI AMICI SIRIANI e da SEGRATE CON CONTAINER poi ritirati e distribuiti in Siria da nostri contatti locali. Altre associazioni fidate che si occupano della Siria in Italia: Comunità araba siriana in Italia, We are, Insieme si puo’ fare, Onsur.it, Ossmei, Auxilia italia, il Cuore in Siria (ovvero Time4life), Insieme per la Siria Libera”.
Tutte associazioni promosse dall’universo dell’umaninitarismo pronta cassa cattocomunista: Arci, Acli e pretonzoli vari alla padre Dell’Oglio non mancano; ma qualcuna riesce ad essere anche più inquietante: l’ONG “Il Cuore in Siria è un progetto di solidarietà che nasce da un incontro di cuore fra Claudia Ceniti, milanese, bancaria, Paola Francia, giornalista freelance di Forlì e Pietro Tizzani, funzionario dell’Arma dei Carabinieri con esperienza in Kosovo”, anche qui il Kosovo (e i servizi d’intelligence, cos’altro è un ‘funzionario dei carabinieri’?) fa curriculum per infiltrarsi in Siria, per ‘scopi umanitari’. Sempre sulla pagina facebook di Rose di Damasco, si può leggere tale frase inequivocabile: “CONDANNIAMO IL REGIME DI ASSAD E SUOI ALLEATI IRAN E RUSSIA, COMPLICE SILENZIO MONDIALE E LA DISINFORMAZIONE. CHIEDIAMO LA FINE DEL REGIME ASSASSINO, CHIEDIAMO CHE SIA SALVAGUARDATA L’UNITÀ NELLA MOLTEPLICITÀ DEL PAESE E CHIEDIAMO CORRIDOI UMANITARI PER I RIFUGIATI E GLI AIUTI.”
In sostanza Rose di Damasco è un’organizzazione militante che affianca il terrorismo attivo e operativo in Siria, auspicando perfino l’intervento armato diretto della NATO contro la Repubblica Araba Siriana (i cosiddetti ‘corridoi umanitari’).
rapite
A fine luglio le notre due eroine Ramelli e Marzullo vengono infiltrate nel governatorato di Aleppo. “Il 30 luglio (Ramelli) ha mandato un messaggio su facebook a una decina di amici, in realtà è la terza volta che si reca in Siria. Doveva stare solo una settimana, ma ci ha comunicato che aveva deciso di fermarsi ancora perché si sentiva più utile sul campo. A Varese e Milano organizzava incontri per la raccolta fondi, perché è qui che ha fondato con la sua amica questa organizzazione. In questi mesi ha fatto un lavoro splendido. Ci chiedeva di comprare latte in polvere, materiale medico e altro. Rispetto alle modalità con cui operava, sappiamo che arrivava in Turchia portando i soldi della raccolta fondi e poi entrava da una frontiera di quel paese”.
La Farnesina ovviamente trova normale e auspicabile infiltrare cittadini italiani in territorio straniero, per di più sotto il controllo di organizzazioni terroristiche riconosciute come tali a livello mondiale. Riguardo ai servizi segreti (le cosiddette ‘intelligence & sicurezza’), chiaramente partecipano in prima linea a tale guerra di quarta generazione contro il popolo e le autorità siriane. Per il resto, non c’è alcun dubbio che il progetto ‘umanitario’ Horryaty sia una delle infinite attività di fiancheggiamento del terrorismo che affligge la Siria.
Ma andiamo a conoscere meglio gli amichetti delle nostre due suffragette….
Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, nella prima foto in alto, presa durante una manifestazione antisiriana, reggono un cartello su cui è scritto: “Agli eroi di liwa Shuhada, grazie per l’ospitalità e se Dio vuole vedremo la città di Idlib libera quando ritorneremo”.
Liwa Shuhada…ma cos’è l‘Itihad Liwa Shuhada Badr (Unione dei battaglioni dei martiri di Badr)? Il suo capo è Qalid bin Ahmad Siraj Ali (alias Qalid Hayani). Il gruppo è dedito a saccheggi e altri crimini contro i civili nella provincia di Aleppo. La liwa Shuhada Badr controlla due centri di tortura soprannominati “Guantanamo” e “Abu Ghraib”, dove detengono avversari politici, militanti baathisti e civili rapiti nei quartieri settentrionali di Aleppo. La liwa Shuhada Badr è attivamente impegnata nella lotta contro la locale popolazione di origine curda, ed è nota per l’uso dei famigerati “cannoni inferno”, armi che lanciano grosse bombole di gas caricate di TNT, utilizzate contro i quartieri filo-Baath di Aleppo. Ad aprile, una coalizione di attivisti siriani per i diritti civili di Aleppo aveva definito Hayani un “macellaio” avendo bombardato i civili, incoraggiato i suoi uomini a violentare le donne e i prigionieri, per aver saccheggiato e distrutto le industrie, laboratori e negozi di Aleppo per venderne il materiale alle imprese turche. La liwa Shuhada Badr controllava parte dei quartieri settentrionali di Aleppo Shayq Maqsud, Bani Zayd, al-Qaldiya e Ashrafiya e dispiega parte dei suoi circa 3000 islamisti oltre che ad Aleppo anche a Hayan, Bayanun e Haraytan. A giugno, il gruppo terroristico ha bombardato i quartieri occidentali di Aleppo, filo-governativi, in risposta alle elezioni presidenziali siriane.
Le due ragazze sono vicine anche ad organizzazioni come ‘Un esercito unificato per ripristinare la rivoluzione‘, emanazione del Fronte islamico, le cui iniziative hanno questo tenore: “il PYD è criminale quanto i criminali del partito Bath”“. Il PYD è il maggiore partito della minoranza curda in Siria, che ha una notevole presenza ad Aleppo. Come visto, i curdi sono oggetto degli attacchi della brigata taqfirista di Hayani, cui le due rapite (e viciniori) esprimono entusiastico supporto e sostegno. In sostanza, le ONG italiane o attive in Italia, con la copertura dei servizi segreti (italiani e turchi), della Farnesina e di altri organismi delle ‘autorità italiane’ (scusate l’ossimoro), supportano attività, in Italia, che sarebbero vietate dalla legge Mancino.
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Ma non finisce mica qui…
La ‘cooperante’ Vanessa Marzullo si felicita per le imprese dei terroristi di al-Nusra
Vanessa Marzullo, 10 giugno 2014:
‪#‎Homs‬ – Il 3 giugno, i rivoluzionari hanno preso d’assalto il villaggio di Um Sharhsouh, 10 km a nord della città di Homs e 2 chilometri a ovest della strada M5 (la principale ad unire nord-sud), conquistando il punto più alto del paese, la fortezza di Um Sharshouh. Da allora, guidati da Jabhat a-Nusra, Ahrar al Sham e altri battaglioni, hanno preso controllo del 60% del paese, sottraendo al regime diversi depositi di armi.
La battaglia per Um Sharshouh è parte di una campagna militare della zona periferica settentrionale, dove i ribelli mantengono il controllo di alcune zone: Rastan e Talbise; al-Hula e Dar al-Kabira a ovest.
Osama Abu Zeid, attivista di 23 anni di Homs, spiega perchè alcuni dei rivoluzionari della città vecchia di Homs si sono tirati fuori dagli scontri.
* Qual è l’importanza di Um Sharshouh?
La sua posizione geografica. Si trova su una collina che domina il resto dei villaggi che vogliamo liberare. Ha una fortezza, il castello Um Sharshouh – il cui controllo è fondamentale per le battaglie.
La maggior parte dei shabiha, miliziani governativi, erano al suo interno.
* Le brigate vogliono riprendere il controllo di Homs? Hanno obiettivi a lungo termine?
Quello che sta accadendo nel nord non ha alcun legame con la battaglia per riconquistare Homs, al punto che non tutti i battaglioni che hanno lasciato la città stanno partecipando. Questi battaglioni sono stati intenti a unificare i loro ranghi, al fine di riprendere il controllo della città.
* Qual è l’obiettivo della battaglia per Um Sharshouh, e cosa è accaduto fino ad ora?
L’obiettivo è liberare un gruppo di villaggi controllati dal regime: Um Sharshouh, Kufr Nan e Jabourin. Quei villaggi separano Talbise e Rastan da al Houla.
Se questi villaggi vengono conquistati, l’Esercito Siriano Libero sarà sul punto di controllare la via di rifornimento del regime per la costa: l’autostrada Homs-Tartous.
Fino ad ora i ribelli hanno preso il controllo di una parte di Um Sharshouh, tra cui il castello della città – una delle parti più importanti della battaglia.
Queste le sue parole e queste nella foto le “opere” dei suoi amichetti bisognosi di “cooperazione”:
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Ma veniamo ai “fatti” di casa nostra
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Insieme alla piccola e felice vispa teresa cerchiata in rosso, l’uomo all’estrema sinistra è Haisam Saqan (Abu Omar) La tizia che fa la V di vittoria si chiama Nawal Soufi, attivista antisiriana di origine marocchina. Forse tale origine le permette di divinare sempre i carichi di immigrati clandestini che sbarcano in Sicilia, dove lei opera? Digos e servizi segreti italiani, tacciono, acconsentono e proteggono.
E le due farfalline si occupano infatti anche dei flussi migratori, con i quali arriva qui DI TUTTO
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“…ci sarebbe il concreto rischio di terroristi siriani infiltrati, che approfittano delle maglie larghe connesse all’Operazione Mare Nostrum per entrare indisturbati nel nostro Paese. … La Sicilia colabrodo, dunque, potrebbe costituire un facile varco d’ingresso per i terroristi dell’Isis, confusi tra la folla dei migranti. Per non parlare di quelli già presenti. Molti sono italiani, altri sono invece immigrati di seconda generazione. Sono duecento e vivono tutti in Italia. Sarebbero stati addestrati nei campi paramilitari in Afghanistan, in Pakistan e in Iraq e adesso sono rientrati in Italia, dove conducono apparentemente una vita normale, senza dare particolarmente nell’occhio. Sono i terroristi islamici di casa nostra, per la maggior parte italiani, addestrati militarmente nelle fila degli integralisti, che avrebbero il ruolo di agire per il reclutamento nel nostro Paese. …
E non è tutto, perché sarebbero invece una cinquantina gli italiani già partiti per Siria e Iraq, che si sarebbero uniti alle milizie jiahidiste dell’Isis, i tagliatori di teste, per intenderci, che impongono la severa legge islamica assassinando tutti coloro che ritengono infedeli o apostati. La notizia più eclatante, qualche tempo fa, è stata quella di un 25enne di Genova, morto fra i miliziani dell’Isis in Siria, mentre combatteva per l’Islam più integralista. … Le preoccupazioni vengono confermate, poi, anche dal direttore dell’Ufficio Antiterrorismo, Lamberto Giannini, … che sottolinea come insieme a persone che hanno già combattuto su altri fronti (come quello afghano), il contagio fondamentalista stia coinvolgendo anche giovani, spesso incitati grazie al web e convertitisi all’Islam in modo rapido e improvviso.” Repubblica
Ed eccolo qui il nostro eroico Haisam Saqar, alias Abu Omar, ripreso in alcuni momenti del suo lavoro…
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Nel 2012 …”Haisam, dopo aver partecipato alle manifestazioni per la liberazione della Siria a Milano e Varese (le stesse durante le quali si conoscono anche le nostre due ragazze volontarie rapite agli inizi di agosto, Vanessa e Greta). Prima Haisam diventa tra i leader più attivi del Coordinamento siriani liberi di Milano. Nelle manifestazioni è sempre in prima fila, spinge, incoraggia gli altri. Poi prende parte all’assalto all’ambasciata siriana a Roma, nel febbraio 2012. Un video su YouTube lo mostra mentre arringa i compagni. Ed è a quel punto che gli inquirenti iniziano ad interessarsi a lui. Si becca una denuncia, viene condannato all’obbligo di firma. E’ esasperato, sul suo profilo Facebook “Haisam Siria” (ora disattivato), i messaggi si fanno sempre più radicali. All’inizio se la prende con il regime. «Il mio piede schiaccia gli alawiti – Dobbiamo bruciare gli alawiti», scrive rivolgendosi al presidente siriano Assad (alawita). Denuncia le torture e i patimenti del popolo siriano, niente di più niente di meno di quanto non facciano tanti suoi connazionali stanchi di assistere ai massacri. Poi, gradualmente, i post diventano sempre più violenti. … All’incirca nella primavera del 2012 parte per la Siria. Probabilmente passa dalla Turchia, via Gaziantep. Poi al campo profughi di Killis. Lo stesso percorso seguito da Giuliano del Nevo, che si è arruolato tra le file di Isis. In un messaggio postato su un’altra pagina Facebook , si legge: «ll nostro fratello Haisam che ha deciso di lasciare Milano per unirsi all’esercito Siriano Libero». Haisam, dunque, sembra essere finito tra le file dei ribelli del Free Syran Army. Quando mette piede in Siria di Isis ancora non si parlaSulla sua pagina Facebook però inizia a comparire anche la bandiera nera dei gruppi jihadisti nei quali alcuni dei ribelli, stanchi delle sconfitte, stanno confluendo. Più che di Isis, sembra trattarsi dial-Nusra, vicina ad al-Qaida ma meno organizzata e feroce di Isis. Ed è a quel punto che Abu Omar spunta nel videodel New York Times. Di lui, poi si perdono le tracce.
Ora, mentre la procura di Milano riapre il fascicolo a suo nome per indagare su reati di terrorismo internazionale (in Italia arruolarsi in milizie straniere non è considerato reato, mentre lo è reclutare e fare adepti, secondo l’articolo 270 quinquies che prevede l’arresto per chi pratica attività di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale), l’attenzione sulla presenza di jihadisti e reclutatori nel nostro paese si alza. Ma non basta. Corriere della Sera
Il nostro Governo comincia a preoccuparsi, mentre i media fanno la gara a chi è più incosciente
L’ebetino Gad Lerner intervista il terrorista Haisam Saqan sul modo migliore di esportare la ‘democrazia’ in Siria
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“Secondo alcune indiscrezioni filtrate dal governo ci sarebbe una certa irritazione per il tardivo apprendimento di alcune operazioni di intelligence sia nella zona siriana che in quella libica, e anche per una sottovalutazione da parte dell’AISE di quel che stava avvenendo a Tripoli e Bengasi. Ma il caso che più preoccupa il governo è stata la scelta dei servizi segreti italiani durante il 2013 di seguire acriticamente senza che risulti né autorizzazione preventiva né adeguata informativa le direttive di altri servizi- soprattutto quelli americani- nell’area siriana.
Un particolare sembra inquietare il governo in questo momento: la scelta dell’intelligence italiana, che in quell’area calda aveva una struttura già depotenziata da qualche anno, sarebbe stata quella di aiutare in ogni modo il fermento della rivolta nei confronti del presidente siriano Bashar al Assad. La linea certo è stata simile a quella di altri servizi occidentali, e le operazioni sul territorio non dissimili da quelle scelte dagli stessi americani. Dall’Italia secondo la ricostruzione che si sta ultimando proprio in queste ore sarebbero partiti addestratori militari specializzati nelle tecniche di guerriglia destinati in particolare a due campi organizzati, uno in territorio turco e l’altro ai confini della Giordania. Lì sarebbero stati addestrati proprio dagli italiani alcuni combattenti – anche miliziani qaedisti- che successivamente sono andati ad ingrossare le fila dell’ISIS, rendendosi protagonisti anche di alcune azioni (come i rapimenti) di cui sono stati vittima cittadini occidentali, e perfino italiani. Un errore strategico (visti gli avvenimenti successivi) di questo tipo è stato compiuto dagli stessi americani, con una differenza tecnica non da poco: per ogni miliziano addestrato gli americani hanno raccolto i dati biometrici (impronte digitali, dna, iride etc…), l’intelligence italiana no. Con il risultato che gli americani hanno tracciato i miliziani da loro addestrati, e quindi sono in grado di rintracciarli e identificarli. Gli italiani no”. Analisi Difesa
Elisa Fangareggi con il prof. Fausto Pocar, presidente dell'International Institute of Humanitarian Law
Elisa Fangareggi con il prof. Fausto Pocar, presidente dell’International Institute of Humanitarian Law 
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Elisa Fangareggi con l’ambasciatore della NATO Stefano Stefanini.
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In relazione al paragrafo qui sopra, sulle operazioni dei servizi segreti italiani contro la Siria, va rilevata un’altra organizzazione filo-taqfirista, che s’infiltra in Siria sotto mentite spoglie umanitarie: l’ONG Time4life, che, guarda caso, ha una base operativa in Turchia, a Kilis nel paese da cui s’infiltrano migliaia di squadroni della morte taqfiristi per devastare la Siria e danneggiare il suo popolo. Come al solito, anche tali ‘cooperanti’ operano tranquillamente in un territorio controllato dai servizi segreti della NATO, italiani, turchi, qatarioti e le verie organizzazioni terroristiche islamiste.
Ma questo non è un caso, poiché sebbene si proclami associazione “nata con l’obiettivo di raccogliere donazioni di denaro, cibo, medicinali, abiti e beni di prima necessità da destinare ai bambini in difficoltà, da quelli in Siria, colpiti dalla guerra, a quelli del Nicaragua e della Romania…” é l’ennesima copertura atlantista per interferire negli affari interni della Siria “…al centro dell’attenzione internazionale dopo lo scoppio della rivolta del 2011 trasformatasi ben presto in una sanguinosa guerra civile (Per magia, verrebbe da pensare. NdAL): gli aiuti vengono raccolti in Italia e distribuiti dai volontari dell’Associazione alla popolazioni nei campi profughi allestiti in territorio siriano o sfollati nei paesi confinanti (in principal modo nel comprensorio di Kilis, Turchia)”, già.
E se fossi nei panni del Presidente Ortega, mi preoccuperei, poichè questa ambigua associazione è presente anche in Nicaragua, a Chinandega, dove “sono stati avviati alcuni progetti a sostegno dell’infanzia, dal punto di vista educativo e scolastico”. Il Nicaragua ritorna alla ribalta mondiale grazie alla costruzione cinese di un nuovo canale interoceanico, irritando gli USA per la concorrenza al canale di Panama, saldamente controllato da Washington. In relazione, ogni mossa volta a preaparare il terreno all’enneisma primavera colorata, è ben gradita ai burattinai del Pantagono e di Langley. Responsabile di Time4life è tale Elisa Fangareggi, la quale tra un’invettiva contro la Siria baathista e una scappata in Nicaragua, ha il tempo di frequentare esponenti e dirigenti della nota associazione umanitaria North Atlantic Treaty Organization (NATO).
Gli aiuti e i finanziamenti pretesi da tali pseudovolontari per le loro finte missioni umanitarie, sono solo una copertura per occultare delle vere e proprie operazioni d’intelligence e di supporto al terrorismo contro la Siria e il suo popolo. Chi fornisce denaro a tali pseudo-ONG, mere organizzazioni di copertura dei servizi segreti della NATO, finanzia il terrorismo e lo stragismo in Siria, che producono quelle stesse vittime che tali oscene organizzazioni sfruttano per racimolare denaro, usurpandolo al popolino di creduloni irretiti dalla propaganda imperialista. E il bello è che la Fangareggi, amicona di generali e ammiragli della NATO, viene spacciata come “…giovane madre di Modena che lotta per salvare i bambini siriani...”, come sicuramente vengono presentati i figuri di quest’ennesima operazioni d’infiltrazione made in Germany, ma collegata sempre aTime4life: 3433 – The Road to Syria, di Action Syria, associazione di Berlino per finanziare progetti ‘umanitari’ in Siria, e i cui responsabili hanno tutti le stimmate di agenti della Guerra psicologica (PsyWar) contro la Repubblica Araba di Siria: Thomas Rassloff fotogiornalista da 12 anni in Medio Oriente, da Israele all’Afghanistan, e Björn Kietzmann, fotogiornalista che nel 2013 s’infiltrò in Siria tramite le linee di rifornimento dei terroristi islamisti che occupavano Aleppo, per diffondere propaganda antisiriana e condurre la guerra psicologica a sostegno del terrorismo islamo-atlantista e contro il governo socialista di Damasco.
Questo è dunque il sottobosco dove le due ragazzotte si muovevano, fino a qual punto manipolate o consapevoli è tutto da stabilire. Ma si tratta di un ambiente assai infido e tutto a questo punto è possibile. Anche che vengano sacrificate….
Questo è il tracciato del viaggio di Vanessa Marzullo nella Siria martirizzata dalla guerra islamo-atlantista. No Alpitour?
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venerdì 2 gennaio 2015

Tra arresti, indagini e voti scomparsi l’annus horribilis di Forza Italia. - Giuseppe Pipitone

Tra arresti, indagini e voti scomparsi  l’annus horribilis di Forza Italia

L’arresto per traffico d’armi dell’ex deputato Romagnoli, la condanna definitiva del fondatore Dell’Utri, catturato in Libano, la decadenza da parlamentare e cavaliere del leader Berlusconi: un anno nero per i principali esponenti forzisti. E nel frattempo le manifestazioni del partito azzurro falliscono miseramente anche in Sicilia, l’isola simbolo del successo berlusconiano lungo vent’anni.

L’ultima istantanea è del 6 dicembre scorso, a Palermo, al cinema Arlecchino. Sala semivuota, Gianfranco Miccichè che arringa una platea composta da qualche simpatizzante, un paio di giornalisti e decine di sedie vuote. Passano pochi giorni e a Podgorica, in Montenegro, finisce in manette Massimo Romagnoli, ex deputato di Forza Italia: è accusato di traffico d’armi a favore delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie colombiane. Romagnoli è stato eletto deputato nel 2006 nella circoscrizione estero ma è nato a Capo d’Orlando, in Sicilia, l’isola del tesoro per Forza Italia fin dal 1994, anno in cui, secondo i pm che indagano sulla Trattativa Stato mafia, Marcello Dell’Utri sigla il nuovo patto con Cosa Nostra: da quel momento la mafia va a votare in massa per il partito di Silvio Berlusconi, al governo per undici degli ultimi vent’anni.
Oggi, due decenni dopo, lì dove tutto era cominciato, dove Forza Italia nasceva ed in pochi mesi arrivava a conquistare la guida del Paese, in quell’isola diventata simbolo dello strapotere berlusconiano col 61 a 0 del 2001, sembra che del partito creato da Dell’Utri sia rimasto ben poco. Perfino l’epitaffio lo regala un forzista di ferro. “Più che una manifestazione di partito sembrava una riunione di condominio: Sinceramente ho provato un po’ di vergogna” diceva sconsolato il deputato regionale Vincenzo Milazzo dopo la convention del dicembre scorso. Di Forza Italia insomma non restano che i cocci: lontani i fasti degli anni ’90, con le manifestazioni variopinte affollate da migliaia di persone che intonavano l’ormai storico inno di partito. Sono ridotte in bianco e nero le sfavillanti immagini del 2001 con gli azzurri guidati sempre da Miccichè capaci di conquistare tutti i 61 seggi siciliani alle elezioni politiche. In archivio è finito persino il colpo realizzato nel febbraio del 2013 con il premio di maggioranza al Senato incassato in Sicilia dal Pdl. Nel 2014 la parabola di Forza Italia è definitivamente precipitata. Una caduta che ha avuto il suo epicentro in Sicilia, ed è parallela alle vicissitudini giudiziarie dei suoi principali leader: come se l’elettorato fosse evaporato via via che gli esponenti principali finivano in manette, condannati in via definitiva o in carcere.

Decaduto da parlamentare e cavaliere il leader storico, l’ex premier Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale dopo vent’anni di prescrizioni e assoluzioni, costretto all’umiliante affidamento ai servizi sociali. Rinchiuso nel carcere di Parma, dopo una latitanza fallita in Libano, l’ideatore del partito, quel Marcello Dell’Utri partito da Palermo per conquistare Milano, e quindi riconosciuto, secondo la sentenza definitiva che nel maggio scorso lo ha condannato a sette anni di detenzione per concorso esterno, come l’uomo cerniera tra Cosa Nostra e Berlusconi. Ma non sono soltanto i due principali volti di Forza Italia ad essere stati colpiti da una condanna. Anche per Franco Mineo il 2014 è stato un anno terribile: leader storico degli azzurri a Palermo, fedelissimo di Miccichè, poi passato con lui in Grande Sud, Mineo si è visto infliggere dal tribunale una condanna a 8 anni e due mesi di carcere: tre anni e due mesi di pena arrivano per peculato, perché avrebbe usato indebitamente un’auto del comune, cinque anni, invece, arrivano per intestazione fittizia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra, per i giudici è il prestanome del boss Angelo Galatolo. Condannato in appello finisce anche Alberto Acierno, ex deputato nazionale e regionale di Forza Italia, accusato di essersi appropriato di circa 150 mila euro della Fondazione Federico II, che il 10 dicembre del 2014 si vede infliggere una condanna a sei anni e sei mesi per peculato. Libero e fuori dalle indagini giudiziarie è rimasto soltanto Miccichè, che è tornato stabilmente nell’ovile berlusconiano. Solo che nel frattempo quell’ovile si è svuotato: tra indagati, detenuti e condannati, a cantare “meno male che Silvio c’è” non è rimasto quasi più nessuno. Solo Micciché appunto, ultimo generale di un esercito a corto di soldati e di voti, che dai fasti del 61 a zero è riuscito persino a farsi soffiare il seggio da europarlamentare alle ultime elezioni di maggio dal sardo Salvatore Cicu. Che manco a dirlo è finito anche lui indagato nel 2014: per la guardia di finanza sarebbe socio occulto del clan camorristico dei casalesi nella Turicost, società proprietaria dell’hotel S’incantu di Vissasimius, in Sardegna. Soltanto l’ultimo dei forzisti finiti al centro di un’inchiesta mentre il partito da un milione di posti di lavoro, che nel 1994 raccoglieva percentuali d’acciaio, si sta sciogliendo come neve al sole.

Prigione dorata solo per finta. Al Quirinale si vive nel lusso tra benefit e residenze esclusive. - Massimo Malpica




I nove anni di Re Giorgio presentati come un sacrificio. Dimenticando un incarico tra comodità e privilegi. 

Roma - È vero che nessuno dovrebbe essere costretto a lavorare alla soglia dei 90 anni, ma Giorgio Napolitano al Quirinale non è esattamente paragonabile a un operaio «condannato» a lavorare in fabbrica a vita.
Il capo dello Stato «stanco» si prepara a dare le dimissioni seguendo le orme di Ratzinger dall'altro lato del Tevere, ma per quanto sia comprensibile il suo desiderio di ritirarsi a vita privata, di certo la sua lunga permanenza al Colle non è stata proprio una pena da scontare alla Cayenna. Dalla sua elezione a maggio 2006 fino a oggi, Re Giorgio - sottratto alla dura legge del consenso a cui non sfuggono gli altri politici - ha ricevuto e incaricato cinque diversi premier. Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi sono tutti passati a giurare per il Colle. I governi passavano uno dopo l'altro e lui restava al suo posto al Quirinale, punto di riferimento politico, faro del potere. Entrato in politica nel 1953 con la prima elezione a Montecitorio, dopo 62 anni il quasi novantenne presidente della Repubblica è ancora in gioco. Anche se «costretto» finora a rinunciare alla pensione, e con vitalizi e indennità accumulate nella sua lunga carriera sospese «per dare il buon esempio», Napolitano ha comunque potuto contare negli ultimi otto anni su un dignitoso «stipendio» da 239mila euro l'anno, al quale vanno naturalmente aggiunti i benefit retaggio della prima carica dello Stato.
A cominciare da una «casa» di tutto rispetto (il Quirinale, la cui macchina costa alle casse dello Stato 228 milioni di euro l'anno, ossia circa 26mila euro ogni ora) con migliaia di dipendenti, lussuose automobili di rappresentanza e due residenze esterne sempre a sua disposizione. La tenuta presidenziale di Castelporziano - quasi 6mila ettari sul litorale romano - a un tiro di schioppo dal Colle, dove lo scorso 29 giugno il capo dello Stato ha festeggiato «in famiglia» il suo 89esimo compleanno. E - nella sua Napoli - la neoclassica Villa Rosebery, 66mila metri quadri di proprietà affacciati sul mare che bagna l'esclusiva Posillipo. E soprattutto, dopo 60 anni trascorsi in politica, Re Giorgio - undicesimo e dodicesimo presidente - esercita ancora il Potere. E il potere è un elisir antilogoramento, come amava ripetere un altro grande vecchio della politica tricolore, Giulio Andreotti. Per molti, Napolitano quel potere lo ha esercitato anche oltre i confini naturali del suo incarico, ridisegnando di fatto le funzioni del Capo dello Stato. Arbitro delle faccende di Palazzo, più che taglianastri come molti suoi predecessori, regista politico dove altri invece avevano picconato o lanciato «moniti», infine acclamato come salvatore della Patria al momento di accettare il suo secondo incarico dopo la fine del primo settennato, primo caso nella storia della Repubblica. E persino adesso che è al passo d'addio, Napolitano non si limita ai saluti ma detta ancora le priorità dell'agenda politica. È stanco, come è normale che sia guardando la sua carta d'identità. Ma è stanco per sua scelta, non è capo dello Stato in virtù di una condanna definitiva: la sua permanenza al Colle si interromperà quando sarà lui a deciderlo. Il Quirinale non è Sant'Elena. E Re Giorgio, a differenza di Napoleone, se è prigioniero lo è solo di se stesso.

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martedì 30 dicembre 2014

LA RUSSIA, VISTA DALL’INTERNO. - DI GEORGE FRIEDMAN


La settimana scorsa sono stato a Mosca, arrivando lì alle 4,30 del pomeriggio dell’ 8 dicembre.  A quell’ora a Mosca è già scuro e in questo momento dell’anno il sole non sorge fino alle 10 del mattino seguente, il cosiddetto periodo dei Giorni Bui  vs. Notti Bianche. Per chiunque abituato a vivere in aree equatoriali, questo è destabilizzante. E’ il primo segno che non solo ti trovi in un paese straniero, cosa a cui personalmente sono abituato,  ma anche in un ambiente straniero.   Tuttavia,  mentre ci dirigevamo verso il centro di Mosca, a più di un’ora di macchina, il traffico, i lavori stradali: tutto ci sembrava familiare.

Mosca ha tre aeroporti e noi siamo atterrati in quello più distante dal centro città, il Domodedovo — il primo aeroporto internazionale.  A Mosca ci sono continui lavori di ristrutturazione edilizia e stradale e anche se questo rallenta molto il traffico,  è un segno di prosperità, almeno nella capitale.
Il nostro ospite ci accoglie e ci mettiamo subito al lavoro cercando di stabilire tra noi un contatto scambiandoci riflessioni sugli eventi della giornata. Lui ha passato molto tempo negli Stati Uniti ed era molto più familiare con le sfumature della vita americana di quanto io fossi di quella russa. Di questa, poi, era padrone assoluto, traducendomi il suo paese sempre con uno slancio da patriota russo, quale egli è. Abbiamo parlato in macchina, girando per la città, andando sempre più a fondo nelle nostre conversazioni.
Da lui, e da scambi avuti con esperti russi sulla maggior parte delle regioni del mondo - studenti presso l'Istituto di Relazioni Internazionali - e con una manciata di comuni cittadini di Mosca (non alle dipendenze di enti pubblici impegnati nella gestione estera e negli affari economici della Russia), ho avvertito molte preoccupazioni. Che mi aspettavo, ovviamente.  Quello che non mi aspettavo, invece, era l’enfasi e l’ordine con cui me le comunicavano.

LE ASPETTATIVE ECONOMICHE DELLA RUSSIA
Pensavo che i problemi economici della Russia fossero nella testa di tutti.   In occidente sembra che il calo del  rublo e dei prezzi del petrolio, il generale rallentamento dell'economia e l'effetto delle sanzioni occidentali, stiano martellando duramente l’economia russa. Ma non era questo il discorso. Il calo del rublo ha interessato i programmi di viaggio degli stranieri, ma la gente comune solo da poco ha iniziato ad avvertire il reale impatto di questi fattori, in particolare attraverso l'inflazione.
Ma c'è un'altra ragione data per la relativa calma della situazione finanziaria, e proviene non solo dai funzionari del governo, ma anche dai privati, una ragione che dovrebbe essere presa molto sul serio.  I russi sottolineano che il caos economico è una cosa normale per la Russia, mentre la prosperità è un’eccezione.  C'è sempre la ‘speranza’ che prima o poi la prosperità finisca e che si torni alle normali condizioni di povertà.
I russi hanno sofferto terribilmente nel corso degli anni ’90 con Boris Yeltsin, ma anche sotto i governi precedenti, fino ad arrivare agli Zar. Nonostante questo, molti dicono,  hanno vinto delle guerre, avevano bisogno di vincere e sono riusciti a vivere una vita degna di essere vissuta. L'età d'oro degli ultimi dieci anni sta volgendo al termine. Questo lo avevano previsto e l’avrebbero superato.   I funzionari del governo l’hanno preso come un avvertimento e non credo si trattasse di un bluff.    Il fulcro della conversazione erano le sanzioni e l'intento era quello di dimostrare che esse non avrebbero cambiato la  politica della Russia verso l’Ucraina.                 
La forza dei Russi è che riescono a sopportare cose che normalmente distruggono altre nazioni.  Inoltre, tendono ad appoggiare il proprio governo indipendentemente dal suo grado di competenza, soprattutto in quei momenti in cui il paese è minacciato. Pertanto, dicono i Russi, nessuno dovrebbe aspettarsi che le sanzioni, per quanto prolungate, finiscano con il far capitolare Mosca.  I Russi, invece, dovrebbero rispondere con proprie sanzioni; non specificate, ma presumo significhino il sequestro dei beni delle società occidentali presenti in Russia e le restrizioni alle  importazioni agricole dall’Europa.  Nessun cenno e’ stato fatto al taglio delle forniture di gas naturale all’Europa (link).
Se è così, allora gli americani e gli europei si stanno illudendo sugli effetti delle sanzioni. In generale, personalmente, ho poca fiducia nel ricorso alle sanzioni (link) Detto questo, i russi mi hanno suggerito un altro prisma attraverso il quale osservare le cose.  Le sanzioni riflettono la soglia del dolore europeo e americano.   Sono progettate per infliggere un dolore che l’Occidente non potrebbe sopportare.  Ma applicate agli altri, tali effetti possono essere diversi.
La mia sensazione è che i russi che si sono espressi in questi termini, fanno sul serio.   Si spiegherebbe così il motivo per cui l’intensificarsi delle sanzioni, oltre al ritocco dei prezzi del petrolio, crisi economica e tutto il resto, non hanno provocato quell’erosione della fiducia nel proprio governo che ci si aspettava.   Proiezioni elettorali affidabili dimostrano che il presidente Vladimir Putin è ancora molto popolare. Se lui resterà popolare anche quando la crisi avanzerà ulteriormente e se l’élite finanziaria colpita resterà ottimista, è un altro discorso. Ma per me la lezione più importante che io possa aver appreso in Russia – “possa” è il termine adatto - è che i russi non rispondono alla pressione economica come farebbero gli occidentali, e che lo slogan reso famoso da una campagna presidenziale “ E’ l’economia, idioti!” potrebbe non applicarsi allo stesso modo in Russia (link).

LA QUESTIONE “UCRAINA”
I toni si sono fatti più duri sull’argomento Ucraina.  C’è opinione condivisa che i fatti in Ucraina siano stati stravolti a causa del risentimento dell’amministrazione Obama, la cui propaganda ha fatto in modo che la Russia apparisse come l’aggressore.  Su due argomenti erano tutti molto fermi: il primo era che la Crimea è sempre stata storicamente parte della Russia e sotto il dominio militare russo stabilito da un trattato.  Non c’e’ stata alcuna invasione, ma solo l'affermazione della realtà.  Secondo punto: si è insistito molto sul fatto che l’Ucraina orientale sia popolata da russi e che, come in altri paesi, a questi russi deve essere concesso un alto livello di autonomia. Uno studioso ha preso come esempio il modello canadese del Québec per dimostrare che l'Occidente non ha avuto  alcun problema con l’autonomia regionale in regioni con diverse etnìe, e ora invece si mostra scioccato per il fatto che i Russi possano desiderare una simile forma di regionalismo,  che in Occidente è considerata normale.
La questione del Kosovo (link) è estremamente importante per i russi, sia perché ritengono che le loro richieste in quella vicenda siano state ignorate, e perché si è trattato di un precedente.   Anni dopo la caduta del governo serbo che aveva minacciato gli albanesi del Kosovo, l'Occidente ha concesso al Kosovo l'indipendenza. I russi sostengono che i confini sono stati ridisegnati anche se non sussisteva alcun pericolo per il paese.  La Russia non voleva che accadesse; ma l'Occidente lo ho fatto perché poteva farlo.  Secondo i Russi, dopo aver ridisegnato i confini della Serbia, ora l’Occidente non ha nessun diritto di opporsi ad una nuova mappa dell’Ucraina.
Cerco di non farmi trascinare in questioni di giusto o sbagliato, non perchè io non creda che esista una differenza, ma perché difficilmente la storia si determina in base ai principi morali. Ho compreso il concetto russo di Ucraina come “cuscinetto” strategico necessario  e l’idea che senza di esso si ritroverebbero fortemente minacciati, se non oggi in futuro. E Considerano Napoleone e Hitler degli esempi di nemici sconfitti in maniera totale.
Ho tentato di illustrare una prospettiva strategica Americana. Gli Stati Uniti hanno passato il secolo scorso perseguendo un unico obbiettivo: impedire l’ascesa di un’ unica singola potenza in grado di impossessarsi delle tecnologie e dei capitali europei occidentali e delle risorse e della manodopera russe. Gli Stati Uniti intervennero nella Prima Guerra Mondiale nel 1917 per fermare l’egemonia tedesca; e anche nella Seconda Guerra Mondiale.  Durante la Guerra Fredda lo scopo era quello di porre fine all’ egemonia Russa.  Lo possiamo dire: la strategia politica statunitense è stata coerente per un intero secolo.
Gli Stati Uniti si sono abituati nel tempo a sospettare di qualsiasi egemonia nascente. In questo caso il timore di una Russia di nuovo rampante riporta alla loro memoria gli anni della Guerra Fredda, cosa affatto irragionevole. Come alcuni mi hanno detto, la debolezza economica non è mai stata sinonimo di debolezza militare o di divisione politica.  Su questo ero d’accordo con loro e ho detto che era proprio questo il motivo per cui il timore degli Stati Uniti di una Russia in Ucraina è più che legittimo.  Se la Russia riuscisse a riaffermare il suo potere in Ucraina, cosa accadrà dopo? La Russia ha una forza politica e militare tali da poter iniziare ad insidiare l’Europa.  Quindi, non è una cosa irrazionale che gli Stati Uniti ed alcuni paesi Europei vogliano affermare la loro influenza in Ucraina.
Quando ho esposto questo argomento a un ufficiale veterano del Ministero degli Esteri Russo, mi ha detto, in poche parole, che non capiva cosa intendessi.  Mentre comprendeva perfettamente gli imperativi che spingevano la Russia in Ucraina, secondo lui gli imperativi centenari che spingevano gli Stati Uniti sono di gran lunga troppo generali da potersi applicare alla questione Ucraina.  E non si tratta che la sua visione era limitata ad un solo lato della questione. Piuttosto, per la Russia l’Ucraina è un problema immediato,  e il quadro che avevo dipinto della strategia Americana era talmente astratto da non potersi applicare alla realtà immediata dei fatti. Davanti ad un’affermazione di potere da parte dei Russi, scatta sempre una risposta automatica degli Americani; tuttavia, i Russi pensano di non aver per niente adottato un atteggiamento aggressivo, anzi, è sempre stato difensivo.   Per il funzionario, I timori americani di una nuova egemonia Russa non erano affatto giustificati, in questo caso.
Durante altri incontri con, ad esempio, membri anziani dell’ Institute of International Relations, ho tentato una via diversa, cercando di spiegare che i Russi in Siria hanno messo in imbarazzo il Presidente statunitense Barack Obama.  Obama non aveva intenzione di attaccare quando sono stati usati i gas velenosi in Siria poichè era  militarmente difficile  e anche perché, rovesciando il regime del Presidente siriano Bashar al Assad, il controllo del paese sarebbe passato nelle mani dei sunniti jihadi.  Gli Stati Uniti e la Russia avevano gli stessi interessi, ho detto, ed il tentativo russo di mettere in imbarazzo il presidente americano - facendo credere che era stato Putin a bloccarlo -  ha scatenato la risposta statunitense in Ucraina.   Sinceramente, penso che mia spiegazione geopolitica sarebbe stata molto più coerente di quest’argomentazione, ma ho voluto tentare lo stesso.  L’incontro era a pranzo, ma passato tutto il tempo a spiegare e a parlare, mangiando poco o niente.  Penso di essermi trattenuto, geopoliticamente parlando;  ma mi sono reso conto che loro avevano pienamente appreso i meccanismi perversi e contorti dell’Amministrazione Obama,  e in un modo che neanche io potrei mai sperare di apprendere.

IL FUTURO DELLA RUSSIA E DELL’OCCIDENTE
La questione più importante era quello che sarebbe successo dopo. La domanda ovvia era se la crisi ucraina si fosse estesa o meno ai paesi baltici, la Moldova o il Caucaso.  Ne ho parlato con il funzionario del ministero degli Esteri. Si è mostrato enfatico, insistendo sul fatto che questa crisi non si sarebbe allargata. Questo voleva significare, secondo me, che non ci sarebbero state rivolte russe nei paesi baltici o disordini in Moldova o azioni militari nel Caucaso. Mi è sembrato molto sincero.I russi devono già affrontare diversi altri problemi e sopportare le conseguenze delle sanzioni occidentali, anche se sono storicamente allenati alle difficoltà economiche. L’Occidente dispone di risorse sufficienti per affrontare molte crisi. La Russia deve contenere la crisi in Ucraina.
I russi si accontenteranno di un livello accettabile di autonomia per quei russi all’interno di alcune aree dell’ Ucraina orientale. Di quanta autonomia parliamo, non possiamo dirlo. Hanno bisogno di un gesto significativo per tutelare i loro interessi ed affermare la loro posizione. Il loro punto che già esiste in diverse parti del mondo l'autonomia regionale è molto convincente. Ma la storia è fatta di potere e l'Occidente sta usando il suo potere per colpire duramente la Russia.  
Ma, attenzione, non c'è nulla di più pericoloso che ferire un orso. Meglio ucciderlo. E  uccidere l’orso Russia si è dimostrato quasi impossibile.
Ne ho ricavato due pensieri. Uno è che Putin è più solido di quanto pensassi. Nell’ordine attuale delle cose, questo non significa molto. I presidenti vanno e vengono.  Ma è un avvertimento: le cose che fanno a pezzi un leader occidentale possono non scalfire un leader russo. Secondo, che i russi non stanno preparando alcuna aggressione.   E questo mi preoccupa molto, non per il fatto che vogliano invadere, ma poiché spesso le nazioni non si rendono davvero conto di quello che accade e potrebbero reagire in modi inaspettati.  E’ questo il maggior pericolo della situazione attuale. Non è tanto quello che intendono fare, che appare piuttosto pacifico.   Il pericolo sono le azioni inaspettate, sia da parte di altri sia della Russia stessa.
Allo stesso tempo, la mia analisi generale resta la stessa. Qualunque cosa la Russia possa fare altrove, per essa l’Ucraina è di importanza strategica fondamentale.  Anche se l’est del paese conseguisse un maggior livello di autonomia, la Russia resterebbe comunque preoccupata per il rapporto del resto del paese con l’Occidente.  Per quanto questo sia difficile da comprendere per gli occidentali, la storia russa è una storia di “cuscinetti”.  Gli stati “cuscinetto” salvano la Russia dagli invasori occidentali. La Russia vuole un accordo che lasci l’Ucraina per lo meno neutrale.
Per gli Stati Uniti, ogni potere in crescita in Eurasia innesca una risposta automatica che dura un secolo di storia.  Per quanto sia difficile da capire per i Russi, quasi mezzo secolo di guerra fredda ha reso gli Stati Uniti ipersensibili ad una possibile rinascita del ‘pericolo’ Russia. Gli Stati Uniti hanno passato l’ultimo secolo ad impedire l’ unificazione dell'Europa sotto un'unica potenza ostile. Ciò che intende la Russia e quali siano le paure dell’ America sono cose molto diverse.
Gli Stati Uniti e l'Europa hanno difficoltà a capire i timori della Russia. La Russia ha difficoltà a capire soprattutto i timori americani. I timori di entrambi sono reali e legittimi.  Non si tratta di una questione d’ incomprensione tra paesi, ma di imperativi incompatibili. Tutta la buona volontà del mondo - e c'è n’è ben poca – non può risolvere il problema di due grandi paesi costretti a proteggere i loro interessi e nel farlo fanno sentire l’altro minacciato. Ho imparato molto da questo mio viaggio. Non ho imparato come si risolve questo problema, salvo che ognuno è chiamato a comprendere le paure dell’altro, anche se non può fargliele passare.


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