lunedì 4 novembre 2019

Gigi Proietti parla un napoletano inventato

Il governo non si tiri indietro su tasse “verdi” e virtuose. - Luisella Costamagna

Il governo non si tiri indietro su tasse “verdi” e virtuose.

Al netto del balletto quotidiano, insopportabile, di quello che entra e di quello che esce dalla manovra, dell’approccio un po’ democristiano di voler accontentare tutti – con tanti piccoli provvedimenti poco incisivi (tipo una rivalutazione delle pensioni che porterà in saccoccia ben 3 euro l’anno e manco per tutti i pensionati, da scialare…) – col rischio di non accontentare nessuno, e al netto del racconto strumentale su presunte stangate, il primo dato di fatto su cui bisogna insistere per difendersi dalla propaganda è che la Legge di Bilancio, che arriva in Parlamento la prossima settimana, toglie 26 miliardi di tasse pronte a scattare (23 solo di Iva) e ne mette 5. Toglie, non mette. Il secondo dato di fatto è che è ispirata a principi di coerenza ed equità, che il nostro Paese attendeva da tempo: intanto mantenere le promesse e le cose (buone) già fatte, perché la parola e le persone contano e non si può giocare sulla loro pelle (in questo senso vanno il sospirato disinnesco dell’aumento Iva nel 2020 e la conferma del Reddito di Cittadinanza, Quota 100 e Flat Tax sulle partite Iva); poi aiutare i lavoratori, prima delle imprese (taglio del cuneo fiscale, per rimpolpare buste paga tra le più basse d’Europa); aiutare le famiglie e i redditi più bassi (gratuità degli asili nido, abolizione del superticket, taglio delle detrazioni per redditi più alti, fondi per scuola e ricerca); tutelare l’ambiente e la salute, perché non ci si può riempire la bocca di peana per Greta e insieme ingolfarsi di zucchero, plastica e petrolio (Sugar Tax sulle bevande zuccherate, come hanno paesi civili come Francia, Danimarca, Irlanda, Regno Unito, la Norvegia addirittura dal 1922 e come impone il triste record italiano in Europa di bambini obesi o sovrappeso, uno su tre nella fascia 6-9 anni; Plastic Tax, come stanno facendo tutti i Paesi europei per adeguarsi alla direttiva Ue che, a partire dal 2021, metterà al bando prodotti di plastica monouso; bonus/malus per chi lascia/usa auto e scooter inquinanti); combattere seriamente l’evasione fiscale, abbassando la soglia sull’uso del contante e prevedendo premi per i contribuenti onesti e chi usa pagamenti tracciabili (cashback e lotteria degli scontrini) e punizioni per chi non usa il Pos (non prima di aver tagliato le commissioni delle banche) e per i grandi evasori (inasprimento delle pene e carcere per reati fiscali come dichiarazioni fraudolente), invece del classico ritornello nostrano dei premi per gli evasori (con condoni, scudi, voluntary disclosure, paci fiscali…).
Il terzo e ultimo dato di fatto è la retorica dominante che accompagna queste misure e che negli anni ha soffocato qualunque tentativo di cambiamento verso la civiltà nel nostro Paese: si ripete ossessivamente che è una “manovra delle tasse” di un “governo delle tasse”, che “si usano le imposte come strumento di indirizzo al Paese, persino per agevolare comportamenti virtuosi”, “una strada punitiva” e via a sostenere i soliti grumi di interesse, che sono “sul piede di guerra” e pretendono “una marcia indietro del governo”. E negli anni l’hanno sempre ottenuta, usando il ricatto del rifarsi sui cittadini.
Mi auguro che il governo, per una volta, dica basta e vada a avanti lo stesso. Anche con le tasse, ebbene sì. Se un principio è giusto, è giusto. Se un comportamento è virtuoso, è virtuoso. Punto. Gli imprenditori aumenteranno i prezzi dei prodotti? Prendiamocela con chi lo fa, tuteliamo i consumatori e le imprese serie, non smontiamo una rivoluzione possibile. In un Paese incancrenito come il nostro – lo sappiamo bene – non si riescono a cambiare le cose con le buone. Chi ci ha provato ha fallito. Per un ambiente, un lavoro, una società, un fisco, una vita e un futuro sostenibili, in Italia – ormai è chiaro – ci vogliono (anche) le cattive.

domenica 3 novembre 2019

Di Matteo: “Ergastolo è l’unica pena che fa paura ai boss. La politica intervenga dopo la sentenza della Consulta: non può bastare buona condotta per i permessi ai boss”.

Di Matteo: “Ergastolo è l’unica pena che fa paura ai boss. La politica intervenga dopo la sentenza della Consulta: non può bastare buona condotta per i permessi ai boss”

Il magistrato membro del Csm ed ex pm del processo sulla trattativa Stato-mafia intervistato su Rai3: "La nostra è una situazione eccezionale. Abbiamo mafie che hanno raggiunto una potenza unica e che hanno avuto rapporti di collusione con esponenti della politica". Quindi, parlando delle stragi, ha replicato a chi (come fece Matteo Renzi) ha parlato "di accuse senza straccio di prove": "C'è deficit di memoria. Il senatore Dell'Utri è stato condannato in via definitiva per essere stato l'intermediario tra le famiglie mafiose e Berlusconi".

“L’ergastolo è l’unica pena detentiva a spaventare i capi della mafia”. Nino Di Matteoil magistrato membro del Consiglio superiore della magistratura ed ex pm del processo Stato-mafia, intervistato su Rai3 da Lucia Annunziataha ribadito la sua preoccupazione per il “varco” che si è aperto dopo le sentenze della Cedu e della Consulta contro l’ergastolo ostativo. “Auspico che il legislatore metta dei paletti”, ha detto, “e stabilisca che tipo di prova ci vuole per far accedere gli ergastolani ai permessi” perché “non può bastare la buona condotta carceraria”. Inoltre ha proposto un tribunale di sorveglianza nazionale che si occupi solo di questo “per evitare che i giudici sul territorio siano sottoposti a minacce e pressioni”. (FIRMA LA PETIZIONE DEL FATTO – NO A PERMESSI PREMIO AI BOSS STRAGISTI CHE NON COLLABORANO)
Il magistrato, che già aveva preso posizione dopo le storiche sentenze che hanno dato un duro colpo alla lotta antimafia in Italia, è partito da tre premesse per argomentare il suo discorso. Intanto ha appunto dichiarato che “l’ergastolo è l’unica vera pena detentiva a spaventare i capi della mafia”: “Ricordo sempre che Riina diceva ai suoi più stretti collaboratori: ‘Noi quindici anni di galera possiamo farli anche legati a una branda, ma dobbiamo batterci a tutti i costi contro l’ergastolo'”. La seconda considerazione invece è nata dal fatto che proprio “il tentativo di far attenuare l’ergastolo spinse Cosa Nostra a ricattare a suon di bombe lo Stato. Sono state commesse delle stragi proprio per quel risultato”, ha detto. E, come terzo punto, Di Matteo ha ricordato: “Fino a poco tempo fa dei capi mafia avevano iniziato a collaborare con la giustizia e poi non lo hanno fatto perché si attendevano l’apertura di un varco che evitasse l’ergastolo a vita”. Quindi ha concluso: “Massimo rispetto per la sentenza della Corte costituzionale che muove dall’esigenza di equiparare diritti costituzionalmente garantiti. Detto questo, io credo che sulla scia della sentenza dovremmo cercare di evitare che questo varco diventi molto più largo e che tutti i benefici possano essere concessi indiscriminatamente”. Perché, è la sua tesi, “abbiamo delle mafie che hanno raggiunto una potenza che non hanno raggiunto in altre parti. E abbiamo una mafia che ha avuto rapporti di collusione con esponenti della politica. La nostra è una situazione eccezionale che la Cedu non ha colto nelle sue sfaccettature”.
Quindi Di Matteo, pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, è tornato sull’intervista di maggio scorso a La7 che gli è costata il posto nel pool antimafia sulle “entità esterne”: “Io la rifarei”, ha detto. “Ho solo messo in fila i fatti”. E ha ribadito che secondo lui c’è una pista che riguarda le stragi su cui bisogna investigare ancora: “Deve essere approfondita la possibilità che ci sia la responsabilità di ambienti e persone che non sono mafiosi. Io ho messo in fila una serie di cose note sollecitando una riflessione. Il Paese deve avere la volontà di approfondire. Perché sulle stragi si sa molto, ma non si sa tutto. Questo Paese sconta un deficit di conoscenza e memoria su certi fatti“. Ed è entrato nel merito: “Voglio riferirmi solo a sentenze definitive: alla sentenza che ha condannato il senatore Dell’Utri per associazione mafiosa. In quella sentenza viene sancito un fatto”. Ovvero si dice che “venne stipulato un patto tra le famiglie mafiose con Silvio Berlusconi. Dell’Utri è stato condannato come intermediario di quel fatto almeno fino al 1992. C’è una sentenza di primo grado che dice che l’intermediario lo ha fatto anche nel 1994″. E proprio “questo elemento”, ha detto ancora Di Matteo, “viene continuamente ignorato. Io mi riferisco alla gran parte dell’opinione pubblica e anche a una parte della politica. Quando si parla di ‘accuse senza straccio di prova’, c’è una base di sentenze che viene dimenticata”. Il riferimento qui, anche se non esplicito è a Matteo Renzi che, a fine settembre, ha criticato i magistrati per aver indagato Silvio Berlusconi per le stragi di mafia e l’attentato a Maurizio Costanzo. “Le indagini sono doverose. A me stupisce lo stupore. E’ un po’ calata l’attenzione sulla necessità di approfondire tutte le piste investigative secondo le quali insieme a Cosa Nostra altri abbiano responsabilità. Quelle del 1993 sono stragi anomale, che non sono state fatte per mera vendetta. La storia di Cosa nostra ci insegna che loro hanno cambiato strategia a seconda dei momenti. Sono sempre pronti a riorganizzarsi”.
Di Matteo, rispondendo alle domande di Lucia Annunziata, ha anche parlato dello scandalo che ha travolto il Csm nei mesi scorsi. “I fatti”, ha esordito, “che sono emersi dall’inchiesta perugina ci devono indignare, ma non ci devono sorprendere. E soprattutto non ci devono piegare. Non dobbiamo rassegnarci a un’idea di magistratura malata”. Purtroppo, è stata la sua considerazione, “nell’ultimo periodo si era fatto spazio a un collateralismo politico. Ovvero si era fatto troppo ricorso al criterio dell’appartenenza a una corrente o una cordata. E’ un criterio inaccettabile: aggira la meritocrazia, ma anche l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”. Anche per questo motivo Di Matteo ha deciso di candidarsi al Csm: “Io non ho lo avevo mai preso in considerazione prima, ma proprio nel momento di peggiore difficoltà è arrivata in me la volontà di dare una mano. Io sono certo che sotto la guida del presidente Mattarella il Csm saprà emendarsi delle colpe passate. Perché sono convinto di una cosa: o cambiamo noi, o ci cambiano altri. Magari a colpi di riforme con lo scopo di normalizzare la magistratura. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura non è un privilegio, ma una garanzia di libertà dei cittadini, soprattutto dei più deboli”.
Infine il magistrato ha anche commentato la riforma della prescrizione che entrerà in vigore a partire da gennaio prossimo: “Io ho un parere favorevole”. Mentre, ha aggiunto, sulle “disciplina delle intercettazioni, “penso che vada bene così com’è, non avverto una necessità di riforma”. Positivo il suo giudizio anche sul “carcere agli evasori”: “Un inasprimento delle pene è positivo, soprattutto nei casi in cui l’evasione alimenta la corruzione e soprattutto quando a beneficiare e a sfruttare l’evasione fiscale sono le mafie”. E allo stesso tempo si è detto contrario alla liberalizzazione delle droghe leggere: “Le mafie sanno cambiare le loro strategie come il serpente cambia la pelle. Liberalizzare le droghe leggere colpirebbe il crimine organizzato solo momentaneamente, perché poi indirizzerebbe le sue strategie su altro. Sono contrario alla liberalizzazione delle droghe leggere, sono contrario a uno Stato che si arrende e che faciliterebbe con la liberalizzazione una maggiore diffusione delle droghe”.
L’ultima domanda è stata sulla sua vicinanza al Movimento 5 stelle. “Io nella mia carriera e nelle mie esternazioni sono stato sempre indipendente né organico né collaterale rispetto a nessuno”, ha chiuso. “Se non erro i 5 stelle sono al governo dal 2018 e a me non è stato attribuito nessun incarico, quindi le voci di cui si è sempre parlato sono smentite dalla realtà”.
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Danni maltempo in Liguria, allagamenti a Sanremo: fiume in piena sulle scalinate.



In Liguria infuria il maltempo con precipitazioni e rovesci diffusi - Il video di Sanremo News /Corriere Tv

Abitazioni con tetti scoperchiati a Lavagna per il passaggio di una tromba d’aria e a Cogorno, alle prese con un fortissimo vento. E poi strade allagate e alberi caduti tra Sanremo, Ventimiglia e Bordighera. Dalla mezzanotte in Liguria infuria il maltempo con precipitazioni e rovesci diffusi. Nella zona di Ponente permane l’allerta gialla diramata dall’Arpal. In quella di Levante l’allerta è arancione.



Sacrifici umani nel mondo dei Maya: nuove scoperte dall'archeologia. - Nadia Vitali

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Accanto ad una piramide di Chichén Itzà, celebre sito Maya, sono stati ritrovati alcuni scheletri in una voragine: si tratta, probabilmente, dei resti di sacrifici umani.

Studi archeologici e storiografici hanno spesso sottolineato come presso le popolazioni precolombiane, in particolare quelle mesoamericane e sudamericane, fosse uso compiere dei sacrifici umani, per lo più di bambini: le ragioni ideologiche e religiose che spingevano queste genti verso un così macabro rituale non sono mai state chiarite del tutto, ma, verosimilmente, si suppone che lo scopo fosse quello di ingraziarsi il favore degli dei nei momenti di normalità come in quelli di difficoltà che, si immagina, un popolo la cui economia si basava principalmente sull'agricoltura, poteva attraversare.
La cultura Maya, che fiorì in un arco di tempo che oscilla, a seconda delle varie opinioni, tra il 1800 ed il 1000 a. C. nel Sud della penisola dello Yucatan tra Guatemala, Belize, El Salvador ed Honduras, non faceva eccezione su questa usanza: testimonianze artistiche come stele o vasi, ritraggono giovani fanciulli nell'atto di essere sacrificati. Le circostanze durante le quali questo rito aveva luogo dovevano essere particolari: per lo più si è ipotizzato che l'insediarsi di un nuovo sovrano oppure l'inizio del calendario, fossero date significative durante le quali si operava la terribile asportazione del cuore dai toraci di ragazzi o bambini.
L'ultimo ritrovamento che ci parla di questo antico popolo scomparso intorno al 900 d.C. per circostanze che, inevitabilmente, mai del tutto saranno chiarite, è avvenuto in un cenote, sorta di voragine molto profonda che contiene acqua dolce, caratteristica del Messico: i cenotes erano probabilmente considerati dai Maya dei varchi della Terra grazie ai quali umano e divino potevano entrare in contatto, come ha sottolineato Guillermo Anda, docente della Universidad Autonoma de Yucatàn, che ha diretto le ricerche durante le quali altre 33 grotte sono stati esplorate.

CenoteSagrado__Chichen_Itza_Messico

All'interno del cenote chiamato Holtun, che si trova nel sito archeologico, patrimonio dell'UNESCO, di Chichén Itzà, nei pressi del celebre tempio a gradoni consacrato alla divinità Kukulkàn, sono stati ritrovati i resti di sacrifici umani tributati al dio della pioggia Chaak: con tutta probabilità, all'epoca in cui risalgono questi rituali, dopo l'850 d. C., il livello dell'acqua nella grotta doveva essere più basso; circa venti metri sotto la superficie, infatti, un passaggio orizzontale nella parete della voragine celava questi segreti, il che fa pensare che, al tempo, l'acqua lì non arrivasse. Il sacrificio al dio, presumibilmente, doveva servire per scongiurare la siccità che, stando a quanto sostiene Anda, avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella scomparsa della civiltà Maya.

Chichen_Castillo

Nella grotta colma d'acqua sono stati ritrovati i resti di sei individui: quattro di questi erano adulti ma due bambini. Accanto ad essi vasi, perline, conchiglie, coltelli, ossa di animali quali cani e cervi: oggetti certamente connessi al terribile rituale svoltosi in quel luogo probabilmente reputato ideale per comunicare con il divino, forse offerte per lo stesso dio. Tracce di carbonella hanno fatto pensare ad un fuoco che avrebbe accompagnato il compimento delle operazioni; l'analisi dei resti ha consentito anche di verificare che, sebbene si trattasse di prigionieri di guerra -di norma questi erano le vittime immolate- essi non risultavano essere denutriti.
Non è la prima volta che scoperte del genere squarciano le nebbie del tempo su scenari tenebrosi e così lontani da noi: ma lo stupore per questa pratica così atroce resta invariato ogni volta che ci si imbatte in ritrovamenti che fanno luce su questa tipologia di comportamento rituale. Incomprensibile e tremendamente diverso, eppure frutto di uomini come noi. (fonte Nationalgeographic)

https://scienze.fanpage.it/sacrifici-umani-nel-mondo-dei-maya-nuove-scoperte-dall-archeologia/

Tikal, Guatemala.


Tikal è la più estesa delle antiche città in rovina della civiltà Maya. Tikal si trova in Guatemala nel dipartimento di Petén. Attualmente fa parte del Parco nazionale di Tikal, sito segnalato dall'UNESCO come uno dei siti Patrimoni dell'Umanità. Tikal è una popolare meta turistica del Guatemala.
Le città più vicine sono Flores e Santa Elena, a circa 30 chilometri di distanza.
Ubicazione geografica.
Le rovine si trovano su una pianura coperta di foresta pluviale, comprendente ceiba (Ceiba pentandra) alberi consacrati dai Maya; cedri tropicali (Cedrela odorata) e mogano (swietenia). Riguardo alla fauna, si incontrano facilmente agutiatelinaescimmie urlatricipavonitucanipappagalli verdi e formiche tagliatrici di foglie. Giaguari e coati sono stati avvistati all'interno del parco.
Storia.
Tikal è uno dei siti maya più antichi del Peten guatemalteco. Esso diventa uno dei maggiori centri di potere regionali subito dopo il collasso del Periodo Preclassico, epoca nella quale il potere politico e religioso si concentrava nel sito di El mirador e nella vicina Nakbé. La cronologia di Tikal fino al III secolo è conosciuta solo parzialmente. Il fondatore della dinastia fu Yax Ehb' Xook che dovrebbe essere vissuto attorno all'90 a.C. Il primo sovrano di cui abbiano una quantità interessante di dati storici è Chak Tok Ich'aak I. Vari frammenti di monumenti e varie ceramiche recano il suo nome. Dai pochi dati estraibili da questi testi possiamo notare che la città godeva di ottima salute economica e che era diventata una delle o forse la maggiore potenza politica dell'area.
La vita politica di Tikal sarebbe da lì a poco stata stravolta da un evento ancora non completamente chiarito dagli studiosi: l'arrivo di Teotihuacan. Teotihuacan era all'epoca la maggiore forza militare della Mesoamerica. Essa manteneva già rapporti commerciali con l'area maya, ma sembra che questi "contatti" non bastassero più ai suoi sovrani.
Il 31 gennaio 378 marca l'arrivo di Sihyaj K'ahk' di Teotihuacan a Tikal. Chak Tok Ich'aak I era morto da soli 15 giorni e non si hanno notizie di altri re governanti al momento dell'arrivo dell'esercito teotihuacano. Sihyaj K'ahk' inizia da Tikal il riordino di tutto il Peten incoronando re e confermando sovrani già presenti. A Tikal il nuovo re si chiama Yax Nuun Ahyiin I, figlio del re di Teotihuacan e di una principessa maya di Tikal. Il regno di Yax Nuun Ahyiin I è caratterizzato dalla massiccia presenza di iconografia teotihuacana nell'arte pubblica. Non esiste un solo esempio di ritratto di Yax Nuun Ahyiin I che sia in stile maya. Alla sua morte lo segue sul trono il figlio Siyaj Chan K'awiil II. Egli fece erigere la celebre Stele 31, ove lo si vede vestito come re maya, affiancato su entrambi i lati da immagini del padre in uniforme teotihuacana.
La città, che raggiunse il suo massimo splendore tra il 700 e l'800 d.C., venne realizzata rispettando un codice simbolico relativo alle credenze cosmiche maya.[1] Numerosi templi sorgono presso la Grande Piazza Centrale, caratterizzati per l'ascesa in verticale, come la piramide in nove corpi a cui venne aggiunta una cresta decorata. Spesso ospitano ancora intatti ampi corredi funerari. Il centro di culto è composto da sette complessi architettonici che ospitano stele ed altari. L'Acropoli invece non sembra essere destinata ai riti di culto, ma ad un uso residenziale.
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Piramidi.
Straordinarie per grandezza e stile (linee slanciate, notevolissime "creste") sono le piramidi di Tikal; tutte del periodo classico, ad eccezione delle strutture nella zona denominata Mundo Perdido (pre-classico). Nel massimo splendore Tikal annoverava circa 200 templi. I maggiori sono:
Tempio 4, Serpente Bicefalo (64 metri);
Tempio 5 (58 metri);
Tempio 3, Gran Sacerdote (55 metri);
Tempio 1, Gran Giaguaro (48 metri);
Tempio 2, delle Maschere (quasi 40 metri);
Tempio 6, delle Iscrizioni;
la Grande Piramide del Mundo Perdido (periodo pre-classico) alta sui 30 metri.
La monumentale Acropoli Nord conteneva circa sedici templi (il tempio 33 il più grande alto sui 30 metri) ;
l'Acropoli Sud era composta da sette piattaforme (tra i 30 e 40 metri d'altezza), alla sommità una piramide superiore ai 20 metri.
I complessi doppio-piramidali (innovazione di Tikal, nove in tutto).
La piazza dei Sette Templi (con strutture piccole e similari).
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sabato 2 novembre 2019

Venite ad ammalarvi in Sicilia dove il pronto soccorso diventa un’esperienza mistica. - Totò Burrafato - 28.10.2019



Tempi di attesa a volte superiori alle 10 ore. 

Ammalarsi in Sicilia è conveniente. In una regione dove la gente è allo stremo delle risorse economiche e morali, un problema di salute può diventare la via della catastrofe in tanti casi. Se dovesse essere necessario il ricorso a una visita specialistica la strada è quella del tombolone del Cup, con mesi e mesi di attesa per aver fissato un esame specialistico.
Così, chi può mette mano al portafoglio e si rivolge alla sanità privata. Chi non può, o direttamente rinuncia a curarsi e si affida alla preghiera, oppure – come viene correttamente riportato dall’ultimo “Rapporto annuale Ospedali e salute” – ricorre al Pronto Soccorso “quale strada alternativa di accesso ai servizi ospedalieri”. Così il sistema esplode.
A leggere le statistiche dell’osservatorio regionale, che da oltre due anni tiene sotto costante monitoraggio le attività dei Pronto soccorso siciliani, la gravità della situazione non emerge in tutta la sua drammaticità. Quel report sostiene che i tempi di attesa non sono così lunghi come la narrativa mediatica suol raccontare: “la percentuale di pazienti che ha atteso più di un’ora nei piccoli PS è pari al 7.2% e raggiunge il 33.5% nei grandi PS”.
E’ la classica statistica dei due polli divisi tra quattro persone. C’è chi ne mangia uno e mezzo e gli altri sono costretti a sbranarsi per le briciole. Eppure quello stesso report fa chiarezza sui dati di insoddisfazione, che superano spesso il 50% dei pazienti. Quei locali che dovrebbero offrire soccorso, sono spesso e volentieri sporchi ed angusti, tanto da far apparire spesso il termine “inaccettabile”, nella casella dei risultati legati ai risultati legati alla pulizia ed all’ospitalità. Anche la voce ufficiale di Mamma Regione non può del tutto chiudere gli occhi di fronte alla statistica.
Per capire l’effetto che fa, basta recarsi in uno dei tanti pronto soccorso delle grandi città siciliane. Sono presi d’assalto da vecchi e giovaniI tempi di attesa, soprattutto nel weekend, possono arrivare a superare anche le 10 ore, prima di essere accettati al triage.
Sui tabelloni luminescenti, oltre alla graduatoria dei tempi d’attesa, in basso c’è una riga che segnala i pazienti in cura. Spesso indica un cospicuo numero di pazienti in codice rosso e giallo sotto trattamento. Quella riga è il segnale che certifica il fallimento del sistema. Perché, e non temo smentita, molto spesso quei pazienti indicati sotto terapia, faranno parte di quella riga in giallo per due, tre o quattro giorni. Si tratta di un ricovero camuffato: i tagli dei posti letto negli ospedali (che parecchi mascalzoni nel tempo ci hanno propinato come “razionalizzazione”) hanno causato questo ingorgo. Uomini e donne rimangono negli stanzoni del pronto soccorso per essere curati lì, senza avere la possibilità di accesso al reparto specialistico in tempi decenti.
Da qui un’idea stravagante si fa strada: perché non candidare proprio la Sicilia a diventare il più grande ed efficiente centro nazionale per l’eutanasia? Un obiettivo, oggettivamente, alla nostra portata. Per la prima volta partiamo da dati incoraggianti. E soprattutto potremmo già utilizzare, in via sperimentale, i vari pronto soccorso dell’isola che agevolmente potrebbero essere riconvertiti alle nuove finalità d’uso.
Ora – al di là dei maldestri tentativi di sdrammatizzare – dovreste chiedermi, il perché ritengo che l’ammalarsi in Sicilia sia conveniente. Dovete assolutamente vivere una giornata al pronto soccorso, mangiare i pasti che consumano i pazienti, con pazienti dall’età, dal sesso e dalle patologie più disparate e spesso contagiose, tutti ammucchiati negli stanzoni, gettati nelle barelle, in attesa di una terapia. Esperienza mistica, che pone la Sicilia all’avanguardia di quella statistica che immagina la riduzione della specie umana nel numero di tre o quattro miliardi nei prossimi anni. In Sicilia ci stiamo portando avanti col lavoro.
Nota a margine uno: ho omesso di parlare delle aggressioni a medici e infermieri. Quello è un fenomeno criminale, punto e basta.
Nota a margine due: di solito, propongo delle soluzioni. Questa volta no. Lo sfascio della sanità siciliana è soltanto colpa nostra. Se per decenni abbiamo votato coi piedi, è persino normale che adesso la politica ci prenda a calci in faccia.

https://www.blogsicilia.it/palermo/venite-ad-ammalarvi-in-sicilia-dove-il-pronto-soccorso-diventa-unesperienza-mistica/503592/#4GUotlWlKdPf4Jq0.99