martedì 15 settembre 2020

Vita su Venere: tracce di possibile origine biologica. - Marco Malaspina

 














La rappresentazione artistica mostra la superficie e l'atmosfera del pianeta Venere, con le molecole di fosfina in evidenza (nella realtà sono naturalmente così piccole da non essere visibili). Le molecole sono trasportate dalle nubi spinte dal vento di Venere ad altitudini comprese tra 55 e 80 km e assorbono parte delle onde millimetriche prodotte ad altitudini inferiori. Sono state rilevate nei dati del James Clerk Maxwell Telescope e di Alma, di cui l'Eso è partner. Crediti: Eso/M. Kornmesser/L. Calçada

Tre atomi d’idrogeno e uno di fosforo. Questi gli ingredienti della fosfina, la molecola che potrebbe cambiare per sempre la storia della vita nell’universo. La sua presenza nelle nubi di Venere – rivelata da osservazioni con il James Clerk Maxwell Telescope (Jcmt), alle Hawaii, e confermata da Alma, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array – potrebbe infatti rappresentare la prima prova dell’esistenza di forme di vita aliena. Microbi extraterrestri. Se l’ipotesi sulla sua origine riportata oggi su Nature Astronomy troverà anch’essa conferma, saremmo davanti a una scoperta epocale.

Tre atomi d’idrogeno e uno di fosforo, dicevamo. Formula chimica PH3. Non è uno degli innumerevoli precursori che periodicamente vengono rinvenuti nello spazio e presentati come “mattoni della vita”. Non è nemmeno una sostanza organica. Questa volta è una molecola semplicissima. Eppure quando, nel giugno del 2017, al termine di cinque giorni di osservazioni dell’atmosfera di Venere, Jane Greaves, astrofisica alla Cardiff University (Regno Unito), ne scorse la firma spettroscopica – la riga a 1,123 mm di quella che i fisici chiamano transizione rotazionale 1-0 – nei dati acquisiti con il Jcmt, rimase letteralmente scioccata.

«Vedere i primi segnali della presenza di fosfina nello spettro di Venere è stato un colpo!», ricorda ora Greaves, a distanza di tre anni.

Scioccata perché quella molecola, in quell’ambiente e a quella concentrazione – circa venti parti per miliardo – semplicemente non poteva esserci. La fosfina è una sostanza altamente tossica per la quale gli scienziati conoscono, almeno qui sulla Terra, solo due possibili processi di produzione. Uno è quello industriale, adottato per esempio nella fabbricazione dei prodotti che si usano per sterminare i parassiti attraverso la fumigazione. L’altro è un processo biologico: la fosfina può infatti essere sintetizzata da batteri anaerobici. Parliamo di microbi che vivono in assenza di ossigeno, assorbono fosfato dai minerali o da materiale biologico, aggiungono l’idrogeno e infine espellono, appunto, fosfina.

Rappresentazione artistica con Venere e molecole di fosfina, la cui forma è mostrata graficamente nel riquadro. Crediti: Eso/M. Kornmesser/L. Calçada & Nasa/JPL/Caltech

Escludendo dunque la presenza su Venere di impianti industriali, l’ipotesi al momento più plausibile – per quanto straordinaria – è che nelle acidissime nubi della sorella della Terra siano all’opera microorganismi alieni. «Trovare la fosfina su Venere è stato un regalo del tutto inaspettato. È una scoperta che solleva molte domande, come per esempio sul modo in cui un qualsiasi organismo potrebbe sopravvivere», osserva un’altra delle autrici dello studio, Clara Sousa Silva del Massachusetts Institute of Technology. «Sulla Terra, alcuni microbi possono sopportare fino a circa il 5 per cento di acido nell’ambiente, ma le nubi di Venere sono fatte quasi interamente di acido».

Ipotesi, dicevamo. Se infatti è pressoché sicuro che la fosfina, nell’atmosfera di Venere, ci sia – e questo grazie alle successive verifiche compiute nel marzo del 2019 con 45 delle 66 antenne di Alma, il miglior strumento al mondo per questo tipo di osservazioni – non è altrettanto certo che non possa avere un’origine che ancora ci sfugge. Anzitutto va detto che concentrazioni piuttosto elevate di fosfina erano state già rinvenute altrove nel Sistema solare, in particolare nell’atmosfera di Giove e Saturno, seppure in condizioni di pressione e temperatura talmente estreme da essere del tutto improbabile incontrarle su un pianeta roccioso. Altri potenziali “agenti produttori” di fosfina potrebbero poi essere la luce solare, i fulmini o fenomeni geologici come i vulcani. Ma nessuno di questi sembrerebbe in grado di produrne una quantità anche solo lontanamente paragonabile a quella misurata dal Jcmt e da Alma. Ai microbi terrestri, al contrario, per riuscirci basterebbe funzionare ad appena il dieci per cento della loro produttività massima.

Impronta della fosfina nello spettro di Venere. Crediti: Alma(Eso/Naoj/Nrao), Greaves et al. & Jcmt (East Asian Observatory)

Insomma, nelle concentrazioni rilevate e in ambienti come quelli che caratterizzano i pianeti rocciosi la fosfina, per quanto ne sappiamo, può avere – a differenza per esempio del metano – solo origine antropogenica o biologica. Ecco perché gli astrobiologi l’hanno messa da tempo in cima alla lista dei loro obiettiviè un eccellente indicatore della potenziale presenza di vita.

«La produzione non biologica di fosfina su Venere è esclusa dalla nostra attuale conoscenza della chimica della fosfina nelle atmosfere dei pianeti rocciosi. Confermare l’esistenza della vita nell’atmosfera di Venere sarebbe un importante passo avanti per l’astrobiologia», commenta il direttore operativo europeo di Alma Leonardo Testi, astronomo dell’Eso e dell’Inaf di Arcetri, non direttamente coinvolto nello studio, «quindi è essenziale far seguire a questo risultato entusiasmante studi teorici e osservativi, per escludere la possibilità che la fosfina sui pianeti rocciosi possa anche avere un’origine chimica diversa da quella che ha sulla Terra».

https://www.media.inaf.it/2020/09/14/venere-vita-fosfina/?fbclid=IwAR2sxOeFVF6cZQ4N_AVpoq-Bz-b9cLF-4_Ld5dX6MgKRsonBzP1FKDEEloI

Guida al referendum. Le ragioni del Sì, le obiezioni del No. - Marco Travaglio











Qual è il numero perfetto di parlamentari? La domanda se la posero già i Padri costituenti eletti nel 1946 (556 in tutto). E ovviamente risposero che il numero perfetto non esiste: si tratta di una pura convenzione che, come tale, può cambiare a seconda dei tempi e delle circostanze. L’Assemblea si divise fra chi – come i liberali Einaudi e Nitti, i repubblicani Conti e Perassi e il comunista Nobile – voleva un organo più snello, rappresentativo ed efficiente (3-400 deputati e metà senatori), e chi – come il comunista Terracini e l’indipendente Ruini – pensava che quantità fosse sinonimo di qualità. Alla fine, nella Costituzione, si decise di non fissare un numero preciso, ma un criterio elastico: un deputato ogni 80mila abitanti o frazione superiore a 40mila; un senatore ogni 200mila abitanti o frazione superiore a 100mila. Risultato: nelle prime tre legislature il numero dei parlamentari cambiò tre volte col crescere della popolazione. Nella I (1948-’53) i deputati furono 574 e i senatori 237; nella II (1953-’58) 590 e 237; nella III (1958-’63) 596 e 246. Ma ormai la democrazia era già degenerata in partitocrazia e infatti all’inizio del 1963, a pochi mesi dalle elezioni, la maggioranza del governo Fanfani IV (Dc, Psdi e Pri con l’appoggio esterno del Psi) varò una legge costituzionale che cambiava per la quarta volta il numero degli eletti, moltiplicando le poltrone ben oltre il rapporto fissato dalla Carta: 630 deputati e 315 senatori (più quelli a vita). È quella legge targata Dc, non la Costituzione, che oggi difende chi fa campagna per il No: i Padri Costituenti non c’entrano.

Allora il potere legislativo era affidato in esclusiva al Parlamento. Poi, nel 1970, arrivarono le Regioni e in seguito il Parlamento europeo. E i nostri legislatori elettivi raddoppiarono, da quasi 945 a 1918 (945 parlamentari, 897 consiglieri regionali, 76 eurodeputati). Fu così che dagli anni 80 non i 5Stelle, ancora nel grembo di Giove, la gran parte dei partiti, dei giuristi e dell’opinione pubblica si convinsero che il Parlamento andasse sfoltito: in linea con le Camere elettive delle altre grandi democrazie, tutte meno pletoriche e costose delle nostre. La prima riforma costituzionale che invertiva la marcia rispetto alla legge del 1963 fu quella della commissione presieduta dal liberale Aldo Bozzi nel 1983: abortita in Parlamento. Poi quella della commissione De Mita-Iotti del 1993-’94: abortita in Parlamento. Poi quella della Bicamerale D’Alema del 1997-’99: abortita in Parlamento. Il gioco dei partiti era chiaro: promettere tagli alla Casta più impopolare del mondo e usarli per nascondere varie porcate; poi litigare perché c’era troppa carne al fuoco e lasciare tutto come prima, anzi peggio.

La svolta fu la terrificante Devolution di B.&Bossi, che stravolgeva oltre un terzo della Costituzione e usava il taglio degli eletti come specchietto per le allodole: approvata anzi imposta a colpi di maggioranza nel 2005, fu fortunatamente bocciata dagli elettori nel referendum del 2006. Stesso copione dieci anni dopo con la controriforma Renzi-Boschi-Verdini, che stravolgeva oltre un terzo della Costituzione e indorava la pillola col solito taglio (ma solo al Senato): imposta dal centrosinistra dopo quattro letture nel 2015, fu sacrosantamente bocciata dagli elettori nel referendum del 2016. Il messaggio del popolo italiano era chiaro: basta maxi-riforme costituzionali che costringono gli elettori a un Sì o a un No “prendere o lasciare” su norme diverse ed eterogenee; vogliamo mini-riforme “un passo alla volta”, puntuali, chirurgiche e il più possibile condivise, per correggere o aggiornare pochissimi articoli della Carta e consentire ai cittadini un voto omogeneo e consapevole. Il tutto in linea con lo spirito dell’articolo 138, che prevede modifiche limitate, non blocchi enormi e indistinti.

Così è nato in questa legislatura il ddl costituzionale “Quagliariello-Fraccaro” che recepisce i progetti gemelli dell’esponente di centrodestra e dei 5Stelle (e quello del Pd del 2008) per ridurre i parlamentari da 945 a 600 r risponde a entrambi i requisiti da tutti invocati: è puntuale (modifica i tre articoli della Carta sul numero degli eletti: 56, 57 e 59) e condiviso (grazie ai 5Stelle che l’hanno posto come condizione per il patto con la Lega e per l’alleanza col centrosinistra, è stato approvato nelle quattro letture con maggioranze del 59, 49, 57 e 88%). Siccome nella prima “seconda lettura” non si sono raggiunti i due terzi, era possibile ricorrere al referendum “confermativo” e allontanare l’amaro calice. Così FI e Lega – dopo aver approvato la riforma quattro volte su quattro – hanno raccolto le firme necessarie di 71 senatori: è per questi voltagabbana, che rappresentano appena il 7,5% dei parlamentari, che domenica e lunedì voteremo su una legge approvata da tutti e promessa da 40 anni. Se vince il No, il Parlamento ha un’ottima scusa per interrompere le autoriforme e magari riprendersi i privilegi perduti (vitalizi in primis). Se vince il Sì, si impone una nuova legge elettorale e si possono accontentare pure i benaltristi che al taglio degli eletti preferiscono quello degli stipendi.

Da lunedì, se vince il Sì, il Fatto inizierà una campagna a tappeto per adeguare gli stipendi dei parlamentari a quelli dei colleghi europei e, soprattutto, per una legge elettorale che restituisca agli elettori il potere di scegliersi i propri rappresentanti: meno numerosi, ma migliori. Come li voleva Einaudi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/15/guida-al-referendum-le-ragioni-del-si-le-obiezioni-del-no/5931696/

lunedì 14 settembre 2020

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 Totò: Ma mi faccia il piacere… | Giornalemio.it

Sambuca e De Luca. “Attorno al No si coagula una coalizione di voci che non potrebbero essere più eterogenee… A conti fatti un po’ tutti, progressisti e moderati, si ritrovano nella sintesi dello scrittore Erri De Luca: ‘Dobbiamo sempre e solo difendere quel nobile pezzo di carta che si chiama Costituzione’” (Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, 13.9). Infatti Erri De Luca vota Sì.

La mascotte. “Se vince il No, Conte va a casa” (Roberto Formigoni, pregiudicato per corruzione agli arresti domiciliari, Libero, 13.9). Mo’ me lo segno.

Lo smemorato di Cologno. “Se il presidente Berlusconi cade, bisogna andare alle elezioni per rispetto della gente” (Alessandro Costacurta, allora calciatore del Milan, dopo la caduta del primo governo B. per la sfiducia della Lega, Repubblica, 22.12.94). “Renzi è il nuovo Berlusconi, ha coraggio, vuole cambiare la via normale di fare politica e lavorare per il bene del Paese, come un tempo accadde a Berlusconi. Alle primarie del Pd lo sosterrò, anche se io ho sempre votato dall’altra parte” (Costacurta, 1 e 3.11.2011). “Voto No. Non sono mai stato berlusconiano” (Costacurta, Repubblica, 9.9.2020). Mi sarà scappato un pro, ma sempre stato anti.

Facce ride. “Il mio No convinto al referendum. Vogliono uccidere il Parlamento. Gli assassini vengono da lontano” (Fausto Bertinotti, ex leader di Rifondazione, ex presidente della Camera, il Riformista, 12.9). Buono, Fausto, adesso viene l’infermiera e ti dà la pastiglia.

Modica quantità. “Salvini nervoso e contestato in piazza: ‘Su due dei tre commercialisti arrestati garantisco io” (Repubblica, 12.9). Non vorremmo essere nei panni del terzo. Ma neppure dei primi due.

Congiuntivite. “Torno a mettere la mascherina, prima che il ministro mi rimprovera!” (Nunzia De Girolamo, ex ministra e deputata FI, ora conduttrice Rai, Instagram, beccata da @nonleggerlo.it, 4.9). Fantocci, è lei?

Compagni che votano. “Svolta di Giorgetti: voto No al referendum”, “Il colpo di Giorgetti alla linea del leader: ‘Al referendum un No convinto’” (Repubblica, 12.9). “Parlare di una fronda nella Lega non è corretto. Basti pensare che si sono schierati per il No, oltre a Giorgetti, anche Borghi, Siri e Centinaio” (Repubblica, 13.9). E sono soddisfazioni.

Si scopron le tombe. “Il nostro è un No liberaldemocratico e progressista in cui si riconosceranno molti elettori che sulla Costituzione non vogliono confondersi con i populisti a 5 Stelle che amano Chavez” (Emma Bonino, senatrice Pd e leader +Europa, Repubblica, 12.9). Qualcuno avverta la Bonino, quella che nel ’94 si fece eleggere con Berlusconi, Previti e Bossi, che Chavez è morto da sette anni.

Il tirapiedi. “’L’opzione Draghi non è tramontata’. La rivelazione di un consigliere di Mattarella al leghista Tiramani” (Augusto Minzolini, il Giornale, 12.9). Ah beh, allora è fatta.

Insaputismi. “Se l’insulto o lo spintone arrivasse da Trump o da Salvini ecco che scatta l’allarme democratico da titolone in prima pagina con commento sdegnato di Gad Lerner, Roberto Saviano, Marco Travaglio… Se il fetentone è invece il leader del partito che regge la maggioranza di sinistra (Grillo, ndr), ecco che la cosa non ha alcun risalto” (Alessandro Sallusti, il Giornale, pag.1, 9.9). “Lerner spara su Grillo: ‘Si scusi con il cronista’” (il Giornale, pag. 12, 9.9). Se ne deduce che Sallusti non legge il suo Giornale. Il che – intendiamoci – gli fa onore.
Poche idee, ma confuse. “Bonaccini: Renzi e Bersani rientrino nel Pd” (Corriere della sera,13.9).Finalmente un po’ di chiarezza.

Mamma mia che impressione. “Il talk senza pubblico ora spaventa i leader populisti” (Corrado Formigli, conduttore di Piazzapulita, Repubblica, 10.9). Brrr che paura.

Pirlinas. “Niente nuovi contagi se Conte mi ascoltava” (Christian Solinas, presidente Regione Sardegna, Libero, 7.9). Cioè se tu non riaprivi le discoteche.

Heather. “Per Roma serve un grande progetto. Raggi? Vediamo se i romani sono così masochisti’” (Stefano Parisi, consigliere regionale centrodestra nel Lazio, Corriere della sera, 5.9). Ha paura che votino per lui, ma non c’è pericolo.

Il titolo della settimana/1. “La serie A non è pronta” (Libero, 12.9). Tutta colpa della Azzolina e di Arcuri.

Il titolo della settimana/2. “Topi in piazza San Babila a Milano, i roditori escono dai cespugli vicino alla fontana” (ilfattoquotidiano.it, 13.9). Raggi, dimettiti.

Il titolo della settimana/3. “La sinistra ce l’ha fatta: Salvini picchiato” (il Giornale, 10.9). Tranquilli, ragazzi: se fosse stata la sinistra, si sarebbe picchiata da sola.

Il titolo della settimana/4. “Scuola: banchi in ritardo, l’ansia del Quirinale” (Corriere della sera, 7.9). Mi sa che Mattarella ha la sindrome di Peter Pan.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/14/ma-mi-faccia-il-piacere-202/5930345/

Speronata dal fratello perché ha una relazione con trans, cade da scooter e muore.

 Maria Paola Gaglione (Da Facebook) © ANSA

Attesa oggi la convalida del arresto di Michele Antonio.

Maria Paola, 18 anni compiuti a luglio, e Ciro, 22 anni e qualche precedente per spaccio, si erano conosciuti in quel mix di dignità e miserie umane che è il Parco Verde di Caivano (Napoli) quando lui era ancora Cira. Il loro amore transgender, mai accettato dalla famiglia di lei, è finito tragicamente nella notte tra venerdì e sabato nel fosso di una stradina di campagna della vicina Acerra dove Maria Paola, in fuga con Ciro sullo scooter, è caduta sbattendo la testa contro una colonnina di cemento che provvede all'irrigazione dei vicini campi agricoli.

Un incidente come tanti se non fosse che a determinarlo, secondo le prime indagini dei carabinieri, sarebbe stato il fratello di lei Michele Antonio, 30 anni, al termine di un inseguimento fatto di calci e tentativi di speronamento. Con la sorella a terra esanime l'uomo, in preda a un raptus di violenza, si sarebbe scagliato sul suo compagno che era sul selciato prima di rendersi conto delle condizioni in cui versava la sorella. Nessuno indossava il casco. Ciro è in ospedale, ma le sue condizioni non preoccupano.

Il post di Ciro su Instagram

"Amore mio..., oggi sono esattamente 3 anni di noi, 3 anni. A prenderci e lasciarsi in continuazione... avevo la mia vita come tu avevi la tua.. ma non abbiamo mai smesso di amarci.. dopo 3 anni ti stavo vivendo ma la vita mi ha tolto l'amore mio più grande la mia piccola. Non posso accettarlo, perché Dio non ha chiamato me? Perché proprio a te amore mio.. non riesco più a immaginare la mia vita senza te.. non ci riesco". Così su Instagram Ciro, con il quale Maria Paola Gaglione aveva una relazione.

La famiglia di Maria Paola 

"Michele era uscito per convincere la sorella Maria Paola a rientrare a casa ma non l' ha speronata, è stato un incidente". È la versione dei fatti fornita dalla famiglia di Maria Paola e Michele Gaglione e riportata dal parroco del Parco Verde di Caivano don Maurizio Patriciello.

"E' una famiglia distrutta e che non si da' pace per una figlia appena maggiorenne. Ma stiamo attenti a dipingerla come una storia di omofobia. Forse non sanno nemmeno cos'è. Quel che e' vero è che non erano preparati e non vedevano di buon occhio la relazione con Ciro ma so che si stavano abituando all'idea. Tuttavia erano preoccupati perché Maria Paola era andata via di casa a soli 18 anni e temevano per un futuro senza lavoro e più che mai incerto", riferisce Don Patricello dopo aver portato il suo conforto a Franco e Pina, i genitori di Maria Paola. Sembra, infatti, che la giovane vivesse la sua storia d'amore con Ciro appoggiandosi presso residenze provvisorie, ora da amici, ora dai parenti di lui. Situazione che non era ben vista dalla famiglia di lei.

La mamma di Ciro: "I figli si accettano"

Su Facebook, subito dopo la tragedia di Caivano, la mamma di Ciro ha gridato tutto il suo dolore, accusando apertamente Michele Antonio "di aver commesso deliberatamente un omicidio perché non sopportava che la sorella frequentasse un uomo trans. I figli si accettano così come vengono. Paola riposa in pace".

I due l'altro ieri sera erano in viaggio da Caivano ad Acerra quando sono stati raggiunti dal giovane, anch'egli a bordo di uno scooter, che ha tamponato con violenza il mezzo provocando la caduta dei due occupanti il mezzo. Maria Paola è morta all'istante mentre il compagno è ferito; ancora a terra è stato picchiato dal ragazzo che gli ha rivolto l'accusa di aver plagiato la sorella.  E' stato portato in una clinica della zona, le sue condizioni non sono gravi.

La versione del fratello

"Volevo darle una lezione, non ucciderla. Ma era stata infettata", ha detto ai carabinieri, secondo quanto riferito, Antonio Gaglione, fermato per la morte della sorella. Inizialmente rispondeva di lesioni personali, morte come conseguenza di un altro delitto e violenza privata, ma la sua posizione si è aggravata ed è finito in cella per omicidio preterintenzionale e violenza privata aggravata dall'omofobia.

Le reazioni 

Secondo Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center, "quanto accaduto, dimostra quanto siano duri i contesti che da tempo denunciamo con il nostro numero verde Gay Help Line 800 713 713. Per questo serve una legge seria contro l'omotransfobia, che prevenga situazioni di questi tipo e che senza dubbi condanni le dichiarazioni che vedono l'omosessualità come una malattia o qualcosa di inferiore, mentre l'emendamento "Salva Opinioni Omofobe", voluto da Costa (ex FI) ed approvato dalla maggioranza, renderebbe queste espressioni lecite. Espressioni e pregiudizi per i quali Paola è stata uccisa. Questo emendamento va cambiato e vanno resi certi i supporti per i centri di protezione, da noi richiesto e previsti dalla legge contro l'omotransfobia, che ora la commissione bilancio sembra che li voglia ulteriormente limitare." "Chiediamo giustizia per Paola, il colpevole non è solo il fratello, ma anche gli altri familiari che la hanno maltrattata ed hanno consentito quanto accaduto senza proteggerla e senza denunciare", conclude Marrazzo.

https://www.ansa.it/campania/notizie/2020/09/13/-speronata-dal-fratello-perche-gaycade-da-scooter-e-muore-_e732c33a-2fc2-4526-a38f-6add43fc1f13.html

Non riuscirò mai a capire perché, anche si non si fa altro che parlare di libertà, nessuno è padrone di essere ciò che è. Chi non si conforma ai canoni di chissà quale status quo viene emarginato o tolto di mezzo.

C.

Roma, il No fa flop. E Santori scappa. - Tommaso Rodano

 Roma, il No fa flop. E Santori scappa

Poca gente al sit-in promosso pure dalle Sardine: il leader molla gli altri e non ci mette la faccia.

Ma Santori? Dov’è Mattia Santori? Imbarazzo nel retropalco: “Santori è venuto alla manifestazione, ma è rimasto poco, aveva impegni, è dovuto andare via”. La festa del No è un mezzo flop, Piazza Santi Apostoli è troppo grande: a terra, appiccicati sui sampietrini, ci sono migliaia di bollini rossi contro il taglio dei parlamentari (“Così No!”): servono per segnalare il distanziamento ai partecipanti. Mancano i partecipanti però. E i bollini restano inoccupati, a prendersi il sole dell’ultima domenica estiva di Roma.

Così il riccioluto ragazzo-immagine delle Sardine, quando apprende della piazza semivuota a debita distanza, decide di non farsi neppure vedere – dicono gli organizzatori – lasciando i suoi compagni da soli nel vuoto (per le Sardine ci sono, tra gli altri, Jasmine Cristallo e Lorenzo Donnoli, per nulla spaventati dalla scarsa affluenza). Il movimento di Santori è tra gli organizzatori della manifestazione insieme ai ragazzi di Volt Italia e di NOstra, il comitato dei giovani (del Pd) per il No al referendum. Costo dell’evento tra i 4 e i 5mila euro: tutto sudato autofinanziamento. Ma il leader delle Sardine, con apprezzabile coraggio e innegabile carisma, deve aver valutato che non ci fosse molto da guadagnare in quello scenario desertico. E via.

Sul palco si alternano furori giovanili (“L’ultimo che ha provato a tagliare il Parlamento è stato Mussolini”) e pareri più ponderati e autorevoli, come quello del costituzionalista Massimo Villone. Il problema è che manca proprio la gente. Quando il compagno Jacopo Ricci di NOstra conclude il suo accorato intervento mostrando il pugno chiuso alla folla, sotto al palco ci sono Andrea Cangini e Lucio Malan di Forza Italia, Emma Bonino, Riccardo Magi e un’altra pattuglia di Radicali. Il più a sinistra rischia di essere Matteo Orfini: “Sono qui per difendere i valori della Costituzione”, dice, barricadero. Poi un po’ s’abbacchia: “La campagna elettorale è difficile, direi una sfida quasi impossibile, ma merita di essere combattuta fino all’ultimo”. Si vede anche Susanna Camusso. In un angoletto c’è Roberto Giachetti, il deputato renziano che a Montecitorio, il giorno dell’approvazione della legge, regalò la dichiarazione più fantasiosa dell’anno: “Voto a favore del taglio dei parlamentari, ma da domani raccoglierò le firme per cancellarlo con il referendum”.

A giudicare dal colpo d’occhio della piazza, non pare esattamente una battaglia di popolo, ma Giachetti risponde ironico e stizzito: “E Madonna, daje tempo, so’ le 5 e 10” (la manifestazione iniziava alle 17, ndr). “Poi se è una battaglia di popolo lo vediamo il 21, alle urne”. Bonino invece è ottimista: “Non mi aspettavo che venisse più gente di così, molti amici e compagni sono spaventati per via degli assembramenti”. Non c’è pericolo.

In mezzo alla piccola folla – tra quelle di Volt, Anpi e +Europa – spiccano quattro bandiere col garofano del Partito Socialista Italiano e una addirittura con la falce e il martello e l’iconica barba di Che Guevara. La fa sventolare il signor Paolo Berretta, indomito comunista di Rignano Flaminio. Sul palco interviene anche Adelmo Cervi, figlio di Aldo e simbolo vivente di una famiglia distrutta dalla violenza fascista. Discorso verace, chiosa malinconica, “Inutile dire che siamo pochi ma buoni: il problema è che siamo pochi”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/14/roma-il-no-fa-flop-e-santori-scappa/5930356/

sabato 12 settembre 2020

“Anche in Costituente c’era chi chiedeva meno parlamentari”. - Silvia Truzzi

 “Anche in Costituente c’era chi chiedeva meno parlamentari”

Nell’ultimo commento che ha scritto per il Fatto Quotidiano, Lorenza Carlassare, costituzionalista e professore emerito a Padova, ha motivato così la scelta al prossimo referendum sul taglio del numero dei parlamentari: “Se vince il No nulla verrà più cambiato. Se vince il Sì c’è almeno la speranza che, fra le modifiche rese indispensabili dal taglio, ci sia anche la modifica della legge elettorale”.

Professoressa Carlassare, prima di arrivare alla legge elettorale una premessa di metodo: l’altra volta si diceva che la riforma era troppo vasta, ora si obietta che la modifica, puntuale, non si porta dietro una riforma di sistema. La battaglia per il referendum è squisitamente politica?

La Costituzione non prevede in nessun modo riforme di sistema: al bisogno, si possono apportare modifiche puntuali. I costituzionalisti lo hanno più volte sottolineato, in particolare Alessandro Pace, che ha scritto tantissimo su questo tema. La mia impressione è che alcuni tra gli oppositori, non avendo argomenti validi, vadano a caccia di pretesti anche a costo di contraddirsi.

Perché si vuole riproporre oggi l’automatismo del 2016, quando la sorte del governo era legata all’esito del referendum?

Questo dimostra la vacuità dei discorsi. Renzi si doveva ritirare dalla politica: è ancora in Senato e parla tutti i giorni. Ribadisco quello che ho appena detto: quando mancano ragioni forti, si tenta di suggestionare gli elettori.

Come lei ha ricordato, la riforma del taglio dei parlamentari in ultima lettura è stata approvata con una maggioranza bulgara dalla Camera. A questo proposito Valerio Onida ha detto: “Votare No aggraverebbe il sentimento di sfiducia che già esiste nei cittadini verso le istituzioni”.

Sono d’accordissimo con Onida. Basta ricordare i numeri, che sono impressionanti: 553 deputati a favore, 14 contrari, 2 astenuti. È incredibile che nonostante questa totale adesione si abbia il coraggio di affermare che si tratta di una riforma che va contro il Parlamento! La verità è che a discapito della Costituzione si fanno piccoli giochi politici, in assenza di progetti da proporre. C’è una totale mancanza di convinzione perfino sulle regole democratiche. Mi pare che questi ripensamenti siano dettati da questioni di opportunità politica: aprire una crisi, far cadere il governo… Il risultato è che i cittadini sono sconcertati perché capiscono che non c’è nessuna serietà, nessun reale convincimento, e non si fidano più. Per questo, oltre a una nuova legge elettorale, è necessario riprendere in mano la legge del 2016 che prevedeva l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione.

Quello sul ruolo dei partiti?

La Costituzione dice che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I protagonisti sono i cittadini, i partiti uno strumento. La legge del 2016 prevedeva che i partiti pubblicassero il curriculum dei candidati e il certificato del casellario giudiziale.

Sulle maggioranze da modificare dopo il taglio, il punto principale riguarda il peso dei delegati delle Regioni nella platea elettorale che sceglie il presidente della Repubblica. Lei che ne pensa?

Si può ridurre, dimensionandolo alla nuova composizione del Parlamento in seduta comune. Ci vorrà una legge costituzionale, però è una questione davvero da poco. I Costituenti hanno immaginato una platea più vasta per l’elezione del capo dello Stato perché è colui che per sette anni rappresenta l’unità nazionale, quindi la voce delle Regioni deve avere un peso.

I Costituenti non hanno inserito il numero dei parlamentari nella Carta: perché?

Alla Costituente è stata fatta una scelta variabile, in proporzione alla popolazione. Sul numero si discusse: nelle sedute del 16 e 19 settembre 1947 l’onorevole Nitti ricordò quanto siano pochi, al confronto, i parlamentari di una delle più antiche democrazie, gli Stati Uniti, e l’onorevole Conti, relatore, disse: “Bisogna ridurre il numero dei deputati. Avremo così una Assemblea più snella e, se vogliamo davvero la Costituzione di uno Stato in cui tutti gli organi rappresentativi abbiano vigore e una grande autorità, dobbiamo tendere a fare della Camera dei deputati un’Assemblea nella quale la dignità, la coltura, se possibile, la sapienza siano immediatamente riconosciute dal Paese il giorno successivo alle elezioni. Non si deve dire: quanta gente che non vale nulla! Si deve riconoscere l’esistenza di un’Assemblea legislativa composta di uomini degni della loro funzione”. Ma continuiamo a discutere dei dettagli: ciò che influisce sulla rappresentanza è la legge elettorale. Per questa bisogna fare una battaglia.

Nell’articolo per il nostro giornale, lei ha scritto la sua “ricetta”: proporzionale con soglia di sbarramento non superiore al 3 e senza liste bloccate. L’obiezione che alcuni le muovono è che questo sistema pende troppo verso la rappresentanza e troppo poco verso la governabilità.

L’obiezione sulla governabilità risente del clima verticistico che a lungo ha dominato il nostro dibattito pubblico, facendo danni indescrivibili. La Consulta, nelle sentenze che hanno annullato Porcellum e Italicum, ha riconosciuto che la governabilità è un principio di cui tener conto, ma mai a discapito della rappresentanza che è un valore costituzionale. Credo però che l’ubriacatura maggioritaria sia scemata. Aggiungo che nella legge elettorale va anche inserito il divieto di pluricandidature! Il fatto che un candidato possa presentarsi in vari collegi consente al partito di far eleggere chi vuole.

Quali sono le riforme costituzionali assolutamente necessarie, cui si potrebbe lavorare dopo il referendum?

Quando sarà stata fatta la legge elettorale nel senso che abbiamo detto, io non cambierei nulla. Lascerei un po’ in pace la Carta: le Costituzioni sono fatte per durare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/12/anche-in-costituente-cera-chi-chiedeva-meno-parlamentari/5929029/

Va bene il diritto di cronaca, non quello di maleducazione. - Massimo Fini

Nei giorni scorsi, Beppe Grillo è stato coprotagonista di uno scontro con un giornalista della trasmissione Diritto e Rovescio, Rete4, Francesco Selvi. Le cose sono andate così. Grillo se ne stava spaparanzato sulla spiaggia di Marina di Bibbona dove ha una delle sue due normalissime case (l’altra è a Sant’Ilario sopra Genova), non le “tante ville” di cui parla Alessandro Sallusti, quelle ce le ha Berlusconi che solo in Sardegna ne possiede sette impestando quella che una volta era la splendida Gallura.

Dunque Selvi si avvicina a Grillo e gli chiede un’intervista. Fin qui tutto lecito. Solo che Selvi contemporaneamente accende il cellulare. Da questo momento l’intervista è già cominciata e qualsiasi cosa dica o faccia Grillo fa da già parte di un’intervista non autorizzata. Grillo reagisce alla Grillo, cerca di strappare il cellulare allo scorretto intervistatore, lo spinge e lo manda a ruzzolar giù per le terre. Certo avrebbe potuto comportarsi diversamente, come Enrico Cuccia, già ottantenne, che tampinato da un rompiscatole delle Iene per tutto il percorso che andava dalla sua abitazione agli uffici di Mediobanca, un chilometro circa, proseguì dritto, non accelerando né diminuendo la sua camminata, senza degnare l’importuno di una parola e nemmeno di uno sguardo. O come Indro Montanelli che, settantenne, assillato da un giornalista di questo genere, gli disse paro paro: “Non mi rompa i coglioni!”.

Io rimpiango i tempi in cui per incontrare una persona bisognava fargli avere prima il proprio biglietto da visita, come fece Nietzsche con Wagner e dando così inizio alla più feconda amicizia che il solitario filosofo tedesco abbia avuto. Del resto allora funzionava così. Per tutti. I giornalisti devono capire che, a parte situazioni limite, guerre, scontri di strada e simili, non hanno acquisito un particolare diritto alla maleducazione. E credo che la prima, vera, urgente e forse unica riforma da fare in Italia sia quella del ritorno alla buona educazione. Anche sul gossip politico e giudiziario cui si è ridotto il nostro giornalismo, ammesso che possa definirsi ancora tale, ci sarebbe poi molto da dire. L’insinuazione politico-giornalistica è diventata l’arma preferita da usare contro gli avversari. Nell’editoriale dedicato da Alessandro Sallusti all’episodio Grillo (Il Giornale, 9.9), che gira tutto intorno al fatto che il giornalista di Rete4 non è stato difeso dalla Federazione Nazionale della Stampa perché presunto di destra (il che non è nemmeno vero, la Fnsi si è dichiarata “indignata”) mentre se la stessa cosa fosse capitata a un giornalista cosiddetto di sinistra ci sarebbe stata un’insurrezione mediatica (ma non ti sei ancora accorto, Sandro, che Destra e Sinistra non esistono più, esistono semmai fazioni contrapposte?). Lo stesso direttore del Giornale si lamenta come sia “possibile che a oltre un anno dai fatti ancora la magistratura non abbia deciso se suo figlio (di Grillo, ndr) ha violentato o no una giovane ragazza finita nel suo letto?”. Sallusti deve essere diventato bipolare. Dov’è finito l’ipergarantista a 24 carati che non considera definitiva nemmeno una sentenza di condanna della Cassazione, naturalmente se riguarda Berlusconi, e vorrebbe già al gabbio il figlio di Grillo per il quale non si è ancora arrivati nemmeno a una decisione del Gip? Del resto è il concetto espresso da Madama Santanchè, un’altra del giro, per certi reati e soprattutto per certi presunti autori di questi reati: “In galera subito e buttare via la chiave”. Il processo? In questi casi è un optional. Sallusti, senza rendersene conto, è finito nella filiera iperforcaiola del “siamo tutti colpevoli fino a prova contraria” attribuita a Piercamillo Davigo. Non credo tu possa essere contento di questa comunanza, anche se molto presunta. Alessandro so che scrivi ciò che non pensi, ma pensa almeno a ciò che scrivi.

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