Marco Minniti e, sullo sfondo, la Procura di Reggio Calabria. A sinistra il procuratore capo Federico Cafiero de Raho.
Prima ancora di occupare la fresca poltrona di numero uno del Viminale, è già bufera su Marco Minniti, il dalemiano di ferro e ora renziano d’acciaio, una vita tra sottosegreterie, viceministeri & Servizi. Una serie di inchieste della procura di Reggio Calabria tira in ballo il suo nome, al centro di svariate conversazioni tra personaggi non proprio cristallini. Ma attenzione, nessuna indagine a suo carico, niente di penalmente rilevante nei suoi confronti: solo fatti politicamente, moralmente e deontologicamente da brividi. Tant’è, in questo Belpaese ormai allo sfascio e le due capitali, Roma e Milano, alle prese con affari e corruzioni degne delle più esperte bande vandaliche. Ma partiamo dal giallo Minniti, fino ad oggi del tutto ignorato dai media, dai grossi calibri di stampa e tivvù ormai omologati e inabissati nello strapiombo della disinformazione.
14 dicembre. L’emittente romana Colorsradio, nella sua trasmissione del mercoledì Voce on Air (curata dal direttore della Voce Andrea Cinquegrani) affronta il tema del nuovo esecutivo Gentiloni: non solo un profilo del fresco premier, ma anche di due ‘new’ (sic) entry, ossia Anna Finocchiaro, la regista, insieme a Maria Elena Boschi, della riforma costituzionale finita in crac, e Marco Minniti, approdato alla poltrona di ministro degli Interni sognata una vita.
NEANCHE ENTRATO IN CAMPO, IL PRIMO CLAMOROSO AUTOGOL
Claudio Scajola.
Vengono dettagliati il suo pedigree, le varie cariche ricoperte nell’ultimo ventennio, il fiore all’occhiello della società partorita alcuni anni fa, Icsa, popolata da militari e altre stelle; quindi viene fatto riferimento ad un’inchiesta che anni fa ha suscitato molto scalpore e vedeva coinvolti l’ex ministro Claudio Scajola, anche lui titolare degli Interni, l’allora potente berlusconiano che si vide regalare, “a sua insaputa” un appartamento con vista Colosseo (da quell’inchiesta è uscito del tutto indenne); un altro forzista, l’armatore siciliano Amedeo Matacena, e sua moglie, Chiara Rizzo, anche amante del primo. Piatto forte delle indagini, il voto di scambio, le ‘ndrine allertate per le urne, i capi clan a rimboccarsi le maniche per canalizzare montagne di consensi: e a quella tornata elettorale del 1996, esattamente vent’anni fa, Matacena trionfò con la casacca del Pdl, sconfiggendo proprio il rivale ulivista Minniti, calabrese doc al quale mancarono 600, fatidiche preferenze.
Questo è stato riepilogato nel corso della trasmissione, sottolineando che da quell’inchiesta Minniti non venne nemmeno sfiorato, e non risultò neanche indagato. In quei fascicoli processuali, però, erano (e sono) contenute le verbalizzazioni di alcuni collaboratori di giustizia. In una, raccolta dal pm reggino Andrigo Antonino Zavatteri, così veniva dichiarato: “noi votammo a Matacena, e Peppe Greco, figlio di Ciccio, capo ‘ndrangheta di Catania, appoggiava a Minniti”. “Minniti chi?”, chiedeva il pm. “L’onorevole Minniti – rispondeva il collaboratore – Minniti ha preso 800 voti a Calanna nel ’94 e nel ’96. E anche coso… don Rocco Musolino appoggiava a Minniti”. E’ stato evitato, in trasmissione, di ricordare le parole finali pronunciate, ossia “… appoggiava a Minniti che lo ha fatto uscire dal carcere tre giorni prima delle elezioni, si era impegnato a farlo uscire”.
Apriti cielo. Dalla segreteria del Pd, in tempo reale, arriva un messaggio che viene subito letto, nei suoi passaggi salienti, dal direttore di Colorsradio, David Gramiccioli: quel pentito era del tutto inaffidabile – è la sostanza della nota – così come infondati erano i riferimenti a Rocco Musolino. E’ necessario fare chiarezza, viene auspicato, ribadendo che Minniti “non è stato condannato”.
Un autogol che più acrobatico non si può, la classica excusatio non petita: nessuno ha mai detto che il neo ministro degli Interni è sfiorato dalle indagini, e la contraerea Pd passa subito a sottolineare che non c’è stata alcuna condanna! Ai confini della realtà.
Il giornalista Claudio Cordova
A questo punto val la pena di andare un po’ più a fondo. Ed ecco che ne scopriamo delle belle. Soprattutto seguendo alcune piste, ovviamente on line, visto che i grandi media continuano a tacere. In particolare quelle di un sito, Il Dispaccio, diretto da un ventinovenne free lance, Claudio Cordova, nipote del mitico procuratore capo di Reggio prima e Napoli poi, Agostino, il Minotauro che Giorgio Bocca tratteggiò in modo stupendo nel suo Inferno del 1992, dedicato al Sud martoriato dalle mafie. Più volte oggetto di intimidazioni, il giovare reporter, anche per mano “giudiziaria”, vista una richiesta ‘civile’ di risarcimento danni da mezzo milione di euro presentata contro di lui da una toga calabrese, Gerardo Dominijanni. In sua difesa si è subito schierato Ossigeno per l’Informazione, uno dei pochi presidi a tutela della libertà di stampa nel nostro Paese.
QUELL’ECOSISTEMA CHE PIU’ INQUINATO NON SI PUO’.
In un corposo servizio del 13 dicembre, Paolo Cordova fa il punto su un’inchiesta, Ecosistema, portata avanti da due pm della procura reggina, Antonio De Bernardo e Luca Miceli, i quali “hanno scoperchiato il business illecito dei rifiuti nell’area grecanica”. Sotto i riflettori soprattutto una sigla, AVR, costituita nel 1966 a Roma ma col tempo sempre più gravitante, per i suoi tanti affari, nelle terre calabresi, passando con disinvoltura dalla monnezza milionaria alle infrastrutture stradali (nel mirino una superstrada molto ‘cara’ per via del tortuoso percorso che porta dai monti fino al mare, la Gallico-Lambari) fino alle commesse per il comatoso scalo aeroportuale di Reggio. Le quote di AVR sono suddivise fra un’altra sigla, Galileo srl, e i fratelli Nardecchia, Claudio e Pietro.
Il pm reggino Antonio De Bernardo
Ecco cosa scrive Cordova su ‘Ecosistema’: “Agli atti dell’indagine vi sono alcune conversazioni telefoniche che aprirebbero squarci sulle motivazioni del ‘successo’ dell’AVR in Calabria. Conversazioni che, al netto delle millanterie, tirano pesantemente in ballo il neoministro degli Interni del neonato Governo Gentiloni, il reggino Marco Minniti, pesantemente tirato in ballo dai soggetti coinvolti nell’inchiesta della Procura di Reggio, retta da Federico Cafiero De Raho. La prima conversazione è di fine 2013, quando l’imprenditore dell’ASED, Saro Azzarà, tra i principali indagati, parla con il consigliere comunale di San Roberto, Antonino Micari. Nella circostanza Azzarà, da navigato imprenditore del settore, riferisce a Micari che la AVR sia riuscita ad imporsi nel settore aggiudicandosi l’appalto della raccolta rifiuti solo perchè forte delle referenze fornite da Minniti e Pinone (Giuseppe Morabito, ex presidente della Provincia di Reggio Calabria, ndr)”.
Scrive ancora Cordova: “Non è la prima volta che il nome di Minniti viene associato a dinamiche che ruotano attorno all’area grecanica, visti i rapporti che sarebbero intercorsi con l’ex sindaco di Milito Porto Salvo, Giuseppe Iaria, attualmente imputato per ‘ndrangheta”.
Amedeo Matacena
E stavolta siamo alle prese con un’altra inchiesta da novanta, ADA, nelle cui maglie sono finiti sia l’ex sindaco Iaria che il suo successore, Gesualdo Costantino. Così scriveva, in un articolo di due anni fa esatti, 16 dicembre 2014, lo stesso Cordova: “Agli atti del procedimento ‘Ada’ vi sono diverse evidenze che testimonierebbero i contatti e i rapporti tra Iaria e l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Marco Minniti. (…) Iaria e Costantino sono ritenuti dal sostituto procuratore della DDA di Reggio Calabria, Antonio Di Bernardo, come personaggi a disposizione del potente clan Iamonte, che a Melito avrebbero condizionato ogni singolo respiro della vita cittadina, comprese le dinamiche politiche e burocratiche del Comune. E’ il maresciallo dei Carabinieri Alessandro Zema a delineare i rapporti tra Iaria e i vertici del centrosinistra nazionale. (…) Zema parla di ‘ottimi rapporti’ tra i due (Minniti e Iaria, ndr). Il reggino Domenico Minniti detto Marco, che all’epoca era capolista dell’Ulivo, in seguito alla vittoria della coalizione sarà nominato viceministro dell’Interno del secondo governo Prodi. Quasi come auspicato da Iaria che, in un’altra conversazione intercettata con un ‘avvocato’ non identificato, parlerà anche di una sottoscrizione a sostegno della nomina di Minniti a ministro”.
Porto Salvo, e anche Sicuro per gli appalti, quello di Milito. Tanto che il titolare dell’Ased, Saro Azzarà, accetta “lo status quo relativamente al comune di Reggio Calabria e ottiene l’esclusiva relativamente al comprensorio del comune di Melito Porto Salvo, nel cui territorio è egemone la cosca Iamonte, nonché in molti comuni dell’area del basso Ionio reggino”.
Non c’è foglia, nella stragrande parte del territorio calabrese, che non si muova senza l’ok dei capi ‘ndrina, in tutti i settori economico-imprenditoriali. Proprio come è successo in occasione dei mega appalti per l’eterna Salerno-Reggio Calabria (a proposito, Pinocchio Renzi aveva giurato che per Capodanno 2016 i lavori sarebbero stati ultimati!, tanto vale dare un’occhiata): lotto per lotto, chilometro per chilometro spartiti e controllati dalle ‘ndrine locali, con precisione svizzera, come ha documentato una storica sentenza passata anche per il vaglio della Cassazione (seconda sezione penale, presieduta da Antonio Esposito) quattro anni fa.
INDAGHI SULLA ‘NDRANGHETA, SBATTI NELLA POLITICA
Marilina Intrieri
Illustrando il 7 dicembre lo stato attuate dell’inchiesta ‘Ecosistema’, ha tenuto a sottolineare il procuratore capo Cafiero De Raho: “Quello che emerge è un quadro probatorio gravissimo, con al centro un imprenditore, Rosario Azzarà, titolare della società Ased per la raccolta e gestione dei rifiuti nei comuni dell’area grecanica, vincitore di molti appalti e pronto a soddisfare la ‘ndrangheta e gli amministratori dei comuni del basso Ionio reggino”. Lo stesso De Raho qualche settimana prima aveva dichiarato: “indaghiamo sulla ‘ndrangheta e finiamo a sbattere sulla politica”.
Dettaglia un altro sito locale, una delle “voci nel deserto” (come scrisse della nostra Voce Giorgio Bocca nel suo “Inferno”). “La storia si ripete. E anche questa volta i carabinieri, continuando a esplorare il terreno già scandagliato con le operazioni ‘Ada’ e ‘Ultima Spiaggia’, sono giunti a mettere in luce la potenza delle cosche Iamonte e Paviglianiti, egemoni nei comuni di Melito Porto Salvo, San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri. Un’indagine difficile e tecnica, che ha portato in luce i patti corruttivi siglati con gli amministratori infedeli, sotto l’egida di significative entrature nel mondo politico, ma anche le strette alleanze con le cosche mafiose”. E ancora: “oltre a tante intercettazioni telefoniche e ambientali, fondamentali per l’inchiesta le dichiarazioni rese da Salvatore Aiello, oggi collaboratore di giustizia e già direttore della Fata Morgana spa, società a compartecipazione pubblica costituita per curare nella provincia di Reggio lo svolgimento dei servizi di gestione e raccolta dei rifiuti”.
La piazza di Melito Porto Salvo
Un’altra piccola nota. Il nome di AVR fa capolino nell’ennesima inchiesta della story, condotta anche stavolta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Xenopolis, finalizzata a ricostruire le connection tra imprese e ‘ndrine, in questo caso la potente cosca Alvaro di Sinopoli. Niente di penalmente rilevante, secondo gli inquirenti, a carico di AVR, ma una traccia significativa: quella che porta a Domenico Laurendi, “un personaggio assai importante per i rapporti della cosca con il mondo delle istituzioni. Il meccanismo sarebbe quello ‘tesseramento’, attraverso cui il politico locale chiede all’imprenditore di fornirgli una ‘dote’ di tessere di partito, in modo da avere un peso specifico maggiore per essere scelto tra i candidati alle elezioni”.
Torniamo a Minniti. Ecco cosa scrive di lui, sul suo profilo Facebook, una che di PD calabrese se ne intende, Marilina Intrieri, parlamentare dell’Ulivo nella quindicesima legislatura, poi consigliere regionale PD e per otto anni (dal 2003 al 2011) al vertice del Consorzio Universitario di Crotone. “Ho letto oggi, sui giornali calabresi, lo ‘sbrodolamento’ di alcuni personaggi politici, felici per la nomina di Marco Minniti a ministro dell’Interno, dicendosi sicuri che ciò porterà dei benefici alla Calabria. Si dimenticano però che tale personaggio politico calabrese da circa 20 anni è sempre stato seduto nei governi di centrosinistra del Paese e sempre come viceministro o sottosegretario all’Interno e ai Servizi segreti. Cosa ha fatto per la Calabria? Siamo tutelati dalla ‘ndrangheta solo dai procuratori della Repubblica calabresi. Molti calabresi, anche minorenni, vivono in condizioni di indottrinamento mafioso. Voglio ricordare che Minniti girò il capo quando gli riferimmo da parlamentari, perchè impedisse (e non lo fece) l’infiltrazione mafiosa in alcune liste locali del partito. Queste cose le ho riferite anche nei processi riguardanti famiglie di ‘ndrangheta”.
Continua Marilina Intrieri sul nuovo inquilino del Viminale: “Oggi vedremo che farà rispetto alla presenza di alcuni personaggi del suo territorio, che non dovrebbero sedere in consiglio regionale, stante il patteggiamento fatto per traffico di armi, mai discusso dall’assemblea legislativa regionale, guidata da un suo fido”.
E ancora: “La nomina di Minniti all’Interno, a mio parere, è una cosa grave. Attendo di vedere se e come interverrà sull’ospitalità ai migranti, notoriamente in mano al malaffare, senza controllo alcuno”.