giovedì 10 settembre 2020

Conte e la memoria corta degli italiani. - Roberta Labonia

 

E ci risiamo. Vi ricordate la caccia ai furbetti del reddito di cittadinanza (peraltro prontamente sgamati dall’INPS), che, fino a che la peste Covid-19 non ci ha colpito, era diventato lo sport nazionale del giornalismo italiano? Fiancheggiatore com’è noto, da sempre, dei poteri forti, il giornalista medio di sistema ha vissuto l’ introduzione di questa legge di civiltà, come l’assicurare un reddito minimo ai cittadini in povertà, come un sopruso, tutta ciccia sottratta a Confindustria e alle rapaci mani dei suoi padroni. Non imprenditori ma, bensì, “prenditori” di Stato.Ebbene, ora la stessa tecnica, guidati dalle sapienti mani dei soliti “padroni del vapore” (B., Agnelli/Elkan, Cairo, Caltagirone, De Benedetti, Benetton etc, etc.), nonché dall’ “onorevole” politica politicante in Parlamento e nei tanti corpi intermedi in cui si affastella il nostro apparato statale (a proposito, ma a quando una bella sforbiciata magari, che so, partendo dalle Regioni?), la stanno applicando alla scuola. Fra i giornalecchini in queste ore si è ingaggiato un nuovo gioco: è tutto un affannarsi alla ricerca di Istituti scolastici talmente lasciati negli anni al degrado, da non essere nelle condizioni, nonostante le risorse eccezionali messe a disposizione dall’attuale Governo, di poter aprire in sicurezza, in vigenza di pandemia, ai loro alunni. Rare eccezioni, ma che purtroppo ci sono, è inutile negarlo, tanto è il loro stato d’abbandono incancrenitosi negli anni. Con la solita tecnica sfascista che mira a sminuire agli occhi degli elettori azioni di governo esemplari, come quella memorabile di aver immesso (finalmente!) nuove risorse nella scuola per 7 miliardi, l’immagine che si sta contrabbandando in queste ore a reti e testate unificate (salvo rare eccezioni per i pochi informati), è quella di un Governo inefficiente e di una ministra incapace (e certo, un insegnante come Lucia Azzolina messa a fare il ministro della Scuola in Italia è vista con sospetto, vuoi mettere una sindacalista come la Fedeli che si fregiava di una terza media… forse? E si arriva all’assurdo di vedere all’opera il galoppino di redazione di turno che, affiancato dall’operatore scafato, mostra al pubblico ludibrio un plesso scolastico fatiscente il cui accesso è ostruito dalle erbacce. La povera preside, intervistata, ammette l’inevitabile: la prossima settimana non sarà in grado di riaprire la scuola in sicurezza. Il risultato del fallimento di una intera classe politica dell’ultimo trentennio spacciato mediaticamente come l’emblema della gestione fallimentare dell’attuale Governo. Il risultato di decenni di politiche predatorie perpetrate dai governi precedenti è, con tecnica mistificatoria e truffaldina, scaricato dai media su Giuseppe Conte e i suoi ministri che non ne hanno la responsabilità ma che, anzi, stanno raccogliendo in tempi record i cocci di una costola dello Stato da tempo immemore fratturata, per ricostruirla.Cosa che, onestà intellettuale impone di dire, non si fa nell’arco di un anno ne’ di due ne’, tanto meno, nell’arco di una manciata di mesi in costanza di un emergenza sanitaria, per giunta. Gli Istituti scolastici statali, in Italia, tralasciando l’altro cancro tutto italiano della strutturale carenza di personale docente, sono circa 45mila, la stragrande maggioranza dei quali costruiti negli anni 60/70, molti dei quali tutt’ora non rispettano i criteri minimi antisismici (quante ne vogliamo di tragedie compiute o sfiorate per lo sfondamento di tetti scolastici negli ultimi decenni?). A chi ancora oggi si riempie la bocca di Tav, Mose e Stretti di Messina, sono questi i dati che gli si dovrebbe sbattere in faccia. Questa è la più grande delle opere da realizzare nel nostro Paese dopo la riqualificazione e la messa in sicurezza del nostro martoriato territorio! L’importante, a cui dovrebbe guardare un cittadino elettore avveduto, per giudicare l’attuale e qualsiasi altro governo, è se siano state poste le basi affinché queste reali, improcrastinabili, vere grandi opere, questa ricostruzione, possa avvenire e vigilare affinché avvenga. Tanti, troppi, abboccano all’amo di politici che usano il diversivo di accusare il loro avversario dei loro stessi fallimenti.Troppi, ingiustificatamente, irrazionalmente troppi (al netto di quelli che ci mangiano, che almeno una scusa ce l’hanno), che ancora credono a chi oggi promette l’impossibile ma che, quando gliene è stata data l’opportunità, non ha saputo o voluto realizzare neanche il possibile, cioè l’ordinata gestione di un Paese. Non è la cattiva politica il male peggiore dell’Italia, è la memoria corta degli italiani.

https://infosannio.com/2020/09/10/conte-e-la-memoria-corta-degli-italiani/

Ora d’aria per il No. - Marco Travaglio

 Fabrizio Barini on Twitter: "Tutti schierati per il NO al referendum  costituzionale sul taglio dei parlamentari. La sinistra ha smesso di  rappresentare la speranza per mettersi al servizio dei poteri forti.  #IoVotoSI…

Nel 2004 fece scalpore il caso di Michele Martinelli, sindaco uscente di Capannori (Lucca) che, trovandosi momentaneamente agli arresti domiciliari per corruzione in campagna elettorale, dava appuntamento ai concittadini ogni giorno alle ore 18 in punto sotto casa sua per i suoi comizi dalla finestra o dal balcone. Il fatto che fosse di FI fece meno scalpore, tanto più che allora il centrodestra si faceva chiamare Casa delle Libertà, ovviamente provvisoria. Infatti, sotto le sue finestre, oltre ai numerosi fan, elettori e complici a piede libero, solevano radunarsi i candidati della sua lista per ascoltare compunti le omelie del galeotto casalingo, anche sulla legalità e l’etica. Una volta, mentre lui concionava dal balcone, il capetto di An annunciò un’interpellanza all’ingegner ministro Castelli perché inviasse gli ispettori alla Procura di Lucca che si era permessa di arrestare un sindaco sospettato di mazzette (e poi condannato sino in Cassazione). Alla fine, non si sa come, Martinelli perse le elezioni e arrivò un incensurato. Ora, con qualche variante, la storia si ripete. Roberto Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi per associazione a delinquere, corruzione e finanziamento illecito (tangenti per almeno 6,6 milioni da due cliniche private in cambio di 250 milioni di fondi pubblici), quindi scarcerato e spedito ai domiciliari dopo appena 5 mesi da un giudice di sorveglianza che confonde i mesi con gli anni, farà campagna elettorale per il No al taglio dei parlamentari. E non dovrà neppure disturbarsi a comiziare dalla finestra o dal balcone.

Siccome siamo in Italia, 70 mesi di reclusione diventano 5 e pure il concetto di arresti domiciliari è piuttosto elastico: il noto pregiudicato ha due ore d’aria al giorno per andare a zonzo fuori casa (“Sfrutto ogni minuto per uscire: incontro la gente e tengo rapporti sperando di poterlo fare un giorno anche di più” ̀, minaccia sul Corriere). E ha deciso di impiegarle al meglio: facendo il testimonial del No, come se non bastassero altre mascotte del calibro di B., Cirino Pomicino, Sgarbi, Brunetta, Borghi, Bobo Craxi (a nome del padre), Monti, Casini, Orfini, Gori, Zanda, Finocchiaro, Violante, Panebianco, Cassese e tutto il cucuzzaro, giornaloni inclusi. La sua presenza come guest star della Maratona del No sabato a Milano non deve stupire: il popolare Forchettoni, dall’alto dei suoi 6 mandati parlamentari, 2 europei e 4 regionali, opina che “meno parlamentari vuol dire più potere ai capibastone dei partiti” (che finora, con 945 parlamentari, non contavano nulla). Adesso, se gli eletti scendono a 600, lui e quelli come lui hanno il 36,5% di possibilità in meno di entrare in Parlamento. E poi come fanno a rubare?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/10/ora-daria-per-il-no/5926632/

Colleferro, nelle carte il racconto dei testi: “Si accanivano su Willy. Calci e pugni mentre era a terra, gli saltavano addosso. Non si è rialzato”. - Vincenzo Bisbiglia

Colleferro, nelle carte il racconto dei testi: “Si accanivano su Willy. Calci e pugni mentre era a terra, gli saltavano addosso. Non si è rialzato”


In 14 pagine di ordinanza il gip di Velletri mette in ordine le testimonianze delle persone presenti nei pressi del pub Due di picche. Uno dei testi mette a verbale: "Ricordo subito l’immagine di Willy, steso a terra, circondato da quattro o cinque ragazzi che lo colpivano violentemente con calci e pugni". Un altro dei presenti: "Ricordo che mentre giaceva a terra, gli aggressori continuavano a passargli sopra con i piedi".

L’arrivo del suv dell’Audi, cinque tizi che picchiano chiunque si avvicini loro. E a un certo punto si concentrano su un ragazzo: Willy Monteiro Duarte. Dalle parole di chi era presente, quella non sembra essere solo una rissa ma un pestaggio senza fine: “Ho un vivido ricordo di un paio di loro, non ricordo però chi di preciso, che addirittura saltavano sopra il corpo di Willy in terra e già inerme”, mette a verbale uno dei presenti. I pezzi del puzzle cominciano a incastrarsi. E comincia ad essere più chiaro il caso di Colleferro, la cittadina dove la notte tra sabato e domenica il giovane di 21 anni è stato ucciso a calci e pugni. In 14 pagine di ordinanza il gip di Velletri mette in ordine le testimonianze delle persone presenti nei pressi del pub Due di picche: dagli amici che quella sera erano usciti con Willy, a quelli che hanno osservato tutta la scena. Incrociando le testimonianze, il giudice spiega perché ha deciso di convalidare la detenzione in carcere per i fratelli Marco e Gabriele Bianchi e per Mario Pincarelli. Francesco Belleggia, invece, va agli arresti domiciliari: è uno dei cinque indagati, l’unico che ieri ha smentito la ricostruzione dei fratelli Bianchi. I due avevano negato di aver toccato Monteiro Duarte.

Riconosciuta l’aggravante dei futili motivi – Agli investigatori Belleggia ha reso un altro racconto: “Picchiavano selvaggiamente chi era sul posto” poi hanno colpito “Willy repentinamente con un calcio al torace”. Secondo quanto ricostruito i fratelli Bianchi, Pincarelli e un altra persona sono arrivati sul posto chiamati da un amico perchè si era determinata una pesante lite tra alcuni amici di Willy e Belleggia a causa di alcuni commenti fatti nei confronti di una ragazza. I fratelli Bianchi e PIncarelli arrivano a lite sedata ma, come testimonia lo stesso Belleggia, sono accusati di aver cominciato a “picchiare selvaggiamente” chiunque capitasse a tiro per poi infierire su Willy. Per questo motivo il giudice Giuseppe Boccarato ha riconosciuto l’aggravante dei futili motivi “connessi a una lite all’interno di un locale”, e “approfittando di circostanze di temo, ora notturna tali da ostacolare la privata difesa”.

“Non si è riuscito più a rialzare” – La ricostruzione dell’indagato Belleggia, infatti, è stata confermata da diversi testimoni, alcuni dei quali hanno trascorso tutta la sera con Willy. “Ho visto sopraggiungere ‘a palla un’auto di grossa cilindrata. Sono scese 5 persone che si sono lanciate contro delle chiunque capitasse a tiro sferrando calci e pugni e poi si accanivano contro Willy“, è il racconto di uno dei presenti, Matteo L. Il giovane all’inizio tenta di rialzarsi: “Willy che era vicino a me, è stato picchiato selvaggiamente e si era rialzato”, ma poi “è stato colpito ripetutamente ed è caduto a terra, dove è stato picchiato con calci e pugni”. Il testimone continua: “Mentre era in terra hanno proseguito a sferrare calci e pugni contro Willy tanto che non si è riuscito più a rialzare“. Un altro dei testimoni spiega: “Ricordo subito l’immagine di Willy, steso a terra, circondato da quattro o cinque ragazzi che lo colpivano violentemente con calci e pugni. Non riesco a quantificare il tempo dell’aggressione ma posso solo dire che la violenza dei colpi subìti da me e Willy era inaudita”. Ma chi erano i picchiatori? Un altro dei ragazzi presenti non ha dubbi: “Tra gli aggressori di Willy sono certo ci fossero i fratelli Bianchi e Pincarelli. C’era una quarta persona che aveva il braccio ingessato e che è sceso con gli altri dal Sub”.

“Gli aggressori continuavano a passargli sopra con i piedi” – Tutto comincia intorno alle 3 di notte quando Monteiro Duarte e i suoi amici decidono di lasciare il locale: “Abbiamo notato un gruppetto di circa 10 persone che stavano discutendo animatamente tra loro Willy, dopo aver riconosciuto un suo amico in quel gruppo, si è avvicinato a quest’ultimo per chiedere spiegazioni su cosa stesse succedendo. Ad un certo punto, è giunta una macchina Audi di colore nero, da cui scendevano alcuni ragazzi, forse 4 o 5, che si avvicinavano al gruppo. Uno di questi ha colpito subito Willy con un calcio al torace facendolo cadere a terra. Willy si è rialzato andando contro il giovane che lo aveva colpito”, è il racconto di Marco R., uno dei testimoni. Che ha poi aggiunto di aver “notato Willy disteso a terra e il gruppetto di giovani con l’Audi si era già allontanato”. Un altro dei presenti, Emanuele C., poi ha aggiunto: “Ricordo che mentre il mio amico Willy giaceva a terra, gli aggressori continuavano a passargli sopra con i piedi”. Quindi i picchiatori si dileguano. E gli amici di Willy si accorgono che l’amico sta male:”Qualcuno mi urlava che il mio amico Willy, coinvolto nel parapiglia, si trovava steso a terra ed io, facendomi spazio tra la gente, in effetti notavo Willy a terra sul marciapiede preso da spasmi tipo delle convulsioni. Attorno a lui c’era una moltitudine di persone e ricordo che qualcuno ha provato a soccorrerlo e rianimarlo”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/09/colleferro-nelle-carte-il-racconto-dei-testi-si-accanivano-su-willy-calci-e-pugni-mentre-era-a-terra-gli-saltavano-addosso-non-si-e-rialzato/5926290/


mercoledì 9 settembre 2020

Nuove intercettazioni, ecco cosa non funziona. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

Nuove intercettazioni, ecco cosa non funziona

In vigore dal 1° settembre.
Dopo sei rinvii e tre anni, alla fine la riforma delle intercettazioni di Andrea Orlando, fatta propria con numerose correzioni dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, entra in vigore. Il debutto è slittato (causa Covid-19) al 1° settembre. Data infausta per ovvie ragioni. Le Procure sono state impegnate in una corsa contro il tempo in pieno agosto con gli uffici a mezzo servizio. I capi delle Procure hanno emanato alcune circolari per spiegare ai pm come funziona concretamente l’uso delle intercettazioni nella nuova era. Il 6 luglio, il procuratore Francesco Greco, a Milano, ha scritto una direttiva di 10 pagine, il 10 luglio è intervenuto con una circolare di 13 pagine Giovanni Melillo a Napoli, mentre il 4 agosto, Roma ha emanato una nota del Procuratore Michele Prestipino e dell’aggiunto Paolo Ielo. La novità principale della normativa è l’Adi (Archivio Digitale delle Intercettazioni), nel quale saranno “conferite” tutte le intercettazioni, sia quelle rilevanti per il pm sia quelle che lo stesso ritiene irrilevanti. I difensori poi potranno a tempo debito ascoltare gli audio e chiedere di trascrivere, salvandole dalla distruzione, altre conversazioni ritenute utili. Sarà alla fine il giudice delle indagini preliminari a dire cosa va tenuto e cosa distrutto e il teatro di questo duello sarà la sala ascolto. A Roma, per esempio, sarà situata al piano terra della palazzina C di piazzale Clodio. I varchi di accesso saranno vigilati. Chiunque entri (avvocato o magistrato) sarà schedato e video-registrato e dovrà lasciare il telefonino in un armadietto. Niente foto al pc. Niente a che vedere con il regime attuale. I legali potevano estrarre comodamente una copia degli audio e delle trascrizioni che poi spesso (non solo da parte loro) finivano nelle mani dei giornalisti. La nuova legge mira a spezzare questo circuito, vizioso evidentemente per il legislatore ma talvolta virtuoso, come insegnano numerosi casi di cronaca da Consip in giù. Spesso le conversazioni definite irrilevanti dai pm non lo erano affatto per il pubblico. Solo grazie ai giornalisti – che spesso le vagliavano con maggiore attenzione – quelle intercettazioni riprendevano vita nel dibattito pubblico. Ora invece (vedi il pezzo accanto) andranno distrutte.
Ma come funziona l’iter per la separazione delle intercettazioni “buone” o “rilevanti” (da conservare) da quelle “cattive”, perché ritenute lesive o non inerenti all’indagine, invece da distruggere? Al termine delle operazioni di intercettazione o al massimo dopo la chiusura delle indagini preliminari (se e quando il giudice autorizza per ragioni di segretezza il differimento del conferimento all’archivio) tutti gli audio e i verbali di trascrizione dovranno sparire dalla circolazione ed essere travasati nell’archivio. Nella pratica la polizia giudiziaria va all’archivio con dischetti e pen drive per il travaso di file audio e verbali. Poi distrugge ogni copia e supporto.
Le regole valgono per tutti i procedimenti iscritti dal primo settembre. In teoria dovrebbe già essere in vigore. In pratica ci sono molti intoppi.
Il primo problema è il limite tecnologico delle attrezzature informatiche messe a disposizione dal ministero. Al Fatto risulta che – nelle prove tecniche di queste settimane – alcune intercettazioni si sono perse nel travaso all’archivio digitale.
Non solo. Per ora i sistemi adottati permettono di conferire nell’archivio e mettere a disposizione dei legali solo 5mila progressivi alla volta. Ogni progressivo corrisponde a una telefonata. Nelle indagini lunghe non è raro trovare un solo “bersaglio” telefonico che produce più di 100mila telefonate con conseguenti 20 riversamenti.
L’altro problema è quello delle postazioni di ascolto. Roma disporrà di una sala con 35 postazioni riservate agli avvocati, ma per esempio a Caltanissetta saranno solo 4 e a Perugia appena 2. Numeri esigui per i maxi-processi. Il rischio è che gli avvocati chiedano di ascoltare tutti insieme le intercettazioni di un fascicolo, facendo saltare il banco. Il ministero sta cercando le soluzioni al problema del tetto dei 5mila progressivi “travasati” al giorno: si dice che presto si dovrebbe arrivare a 17mila.
Un altro grande problema è la parolina “immediatamente”. La riforma appena entrata in vigore impone alla polizia giudiziaria di trasferire ai pm i risultati delle intercettazioni “immediatamente” dopo la fine delle operazioni. I tre capi delle Procure di Roma, Milano e Napoli propongono nelle loro circolari, con vari accenti, un’interpretazione della norma per addolcire quel termine. Conferire immediatamente dopo la fine dell’intercettazione su un telefono renderebbe difficile poi per la Polizia giudiziaria scrivere l’informativa per il pm. E così – per la circolare di Melillo – “l’espressione ‘immediatamente’ deve essere riferita alla chiusura delle complessive attività di intercettazione svolte nell’ambito del procedimento, in tale nozione dovendosi ricondurre non solo le operazioni di registrazione ma anche quelle concernenti la redazione dei verbali di trascrizione”. In pratica solo quando la Polizia trascrive l’ultimo verbale di intercettazione scatta l’obbligo di conferire e distruggere le copie.
La distruzione delle copie pone un altro problema: se il server salta o si brucia? Per il procuratore di Napoli Melillo, non ci sono eccezioni o dubbi per le ditte private che fanno le intercettazioni su delega dei pm: “Eseguito il conferimento e verificata la corretta esportazione dei dati nell’archivio digitale, il gestore procederà alla cancellazione dai propri server delle registrazioni e dei verbali conferiti, rilasciando conforme attestato, del quale si darà atto nei provvedimenti di liquidazione delle relative spese”.
Quindi non si potranno pagare le ditte se prima queste non rilasciano una quietanza della distruzione. La Procura di Roma nelle sue disposizioni interne più recenti ha tentato di salvare capra e cavoli: “Fino a nuova disposizione effettuato il conferimento i supporti mobili contenenti il materiale conferito sono custoditi presso l’archivio delle intercettazioni fino alla definizione del primo grado di giudizio”. Per qualche tempo quindi, anche se l’archivio digitale andasse distrutto, grazie a questa sorta di archivio fisico temporaneo dei supporti delle intercettazioni, a Roma qualcosa resterebbe. La Procura di Napoli, invece, è per la linea drastica e parla di “distruzione o formattazione dei supporti informatici utilizzati per l’esportazione dei dati”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/09/nuove-intercettazioni-ecco-cosa-non-funziona/5925435/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-09-09

Immaginate se i bianchi fossero neri. - Antonio Padellaro

SUDAFRICA: POLIZIOTTI NERI PICCHIANO STUDENTI BIANCHI – FOTO | Vøx
Immaginiamo la scena a parti invertite: due fratelli di origine africana che in un luogo qualunque del nostro Paese massacrano di botte un ragazzo italiano, esile, indifeso che ha visto un amico aggredito e cercava di proteggerlo. Immaginiamo i dibattiti incendiari nei talk televisivi (soprattutto in alcuni) sull’invasione incontrollata e selvaggia di chi non contento di toglierci il lavoro ci toglie anche la vita (oltre naturalmente a contagiarci con i virus più esiziali).
Immaginiamo le fiaccolate di protesta contro chi non ha impedito l’orrendo pestaggio (il governo complice). Immaginiamo le accuse contro gli amministratori imbelli (se il sindaco del luogo fosse progressista). E le accuse degli amministratori “lasciati soli”, rivolti contro il governo complice e imbelle (se il sindaco del luogo fosse patriottico). Immaginiamo i commenti indignati dei cittadini: quelli erano bestie, dovevano arrestarli prima ma spacciavano, facevano paura e forse c’è chi li proteggeva. Immaginiamo le polemiche sulle tare animalesche (e sulle culture sanguinarie) di determinate etnie.
Immaginiamo cosa urlerebbero certi politici di una certa parte, se alla vigilia di importanti elezioni amministrative fossero avanti nei sondaggi. Immaginiamo cosa balbetterebbero certi politici della parte avversa se alla vigilia di importanti elezioni amministrative fossero indietro nei sondaggi. Immaginiamo le risse da pollaio nei suddetti talk, con le reciproche accuse di razzismo e di buonismo (quelle ci saranno sempre e comunque, se fanno ascolti).
Ma no, chiedo scusa, questo è soltanto un vaneggiamento privo di senso. È un paragone assurdo, improponibile e anche offensivo. Come (leggiamo sui giornali) avrebbe detto qualcuno vicino ai fratelli Bianchi (!), a proposito di Willy Monteiro Duarte, 21 anni, picchiato a morte domenica scorsa a Colleferro: “In fin dei conti cosa hanno fatto? Niente. Hanno solo ucciso un extracomunitario”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/09/immaginate-se-i-bianchi-fossero-neri/5925445/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-09

Il sorriso di Willy. - Tommaso Merlo



Un sottomondo vuoto e malato ha spento il sorriso di Willy. Superficialità aberranti. Egoismo estremo. Il culto della violenza. Anni della propria vita spesi in una palestra ad imparare come colpire altri esseri umani. Anni della propria vita spesi a sfogare le proprie frustrazioni a calci e pugni. Nell’illusione di sconfiggere quel vuoto che ti punge dentro. Nell’illusione di sconfiggere quei nemici immaginari che vedi ovunque là fuori senza renderti conto che sei te stesso il tuo peggior nemico. Poi finalmente il sabato sera. Poi finalmente essere umani invece che pungiball e una piazzetta piena di pubblico come ring. Un degno palco su cui mostrare la propria forza fisica. Pescando un avversario a caso nel mucchio e scaricandogli addosso i propri fallimenti esistenziali. Colpi precisi, potenti. Al volto e al corpo. Per far male, per sentire il piacere del potere. Il potere di dominare il tuo avversario del momento. Il potere di sentire la sua vita nelle tue mani. Il potere di terrorizzarlo e con lui tutto il pubblico che osserva le tue abilità da picchiatore, da guerriero. E guai a chi osa contenere quella ferocia, guai a chi osa intromettersi ribellandosi a quegli attimi di delirio egoistico. Può essere fatale. Attimi adrenalina. Attimi di follia. Sfogo del proprio malessere profondo alla ricerca di senso dove di senso non ce n’è neanche un grammo e non ce ne sarà mai. Il culto dell’apparenza. Mode, tendenze. Vestiti e accessori che qualificano chi sei. Il tuo rango, la tua tribù, la tua missione. Scempiaggini adolescenziali che si trascinato per tutta la vita. Abiti senza dentro nessun monaco. Il culto del proprio corpo. Anni della propria vita spesi in palestra fino a sformarsi grottescamente. Anni della propria vita spesi in qualche centro estetico. Muscoli, tatuaggi, abbronzature, creme, peli. Anni passati allo specchio a gonfiare bicipiti e pettorali e provare nuove espressioni e pose da duro e da belloccio e da uomo vero o presunto. Miliardi di foto scattate sulla propria faccia. Da soli e in branco. Di continuo. Testando nuovi look e nuove location per aggiungere dettagli e sfumature al nulla più totale che ti divora. Apparenza che la modernità ha trasformato in un tutto di cartone. Miliardi di foto da scattare e poi selezionare e poi postare con cura sui social. La propria protesi esistenziale. La propria maschera digitale. Là dove si esibisce il tuo personaggio alla disperata ricerca di ammirazione, di consenso, di appartenenza, di identità. Miraggi. Drammaticamente futili. Fans, followers. L’opinione degli altri che determina perfino quella che hai di te stesso. L’opinione degli altri che determina chi credi di essere e chi alla fine ti riduci ad essere. Pollicini alzati, sorrisini, like. Alla spasmodica ricerca di una scappatoia alla mediocre vita quotidiana in cui sei incastrato. Alla ricerca di popolarità e successo e perfino di un biglietto d’ingresso per il paradiso. Per quel mondo vippato che però è anch’esso solo un miraggio, solo apparenza. E che è anch’esso vuoto. Luccicante, dorato, lussuoso, costoso. Ma sempre dannatamente vuoto. Un vuoto che fa male e che bisogna sedare in qualche modo. Riempiendolo con qualche sostanza e con qualche persona. Riempendolo con delle cose o dei soldi. Riempiendolo col feticismo del proprio corpo e della propria immagine. Oppure scappando da qualche parte. A perdere tempo o a lavorare. Oppure indossando la maschera del proprio personaggio digitale il sabato sera e scendendo in piazzetta. A sfogare violentemente i propri fallimenti esistenziali contro un povero ragazzo. Fino a spegnere per sempre il suo sorriso.

https://repubblicaeuropea.com/2020/09/09/il-sorriso-di-willy/

È tornato Il Male. - Marco Travaglio

Fandonie d'Italia: zero crescita del Pil e 5 milioni di poveri |  Internettuale
Scorrendo la mazzetta dei quotidiani, cresce il dubbio che sia tornato Il Male con i suoi falsi d’autore, tipo “Arrestato Ugo Tognazzi: è il capo delle Br”. Avete presente la direzione del Pd sul referendum? Era descritta come una conta drammatica dall’esito incertissimo, una tonnara all’ultimo sangue tra Sì e No in un partito diviso a metà, spaccato, dilaniato, sull’orlo della scissione e della cacciata del segretario. La Stampa: “Referendum, l’imbarazzo del Pd: il partito quasi costretto al Sì. Tantissime voci critiche”. Sapete com’è finita? 188 Sì e 13 No (i superstiti delle tantissime voci critiche, soffocate nottetempo nel sangue). Del resto sarebbe stato ben curioso se il Pd, favorevole al taglio da quando si chiamava Pci, promotore nel 2008 di un ddl identico a quello del M5S (200 senatori e 400 deputati) se non per le firme in calce (Zanda e Finocchiaro), che un anno fa aveva votato la riforma alla Camera con tutti gli altri, se la fosse rimangiata. Ma l’inconsolabile Riportino Folli non ci vuole stare e riattacca su Repubblica la tiritera del “gran numero di esponenti di primo piano per il No” (13 a 188) e si consola con “i miliardi del Mes sanitario al più presto”, che non c’entrano una mazza e in Europa non vuole nessuno (tranne forse Cipro).
Libero: “Il Pd è così malmesso che basta Zingaretti a fargli ingoiare il Sì”, ma fra indicibili “sofferenze, mal di pancia e difficoltà” (188 a 13). Il manifesto: “Il sofferto Sì di Zingaretti” (188 a 13). La Stampa: “La sofferenza dei referendum” (188 a 13). Una sofferenza quasi pari a quella di Mattarella, “seccato” (l’ha saputo il Messaggero) perché Conte, rispondendo a una domanda alla festa del Fatto, ha osato dire che è un ottimo presidente e, se volesse, lo sarebbe anche in un secondo mandato: bella “seccatura”. Sul Riformista Emma Bonino vuole “salvare la democrazia da questo scempio populista”: vedi mai che tagliando i parlamentari lei resti fuori dopo appena 9 legislature (più 4 europee). Sul Messaggero Carlo Nordio spiega che il referendum sarà “senza vincitori né vinti” (quindi non vince il Sì o il No) e “comunque il Parlamento subirà conseguenze impreviste, forse il suo stesso scioglimento” (certo, come no). Il Corriere intervista un fake di Zanda, che dichiara restando serio: “Se oggi il referendum riguardasse la mia proposta del 2008 voterei ugualmente No”, cioè l’altro Zanda gli fa proprio ribrezzo. Dev’essere un fake pure il Galli della Loggia intervistato dalla Verità: “Mattarella non doveva dare l’incarico a uno sconosciuto senza identità”, cioè a Conte, indicato due volte in due anni dalla maggioranza parlamentare; la prossima volta incarichi Galli della Loggia, noto frequentatore di se stesso.
Poi c’è il piano per il Recovery Fund: da mesi leggiamo che “il governo è in ritardo” (rispetto a cosa non si sa: la consegna è a ottobre) e non ha progetti, ma solo vecchi “fondi di magazzino per svuotare i cassetti”. Ora scopriamo sul Messaggero che “Parte l’assalto ai fondi Ue. Già ‘sforati’ i 209 miliardi”: cioè i progetti sono troppi. Il “ritardo” fa il paio con quello delle scuole, che riaprono il 14 settembre (a parte il Trentino che anticipa e la Campania che ritarda, come peraltro ogni anno), ma tutti ne scrivono come se fossero già spalancate da settimane. E ovviamente non funziona nulla (Repubblica: “Scuola, partenza a metà”): studenti seduti su casse dell’ortofrutta e soffocati da mascherine di plexiglass, cattedre di cartapesta occupate da passanti presi a caso per insegnare, genitori a rotelle che inseguono la Azzolina e Arcuri, cose così. Intanto la Raggi s’è lasciata sfuggire nientemeno che il Tribunale dei Brevetti (ha solo tutti i ministeri e tutte le ambasciate) e la finale di Coppa Italia (senza pubblico: slurp): “Roma, capitale delle occasioni perse”, “Ennesimo schiaffo per una città senza più appeal” (Repubblica), “Il disinteresse della Raggi per la città che governa” (Messaggero).
Il Corriere si arrapa ogni giorno per “il piano segreto” di metà febbraio sul Covid “ignorato” e “negato” dal governo: peccato che non sia segreto (se ne parla da fine marzo) e non sia un piano sul Covid, ma uno studio-oroscopo con vari scenari fino a 66mila morti (per fortuna evitati proprio perché il governo non lo ignorò). Salvini scrive al Corriere per chiedere spiegazioni dal governo, ma non si capisce bene su cosa: difficilmente uno che attacca Conte per aver disposto il lockdown del 10 marzo (con 631 morti, 10mila infetti e 5mila ricoverati) può rinfacciargli di non averlo fatto a metà febbraio (con due contagiati in tutt’Italia e zero morti); e poi si scopre che il “piano nascosto alle Regioni” fu consegnato a Speranza dal delegato nel Cts della Lombardia (Matteo, ritenta: sarai più fortunato). L’unico che non ha ancora capito niente è Fontana, che sul Giornale deduce dai verbali del Cts che “avevamo ragione noi” e “la Lombardia ha sempre detto la verità” (in quei verbali c’è di tutto, tranne quello che dice lui, ma poi con calma sua moglie e suo cognato glielo spiegano). Seguono, sul Giornale, i consueti pronostici sulla caduta di Conte, che da due anni ha i minuti contati: sfumate per ora le opzioni Draghi, Franceschini, Giorgetti, Di Maio, Sassoli, Bertolaso, Guerini e forse Scalfarotto, ora si scalda “Gualtieri per il dopo Conte”. Se tornasse Il Male con un falso giornalone dal titolo “Arrestato Gigi Proietti: è il capo dell’Isis”, tutti commenterebbero: “Embè?”.
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