lunedì 15 aprile 2019

Umbria, posti per figli amanti e nipoti. “Pure quelli riservati a categorie protette: ecco i beneficiari delle raccomandazioni”. - Thomas Mackinson



Ci sono zia e nipote raccomandate a staffetta, con una che poi raccomanda l’altra. C’è il generale dei Carabinieri in pensione, in realtà attivissimo, che per piazzare la sorella della nuora rivela agli indagati informazioni riservate che mettono a rischio l’indagine. Ci sono nipoti, figli e amanti a non finire raccontati nell’ordinanza che ha disposto l’arresto di 35 persone nell’ambito dell’inchiesta che ha decapitato i vertici dell’ospedale di Perugia e del Pd umbri. Quelle carte sono (anche) una sorta di “manifesto” della pratica arcitaliana della raccomandazione, sport nazionale cui non si sottraggono dirigenti sanitari, primari e politici.
Sono loro i protagonisti assoluti di quella “societas sceleris” – per dirla con gli inquirenti – che taroccando i concorsi in favore di taluni candidati coltivava clientele, rapporti personali e di potere. “Consigli per gli acquisti, li chiama il direttore generale dell’ospedale Emilio Duca in una suggestiva quanto esplicita conversazione. E dunque, in fin dei conti, favori per tutti e per se stessi, in una specie di catena di Sant’Antonio cui tanti contribuivano e pochi si opponevano, come la pediatra Susanna Esposito che fu per questo “bastonata” con la sospensione di 4 mesi. Una catena tanto lunga da arrivare a mettere in palio perfino i posti destinati alle categorie protette.
La carrellata di “figli di” è lunga. A buon diritto si può partire dalla figura di Pasquale Coreno, 72 anni, generale dell’Arma in pensione: è lui ad adoperarsi per assumere informazioni dagli ex colleghi sull’inchiesta in corso, è lui a mobilitarsi per far rimuovere le microspie che loro hanno piazzato negli uffici del direttore generale dell’Ospedale di Perugia, Emilio Duca, messe proprio al fine di incastrare chi si stava spartendo le assunzioni fornendo ai propri “protetti”, congiunti o amici degli amici le domande necessarie ad aggiudicarsi il posto o anche solo piazzarsi in una parte alta della graduatoria.
Il motivo della condotta del generale lo si evince dalle carte: la sorella della nuora era stata inserita nel reparto di chirurgia vascolare ed era uno dei nomi da garantire in occasione del concorso da infermiere che si svolge all’inizio del 2018. Uno dei commissari, captato dalle cimici, assicura i propri superiori – a loro volta pressati dell’assessore alla sanità Luca Barberini – sul fatto che tutti i raccomandati nella lista hanno preso 20 e che incidentalmente: “la sorella della nuora di…di..di… Pasquale Coreno, è entrata, è stata presa sta lì da noi in Reparto e poi probabilmente a settembre, quando ci sarà la risistemazione della sala operatorie…”.
A giugno si svolgono le prove del concorso per contabili. Vengono intercettati Emilio Duca e Mario Pierotti, il quale raccomanda la figlia Silvia chiedendo (e ottenendo) in anticipo le domande che sarebbero state fatte alla prova orale. Altri appetiti scatena il concorso per otto posti da dirigente medico anestesista, le cui prove si svolgono ad aprile. Si muovono una candidata G.P. e la di lei zia Antonella, ex direttore generale del Comune di Perugia. Emilio Duca “si mostra sensibile alle esigenze della Pedini, la quale intenderebbe avvicinarsi a Perugia e dice loro di risentirsi nei giorni a venire”.
Gli inquirenti quasi ironizzano ricostruendo l’incrocio di raccomandazioni delle due candidate. “E’ significativo – scrivono – che l’unica candidata tra i primi 8 vincitori del concorso che non proviene dall’azienda ospedaliera è la G.P., la quale, come visto, accompagnata dalla zia Antonella,  aveva potuto direttamente segnalare la sua posizione nel corso di un colloquio con il Duca. La stessa zia della candidata, inoltre, risulta aver raccomandato la nipote a Duca anche il giorno 13 giugno, giorno precedente alle prove pratiche”. Do ut des, ce n’è per tutti.
Il 5 aprile Duca riceve un’altra raccomandata (Eleonora Capini, indagata), cui chiede di ricontattarlo tra qualche giorno per ricevere, dopo aver parlato con la presidente della commissione Lorenzina Bolli, qualche “consiglio per gli acquisti”, termine che “fin troppo chiaramente sta ad indicare la possibilità di rivelare informazioni riservate sulle prove d’esame”. Il 10 aprile Duca effettivamente si incontra con la presidente della commissione  e il segretario, accusati di abuso d’ufficio, presso una sala riunioni sottoposta ad intercettazioni ambientali e in quell’occasione segnala sia una candidata che l’altra.
“Un’ulteriore raccomandazione viene ricevuta da Maurizio Valorosi il giorno 11 aprile quando costui riceve Paolo Leonardi, il quale segnala la situazione della sua compagna”. E’ finita? No, perché il 16 aprile Emilio Duca, poi, riceve un’altra raccomandazione da G.M “per conto del di lei figlio”. C’è posto anche per gli amanti, con la candidata che ottiene il posto dopo effusioni e rapporti sessuali con un indagato.
Neppure il posto per categorie protette sfugge alla logica. A pagina 11 del decreto si racconta di come tal Rosa Maria Franconi, presidente della Commissione esaminatrice nel concorso pubblico per la copertura a tempo indeterminato di 4 unità per assistenti amministrativi per categoria “c”, comunicava le tracce scritte al dg Duca, che le porta fisicamente al presidente della Regione Catiuscia Marini, solo indagata per addebiti ai quali si dichiara estranea. Lo stesso Duca le consegna a tal Moreno Conti (indagato) “nell’interesse della nipote”.
In questo passaggio gli inquirenti definiscono il ruolo della presidente Marini, dell’assessore alla salute Barberini e del segretario regionale del Pd Giampiero Bocci quali “concorrenti morali ed istigatori” che impartivano le direttive su come utilizzare le informazioni riservate su tracce e domande di colloquio a beneficio dei candidati prescelti e sponsorizzati. In danno, manco a dirlo, della regolarità delle procedure di selezione via via espletate.

domenica 14 aprile 2019

“Ladri in salute”. - Marco Travaglio



Chi ancora si meraviglia per il sistema criminale scoperchiato dalla Procura di Perugia sui concorsi, le nomine e le assunzioni nella Sanità umbra, con l’arresto del segretario regionale Pd Gianpiero Bocci e dell’assessore Luca Barberini e la perquisizione della governatrice Catiuscia Marini, dovrebbe ricordare quel che accadde a Milano 24 anni fa. Era il gennaio 1995 quando una giornalista del Corriere, Elisabetta Rosaspina, chiamò una sua fonte in Regione Lombardia per avere notizie sulle nomine alle Asl. La fonte rispose di non poter parlare, perché impegnata nella riunione decisiva sui nuovi direttori generali e sanitari delle aziende ospedaliere. Ma, pensando di metter giù la cornetta, premette per sbaglio il pulsante “vivavoce”. Così la cronista ascoltò in diretta il mercato delle vacche trasversale, senza riuscire a distinguere le voci dei “progressisti” del Ppi e del Pds e da quelle dei leghisti (alleati nella strana giunta del bossiano Arrigoni). “Noi vi lasciamo Magenta e ci portiamo a casa Vimercate”. “Molla Cernusco e facciamo un discorso su Garbagnate”. “A Lecco mandate chi volete, ma non un pidiessino, sennò Cristofori ci resta di merda”. “Se non mi date il Gaetano Pini, mi dimetto e fate la giunta con il Pds”. “Se Piazza va a Lecco e Berger al posto di Grotti, mettiamo Arduini a Milano 2, ma Riboldi resta fuori”. “A Cernusco sono d’accordo di mettere un Pds e Grotti su Milano 6”. “Posso chiedere ai pidiessini di spostarsi da Cernusco a Garbagnate”. Alla fine due voci tirarono le somme:

“Dunque, a Milano, su 17 Usl e 8 ospedali, il Ppi ha 5 Usl e 2 ospedali, mi pare ragionevole”. “Voi chiudete con 2 ospedali, San Carlo e Fatebene, e 3 Usl, noi con 3 ospedali e 5 Usl, la Lega con un ospedale e 6 Usl, il Pds 2 più 2”.


La cronaca politica diventò presto cronaca giudiziaria: quasi tutta la giunta finì rinviata a giudizio. Ma il 1° luglio 1997, prima delle sentenze, il Parlamento a maggioranza centrosinistra ma anche coi voti del centrodestra, provvide a salvare tutti depenalizzando l’abuso d’ufficio non patrimoniale. 

Al giudice non restò che prosciogliere tutti gli imputati perché il reato non c’era più: se il pubblico ufficiale commette un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio, ma non si riesce a dimostrare che ne abbia avuto un vantaggio quantificabile in denaro, non rischia più nulla. Legalizzati i favoritismi, le lottizzazioni, i nepotismi, i concorsi truccati. È la tipica reazione della politica agli scandali. Anziché rimuovere gli indagati, riformare le norme e le prassi che li inducono in tentazione, rendere più difficile commettere illeciti e più facile scoprirli, si aboliscono i reati e tutto continua come prima.

Fra i miracolati dalla controriforma del ’97 c’era l’ex assessora lombarda alla Sanità, Patrizia Toia, 47 anni, ex Dc passata al Ppi. Che, anziché accendere un cero alla Madonna e ritirarsi a vita privata, fece carriera: parlamentare dell’Ulivo, sottosegretaria nel governo Prodi-1, ministra nei governi D’Alema e Amato, eurodeputata dell’Ulivo e poi del Pd per altre tre legislature dal 2004 a oggi, è stata appena ricandidata da Zingaretti alle Europee per la quarta volta, a 69 anni. Ieri abbiamo pensato a lei, a quelli come lei e a chi li ha sempre protetti e promossi, leggendo le desolanti intercettazioni di Perugia, dove i vertici del Pd pilotavano (“un sistema illecito che andava avanti da sempre”) non solo le nomine dei vertici delle Asl, ma anche i concorsi per primari, medici, ausiliari, infermieri, barellieri e persino i posti riservati ai disabili, ciascuno col suo raccomandatore politico, o massonico, o curiale: “Non riesco a togliermi le sollecitazioni dei massimi vertici di questa Regione a tutti i livelli. Ecclesiastici… ecumenici, politici, tecnici. Se no a ’st’ora c’avevo messo le mani sulla gastro… altro che disposizioni di servizio dell’altra volta… Tra la massoneria, la curia e la giunta, non me danno tregua. È la Calabria unita”. Poi abbiamo letto le solite giaculatorie dei pidini: “Fiducia nella magistratura”, “certezza dell’estraneità”, “fare chiarezza”. E anche i soliti commenti finto-indignati dei leghisti che, nelle regioni dove governano, sono finiti spesso e volentieri in scandali analoghi e ora invocano il voto in Umbria per prendere il posto degli avversari e fare più o meno le stesse cose.


Non risultano infatti, 25 anni dopo lo scandalo lombardo (il primo di una lunga serie, finita per ora con l’arresto di Formigoni), proposte di riforma del Pd, di FI o della Lega per liberare la Sanità pubblica dal giogo dei partiti: i quali, per legge, decidono chi deve dirigere le aziende sanitarie e poi, siccome l’appetito vien mangiando, si spartiscono pure primari, medici, infermieri e centralinisti. Eppure la gran parte degli scandali che in questi 25 anni hanno decapitato le giunte regionali riguardavano proprio la Sanità, una delle poche voci di spesa pubblica che ha mantenuto intatto il suo budget (110 miliardi e rotti l’anno): Formigoni in Lombardia, Cuffaro in Sicilia, Del Turco in Abruzzo, Fitto in Puglia, Pittella in Basilicata. Nel 2008 la guerra per bande in Campania fra mastelliani e bassoliniani (“trovatemi un ginecologo dell’Udeur!”) coinvolse la famiglia e il partito di Mastella e portò alla caduta anticipata del governo Prodi-2. Tutti sanno che le Regioni, col monopolio della Sanità, sono il primo focolaio di corruzione d’Italia. Ma ai partiti va benissimo così, perché la Sanità col suo indotto è una grande mammella di fondi pubblici da succhiare per le campagne elettorali, nonché di assunzioni e favori per comprare voti. Quindi, per favore, lorsignori ci risparmino almeno i finti stupori. D’ora in poi solo chi presenterà e voterà una riforma che smantella le Regioni, costruisce un federalismo comunale e riporta la Sanità in mano allo Stato avrà diritto di parola. E di indignazione.

https://infosannio.wordpress.com/2019/04/14/ladri-in-salute/?fbclid=IwAR2O5LP_7k6vSaFXI2ml4jrbMYk5HpzntkwbQ1nwWsC_RMjyhKxgCkUi0OA

Gruber silente sul caso Umbria, il M5s non ci sta. - Giuseppe Vatinno



L’ex iena Giarrusso attacca la Gruber.  

A Lilli Gruber il Movimento Cinque Stelle non è simpatico e questo traspira, per così dire, ad ogni puntata di Otto e Mezzo e, del resto, è perfettamente in linea con l’atteggiamento del suo editore Urbano Cairo che ha schierato, dopo una esitazione iniziale, la sua portaerei, il Corriere della Sera, e una delle Tv più seguite nel nostro Paese, La 7, contro i populismi, i nazionalismi e quindi anche contro il Movimento di Beppe Grillo.
Come è noto, in Italia, al contrario dei Paesi anglosassoni, non esistono editori puri e quindi è sempre molto difficile distinguere l’informazione dalle opinioni, distinzione che, invece, è del tutto fondamentale per l’opinione pubblica.
Questo non è certo solo un problema di Cairo, ma appunto di tutta l’editoria italiana a cominciare da La Repubblica di De Benedetti.
Ma torniamo alla Gruber.
Dino Giarrusso, ex inviato delle Iene ed ora candidato alle Europee per il M5S si è lamentato che la Gruber avesse appena celebrato un processo alla piattaforma Rousseau senza alcun contradditorio come ha anche fatto notare anche il sito “Silenzi e Falsità”.

Giarrusso si è lamentato, nello specifico, che mentre in Umbria erano arrestati e/o indagati i vertici del Pd locale, provocandone il commissariamento nazionale, la Gruber avesse trovato spazio solo per criticare la supposta ingerenza della Casaleggio Associati e della piattaforma di consultazione on-line Rousseau nella politica nazionale.

In Italia sembra ci sia una certa allergia alle forme di democrazia diretta che poi, a ben guardare, sarebbe una delle forme più genuine di democrazia nel solco del pensiero del filosofo illuminista svizzero.
Da notare che, prima di Rousseau, c’è stato anche l’esperimento di una altra piattaforma di decisione condivisa in Rete che si chiama LiquidFeedback ed è ancora utilizzata, anche a livello internazionale, dal Partito Pirata.

Quotazioni borsistiche.

Risultati immagini per azioni, borsa

L'aver sottomesso i mercati alla borsa speculativa ha fatto sì che aziende di scarsa produttività venissero quotate come aziende di valore, per poter distribuire un maggior utile agli azionisti. Una grossa presa per i fondelli che sta facendo collassare l' economia mondiale.
by cetta.

Pd, non c’è soltanto lo scandalo Umbria: ormai cinque regioni traballano sotto il peso delle inchieste giudiziarie. Eccole. - Thomas Mackinson

Pd, non c’è soltanto lo scandalo Umbria: ormai cinque regioni traballano sotto il peso delle inchieste giudiziarie. Eccole

Salgono a cinque le regioni travolte da inchieste a carico di dirigenti locali e governatori daem. Mentre i sondaggi rianimano il partito e il tempo restituisce all'ex sindaco Marino la sua innocenza, nel Pd tornano la questione morale e il no giustizia. Il nuovo segretario marca la linea della "fiducia nella magistratura", ma sotto le ceneri cova l'anatema berlusconiano.

In Umbria lo scandalo sanità fa saltare la testa del partito, con l’arresto dell’assessore Luca Barberini e del segretario regionale Gianpiero Bocci, ai domiciliari. Indagata la governatrice Catiuscia Marini. Nicola Zingaretti commissaria, Salvini chiama elezioni subito. Nel fianco del Pd ci sono però anche Abruzzo, Basilicata, Puglia, Calabria. Macigni sulla campagna elettorale di un partito uscito un anno fa con le ossa rotte e che ora sta cercando di ricomporsi. Zingaretti tutto poteva aspettarsi, tranne che il banco di prova della sua reggenza delle europee iniziasse a traballare sotto il peso delle inchieste giudiziarie. Proprio ora che i sondaggi sono in ripresa e il tempo ha restituito a Ignazio Marino, l’ex sindaco di Roma, la patente di estraneità al malaffare degli scontrini  cavalcato dalla corrente capitolina e renziana in ascesa. L’ultima tegola travolge l’Umbria, affare di assunzioni pilotate in sanità che riempie ancora i giornali di episodi e ricostruzioni che – oltre al possibile criminale in senso tecnico – illuminano consuetudini clientelari e dinamiche di potere difficilmente compatibili con il passo che il neosegretario vorrebbe imprimere al partito. Il rapporto con la giustizia, al di là del caso locale, è una variabile importante del suo mandato. Nel Pd che ha eredito cova da tempo una spaccatura profonda sul tema, emersa con più evidenza in occasione dell’indagine a carico dei genitori dell’ex segretario Matteo Renzi, quando qualcuno – ricorda oggi Repubblica – ha rispolverato la formula berlusconiana della “giustizia a orologeria. Il segretario-governatore sembra indisponibile a seguire questa linea, avendo limitato il suo commento ai fatti di Perugia alla “piena fiducia nella magistratura”.

Basilicata, la débâcle dopo un quarto di secolo
Appena due settimane fa, il Pd aveva subito un storica sconfitta in Basilicata, regione che governava da 25 anni. Determinante l’inchiesta giudiziaria che a luglio aveva portato all’arresto del governatore Marcello Pittella. Sempre storiaccia di concorsi truccati, raccomandazioni e sanità usata come ascensore per ricchezza e potere dei notabili locali del partito e loro amici e parenti. A fine marzo si è votato per il rinnovo del consiglio regionale, Pittella disarcionato dall’inchiesta sulla sanità lucana è tornato in consiglio  forte di oltre 8mila preferenze e la sua lista “batte” quella del Pd. E i suoi ex assessori, indagati, siedono insieme al lui in consiglio.
Puglia, Emiliano e le primarie.
In Puglia è finito sotto inchiesta Michele Emiliano per una vicenda legata al finanziamento delle primarie del Pd, quando il governatore sfidava Renzi e Orlando. Per la procura di Bari due imprenditori con interessi diretti sugli appalti della Regione pagarono la campagna elettorale dell’ex magistrato. Da qui l’accusa di abuso d’ufficio e traffico illecito di influenze alle quali Emiliano si dichiara estraneo.
Calabria, Oliverio tentato dal ritorno.
Guai per il Pd anche in Calabria dove è indagine anche il presidente della Regione, Mario Oliverio. Per lui era stato disposto l’obbligo di dimora, misura però annullata a marzo dalla Cassazione. L’indagine riguarda presunte irregolarità in due appalti gestiti dalla Regione e per i quali la guardia di finanza, oltre ai presunti reati contestati a Oliverio, per gli altri indagati aveva riscontrato quelli di falso, corruzione e frode in pubbliche forniture. Dopo più di tre mesi, il presidente Oliverio torna libero con un provvedimento della Cassazione che, a questo punto, potrà sfruttare anche in chiave politica: siamo agli sgoccioli della legislatura, presto si tornerà a votare per le regionali e ha intenzione di ricandidarsi nonostante le perplessità di parte del Pd calabrese.
Il terremoto delle inchieste in Abruzzo.
In Abruzzo proprio due giorni fa il tribunale dell’Aquila ha disposto l’archiviazione della posizione dell’ex presidente regionale Luciano D’Alfonso, oggi senatore dem. L’inchiesta era uno dei filoni seguiti dalla procura della Repubblica dell’Aquila sugli appalti della Regione: tra i principali, la gara per l’affidamento dei lavori di ricostruzione di palazzo Centi, sede della giunta regionale all’Aquila. Il primo di ottobre però si terrà l’udienza preliminare per un’altra vicenda in cui rischia il processo, quella della Procura di Pescara su una delibera di giunta del 2016, avente come oggetto la riqualificazione e la realizzazione del parco pubblico Villa delle Rose di Lanciano (Chieti) con le accuse di falso ideologico, per aver falsamente attestato, stando all’accusa, la presenza del governatore in giunta.

Umbria, la pediatra che non si piegò e fu sospesa dagli indagati per rappresaglia: “Una bastonata forte. Così si fa male”. - Thomas Mackinson

Umbria, la pediatra che non si piegò e fu sospesa dagli indagati per rappresaglia: “Una bastonata forte. Così si fa male”

Il piano per allontanare la dottoressa "ribelle" Susanna Maria Esposito: "Ho ricevuto minacce per valutare positivamente un collega". Era responsabile della clinica pediatrica dove i vertici tenevano un genetista pagato "senza far nulla". Lei si rifiutò di produrre falsi giudizi positivi e le furono dati 4 mesi lontano dal lavoro. A ilfatto.it racconta: "Ne sono uscita molto provata".


“Una bastonata di quelle forti, che si fa male”, era la raccomandazione. C’è anche l’abuso d’ufficio tra i reati contestati nell’inchiesta sui concorsi sanitari all’ospedale di Perugia che ha travolto i vertici locali del Pd. I vertici erano riusciti nel capolavoro di infilare un genetista nella clinica pediatrica, determinati a tenerlo lì a far nulla, a tutti i costi. La direttrice della clinica però viene da fuori, da Milano. Punta i piedi e quando si rifiuta di produrre “false attestazioni” a copertura dell’imbroglio, subisce quella bastonata in forma di un disciplinare: quattro mesi di sospensione dal servizio e una multa. Lei non piegherà la testa ma andrà in Procura, fornendo così un contributo essenziale all’indagine.
E’ la storia nella storia che non si vorrebbe leggere. A farne le spese è il primario del reparto di pediatria Susanna Maria Esposito, 48 anni, presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici e del ramo umbro della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza Pediatrica. Professionista molto nota anche a Milano, dove era a capo dell’unità di pediatria ad alta intensità di cura della Fondazione Irccs Policlinico di Milano e assisteva le famiglie alle prese con la sindrome dei “Bambini farfalla”, malattia rara e incurabile. Nel 2016 lascia Milano per Perugia, dove le viene offerta la cattedra da ordinario anziché associato. Cosa è accaduto a Perugia lo racconta l’ordinanza emessa dal Gip Valerio D’Andrea a carico di 35 persone coinvolte nel presunto malaffare attorno ai concorsi ospedalieri.
L’accusa è a carico del direttore generale Emilio Duca, del direttore sanitario Diamante Pacchiarini e del direttore amministrativo Maurizio Valorosi e di una funzionaria competente per i procedimenti disciplinari. Sono loro ad adoperarsi per mantenere al suo posto il professor Antonio Orlacchio, associato di genetica medica inserito nella struttura dal 28 dicembre 2015, prima che la Esposito prendesse servizio come dirigente del reparto. “Veniva inserito nonostante le sue competenze non fossero attinenti a quel reparto”, si legge nel decreto del gip. Un esposto anonimo segnala l’anomalia e parte un’indagine per truffa in riferimento agli emolumenti percepiti dal medico “nonostante in realtà egli non svolgesse all’interno di quel reparto alcuna attività”.
La dirigenza che viene sentita eccepisce che Orlacchio ha valutazioni positive da parte della Esposito, la quale però già da marzo 2017 aveva segnalato il problema e un anno dopo inviato un esposto. Siccome i superiori non gradiscono le sue resistenze le comminano un disciplinare e accusano lei di truffa, eccependo su orari e presenze connessi all’attività libero professionale. E’ in quella sede che gli inquirenti apprendono dalla Esposito del contrasto tra dirigenza amministrativa e medica su quella poltrona, e che era stata costretta a fornire valutazioni positive sul professore “solo perché pressata anche con minacce di conseguenti provvedimenti disciplinari in caso contrario da parte della dirigenza amministrativa”.
L’8 agosto 2018 le minacce si concretizzano un forma di una contestazione disciplinare della sospensione dalle funzioni per quattro mesi e multa da 350 euro. Le intercettazioni però erano in corso. In particolare, in una conversazione del 21 maggio 2018, presso l’ufficio del direttore Valorosi costui suggerisce al suo interlocutore Pacchiarini di verificare la presenza in ufficio della professoressa Esposito in modo tale da darle “una bastonata di quelle forti che si fa male“. Evidente, anche grazie ad altre conversazioni registrate, “la natura ritorsiva” delle contestazioni. La pediatria, raggiunta al telefono dal fattoquotidiano.it, si lascia andare a un commento liberatorio: “E’ finita, sono più serena ora perché questi mesi mi hanno molto provato”.  Il suo avvocato Carlo Tremolada spiega che c’è più del disciplinare-ritorsivo raccontato nell’ordinanza.
“Abbiamo depositato anche altre memorie, una riguarda la procedura di selezione che avevano bandito nella quale la mia assistita risultava l’unico concorrente perché unico medico coi titoli necessari ad assumere la direzione della struttura complessa pediatrica. A un certo punto hanno anche sospeso il concorso, lo hanno interrotto senza regioni. Ecco, non si esulta per gli arresti, ma sono l’epilogo di una serie di azioni di rappresaglia incredibili, spudorate, mai vista. Evidentemente capiamo ora che rientravano in una più ampia strategia con una differenza”. Quale? “Qui non è che l’hanno bastonata perché volevano favorire qualcun altro, ma perché lei si era rifiutata di piegare il capo. E si sono vendicati”.

La Spezia.