domenica 2 agosto 2015

Stamina, malati dormono davanti a Montecitorio per protesta.

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Protesta estrema per alcuni malati gravi, in nove hanno passato la nottata in strada, davanti Montecitorio, tra questi i due fratelli Biviano, la richiesta è quello di concedere le cure con il metodo Stamina.
La protesta dei disabili ha avuto inizio dal 10 luglio ma nessuno ha voluto dargli rilievo, questa l'accusa di Bruno Talamoni, presidente del Movimento vite Sospese e aggiunge "Com'è possibile che a nessuno importi niente di loro?".
Sandro Biviani ha commentato: "Manifesteremo a oltranza, questa volta non basteranno le promesse a fermarci. Non andremo via finché non ci verrà data la possibilità di curarci", la distrofia muscolare ha già ucciso suo padre e suo zio e potrebbe uccidere anche lui e i suoi fratelli.
La promessa di un incontro con la Boldrini non è servita a placare gli animi dei manifestanti che restano sdraiati sull'asfalto e alla stampa dichiarano: "Anche lo scorso 11 luglio ci fecero tante promesse, ma poi, finita la protesta, non ne è stata mantenuta nessuna. Adesso ho deciso che non mi fermerò. Possono promettermi il mondo, ma io da qui non me ne vado senza aver raggiunto il risultato di poter curare me stesso e i miei fratelli. Una delle mie sorelle è ormai molto grave, non sopporto l'idea di vederla morire, specie sapendo che le sono state negate le cure compassionevoli del professor Davide Vannoni".

Marco Travaglio. Editoriale del 01/08/2015 : - Renzollini -




Il Fatto Quotidiano del 01/08/2015"

Per celebrare degnamente i 40 anni della supercazzola di Amici miei, Renzi ha lanciato un nuovo slogan, di quelli che suonano bene e nella loro perentorietà paiono persino ragionevoli, ma solo perché nessuno provvede a smontarli su due piedi: “Il Parlamentono non è il passacarte della Procura di Trani”. Si riferiva alla richiesta di autorizzazione all’arresto per il senatore Ncd Antonio Azzollini, respinta dal Senato col voto decisivo di mezzo Pd, di FI, Ncd, Gal e verdiniani. 

Era difficile concentrare due scemenze in 10 parole, ma il premier ci è riuscito. 

1)La richiesta non proviene dalla Procura di Trani, ma da un giudice terzo: il Gip, la cui ordinanza è stata già confermata da tre giudici del Riesame di Bari, cioè di una sede diversa.

2) Il ruolo che l’art. 68 della Costituzione assegna al Parlamento in questi casi è esattamente quello del passacarte: le Camere non possono sindacare sulla fondatezza delle esigenze cautelari (gravi indizi di colpevolezza e almeno un pericolo tra la fuga, la reiterazione del reato e l’inquinamento delle prove), che sono esclusiva competenza del giudice; possono soltanto accertare se l’indagine presenti un fumus persecutionis, cioè, nel nostro caso, la prova che il pm, il gip e i tre giudici del Riesame vogliano arrestare Azzollini perché lo considerano un avversario politico e hanno imbastito un’indagine sul nulla per colpirlo. 

Se dimostrato, sarebbe un fatto così grave da imporre immediati procedimenti penali e disciplinari contro i cinque magistrati, per radiarli e soprattutto per liberare con tante scuse i 10 coindagati di Azzollini, finiti in manette perché non hanno avuto l’accortezza di rifugiarsi in Parlamento. 

Ma nel dibattito in giunta e poi in aula non c’è traccia non dico di una prova, ma neppure di un velato sospetto di quel fumus. 

L’Ncd D’Ascola ha creduto di ravvisarlo nel fatto che i reati si fermano a un anno fa, dunque “le esigenze cautelari non sono più attuali”: ma, a parte il fatto che i testimoni possono essere intimiditi e le carte essere truccate anche ad anni e anni di distanza dai fatti,non spetta al Parlamento sostituirsi al giudice nel valutare l’attualità delle esigenze cautelari; e poi che c’entra con questo timing la persecuzione? 

Il fittiano Di Maggio ha argomentato che “l’ufficio di Azzollini è pieno di libri, quotidiani e ritagli di giornali e dove c’è cultura e conoscenza non ci può essere volgarità”, dunque il senatore non può aver detto “Ti piscio in bocca” a una suora.

Quindi, a parte il fatto che l’arresto del senatore non è stato disposto per quella frase ma per una bancarotta fraudolenta da 500 milioni, a seguire Di Maggio non si dovrebbe più arrestare nessun delinquente che abbia in casa qualche libro. E Dell’Utri andrebbe scarcerato immantinente in quanto bibliofilo. 

Dice ora Renzi: “La Costituzione dice: fumus persecutionis sì o no. Si vota guardando le carte. La posizione della Giunta è stata di un tipo, ma il nostro capogruppo Zanda ha letto le carte e lasciato libertà di coscienza.

Potrebbe esserci fumus persecutionis”. 
Potrebbe? 
Il fumus o c’è o non c’è. 
E, per esserci, dev’essere provato.

Altrimenti il Parlamento viola l’art. 3 della Costituzione sulla legge uguale per tutti.

Del resto l’11 giugno, quando la richiesta partì e prim’ancora di leggere le carte, il presidente Pd Matteo Orfini annunciò: “Di fronte a una richiesta del genere si devono valutare le carte, ma mi pare inevitabile votare a favore dell’arresto”. 

Poi le carte furono valutate dalla Giunta per le immunità, che con maggioranza schiacciante (13 a 7) votò Sì all’arresto e No al fumus (Pd, M5S e Lega al completo). 

Poi Zanda, quando il governo perse la maggioranza in Senato e imbarcò i verdiniani, intonò il “liberi tutti” ai senatori Pd: non quelli che avevano letto le carte in giunta, ma quelli che non le avevano lette in aula.

E questi si organizzarono per portare i 60 voti necessari a salvare Azzollini,e con lui il governo.
Quindi, con buona pace del premier, i senatori non hanno “rispettato la Costituzione”: l’hanno violata in nome della cara vecchia giustizia di casta. E anziché fare, com’era loro dovere senza prove del fumus, i passacarte dei giudici, han fatto i passacarte di Renzi, anticipando il “nuovo” Senato a sua immagine e somiglianza.

Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 01/08/2015.

http://direttainfo.blogspot.it/2015/08/marco-travaglio-editoriale-del-01082015.html

venerdì 31 luglio 2015

Serracchiani - Azzollini. - Andrea Scanzi



Non so se sia più deplorevole il Pd che nel suo confuso insieme salva Azzollini (quello che alla suora avrebbe pisciato in bocca, cit), l'eternamente pavido-paraculo Renzi che da una parte avalla di nascosto il salvataggio e dall'altra finge pubblicamente di criticare Pennello Cinghiale Zanda, oppure la madre badessa Serracchiani che si inventa le ennesime lacrime di coccodrillo ("Chiediamo scusa") dopo l'ulteriore spregio alle regole, alla morale, alla decenza. 
È una straordinaria gara al ribasso, nella quale vincono tutti. 
Davvero le persone oneste dentro il Pd - parlamentari, dirigenti locali, militanti sinceri - non provano vergogna al pensiero di stare accanto (anzi di essere comandati e dominati) da questa marmaglia imbarazzante, senza talento né decenza? 
Che razza di Maalox avete in casa? 
Usate l'acido muriatico al posto del Diger-Selz? 
Mah.

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1154789181204075&id=226105204072482&fref=nf&pnref=story

Italicum: Camera, Bindi porta in Aula palline "blocca tasti".

Silvia Fregolent inserisce una pallina giocattolo per gatti nella fessura con i pulsanti durante le  votazioni in aula della Camera © ANSA
Silvia Fregolent inserisce una pallina giocattolo per gatti nella fessura con i pulsanti durante le votazioni in aula della Camera. (Foto Di Alessandro Di Meo)

Sono quelle con cui giocano i gatti.


Addio palline di carta per "bloccare" il tasto del meccanismo di votazione. 
I deputati del Pd hanno 'scoperto' le palline colorate in gomma, quelle usate per far giocare i gattini: sono più carine e, pare, funzionino meglio. 
I deputati in Aula a Montecitorio sono soliti bloccare il tasto di voto con una pallina di carta per evitare di tenerlo premuto con il dito, specialmente nelle giornate di votazioni a raffica. Ma Rosy Bindi ha scoperto una valida, e più variopinta, alternativa allo strumento rudimentale. 
Durante le votazioni sugli ordini del giorno alla legge elettorale la presidente della commissione Antimafia ed esponente della minoranza Pd ha portato in Aula una confezione con tre palline per far giocare i gatti, quelle con dei piccoli tentacoli amatissime dai mici. Ne ha data una ciascuno alla sua compagna di banco, Anna Margherita Miotto ed una a Silvia Fregolent, che siede dietro di loro. Le due deputate, entusiaste, le hanno "installate" nel meccanismo di voto e le hanno provate sotto lo sguardo soddisfatto di Rosy Bindi.

http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/05/04/italicum-camera-bindi-porta-in-aula-palline-blocca-tasti_c1b1daa9-6929-49e9-8c8f-4af4e9ccc999.html

mercoledì 29 luglio 2015

Lo scambio tasse-sanità di Renzi viene da lontano. - Pierfranco Pellizzetti

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Non c’era bisogno di essere un acuto politologo per capire che l’annuncio estivo di Matteo Renzi della manovra anti-tasse è solamente l’inizio di una lunga campagna elettorale per recuperare i consensi perduti. In una sequenza accelerata alla Ridolini: abolizione dell’Ici sulla prima casa nel 2016, diminuzione dell’Irap nel 2017 e poi dell’Irpef un anno dopo. Semmai la domanda era un’altra: da dove il mirabolante premier presume di far saltare fuori la provvista per un’operazione quantificabile in svariate diecine di miliardi.
Poi il dubbio è stato parzialmente sciolto: almeno una diecina di miliardi arriveranno da tagli sulla sanità. E – così – se resta il dubbio sul portato effettivo dell’annuncio, molti altri aspetti della complessiva politica renziana sono venuti alla luce. In particolare la stretta dipendenza dal modello berlusconiano, che ora risulta in tutta la sua pienezza. Non soltanto come priorità accordata all’illusionismo comunicativo; in una visione iomaniaca del proprio ruolo, ridotto a bulimia di potere.
Lo scambio tasse-sanità rivela ben di più: l’identificazione nelle strategie politiche messe a punto a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso dalla destra repubblicana degli Stati Uniti, riconfezionate negli anni Novanta dai vari Tony Blair e Bill Clinton nelle retoriche della (presunta) Nuova Sinistra di Terza Via.
Insomma, emergono con nitidezza le coordinate cultural-politiche del giovane provincialotto di Rignano, sempre sulle orme del ganassa di Arcore; entrambi intenti a recitare la sceneggiatura da Italietta del dopoguerra de “L’americano a Roma”.
Facciamo qualche passo indietro per capirci: nell’Occidente del secondo dopoguerra venne portata a compimento un’opera di ingegneria politico-sociale già teorizzata nell’anteguerra da John M. Keynes e avviata dal presidente Franklin D. Roosevelt con il New Deal. Ossia, una poderosa opera di trasferimenti di risorse verso l’area centrale della società (inducendo al tempo stesso dinamiche ascensionali inclusive) per garantire sicurezza e qualità della vita tramite un vasto apparato di servizi sociali.
In questo modo si utilizzavano le capacità di programmare, organizzare e distribuire i grandi numeri e i grandi volumi, apprese e messe a punto dagli Stati durante i due conflitti mondiali, quale traduzione in modello del cosiddetto compromesso keynesiano-fordista (lo scambio negoziale tra cassi lavoratrici sindacalizzate e borghesia imprenditoriale, avente per oggetto l’accettazione del sistema capitalistico, a fronte della promessa di piena occupazione tendenziale).
Si affermava così in un po’ tutte le realtà occidentali il cosiddetto Stato Sociale, o Welfare State. Il programma con cui la sinistra democratica e/o socialdemocratica arrivò e si mantenne al potere per lustri. Da qui partiva la riflessione, che impegnò a lungo i think tanks conservatori/reazionari: come rompere la “simbiosi welfariana”. Ossia, le mosse per staccare i ceti medi beneficiati dai servizi dal personale politico-burocratico che tale sistema presidiava.
L’uovo di Colombo e – al tempo stesso – il cavallo di Troia furono trovati individuando il punto debole della costruzione: il finanziarsi attraverso la leva fiscale. Psicologi dell’egoismo avido, i progettisti NeoCon puntarono sulla miopia possessiva del “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. All’insegna della bieca metafora “infilano le mani nelle tasche dei cittadini”, partì già in quegli anni una campagna comunicativa che metteva a frutto tutte le armi propagandistiche accumulate negli arsenali dell’anti-Stato, propugnatrici dell’inesistenza del sociale. La febbre distruttrice trovò inizialmente il proprio speaker nell’attore sul rimbambito Ronald Reagan, già distintosi come pioniere della tematica quale governatore della California, portandolo alla presidenza degli Stati Uniti. Poi dilagò, arruolando tutti gli arrampicatori sociali impegnati in politica; nell’avvenuta cancellazione dei confini tra le varie posizioni e i vari schieramenti.
Questa la premessa di una lunga fase storica che Thomas Piketty ha soprannominato “i Quaranta ingloriosi”. In cui si è fatto macelleria sociale (mentre si propugnava l’intento mendace di combattere la presunta macelleria fiscale), si sono favoriti mastodontici ri-trasferimenti di ricchezza al vertice della piramide sociale, si è sbaraccato l’apparato sicuritario (Habermas diceva che “i servizi sono le stecche del corsetto della democrazia”) con l’assenso masochistico dei diretti beneficiari; lasciatisi turlupinare da chi faceva loro intravedere una succulenta bistecca virtuale, riflessa nello stagno della disuguaglianza imperante in questi anni.
Una vergognosa ricetta di successo, con cui Silvio Berlusconi si presentò sulla scena politica alla fine della Prima Repubblica (lo slogan vittorioso “meno tasse per tutti”); che ora riprende il neofita Matteo Renzi. Mentre si abbatte a colpi di piccone la scuola pubblica, si combattono i diritti del lavoro per consentire la gestione del business con molto bastone e un po’ di carota a un ceto manageriale incapace, si intende disarmare la magistratura inquirente perché non trovi collusioni tra malaffare e personale di partito, si lascia intuire ai malati che per salvare la pelle è meglio ricorrere alla sanità privata.
Il tutto a fronte di promesse non mantenibili (stante il pauroso deficit che ci opprime) di alleggerimenti futuri. Nell’intento immediato dell’epigono toscano di un americanista brianzolo di fare l’en plein alla roulette elettorale.

lunedì 27 luglio 2015

Sconosciuto amico. - Rosario Viola.



E' difficile non essere banali quando ti trovi davanti a scene del genere.
Il mio pensiero questa sera va a questo mio sconosciuto amico, beccato nel solito autobus del ritorno a casa;
Grazie di questa meravigliosa immagine amico mio, e scusa se ti ho rubato una foto, ma è più forte di me, gli eroi mi affascinano e devo fotografarli.
E sappi che per me eri il più elegante di tutto l'autobus, indossavi il vestito della stanchezza e della fatica vera, ed è il più bello di tutti.


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10206228299259530&set=a.1227913391081.34222.1626455591&type=1&theater

KRUGMAN: GLI IRRITANTI DIFENSORI DELL’EURO. - Paul Krugman


Il Nobel Paul Krugman scrive un articolo un po’ velenoso contro quelli che lo accusano di non capire, da economista, le motivazioni politiche dell’euro e la sua importanza per il “progetto europeo”. Krugman rifiuta di essere considerato così ingenuo, e mostra di capire benissimo queste motivazioni. Il problema è che un progetto (l’euro) che non solo non era fondato economicamente, ma era palesemente votato alla catastrofe, non poteva servire nessuno scopo politico positivo, e i fatti lo stanno dimostrando. 
di Paul Krugman, 22 luglio 2015
C’è un qualsiasi buon argomento per non dire che la creazione dell’euro è stato un errore di dimensioni epiche? Forse. Ma gli argomenti che ho sentito finora sono alquanto pessimi. E sono anche decisamente irritanti.
Un argomento che continuo a sentire è che gli economisti critici, come me, non capiscono che l’euro è stato un progetto politico e strategico, anziché un mero fatto economico con dei costi e dei benefici. E certo, infatti io sono un rozzo e ottuso economista che non sa nulla dell’importanza della politica e delle strategie internazionali nelle decisioni politiche, uno che non ha mai sentito parlare di progetto europeo e del suo fondamento nel tentativo di lasciarsi dietro le spalle una storia di guerre, per non parlare del rafforzamento della democrazia durante la Guerra Fredda.
Certo, io non so nulla di tutto ciò. Il punto, però, è che mentre il progetto europeo, in ogni sua fase, ha combinato obiettivi economici con dei più ampi obiettivi politici – si parlava di pace e democrazia attraverso l’integrazione e la prosperità – non ci si può aspettare che l’intero progetto funzioni se le misure economiche che vengono decise non sono valide in sé e per sé, o quantomeno che non siano catastrofiche. Ciò che è successo durante la marcia verso l’euro è che le élite europee, per amore della moneta unica presa come un simbolo, hanno chiuso la mente ad ogni avvertimento sul fatto che un’unione monetaria – a differenza della semplice rimozione delle barriere al commercio – era quantomento ambigua nella logica economica, e nei fatti, per quanto si può dire e già era stato detto fin dall’inizio, una pessima idea.
Un altro argomento, che stiamo sentendo dalle economie europee depresse come la Finlandia, è che i costi a breve termine dell’inflessibilità sono più che compensati dai presunti enormi guadagni ottenuti da una maggiore integrazione. Ma dov’è l’evidenza di questi enormi guadagni? In un articolo si dice che siano dimostrati dalla forte crescita della Finlandia negli anni che hanno preceduto la crisi. Ma si può riconoscere il merito del boom della Nokia alla moneta unica?
Be’, il grafico qui sotto mostra un confronto che ho trovato interessante tra la Finlandia e la vicina Svezia, paese, quest’ultimo, che nel 2003 ha rifiutato l’appartenenza all’euro tramite referendum. (Mi ricordo quel voto: gli amici svedesi che condividevano con me le preoccupazioni sull’euro mi telefonarono nel cuore della notte per festeggiare.) Per entrambi i paesi considero il 1989 come punto di partenza. Si tratta dell’anno prima della grande recessione scandinava degli anni ’90, dovuta ad una corsa agli sportelli e ad una enorme bolla immobiliare.
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Dopo quella recessione la Finlandia a conosciuto un lungo periodo di solida crescita economica. Ma anche la Svezia, e tra i due paesi è difficile scorgere una qualsiasi differenza nella loro buona performance economica. Di certo non c’è nulla che indichi che l’appartenenza all’euro [della Finlandia, ma non della Svezia, NdT], abbia avuto un qualche ruolo speciale nella crescita. Dal 2008, invece, la Svezia ha iniziato – nonostante una gestione incostante della politica monetaria – a fare molto meglio.
Come ho detto, forse esistono anche degli argomenti da opporre all’affermazione che l’euro è stato un errore, ma far notare che la politica è importante, e che le economie crescono, non funziona. Le scorciatoie che credete voi non ci sono.