sabato 23 maggio 2020

Di tutta l'erba un fascio. - Massimo Erbetti

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In questi giorni sono trapelate dalla stampa, delle conversazioni whatsapp, tra magistrati in merito al caso Palamara.
Alcune conversazioni riguardano giudizi sul caso "Diciotti":
”Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell’Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c’entri la Procura di Agrigento”.

”Hai ragione. Ma adesso bisogna attaccarlo”.
“Tutti la pensano come lui”, ”tutti pensano” che abbia ”fatto benissimo a bloccare i migranti”. ”Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili”. Cosa si evince da queste conversazioni? A cosa fanno pensare? Beh a parte il fatto che nessuno dei magistrati coinvolti nelle intercettazioni entra nel merito dei fatti e tutti danno giudizi personali, la cosa strana è che in quelle intercettazioni non c'è un solo giudizio tecnico della questione, ma parlano come se a preoccuparli fosse l'opinione pubblica..."Tutti la pensano come lui..." e allora? Se "tutti" pensano che una cosa sia giusta, è lecito farla? E poi sarebbe interessante capire chi sono quei "tutti"...la legge ha delle regole e non dovrebbe farsi influenzare dall'opinione pubblica, altrimenti si aprirebbe la strada a processi sommari, un po alla Ponzio Pilato..."volete che liberi Barabba o Gesù?"
Le intercettazioni poi proseguono con altri temi e non riguardano affatto il Ministro dell'interno di allora:
“Ha uno specifico interesse per presidente sezione Viterbo”.

“Ti manderà sms direttamente perché ha sciolto le sue perplessità… preferiva Roma, ma se a Roma non c’è possibilità meglio puntare su Viterbo”.
"Ho visto Eugenio (Turco n.d.r.) l’altro giorno e considerami al suo fianco”.
“Luca cerca di chiudere tu le cose prima di andartene”.
“Mi raccomando per tutto, anche Viterbo”.
“Non fare scherzi […] Mi sto battendo per nostro amico con molta esposizione… manteniamo le parole per favore ingiustizie non tollerabili… porta a casa anche Eugenio”. “Eugenio già fatto: 5 a 1”.
È lecito "sponsorizzare" così qualcuno? Beh non so se lo sia in termini di legge, ma sicuramente a livello morale, non credo lo sia molto.
Le domande che però dovremmo porci, rispetto a queste intercettazioni, secondo me sono altre: sono coinvolti i magistrati che hanno indagato il ministro dell'interno? No. E allora perché l'ex ministro ha paura, o vuol far credere di aver paura che non sia sottoposto ad un equo processo? Non è che per caso queste intercettazioni servono a screditare l'intera magistratura, proprio in vista di quel processo? Se un carabiniere, un poliziotto o qualunque altro membro delle forze dell'ordine è un delinquente, significa che tutta l'arma lo sia? Se così fosse, potremmo allora dire che tutti gli italiani sono corrotti, mafiosi e delinquenti, no?
La pubblicazione di queste chat, secondo me ha il preciso scopo di fare di tutta l'erba un fascio...tutti i magistrati sono dei "poco di buono" e il processo che si terrà, sarà solo un processo politico e non un equo processo... ricordate che in politica, mai nulla avviene per caso e screditare l'avversario è il metodo più usato dalla notte dei tempi...

La Palamarata. - Marco Travaglio


Palamara: «Mai presi 40.000 euro, non sono un corrotto ...
Palamara, Ferri, Lotti
Quello che pensiamo dell’inchiesta sul pm romano Luca Palamara, ex capocorrente di Unicost, che ha scoperchiato il vaso di Pandora del mega-scandalo del Csm e del Risiko delle Procure, l’abbiamo scritto un anno fa quando vennero fuori le prime conversazioni intercettate (anche col trojan horse) dalla Procura di Perugia: più che a un’indagine sulle presunte corruzioni del potentissimo magistrato romano, nel frattempo ridimensionate dagli stessi pm umbri, l’operazione faceva pensare a una gigantesca pesca a strascico per sventare la nomina a capo della Procura di Roma del Pg di Firenze Marcello Viola, sgradito al procuratore uscente Giuseppe Pignatone, che invece preferiva l’amico Francesco Lo Voi, attuale procuratore di Palermo. Le intercettazioni scoperchiarono un verminaio di spartizioni, maldicenze, dossieraggi, delazioni, imboscate, traffici di favori e influenze, simonie, complotti politici e correntizi per mandare (ma soprattutto per non mandare) tizio o caio nei posti chiave. Anche la Procura della Capitale, che vale molto più di un ministero, era oggetto di una guerra per bande: da un lato gli amici di Pignatone che spingevano per il suo fedelissimo Lo Voi, dall’altro gli amici di Palamara e dei parlamentari renziani Lotti e Ferri (quest’ultimo ex capo di MI) che spingevano per il “discontinuo” Viola. Il quale fu il più votato dalla commissione Incarichi direttivi del Csm e avrebbe prevalso nel voto finale al Plenum.
Ma a quel voto non si giunse mai perché, previo intervento del Quirinale, senza che su Viola emergesse nulla di men che corretto, si decise di azzerare tutto e di rivotare da capo. Così prevalse Michele Prestipino, braccio destro di Pignatone a Palermo, a Reggio Calabria e a Roma. E l’indagine, che sulle presunte corruzioni di Palamara non è ancora approdata neppure al processo, ha già sortito l’effetto che qualcuno sperava: garantire a Pignatone una morbida successione in totale “continuità” con la sua, premiando e coprendo errori, omissioni e fiaschi. Anche perché un anno fa, dal maremagno delle conversazioni intercettate, ne furono selezionate e trasmesse al Csm soltanto alcune: quelle funzionali al giro vincente. Solo ora, dopo il deposito integrale degli atti, saltano fuori anche quelle sfavorevoli. Ma i giornaloni – incassato il procuratore di Roma che sognavano con i loro editori – si guardano bene dal pubblicarle. Lo fanno il Fatto e la Verità, in beata solitudine. Ne vien fuori una magistratura associata che, salvo rare eccezioni, si comporta come le peggiori lobby (per non dire cosche).
E naturalmente prende di mira i pochi cani sciolti che si ostinano a non guardare in faccia nessuno: Woodcock, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri. L’unica corrente che (almeno finora) ne esce benino è Autonomia e Indipendenza, fondata da Davigo e rappresentata al Csm anche da Ardita e Di Matteo. Per il resto, da quelle di destra a quelle di sinistra, è un museo degli orrori generale che completa il quadro parziale emerso un anno fa. Con una differenza: nel 2019 si dimisero il Pg della Cassazione e altri cinque membri del Csm; ora non si dimette nessuno, a parte il capo di gabinetto di Bonafede. E forse è inevitabile che sia così: se dovessero finire sotto procedimento disciplinare e/o lasciare i propri incarichi tutte le toghe “apicali” intercettate a dire o a fare qualcosa di men che commendevole, si creerebbe il deserto negli uffici giudiziari di mezza Italia. Le metastasi correntizie e carrieristiche sono ormai così ramificate che nemmeno il bisturi può stroncare il cancro. Fermo restando che chi ha commesso illeciti deontologici o penali deve finire dinanzi al Csm o in tribunale, urgono almeno sei riforme draconiane che chiudano al più presto la piaga purulenta e facciano sì che non si riapra mai più.
1) Smantellare la controriforma Castelli-Mastella del 2007 che accentrava (“verticalizzava”) tutti i poteri nelle mani dei procuratori capi e restituisca ai singoli pm quel potere “diffuso” che è garanzia di pluralismo e rende molto più difficile insabbiare indagini scomode. 
2) Frenare gli appetiti carrieristici delle toghe abolendo la rotazione dei capi degli uffici dopo tot anni (chi fa bene resti anche a vita, chi fa male sia cacciato dal Csm perché è incapace, non perché è “scaduto”). 
3) Sistema misto fra sorteggio ed elezione per la scelta dei membri togati del Csm (proposto da Bonafede, ma poi archiviato su richiesta di Pd e Anm), per lasciare al caso almeno la selezione dei candidati, fra i quali poi i magistrati eleggeranno i propri rappresentanti. 
4) Divieto d’accesso alla quota “laica” del Csm per chi ha avuto ruoli politici (tipo Casellati ed Ermini). 
5) Divieto per le toghe che hanno svolto incarichi extra di nomina politica di dirigere uffici giudiziari per almeno 5 anni (Raffaele Cantone, ottima persona, fu scelto da Renzi all’Anac: ora è meglio che non diventi procuratore di Perugia, competente sui reati dei colleghi romani). 
6) Abolire il divieto di pubblicazione testuale degli atti d’indagine anche coperti da segreto, almeno su personaggi pubblici. Così la libera stampa potrà raccontare tutto senza censure. Ove mai esistesse.

venerdì 22 maggio 2020

Divieto di verità. - Marco Travaglio

Il giornalismo spazzatura - Il Blog delle Stelle
Le immonde gazzarre degli ultimi due giorni, prima al Senato contro il ministro Bonafede e poi alla Camera contro il deputato M5S Riccardo Ricciardi, proseguite sui social e sui giornaloni, dimostrano che in Parlamento tutto si può dire fuorché la verità. Chi la dice viene lapidato e crocifisso, mentre chi mente passa per un gran fico e la fa franca. L’altroieri, tentando di spiegare la loro scombiccherata mozione di sfiducia e il loro voto favorevole a quella opposta della Bonino, i forzisti accusavano il ministro di aver detto: “In carcere non ci sono innocenti”. Ma Bonafede non l’ha mai detto. Una sera, a Otto e mezzo, una giornalista di Repubblica gli contestò la legge blocca-prescrizione per via degli “innocenti che finiscono in carcere”. Lui, stupefatto, rispose: “Cosa c’entrano gli innocenti che finiscono in carcere? Gli innocenti non finiscono in carcere…”. Sottinteso: “…con la blocca-prescrizione”. Com’è noto, in carcere si può finire per espiare una condanna definitiva, da sicuri colpevoli; o in custodia cautelare durante le indagini e/o il dibattimento, da “presunti non colpevoli”. E bloccare la prescrizione dopo la sentenza di primo grado non modifica di un millimetro né la custodia cautelare né l’espiazione della pena. Questo disse Bonafede: la pura verità.
Intanto la Bonino e l’Innominabile, smanettando su Google, han trovato un’intervista del 2016 rilasciata da Bonafede (all’epoca soltanto deputato M5S) a Repubblica e han pensato bene di non leggerne il testo, ma solo il titolo: “Se c’è un sospetto anche chi è pulito si dimetta”. L’Innominabile l’ha associato ai ministri-martiri dei governi Pd costretti alle dimissioni o destinatari di mozioni di sfiducia. Quelli che fu lui stesso a spingere o ad accompagnare alla porta. In ogni caso, in quell’intervista, Bonafede non parlava di ministri Pd, ma di una sindaca M5S a cui Grillo e Casaleggio avevano chiesto le dimissioni: Rosa Capuozzo di Quarto (Napoli), che non era indagata, ma non aveva denunciato le pressioni di un consigliere M5S eletto con i voti di un presunto boss locale (ed espulso). Bonafede, in tutta l’intervista, non diceva mai la frase inventata nel titolo di Repubblica e citata dal duo Bonino-Innominabile (“Se c’è un sospetto anche chi è pulito si dimetta”). Diceva invece che “per il M5S i voti della camorra, anche se non determinanti…, sono irricevibili. Abbiamo … mandato via per tempo il consigliere indagato, ora chiediamo un passo ulteriore… Ci sono forti ombre sui voti dati a un nostro consigliere. Contro il voto di scambio noi ci battiamo quotidianamente senza se e senza ma. Facessero gli altri quel che abbiamo fatto noi”.
Ormai funziona così: si inventano frasi mai dette, poi si chiama chi non le ha dette a discolparsi e, se quello esprime il suo vero pensiero, lo si accusa di incoerenza.
Ieri, alla Camera, Ricciardi ha messo in fila fatti e dati incontestabili sulla Caporetto della Regione Lombardia e della sua “sanità modello”, record mondiali di contagi e morti da Covid-19: lo smantellamento della medicina territoriale; i tagli di 25 mila posti letto in 20 anni; il dirottamento del 40% dei fondi pubblici alla sanità privata; gli scandali di Formigoni; le scemenze di Giorgetti al Meeting di Cl 2019 (“Chi ci va più dal medico di base? È finita quella roba lì”); la farsa del Bertolaso Hospital in Fiera ormai rinnegato dallo stesso padre e indagato dai pm; la famigerata delibera di Fontana&Gallera per trasferire i malati nelle Rsa, con strage di anziani incorporata. Parole confermate dagli Ordini dei Medici lombardi, a cui si sarebbe potuto aggiungere che dalla riapertura di lunedì i medici di base hanno segnalato 3.157 casi sospetti di contagio alle Ats della Lombardia, che hanno effettuato appena 25 tamponi (a Milano 9 su 603 casi). Ma quelle parole, essendo vere, hanno scatenato l’ira funesta dei forzaleghisti e di insigni commentatori. Salvini le spacciava per “infamie contro cittadini e medici lombardi” (mai citati). Giorgetti per un’offesa “ai nostri morti” (uccisi anche dalle politiche del centrodestra) e pretendeva che qualcuno (il Duce?) “metta in riga i grillini” (se no?). E il ministro Speranza, incredibilmente, gli dava ragione.
Si dirà: per fortuna poi ci sono i giornali che mettono le cose a posto. Infatti su Repubblica Stefano Cappellini ha scritto un pezzo che sarebbe parso un tantino eccessivo anche sul Giornale. Dopo aver squalificato 44 anni di battaglie del suo fu giornale sulla questione morale come “giustizialismo”, “cultura del sospetto”, non “compatibile con una vera sinistra dei diritti” e tipica dei 5Stelle, ha smascherato “il pm filosofo della teoria e guru dell’abbecedario M5S”: Davigo. Il quale, a suo dire, avrebbe dichiarato che “non esistono innocenti, solo colpevoli che l’hanno fatta franca”. Peccato che Davigo non l’abbia mai detto. Poi ha attribuito a Bonafede le frasi “Non ci sono innocenti in galera” e “Anche uno pulito deve dimettersi se è sospettato”. Peccato che Bonafede non le abbia mai pronunciate. Ma, senza le tre fake news, il bel tomo non avrebbe potuto imbastire il suo temino dal titolo “Bonafede salvo, le sue idee no”. Dove “le sue idee”, naturalmente, sono quelle inventate da Cappellini. Poi tutti a denunciare le fake news dalla Russia con furore.

Il fine giustifica I mezzi? - Massimo Erbetti

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A quanto pare per alcuni si, il fine giustifica i mezzi e non parlo solo di quanto accaduto ieri in senato, dove è andata in onda una delle scene più assurde della repubblica italiana, dove le opposizioni hanno votato due mozioni di sfiducia al Ministro Bonafede, il che non sarebbe poi così strano se non fosse per il fatto che le due mozioni erano praticamente l'una l'opposto dell'altra. Una praticamente diceva che il Ministro doveva dimettersi perché scarcerava troppo e l'altra troppo poco, ma "chissenefrega" lo scopo era far cadere il governo, mica far cadere Bonafede, per cui il fine giustifica sicuramente i mezzi e allora votare tutto e il contrario di tutto ha un senso. 
Come ha un senso, ma forse questo è sfuggito ai più, perché distratti appunto dalla mozione di sfiducia, un altro fatto: "Germania e Francia propongono un piano da 500 miliardi" e cosa fanno i sovranisti "de noantri"? Stanno in silenzio per circa un giorno...non commentano...nemmeno una parola...silenzio assoluto...poi magicamente dicono che sono troppo pochi...ma come troppo pochi? Non avete votato per il Recovery Fund. Non lo avete votato e adesso dite che sono pochi 500 miliardi? Volete meno Europa, anzi non la volete proprio e quando l'Europa da qualcosa dite che è poco? Che ne volete di più? Tutto e il contrario di tutto...sfiducia a Bonafede perché scarcera troppo o troppo poco? Contro l'Europa che non da niente o da? Fate alleanze con i sovranisti UE che ci lascerebbero morire di fame e che dicono che quei soldi li rivogliono tutti, fino all'ultimo centesimo? Per voi va bene tutto, vendereste l'anima al diavolo per arrivare ad avere il potere. Il fine giustifica i mezzi, alla faccia degli italiani, quelli che voi mettete al primo posto..."prima gli italiani", ma anche qui vi contraddite perché una volta c'era prima il Nord, poi prima gli italiani, e ora prima i siciliani...aspetto con ansia il momento in cui direte "prima l'Africa"...perché a voi non interessa né il nord, né l'Italia, né la Sicilia, né l'Africa...una sola cosa vi interessa: il potere! E per raggiungerlo usate ogni mezzo.

E Bertolaso scarica Fontana&C: “Fiera, il progetto era altro”. - Andrea Sparaciari

E Bertolaso scarica Fontana&C: “Fiera, il progetto era altro”

L’ex capo della Protezione civile: “Non è il mio ospedale, ho diffidato la Regione, fuori i conti”. Poi però si pente.
“Quello in Fiera non è il mio ospedale. Sono sconcertato dall’evoluzione del progetto, a causa della mia malattia sono stato di fatto esautorato dall’operazione”. Tanto che “ho diffidato Regione Lombardia e Fondazione di Comunità, dal chiudere la struttura e a proseguire tale progetto”. Quella che avete appena letto è la incredibile conversazione avvenuta ieri mattina tra l’avvocato milanese Giuseppe La Scala e il dottor Guido Bertolaso. Cioè il superconsulente voluto da Attilio Fontana per sovrintendere alla costruzione della struttura alla Fiera di Milano. Conversazione prima confermata al Fatto dallo stesso Bertolaso con degli inequivocabili sms, e poi smentita in serata sempre da Bertolaso: “Leggo solo falsità a cui non ho nemmeno intenzione di rispondere”. All’ospedale Fiera si sarebbero dovuti ricoverare centinaia di malati Covid; un’astronave (copyright dello stesso Bertolaso) costata tra i 21 e i 26 milioni di euro, che ha ospitato non più di una ventina di pazienti e che presto sarà smantellata.
Perché Bertolaso abbia scelto proprio La Scala per il suo sfogo è presto detto: l’avvocato milanese martedì aveva annunciato di voler avviare una serie di accessi agli atti per capire come sono stati usati i 21 milioni di euro raccolti per la costruzione dell’ospedale. Lui stesso aveva donato 10 mila euro, pentendosene amaramente. Un suo tweet – “Di quei 21 milioni, 10.000 euro li ha donati il mio studio, avendo io insistito perché fossero destinati proprio lì e non ad altre iniziative anti-Covid19. Sono un pirla” – aveva fatto il giro del web, dando voce alla frustrazione dei 1.200 donatori che in piena emergenza avevano creduto alla necessità stringente di quella struttura. Così, alla notizia del prossimo smantellamento dell’ospedale inutilizzato, era entrato in azione. “Abbiamo capito tutti che c’è qualcosa che non va in quell’operazione – dice La Scala – per questo come donatori faremo una serie di accessi agli atti per vedere i conti: alla Fondazione di Comunità Milano (che ha in pancia il fondo sul quale sono affluiti i soldi dei donatori, ndr), alla Fondazione Fiera (che aveva avviato il fondo, ndr) e alla Prefettura di Milano, per capire che tipo di sorveglianza ha effettuato sugli atti delle due fondazioni. E anzi, colgo l’occasione per lanciare un appello a tutti quelli che vogliono vederci chiaro, unitevi a noi!”.
Più che comprensibile quindi lo stupore di La Scala quando mercoledì mattina ha ricevuto la telefonata di Bertolaso. E lo stupore, per l’avvocato, è solo cresciuto man mano che Bertolaso si sfogava: “Mi ha ringraziato per aver sollevato il caso – rivela ancora La Scala – mi ha inoltre autorizzato a diffondere pubblicamente la nostra conversazione”.
Bertolaso, come detto, scrive via sms al cronista: “Ho ‘sollecitato’ la Regione Lombardia a dare notizie chiare sul futuro del Covid Hospital e ovviamente richiesto alla Fiera di pubblicare tutti i rendiconti dei soldi donati, così come ho già fatto nelle Marche. Entro una settimana spero di vedere il tutto confermato”. Il riferimento è all’ospedale gemello a quello della Fiera, inaugurato sabato a Civitanova Marche, costato 12 milioni, immediatamente rendicontati. Intanto, l’iniziativa di La Scala ha smosso le acque: a giorni sarà convocato un cda straordinario di Fondazione di Comunità (che ha gestito la raccolta dei fondi) originariamente previsto per luglio. I consiglieri in quota Palazzo Marino chiederanno una data certa per avere la rendicontazione delle spese sostenute, che fino a oggi Fondazione Fiera non ha ancora fornito. Una prima decisione riguarderà l’allargamento del numero dei garanti del Fondo per “sanare” conflitti d’interessi visto che fino ad oggi a controllare le spese di Fondazione Fiera è Fondazione Fiera.

giovedì 21 maggio 2020

Generali, l'utile paga il Covid ma cresce il risultato operativo. - Laura Galvagni

(Bloomberg)

Decisivo l’impatto delle svalutazioni di portafoglio per 655 milioni dovuto alle turbolenze di mercato innescate dalla pandemia.

Il gruppo Generali paga lo scotto del Covid nel primo trimestre 2019 e accusa un calo dell'utile dell'84% a 113 milioni anche se - sottolinea il gruppo assicurativo - vede «confermata la buona redditività del business con il risultato operativo in crescita a 1,44 miliardi (+7,6%) e una solida posizione di capitale».
L'utile netto ha risentito invece di tre fattori: «di 655 milioni di svalutazioni nette sugli investimenti legate all'impatto del Covid-19 sui mercati finanziari, del contributo di 100 milioni stanziati dal Gruppo per il Fondo Straordinario Internazionale per l'emergenza da pandemia e del contributo nullo delle dismissioni, che l'anno scorso avevano generato plusvalenze per 128 milioni».
L'attuale situazione ha un fortissimo grado di incertezza, Generali sarà meno impattata dei competitor europei per il diverso mix di business - ha precisato il general manager Frederic de Courtois in conference call con i giornalisti - ma prevede che il proprio risultato operativo lordo sia in calo nel 2019 con l'utile che verrà impattato negativamente dalla debolezza dei mercati finanziari.
In ogni caso, Generali farà il punto sul piano al 2021 e sul rispetto dei target da esso previsti in un Investor Day previsto a novembre. «È importante dire che siamo molto fiduciosi della nostra strategia e dei pilastri che sono alla sua base e che siamo entrati in questa crisi in una condizione di forza dal punto della redditivita' e della liquidita', molto alte, e della Solvency che è a un ottimo livello» ha precisato de Courtois. Tuttavia - ha aggiunto - siamo in un momento «senza precedenti» e «riteniamo ci vorranno un po' di mesi per avere visibilità».
Tra gli altri numeri della trimestrale, in netto miglioramento il combined ratio a 89,5% (-2 punti percentuale). I premi lordi complessivi salgono dello 0,3% a 19,2 miliardi con un positivo andamento del segmento Danni (+4,0%). Nel Vita la raccolta netta cala del 25,2% a 3,1 miliardi. Infine, il gruppo sottolinea “la solida posizione di capitale” con un Solvency Ratio al 196% dal 224% di fine anno. Al proposito, ha precisato il Cfo di gruppo Cristiano Borean, l'indicatore al 19 maggio era vicino al 200% mentre il portafoglio di Btp è sempre attorno a 60 miliardi.
Lo stesso Borean, interpellato sul dividendo, ha precisato che sul pagamento della seconda tranche Generali ha previsto delle regole molto chiare. Essa arriverà dopo una «valutazione del cda nel rispetto del nostro risk capital framework, uno stringente requisito di capitale di gruppo, alla luce della sua evoluzione e di quella del business al 30 settembre».
«Tutte le condizioni verranno valutate, allo stato attuale stiamo rispettando il nostro risk capital framework» ha concluso il manager, sottolineando anche che il recupero dei mercati (avvenuto ad aprile) potrebbe contribuire a ridurre le svalutazioni nella semestrale.

Coronavirus, la procura di Milano apre un fascicolo sull’ospedale in Fiera dopo un esposto.

Coronavirus, la procura di Milano apre un fascicolo sull’ospedale in Fiera dopo un esposto

Milioni di euro, tantissimo lavoro e poi l'annuncio: "Lo chiuderemo a breve". Sull'ospedale in Fiera a Milano, tirato su per allestire posti letto anche di terapia intensiva per malati Covid 19, la polemica è accesa da giorni. Ma ora potrebbe esserci anche una svolta giudiziaria.
Milioni di euro, tantissimo lavoro e poi l’annuncio: “Lo chiuderemo a breve”. Sull’ospedale in Fiera a Milano, tirato su per allestire posti letto anche di terapia intensiva per malati Covid 19, la polemica è accesa da giorni. Ma ora potrebbe esserci anche una svolta giudiziaria. Dopo l’esposto dell’Adl Cobas Lombardia, che aveva già sollevato il caso delle mascherine mutande, la Procura di Milano, come atto dovuto, ha aperto un fascicolo conoscitivo, senza ipotesi di reato né indagati al momento, sulla realizzazione dell’ospedale che, nel pieno dell’emergenza, aveva suscitato entusiasmo e grandi aspettative.
Nella denuncia, firmata dal portavoce del sindacato che tutela i diritti del personale sanitario, Riccardo Germani, si segnala che l’operazione della costruzione della struttura modulare in fiera, “presenta delle criticità già dal giorno successivo alla decisione di pubblicizzazione da parte di Regione Lombardia della ‘Fondazione Fiera Milano per la lotta al Coronavirus'”. Criticità relative anche “alle cospicue donazioni arrivate da parte dei privati (…) per un totale di 21 milioni di euro” a questa Fondazione. Di quei 21 milioni 10 sono stati donati da Silvio Berlusconi che aveva ottenuto anche il plauso dell’ex alleato di governo, Matteo Renzi. Soprannominato “astronave” da Guido Bertolaso, consulente speciale incaricato per l’operazione dal presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, l’ospedale avrebbe ospitato 25 pazienti.
Le donazioni da parte di 1560 privati, tra cui l’ex premier, è attraverso il Fondo Fondazione Fiera per la Lotta al Corona Virus (costituito nell’ambito della Fondazione di Comunità Milano Città, Sud Ovest, Sud Est e Adda Martesana Onlus, ndr). Nonostante sia stato costruito con i fondi privati, a detta del sindacato che ha sempre sostenuto la possibilità di utilizzare una parte dei padiglioni dismessi e “con gli impianti funzionanti” dell’ospedale di Legnano, si è rivelato “uno spreco di risorse”. E questo in quanto “proprio nel momento di maggiore criticità, tali fondi sarebbero potuti essere impiegati diversamente ad esempio facendo i tamponi ai medici, ai pazienti e al personale delle Rsa, investendo sulle strutture per la quarantena dei pazienti positivi ma non guariti per evitare focolai domestici,- prosegue l’atto – creando squadre di medici per intervenire ai primi sintomi a domicilio per evitare l’ospedalizzazione”. “Da una semplicistica valutazione matematica – è scritto sempre nell’esposto – si può in via empirica affermare che per ogni paziente ricoverato nell’Astronave (sembra non sia mai stato superato il numero di 25 unità) sia costato la modica cifra di 840.000 euro per ogni singolo” degente.
Secondo la denuncia, nella costituzione dell’ospedale anti Covid, 200 posti letto tutti predisposti per essere di terapia intensiva, “ha prevalso la necessità propagandistica (…) sul bene rappresentato dalla salute pubblica”. A tal proposito nell’atto si sottolinea come “in quei giorni” l’assessore al Welfare Giulio Gallera “con centinaia di morti e medici allo stremo, lanciava la sua candidatura a sindaco di Milano”. Nell’esposto-denuncia il sindacato si è avvalso anche del parere di Giuseppe Bruschi, primario della divisione di Cardiochirurgia del Niguarda che aveva sostenuto che “una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell’ospedale”, in quanto i pazienti lì ricoverati hanno bisogno “della continua valutazione integrata di diverse figure professionali”. Il progetto iniziale che prevedeva 400 posti letto di terapia intensiva suddivisi in più moduli, è stato rivisitato man mano che procedevano i lavori per la necessità anche di creare gli ambienti per le tac, uno per le rx, un ufficio amministrativo e servizi essenziali, come gli spogliatoi, le docce e altro.
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