martedì 11 agosto 2020

Il bonus dei furbetti: una mezza notizia confezionata ad arte. - Corrado Ocone - Filosofo, liberale

Il bonus dei furbetti: una mezza notizia confezionata ad

Debbo dire che la storia dei bonus chiesti, e in alcuni casi sembrerebbe ottenuti, da cinque parlamentari non mi appassiona. Né sollecita in me spiriti anti-casta. Che fra nille deputati ce ne siano cinque “furbetti”, per quanto disdicevole sia la faccenda (e sicuramente lo è perché concerne l’etica personale di chi abbiamo delegato a rappresentarci), mi sembra dopo tutto un caso da considerarsi marginale e prevedibile.
Quello che assolutamente non mi sembra accettabile è il modo e i tempi in cui il caso è stato costruito e fatto esplodere e che, a mio avviso, mostra come in Italia, se verranno confermate le responsabilità dell’INPS, non esista più un senso dello Stato e delle istituzioni. E come la lotta politica, piccola e meschina, senza nemmeno più l’attenuante dei grandi ideali, di un tempo,  sia trasbordata oltre ogni limite. Agosto, come è noto, è un mese “vuoto” per i giornali, che, orfani del “teatrino della politica”, sono alla ricerca di una qualche sorta di surrogato. Ma agosto è anche, quest’anno, il mese di una campagna elettorale che approderà ad un election day che vedrà accorpati, il 20 settembre, il voto amministrativo di ben sette regioni e un referendum confermativo della legge “taglia-parlamentari”. Si tratta, come è noto, di una legge-bandiera, cioè tutta forma e poca sostanza, voluta da sempre dai Cinque Stelle. I quali, sicuramente ridimensionati drasticamente secondo le previsioni dal voto nelle regioni, dovranno assolutamente vincere per non implodere la battaglia del referendum (lo stesso accorpamento, a ben vedere, è stato voluto per fare un piacere al Movimento e attutire la forza comunicativa e sostanziale della sonora e prevedibile sconfitta). Il fatto è che, pur essendo il taglio dei parlamentari molto popolare, qualche possibilità di una vittoria del no sarebbe potuta di qui al voto maturare. Il Pd, per esempio, che, dopo varie votazioni contrarie aveva favorito il taglio in cambio di una legge elettorale che non è mai arrivata (e che per questo e altri motivi si trova sempre più nel ruolo di “utile idiota” di un governo che ha il baricentro altrove), manifesta più di un mal di pancia. E qualcuno, come Renato Brunetta, si è pure auspicato un voto contrario dei leghisti, che invece avevano votato a favore ai tempi del primo governo Conte.
Occorreva ai grillini in qualche modo rinfocolare la campagna anti-casta, che, al di là dei posizionamenti dei partiti, catalizza facilmente lo scontento e il rancore della popolazione. Ed ecco servito lo “scandalo”, così ben confezionato che esso è destinato ad accompagnarci per più giorni. Una vera e propria “campagna elettorale da ombrellone”. A parte le responsibilità vere e deplorevoli del legislatore, che non ha previsto un tetto reddituale per usufruire del bonus, fa specie che la notizia della “truffa” sia stata diffusa indicando il partito dei “colpevoli” e non il nome, coperto  dal dirito alla privacy. La notizia, presentata quindi come  una mezza notizia, è  fatta per scatenare la curiosità e le inchieste dei media, che si son già messi alla ricerca dei furfantelli, facendo trapelare soffiate, documenti, testimonianze più o meno attendibili.
L’indicazione della provenienza leghista di ben tre degli accusati (probabilmente la privacy non vige per i partiti!) porterà l’attenzione soprattutto sul partito di Matteo Salvini, cioè del più implacabile oppositore del governo, che si troverà a giocare un’ulteriore partita sulla difensiva. I commenti ipocriti e moralistici abbonderanno e, più che sulla sostanza dei fatti e sulla riprovazione morale per quattro furbetti, ci si concenterà sui misfatti della casta e si picconeranno ancora di più quelle istituzioni che invece andrebbero preservate e nettamente distinte da chi, più o meno degnamente, viene nel tempo ad occuparle. Poco degno sicuramente è anche chi le usa in modo spregiudicato per i più biechi interessi politici. 
Al filoso, liberale, la notizia non suscita scalpore, non lo appassiona... Crede, piuttosto, che sia uno scoop creato ad arte in prossimità del referendum sul taglio dei parlamentari. Ma Ocone crede davvero che l'italiano medio, anche il più liberale possibile, voglia ancora mantenere una pletora di "personaggi prestati alla politica" che bypassano e calpestano i dettami della Costituzione, arrogandosi il diritto di usufruire solo dei diritti, anche quelli destinati a soggetti più bisognosi? Ed emarginando noi, loro datori di lavoro, a semplici pedine manovrabili a loro piacimento? A noi demandano i doveri, a noi demandano il rispetto delle leggi, leggi che poi fanno, ma non rispettano... Aumentando a dismisura il divario che esiste tra noi e loro, a dispetto di quanto sancisce la Costituzione!!!! Il filosofo pensa davvero che l'italiano medio abbia ancora voglia di essere preso per i fondelli? Pensa davvero che non abbia una voglia matta di andare ad esprimere il suo si al taglio dei parlamentari? Pensa davvero che dal suo pulpito possa farci cambiare idea? E' più probabile, per noi comuni mortali, pensare che il suo pensiero sia uno scoop tendente a farci cambiare idea. In quanto a Tridico, io credo che avrebbe DOVUTO comunicare anche i nomi dei furbacchioni in questione, perché è un nostro diritto sapere ciò che fanno i nostri dipendenti. E che ne pensa, filosofo, delle scuse addotte da alcuni di essi? "E' stato il mio commercialista" "Ho fatto beneficenza". E' in queste frasi che avrebbe dovuto concentrare la sua filosofia e smontarle. - Il primo omette di dire che senza il suo benestare e la sua firma il commercialista non avrebbe potuto chiedere nulla. - Il secondo ha fatto una beneficenza riciclata, arraffando una beneficenza a nostre spese, ribeneficandola pro domo sua senza uscire un centesimo....

Coronavirus: Putin, Mosca ha registrato primo vaccino.



Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che Mosca ha registrato il primo vaccino contro il Covid-19, sviluppato dall'istituto Gamaleya.

"Stamattina per la prima volta al mondo un vaccino contro la nuova infezione da coronavirus è stato registrato", ha affermato Putin. La fase 3 dei test clinici è iniziata la settimana scorsa.

Putin ha dichiarato che anche a una delle sue figlie è stato somministrato il vaccino sperimentale russo contro il Covid-19 e sta bene. Lo riporta la Tass. Secondo il presidente russo, sua figlia, dopo la prima dose ha avuto la febbre a 38, che il giorno dopo è scesa poco sopra i 37 gradi. "Poi, dopo la seconda dose, ha avuto di nuovo una leggera febbre, e dopo tutto tutto era a posto, si sente bene e ha un alto numero di anticorpi".

Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che la vaccinazione deve essere effettuata "a condizioni assolutamente volontarie" in modo che tutti coloro che lo desiderano possano "sfruttare le conquiste degli scienziati russi". Lo riporta la Tass. Putin si aspetta poi che la Russia inizi la produzione di massa del vaccino contro il coronavirus "nel prossimo futuro". "So che altre istituti stanno lavorando su vaccini simili in Russia. Auguro successo a tutti gli specialisti. Dovremmo essere grati a coloro che hanno fatto questo primo passo estremamente importante per il nostro Paese e per il mondo intero", ha concluso Putin.


https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2020/08/11/coronavirus-putin-mosca-ha-registrato-primo-vaccino_549ed094-15da-4f75-bbe8-a00649e526d1.html

Da notare che la Russia ha mandato il primo uomo nello spazio, ora ha pronto il primo vaccino; 
- gli Usa hanno il primato della prima atomica sganciata sui civili di Hiroshima...

Chi imbroglia e arraffa non è mai un “furbetto”. - Antonio Padellaro

Difendersi dai Ladri in Casa - Mr.Loto
A proposito dei cinque “bonus malus” di Montecitorio cerco sul dizionario i sinonimi dell’aggettivo “furbetto” e trovo: birichino, impertinente, malizioso, insolente, disobbediente, dispettoso, cattivello, e così via. Prima di entrare nel merito c’è da domandarsi, infatti, perché mai nella titolazione giornalistica si insista nell’accomunare i protagonisti di qualsiasi porcata e/o mascalzonata a simpatici bricconcelli da sanzionare tuttalpiù con uno scappellotto o una pedata nel sedere. Quando invece negli articoli successivi saranno dipinti come porci e mascalzoni. L’assuefazione pigra dei titoli (questo giornale usa la parola “furbastri”, più confacente in quanto sinonimo di briccone e imbroglione) precede le reazioni della politica, tutte così prevedibili e scontate da risultare perfino spassose.
Prevale, naturalmente, l’effetto codone di paglia. Pianto e stridor di denti nei partiti (Lega, M5S, Italia Viva) indiziati di essersi accompagnati a quei rifiuti umani. Rispetto ai quali un Matteo Salvini “incazzato e deluso”, prima si para le terga (“ma la responsabilità è dei singoli non della Lega”). Per poi retrocedere l’eventuale sanzione da comminare ai reietti verdi, dalla espulsione alla semplice “sospensione” (metti che nel mazzo ci sia qualche amichetto suo). Nel complesso un indignatissimo coro di sdegno che sulle spiagge e i resort dove il Palazzo riposa prorompe nel grido: “Fuori i nomi” (principalmente onde allontanare da sé l’orrido sospetto). Effetto chissà cosa c’è dietro. “Regolamento di conti”, sentenzia il Giornale, poiché “il fatto che Di Maio sia stato il più lesto a saltare nello scandalo è un indizio in tal senso” (eh Sallusti ne sa una più del diavolo). Sulla possibile manina del ministro grillino si esercita anche Repubblica secondo cui “certo” il M5S userà lo scandalo “spudoratamente per la campagna per il taglio dei parlamentari” (molto peggio lui dei mariuoli). Effetto modeste proposte. Per esempio, pubblicare i nomi di tutti i percettori del bonus partita Iva (sono appena alcuni milioni). Strepitosa l’ipotesi di autodenuncia virtuosa di tutti i parlamentari non “furbetti”, cosicché quelli che non si dichiarano avranno fatto l’uovo. Effetto odio vigilante. Chi diavolo è il “presentatore tv di successo” accomunato ai cinque farabutti? Alta e forte si leva la voce di questa implacabile rubrica: fuori il nome!

Bonus malus. - Marco Travaglio

La società del futuro tra valanghe di soldi e politiche rigoriste ...
Ormai qualunque cosa accada, anche la più misteriosa o imprevedibile, una certezza matematica ci conforta: la cazzata più enorme la dirà Salvini, peraltro opposta a quelle sparate fino a un attimo prima. É capitato sul lockdown, da lui chiesto a gran voce il 10 marzo (“Tutta Italia zona rossa, tutta Europa zona rossa, chiudere tutto!”), cinque mesi prima di invocare l’arresto di Conte per aver “sequestrato tutta Italia contro il parere del Comitato tecnico scientifico” (che ovviamente era d’accodo). É ricapitato per lo scandalo dei cinque deputati (più 2mila politici locali e un esercito di professionisti) che han chiesto e ottenuto il bonus da 600-1000 euro per partite Iva in difficoltà pur guadagnando 13-14 mila euro netti al mese. Noi pensiamo che le regole della privacy non valgano per gli eletti: i cittadini elettori hanno il diritto di conoscerne i nomi e le spiegazioni, per decidere se rivotarli o mandarli a casa. Perciò oggi il Fatto invierà una richiesta di accesso agli atti all’Inps sostenuta da una petizione fra i lettori sul sito, pronto anche a ricorrere al Tar. Ma nell’attesa, torniamo al Cazzaro Verde, che neppure stavolta ha deluso le attese. Prima, a botta calda, ha strillato: “Vergogna, dimissioni subito!”. Poi ha saputo che tre su cinque sono suoi e allora ha virato sulla “sospensione subito”. E ha incolpato “il governo che ha fatto il decreto che lo permette e l’Inps che ha dato quei soldi” (e ha scoperto i profittatori).
Ora, quel bonus era una misura di pronto soccorso per tutte le partite Iva impoverite dal lockdown e, per raggiungerne il maggior numero nel minor tempo possibile, doveva essere per tutti: altrimenti, a furia di carte bollate e controlli, avrebbe mancato lo scopo. Com’è accaduto per la Cig straordinaria, che ha le sue regole pluridecennali e infatti non è ancora arrivata a tutti; e per la nuova norma sui prestiti bancari garantiti dallo Stato che, provenendo da istituti privati, richiedono un’istruttoria minima su solvibilità, bilanci, garanzie, con tempi spesso lunghi. La logica del bonus Iva è l’“elicopter money” di Milton Friedman che, per raggiungere tanta gente, non va troppo per il sottile. Ci si affida al buon senso, al buon cuore e al buon gusto dei cittadini. Poi, a posteriori, si controlla. E, se qualcuno fa il furbo, è colpa sua, non del governo o dell’Inps: a meno che il quoziente intellettivo dei parlamentari che ha in mente Salvini (i suoi) sia così basso da non capire che un deputato con partita Iva che prende 13-14 mila euro al mese il bonus non deve proprio chiederlo, anche se il decreto non glielo vieta. Il bello è che, quando il bonus fu varato, Salvini e tutta la destra al seguito accusavano il governo di bonus troppo bassi e controlli troppo severi.
Come ricorda Emiliano Rubbi su Fb, il 30 marzo Salvini girava per tv e dirette social a strillare: “La Svizzera, compilando un foglio, ti mette a disposizione fino a 500mila euro. Servono aiuti subito! Io mi fido degli italiani!”. Naturalmente la Svizzera non s’è mai sognata di regalare mezzo milione a chicchessia in cambio di un foglio compilato, ma questo era il mantra del Cazzaro e dei suoi trombettieri. Gli stessi che ora incolpano il governo di non aver escluso i politici, come se fossero tutti uguali (ci sono sindaci e consiglieri comunali sottopagati che lavorano per mantenersi, diversamente dai governatori, consiglieri e assessori regionali che viaggiano dai 5-6 ai 13 mila euro netti al mese). “Ovviamente –scrive Rubbi– se per il bonus il governo avesse previsto parametri più stringenti, i tempi si sarebbero allungati per i controlli. E Salvini avrebbe urlato che il governo non si fidava degli italiani, diversamente da lui, e che di quei soldi c’era bisogno subito, non dopo mesi. Io mi chiedo come facciano gli elettori leghisti a sopportare di essere presi per il culo ogni giorno, costantemente, dal loro leader. Forse non capiscono, o forse gli sta proprio bene così, boh”.
Forse il suo calo di consensi, tanto clamoroso quanto tardivo, dipende anche da questo. Se vuole rialzarsi, o almeno provarci, il Cazzaro dovrebbe fare come i 5Stelle: chiedere a tutti i suoi eletti una rinuncia alla privacy da consegnare all’Inps per sapere chi ha ottenuto il bonus; e magari anche le dimissioni in bianco, per mandare a casa gli accattoni. Se non lo farà, provvederemo noi a ottenere le informazioni a cui tutti i cittadini hanno diritto. Anzi, non tutti: solo quelli che non hanno fatto i furbi. Perchè, oltre ai politici nazionali e locali, nelle stesse condizioni ci sono migliaia fra imprenditori, notai, avvocati, professionisti con conti in banca milionari che hanno pensato bene di arraffare pure i 600 e poi i 1000 euro con la scusa del Covid. Anch’essi non hanno violato alcuna norma, a parte quelle dell’etica e della decenza. É grazie a gente come loro (e sono milioni) che in Italia ogni misura di Welfare diventa una potenziale truffa, ogni bonus un malus: evasori fiscali e contributivi, prenditori che mandano i dipendenti in cassa e li fanno lavorare lo stesso, schiavisti del lavoro nero, falsi invalidi, finti disoccupati. Anziché farsi lapidare con ridicole scuse scajoliane (“è stato un disguido”, “è una vendetta di mia moglie da cui mi sto separando”, “è stato il il commercialista che ha chiesto il bonus a mia insaputa”), i cinque onorevoli furbastri potrebbero dire così: “Siamo rappresentanti del popolo e il nostro popolo ruba come noi”. Verrebbero lapidati lo stesso, ma per aver detto la verità.

Bonus: l’hanno preso in 3 Mistero su Italia Viva e 5S. - Wanda Marra e Ilaria Proietti

Bonus: l’hanno preso in 3 Mistero su Italia Viva e 5S

C’è chi come Stefania Pezzopane del Pd è pronta a vergare un emendamento per imporre la restituzione del malloppo e così togliere il Parlamento dal “verminaio” in cui è stato gettato. E chi, dopo il caso del bonus partite iva ottenuto da cinque o forse solo tre deputati in carica, attacca il governo, colpevole di non aver imposto un tetto al godimento dell’aiuto. Ma alla fine dei conti prevale il fronte di chi semplicemente vuol fare la pelle al presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Sulla graticola per la “fuga di notizie” che ha innescato un regolamento dei conti in piena regola. E che chiama in causa anche Nunzia Catalfo titolare del Lavoro che vigila sull’Istituto nazionale di previdenza nella bufera, da tempo tra i ministri in odore di sostituzione: la tentazione di prendere, come si dice, due piccioni con una fava è fortissima.
Ne sanno qualcosa dalle parti di Italia Viva che medita vendetta: accusa Tridico di una gestione da “barbari” dell’Inps per la gogna che si è scatenata dopo che pure un deputato renziano è finito nella lista dei furbastri di Montecitorio che avrebbero chiesto il bonus da 600 euro previsto nel Cura Italia. Il renziano vicepresidente della Camera, Ettore Rosato, dopo averne chiesto conto a ciascuno dei suoi (tutti hanno negato di aver anche solo fatto richiesta della provvidenza) è passato all’attacco chiedendo direttamente al presidente dell’Inps: “Ho sentito Tridico e mi ha rassicurato che nessun parlamentare di Iv ha incassato il bonus”. Episodio chiuso? Neanche per sogno perché nel frattempo tra le prime linee dei renziani c’è chi ne chiede le dimissioni con l’accusa di aver messo fango nel ventilatore oltre che aver provocato un danno alle istituzioni parlamentari oltre che all’Inps. Mentre le chat interne comunque ribollono attorno alla teoria complottista: Tridico in persona avrebbe additato Iv per vendicarsi delle rampogne che gli ha riservato in passato.
E la Lega? Dopo aver avviato un’indagine interna perché fin dal principio almeno tre deputati salviniani sono indicati come sospetti per aver richiesto il bonus, per tutta la giornata si è camminato sulle uova: il governatore del Veneto Luca Zaia ha usato la clava. Mentre Matteo Salvini, che all’inizio aveva pure adombrato l’eventualità che potesse trattarsi di un errore da commercialisti, ha minacciato sospensioni. “Forse era meglio parlare da subito di espulsioni” confessa un maggiorente del Carroccio. Certo “che si tratti comunque di due o tre deputati minori”.
I Cinque Stelle, dal canto loro, sono pronti a scaricare la “mela marcia”. Il reggente, Vito Crimi prende l’iniziativa di scrivere una e-mail a tutti gli eletti affinché rinuncino alla privacy ché sarebbe questa l’unica maniera per togliere Tridico dall’impiccio. Ma l’iniziativa ha suscitato più di un malumore e saranno diversi quelli che non risponderanno alla richiesta dei vertici del Movimento. Qualcuno inizia a dire che la scelta di fare i nomi è tutta politica: basta che il ministro Catalfo faccia la sua parte dando semaforo verde al presidente dell’Inps intenzionato, in caso contrario, a tenerseli nel cassetto. Insomma scoppia un caso anche tra i pentastellati.
Perché qualcuno fa presente che l’Anac addirittura prescrive, e fin dal 2013, la pubblicazione di tutti i soggetti che abbiano ricevuto provvidenze pubbliche con la sola eccezione dei dati “identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti in questione qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni circa lo stato di salute o la situazione di disagio economico-sociale degli interessati”. E non sembra proprio questo il caso dei parlamentari. D’altra parte invece c’è chi ritiene che pubblicare soltanto i nomi dei politici che hanno goduto del bonus cozzerebbe con la legge e forse pure con la Costituzione. Ad ogni buon conto il Garante della Privacy fa sapere che “non intende anticipare giudizi dal momento che il collegio potrebbe essere ufficialmente investito della questione”. Da chi? Dal governo se dovesse essere chiamato a rispondere in Parlamento. O da Tridico stesso.
Cosa che non servirà per chi si è già “autodenunciato”. È il caso di alcuni consiglieri comunali (tra i beneficiari del bonus ci sarebbero anche 2000 amministratori locali) come Anita Pirovano di Milano: “Noi consiglieri prendiamo solo un gettone di presenza. Io non vivo di politica a differenza dei parlamentari e dei consiglieri regionali”. O Jacopo Zannini eletto in comune a Trento e Francesco Rubini a Ancona. Ma poi lo rivendica pure il consigliere regionale di Forza Italia in Friuli Venezia Giulia Franco Mattiussi, titolare tra le altre attività di un hotel.
Sarebbe tutto più semplice se fossimo noi cittadini a pretendere di conoscere i nomi di chi ha, pur se legalmente, chiesto il bonus. Noi non dovremmo avere solo il dovere di andarli a votare, ma anche il diritto di conoscere il loro operato.
In ogni caso, questi nostri prescelti, profumatamente da noi pagati, hanno mostrato il loro vero volto: quello di chi, avendo vinto la lotteria di un "lavoro più che sicuro" molto ben retribuito anche se non si fa nulla, che dà diritto ad una pensione vita-natural-durante estendibile anche ai congiunti in caso di morte, anche se ci si è "impegnati" solo per un giorno, non intendono rinunciare alle mollichine che vengono elargite dal governo, sempre con i nostri soldi.
Questi sono là, dove noi li abbiamo messi, non per occuparsi di noi, ma per usufruire di tutti i benefici che i loro predecessori hanno costruito per rendersi la vita più facile, creando quelle differenze sociali tra noi e loro che la Costituzione indica di abolire.
Sono illegali, agiscono non in nome, ma contro ciò che è sancito dalla Costituzione.
by c.

lunedì 10 agosto 2020

Emergenza Ponte infinita: tesoretto elettorale di Toti. - Paolo Frosina

Emergenza Ponte infinita: tesoretto elettorale di Toti

Il governatore-commissario incassa la proroga, così potrà rinnovare 316 contratti in scadenza e spendere 13 milioni.
“Il governo chiarisca subito il significato della proroga. Se qualcuno pensasse di utilizzare una legge speciale per rinviare le elezioni, o peggio ancora per chiudere in casa gli italiani, questo avrebbe un solo nome: golpe!”. Si indignava così Giovanni Toti, il 12 luglio scorso, all’idea di un prolungamento dello stato di emergenza per il Covid. “Conte e Speranza farebbero bene a evitare equivoci pericolosi per la nostra democrazia”, tuonava il governatore ligure.
È lo stesso Toti che nemmeno un mese dopo chiede e ottiene – per un anno intero – la proroga di un’altra emergenza, quella per il crollo del ponte Morandi di Genova. Che al contrario dell’emergenza sanitaria, dopo due anni dal disastro è quasi impalpabile: il nuovo viadotto è stato appena inaugurato e gli strascichi sulla vita quotidiana dei genovesi, ormai, del tutto scomparsi. Ma c’è un dato decisivo: il commissario delegato all’emergenza ponte è proprio Toti, che grazie alla proroga, nei prossimi mesi, spera di intestarsi nuove elargizioni alle imprese e persino il rinnovo di centinaia di posti di lavoro. Un asso nella manica che potrà tornare utile in vista della campagna elettorale.
A sentire il governatore, il prolungamento serve “a concludere degli iter già avviati, come gli ultimi risarcimenti per l’autotrasporto che per l’anno in corso partiranno nel 2021”. Poi “siamo in attesa di capire se le nostre richieste per impiegare i fondi residui (13 milioni e 710 mila euro sui 30 complessivi di aiuti alle imprese non utilizzati, ndr) saranno accettate dal Governo”.
E infine, “potranno essere rinnovati anche i contratti del personale assunto per far fronte allo stato d’emergenza”. Partiamo da qui. All’articolo 2 il decreto Genova ha previsto un piano di assunzioni straordinarie, a tempo determinato, in enti locali e società controllate, per tamponare una serie di urgenze post-crollo. Operatori ecologici a rimuovere i detriti, vigili urbani a gestire la viabilità, funzionari pubblici a evadere le pratiche per gli indennizzi.
Sono 316 i contratti di questo tipo, in scadenza a fine 2020. Le assunzioni vanno approvate dal commissario straordinario e Toti ha appena lanciato un messaggio preciso: saranno rinnovati. Anche se quelle esigenze non sussistono più: la viabilità in Valpolcevera è tornata regolare, i resti del vecchio Morandi smaltiti da tempo e gli aiuti economici distribuiti alle imprese, almeno fin dove permesso dalle contraddittorie scelte della stessa Giunta.
E qui veniamo all’altro tesoretto che Toti spera di distribuire: quei 13 milioni e passa di fondi per la ripresa ancora inutilizzati, su cui la Corte dei Conti ligure ha espresso preoccupazione. Si tratta di una parte dei 30 milioni stanziati dall’articolo 4-ter del decreto Genova per le indennità “una tantum” a imprenditori e autonomi (15 mila euro) e per la cassa integrazione in deroga.
Di questi 30 milioni, Toti ne dedica 15 alle “una tantum”, altri 15 alla cassa. Ma a quest’ultima aderiscono in pochissimi: da qui i 13 milioni avanzati e mai reinvestiti, nemmeno quando, a febbraio, il decreto Milleproroghe ne destina 5 all’area di crisi industriale in Valpolcevera. “Toti avrebbe potuto fare di tutto con quei soldi, a partire da nuovi bandi per i contributi una tantum. Invece ha scelto di tenerli fermi”, denuncia Giovanni Lunardon, capogruppo Pd in Regione Liguria.
Ora però promette che darà battaglia per destinarli alle Srl, la categoria di imprese i cui soci sono stati esclusi dalle indennità. “È il governo che deve autorizzarci”, dice. Ma, come ricorda Lunardon, “l’esclusione delle Srl è il frutto di un’interpretazione incomprensibile data dagli uffici della stessa Regione, senza nemmeno consultare l’Avvocatura di Stato.
Al solito Toti cerca di scaricare su altri i propri insuccessi. È facile, ora che siamo in campagna elettorale, accusare il Governo per nascondere la propria inerzia: un presidente di Regione serio avrebbe trovato da mesi il modo di sbloccare quei fondi, anche sbattendo i pugni sul tavolo a Roma, se necessario”. Ma per quello non serve uno stato d’emergenza.

I furbastri del Covid: politici, star tv e ricchi. - Patrizia De Rubertis

I furbastri del Covid: politici, star tv e ricchi

Sono tre leghisti, un Cinque Stelle e un renziano di Italia Viva i 5 deputati furbastri che nei mesi scorsi hanno chiesto e incassato dall’Inps il bonus da 600 e 1.000 euro erogato a partite Iva, co.co.co, liberi professionisti e lavoratori stagionali in difficoltà a causa dell’emergenza Covid. Lo stipendio netto da 12.439 euro e tutti i benefit e privilegi di cui già godono non sono stati ritenuti sufficienti dai politici, i cui nomi restano coperti dalla legge sulla privacy. E, soprattutto, dal loro stesso velo di omertà nel non autodenunciarsi.
A segnalare le vergognose richieste è stata la struttura antifrode, anticorruzione e trasparenza dell’Inps creata dal presidente Pasquale Tridico. Così, nei momenti di massima emergenza sanitaria, all’assalto dei furbetti delle aziende ad accaparrarsi gli ammortizzatori sociali senza aver registrato cali di fatturato, ora si aggiunge anche quest’altro caso che sta incendiando il Parlamento appena chiuso per ferie. Sebbene non rientri in nessun illecito (la richiesta del bonus non prevedeva requisiti di reddito, bastava solo il numero della partita Iva e l’indicazione della propria posizione professionale), la notizia ha scosso e indignato un Paese in cui ci sono lavoratori che ancora aspettano di ricevere gli ammortizzatori sociali.
Immediato il diluvio di reazioni politiche e non, tra richieste di scuse, di dimissioni e di restituzione dei soldi. Mentre su Twitter è diventato trend topic l’hashtag #Fuoriinomi con l’invocazione di rendere noti i nomi dei deputati coinvolti. In ogni caso, anche se venissero chieste ufficialmente le identità, l’Inps non è tenuta a rivelarle. Sono prestazioni legittime e non c’è alcun motivo di richiesta istituzionale che comporti un obbligo di risposta.
Resta aperta la questione morale che abbraccia tutti gli schieramenti. I 5 deputati non sono gli unici ad aver richiesto il bonus previsto dai decreti Cura Italia e Rilancio. Sono 2.000 i politici coinvolti tra governatori di Regione, sindaci, consiglieri e assessori sia regionali che comunali. Un elenco sterminato in cui rientra anche la peggiore società civile. Oltre al conduttore tv già rivelato ieri da Repubblica, nella lista dei furbastri compaiono altri volti noti del piccolo e grande schermo e una marea di riccastri professionisti, tra notai, avvocati e commercialisti che hanno goduto di un sostegno economico pur senza averne effettivamente bisogno.
Il presidente della Camera Roberto Fico ha definito la faccenda “una vergogna” chiedendo ai 5 di restituire quanto percepito, “è una questione di dignità e di opportunità”. I capigruppo a Montecitorio hanno iniziato presto ieri mattina a compulsare i deputati nelle chat di Whatsapp, chiedendo di accertarsi dai propri commercialisti di non essere tra i colpevoli.
E non manca chi ha parlato di “un sistema bonus sbagliato”, perché ha permesso di richiedere e ricevere un sussidio anche a chi non ne aveva assolutamente necessità. “Avremmo dovuto varare un provvedimento ad hoc per escludere parlamentari e consiglieri regionali, per esempio. Si sarebbe evitato tutto questo”, hanno fatto trapelare dalle segreterie. Dal Cinque Stelle Vito Crimi al dem Nicola Zingaretti, passando per il leghista Matteo Salvini, Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e la forzista Maria Stella Gelmini, tutti i leader hanno chiesto di cacciare i 5 dal Parlamento, ma nessuna conferma sugli indiziati. Ora la paura per i leader è tanta, soprattutto a un mese dal referendum sul taglio dei parlamentari del 20 settembre voluto fortemente dal M5S. Intanto la caccia ai furbetti continua.