giovedì 1 ottobre 2020

Il “sussidistan” è il paese della confindustria. - Carlo Di Foggia

 












Soccorso agli industriali e memoria corta. Più di 50 miliardi. Bonomi attacca l’eccesso di sussidi. Ma nella crisi per il Covid, alle imprese è finita oltre la metà degli aiuti. E neanche prima andava così male…

Più o meno 90 anni fa, Antonio Gramsci ci spiegò il “cretinismo economico” degli industriali, che “non hanno mai compreso i loro veri interessi e si sono sempre comportati antieconomicamente”. Carlo Bonomi ce la sta mettendo tutta per provare a dargli ragione. Nonostante un crollo del Pil senza precedenti, in tempo di pace il neo presidente di Confindustria martedì, all’assemblea 2020 degli industriali, alla presenza del premier Giuseppe Conte, ha avvertito che i 209 miliardi del Recovery fund “non risolvono niente se se ne dà una goccia a tutti” e ha chiesto una “visione diversa dai sussidi” per “sostenere i settori in difficoltà” dopo il lockdown. “Non vogliamo diventare un Sussidistan”, ha avvertito. Il vicesegretario dem, Andrea Orlando, lo ha fulminato: “Quando li prendono gli altri si chiamano sussidi. Quando li prendi tu, contributi alla competitività…”. “Sono serviti a tutelare l’efficienza produttiva e il tessuto sociale”, ha spiegato Conte nel suo intervento. Bonomi, evidentemente, si porta avanti per intermediare la prossima tornata di sussidi previsti nella prossima manovra in cui, come al solito, la parte imprese la farà da padrona.

A ogni modo, la critica del leader degli industriali appare quantomeno ingenerosa. Una rapida rassegna è sufficiente a mostrare che alle imprese è infatti andata la fetta più grossa del “sussidistan”, senza che Bonomi se ne dolesse, anzi. Per settimane, per dire, ha chiesto (e ottenuto) il taglio dell’Irap, anche ad aziende che non avevano avuto cali di fatturato.

Vediamo i numeri. Dall’inizio della pandemia il governo ha destinato oltre 100 miliardi per contrastare gli effetti del virus, cifre divise tra i tre decreti: “Cura Italia”, “Rilancio” e “Agosto”. Se si contano anche le misure di sostegno alla liquidità, il conto sale. Secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio, il costo totale delle misure dirette a sostegno delle imprese come “saldo netto da finanziare”, qui con un impatto sul deficit, è stato di circa 38 miliardi. Secondo le elaborazioni dell’Ufficio studi della Uil, il conto è però ben più alto. Alle imprese in senso stretto è andato il 48% dei 112 miliardi di euro messi in campo, pari a 53 miliardi, sotto forma di agevolazioni ed esenzioni fiscali, contributi a fondo perduto e garanzie pubbliche ai finanziamenti bancari. La lista è lunga: si va dall’esenzione per tutti del versamento dell’Irap, che costa 4,4 miliardi, ai 2 miliardi di euro di crediti d’imposta fino a 4 miliardi dati in dotazione al Fondo patrimonio Pmi, che deve aiutare a ricapitalizzazione le imprese di medie dimensione. C’è poi il capitolo dell’accesso al credito: sono stati rifinanziati il Fondo Sace, il Fondo Centrale di Garanzia Pmi e il Fondo Ismea che consentono di ottenere un finanziamento con la garanzia dello Stato. La garanzia pubblica non è detto che si trasformi in un costo effettivo, dipenderà dal debitore, ma lo Stato ha rifinanziato questi fondi con 35 miliardi, attraverso una stima di quanto può essere il tasso di insolvenza dei prestiti. A questi accantonamenti vanno aggiunti i 44 miliardi a valere sul Fondo patrimonio destinato della Cassa Depositi e Prestiti, messo in piedi per ricapitalizzare aziende di grandi dimensioni in difficoltà.

Fin qui parliamo delle misure a sostegno diretto delle imprese. Ci sono però anche gli stanziamenti per interventi “ibridi”, cioè destinati sia alle imprese che ai professionisti con attività di impresa. La Uil calcola che questo capitolo valga altri 13 miliardi: si va dalla rateizzazione dei versamenti fiscali sospesi con i primi due decreti ai contributi a fondo perduto per persone giuridiche e fisiche titolari di partita Iva al credito di imposta per i canoni di locazione e adeguamento dei luoghi di lavoro. Considerati questi, il totale arriverebbe a 67 miliardi, pari al 60% delle risorse stanziate, quota che fa impallidire il 10% destinato ai lavoratori dipendenti e autonomi, e il 26% dedicato alla Cassa integrazione e alle misure di sostegno al reddito. Quest’ultimo capitolo vale 29 miliardi come stanziamenti, anche se il tasso di utilizzo effettivo è stato inferiore al previsto e ha prodotto risparmi. Se si contassero anche queste risorse, il capitolo sussidi alle imprese sale ancora. È vero che le aziende non hanno potuto licenziare per via del blocco varato dal governo (fatta eccezione per il mancato rinnovo dei contratti precari), ma è altrettanto vero che circa un terzo delle ore Cig autorizzate è stato chiesto da imprese che non avevano registrato un calo dei ricavi, al punto che il governo nel decreto Agosto è dovuto intervenire imponendo un contributo a quelle che hanno avuto una minima riduzione del fatturato. I vari decreti contengono poi gli sgravi contributivi, destinati a incentivare nuove assunzioni, per chi non usa la Cig, o a ridurre il costo del lavoro già a carico del datore. Anche questi sono sussidi alle imprese (secondo l’Upb valgono almeno 13 miliardi nel 2020).

Tirate le somme, al comparto imprese sono state destinate più della metà delle risorse messe in campo. Secondo l’Upb, se si considerano anche gli accantonamenti per gli interventi della Cdp, “l’impatto sul saldo netto da finanziare ammonta a 104,5 miliardi nel 2020”.

Bonomi, a ogni modo, è in buona compagnia. Ai tempi di Giorgio Squinzi, per dire, la Confindustria dettava proprio le riforme (il Jobs Act è stato anticipato da un documento di lavoro dell’associazione, di cui ne riprese i capisaldi), mentre il governo Renzi destinava quasi 20 miliardi agli sgravi per le assunzioni in modo da gonfiare i dati e vendere meglio l’eliminazione dell’articolo 18. Il predecessore di Bonomi, Vincenzo Boccia, nel suo primo anno ottenne una manovra che nel triennio, tra industria 4.0, sgravi alle assunzioni, tagli all’Ires e via dicendo, valeva quasi 80 miliardi alle imprese. Anche nella prossima legge di Bilancio il capitolo sembra destinato a ricevere una quota considerevole di risorse. Confindustria si sente già in tasca la fine del blocco dei licenziamenti a dicembre. Parliamo di una misura che, ha spiegato il leader degli industriali, “ha impedito alle aziende di ristrutturarsi”, cioè di licenziare. Senza una nuova proroga, l’effetto sociale sarà dirompente e, ça va sans dire, lo Stato se ne dovrà fare carico. Forse gli industriali temono che questo distolga troppe risorse dagli incentivi alla mitica “competitività”. Nel dubbio, Bonomi si è già portato avanti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/01/il-sussidistan-e-il-paese-della-confindustria/5950016/

LEGGO TANTI CHE STANNO COMMENTANDO IL FALLIMENTO O MENO DEL RDC. - Stefano Lovati

 














Adesso dico la mia, perche’ io sono un percettore del RDC e so, perche’ vissuto, cosa c’e’ dietro a chi, per necessita’, lo ha chiesto. Ho 54 anni e fino a tre anni fa lavoravo.
Un bel lavoro, pagato il giusto, stavo fuori casa 14 ore al giorno per 8 ore di lavoro ma andava bene. Poi, io, assunto con il Jobs act, vengo lasciato a casa, non dopo aver cercato di fottermi parte della liquidazione, per fare posto ad uno stagista molto piu’ economico. Ecco bene, a 50 anni suonati, se non hai un curriculum da dirigente, un po’ di sano culo o qualche conoscenza, per il mondo del lavoro sei carne morta. Perche’ costi troppo e a nessuna azienda conviene assumerti. Ho mandato migliaia di curriculum in questi tre anni, niente, manco i benzinai mi prendevano in considerazione. Ho tirato a sopravvivere grazie a mio padre e mia madre, ottantenni e alla bonta’ di alcune persone, verso le quali provo una vergogna indicibile perche’ so che non riusciro’ mai a sdebitarmi.
Ho mangiato per mesi solo pasta da discount, 0,39 centesimi al chilo, niente frutta, niente verdura, niente carne ne pesce. Certo, ogni tanto, per fortuna qualche soldino saltava fuori dalle cucciolate, che mi permetteva di pagare bollette arretrate
si, perche’ sono stato anche con l’energia elettrica sospesa, per giorni, d’inverno. Non vado oltre perche’ lo scopo di quello che scrivo non e’ impietosire chi legge. Voglio solo far capire che il RDC non e’ un fallimento perche’ non trova lavoro alle persone, certo, quello e’ un limite che questo provvedimento ha ma nel frattempo, ha salvato tante persone dall’indigenza, quella vera che se non la provi non sai cosa voglia dire. Ha salvaguardato la salute delle persone perche’ quando sei indigente, mangi di merda, vivi sempre in ansia e sotto stress. Quindi evitate di criminalizzare il RDC, soprattutto per propaganda politica, E’ disprezzare chi lo utilizza. E’ vero e’ migliorabile e io stesso ogni giorni mi alzo con la speranza che la mia navigator mi chiami perche’ mi ha trovato lavoro ma la realta’ e’ che il lavoro non si trova non per colpa del RDC che e’ malfatto ma perche’ le aziende non investono su persone di 50 con un curriculum normale. Questa e’ la realta’. Ci sono un sacco di persone della mia generazione completamente dimenticate dallo stato e dal mondo del lavoro. Spero che il RDC venga migliorato, lo spero tantissimo ma intanto ricordatevi che anche cosi’ com’e’, salva le persone.

https://www.notizieinunclick.com/leggo-tanti-che-stanno-commentando-il-fallimento-o-meno-del-rdc/?fbclid=IwAR25TlI34N156OYNb3buGPiVqSAk5Cg4Vo8jXj2bP3sH0g_ELf67fdMBvaQ

Ottobre, finalmente. - Marco Travaglio

 


Non so per voi, ma per me l’arrivo di ottobre è un bel sollievo. Per tutto settembre ho temuto il peggio. Era dal lockdown che i profeti di sventura e i professionisti dell’apocalisse vaticinavano con aria voluttuosa e acquolina in bocca un autunno caldo, anzi caldissimo, con decorrenza da settembre: disordini sociali, sommosse popolari, rivolte di piazza, cacce all’uomo, assalti ai forni, barricate, violenze, forconi, machete, jacquerie e grand guignol contro il governo di incapaci che ci affama tutti con la scusa del Covid. Io, per non saper né leggere né scrivere, avevo piazzato cavalli di frisia davanti casa e sacchi di sabbia alle finestre. Amici meno ottimisti, appena accendevano la tv o aprivano un giornalone, svaligiavano un’armeria e correvano al poligono. “Conte teme la rivolta sociale” (29.3), “Ora è allarme disordini sociali: ‘Rivolte senza precedenti’” (22.5), avvertiva il Giornale. Repubblica vedeva lungo: “Col cuore in gola aspettiamo settembre!” (Francesco Merlo, 19.6), “Prepariamoci a settimane incandescenti e non per ragioni atmosferiche” (Stefano Folli, 21.8). La Verità, al solito, rassicurava: “Meridione affamato: tira aria di rivolta. A Benevento una donna minaccia Mastella. A Palermo tentata razzia in un supermarket” (29.3), “La tensione cresce, Giuseppi esita: è la ricetta per una stagione violenta” (29.8). Il Messaggero citava i “dossier dell’intelligence”: “Volantini invitano alla rivolta e al saccheggio’” (1.4). E il Corriere: “Timore di disordini ‘per il pane’. Sul web i messaggi per innescarli” (29.3). Per La Stampa era tutto già in atto: “Supermercati, frutta e verdura scarseggiano. Punti vendita presi d’assalto. A ruba anche uova, farina e lievito” (30.3).

Cronisti impanicati cercavano ristoro in Sassoli, ma invano: “Preoccupazione per l’autunno? No, terrore”. E guai a guardare i talk show. La Maglie, col suo eloquio al napalm, oracolava: “Cominciamo ad abituarci. Ne vedremo a centinaia di manifestazioni alla Pappalardo. Non sarà l’esorcizzazione di un salotto tv a impedire da qui a metà settembre esplosioni di rabbia violente” (6.6.). Capezzone faceva sì sì col capino. La Chirico pregustava “un autunno caldo di disordini sociali: abbiamo già tre politici sotto scorta” (28.5). E Minzolini, citando il moderato Casini, annunciava: “Conte sarà cacciato coi forconi” (20.5). Al confronto, Cacciari era di conforto: “In autunno la situazione economica sarà drammatica con pericoli per l’ordine sociale. Per stare a galla, il governo dovrà coprirsi dietro il pericolo della pandemia. Dittatura democratica inevitabile” (25.7). Ora che è ottobre, che dite: saremo fuori pericolo? Che faccio coi cavalli di frisia e i sacchi di sabbia: rimuovo o aspetto?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/01/ottobre-finalmente/5950003/

mercoledì 30 settembre 2020

La banda mondiale dei negazionisti e sovranisti uniti. - Antonio Padellaro




 

Leggete, per favore, Inganno. Donald Trump, Fox News e la pericolosa distorsione della realtà.

di Brian Stelter (NR edizioni) e comprenderete perché negli Stati Uniti il negazionismo politico del Covid, orchestrato dalla Casa Bianca, si sia accompagnato a una criminale manipolazione mediatica. E viceversa. Stelter (conduttore e capo della redazione Media della Cnn) si occupa diffusamente del “collega”, Sean Hannity, la persona più potente dentro Fox News nell’era Trump, e protagonista del “circolo vizioso” tra il presidente e la più ascoltata emittente della destra. Colpisce, soprattutto, il racconto agghiacciante di come mentre il virus si diffondeva silenziosamente negli Stati Uniti, alcune delle principali star di Fox ne negavano e minimizzavano la minaccia. Come si è giunti a “ringraziare il riscaldamento globale” perché il virus “sarebbe stato fermato dalle temperature più alte”. Una teoria prontamente sposata nello Studio Ovale: “Scomparirà”, disse Trump il 27 febbraio”. “Un giorno – come un miracolo – scomparirà”. E mentre l’analista medico più esperto di Fox, il dottor Marc Siegel affermava che “nel peggiore, peggiore, peggiore scenario, potrebbe essere come l’influenza”, una nota conduttrice, Laura Ingraham, parlava dei Democratici come del “Partito panDEMico”. Un altro aspetto impressionante: la negazione ostinata del contagio, e quindi della realtà, e quindi della catastrofe incombente da usare come una robusta clava contro gli avversari politici. Nel caso in questione, i Democratici, accusati di diffondere sulla malattia allarmistiche fake news al fine di screditare una presidenza lungimirante, responsabile e quanto mai attenta agli interessi, soprattutto economici, del popolo americano. Un paradigma simile a quello brasiliano del presidente Jair Bolsonaro. E riscontrabile nelle prime disinvolte reazioni di Boris Johnson (la famosa “immunità di gregge” che avrebbe miracolosamente protetto gli inglesi) prima che il morbo lo convincesse a rivedere i suoi piani. Un uso politico del virus (o meglio del non virus) esattamente uguale e contrario nei casi in cui è stata l’opposizione ad agitare contro le misure prudenziali del governo l’accusa di aver introdotto la cosiddetta dittatura sanitaria. Esemplare il caso italiano, che le immagini del Matteo Salvini privo di mascherina e promotore di convegni negazionisti hanno immortalato. In Italia, fortunatamente, sulla pericolosità della pandemia non c’è stata alcuna grave manipolazione delle notizie (a parte il negazionismo delinquenziale su alcuni social). Quanto alle Fox nostrane, qualcuno ci ha anche provato a scimmiottare Hannity ma senza successo. Purtuttavia da Trump a Bolsonaro a un certo sovranismo alle vongole, adesso sappiamo chi non dobbiamo ascoltare per non ammalarci.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/30/la-banda-mondiale-dei-negazionisti-e-sovranisti-uniti/5948577/

Pusher e vedette, sgominata rete di spaccio a Palermo.


 











Un'organizzazione dedita al traffico di droga è stata sgominata a Palermo dai carabinieri, che hanno arrestato 11 persone (10 in carcere e uno ai domiciliari), ritenute responsabili, tra l'altro, di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del capoluogo siciliano su richiesta della locale Dda. Le indagini, condotte dai militari della Stazione di Palermo Centro nel periodo giugno-novembre 2018 e coordinate dal procuratore aggiunto, Salvatore De Luca, hanno permesso di far luce sul gruppo criminale attivo nello storico quartiere Capo.

Lo spaccio avveniva anche nei pressi delle scuole e l'organizzazione poteva contare su una numerosa schiera di pusher e vedette che operavano con precise turnazioni giornaliere, in sinergia con i responsabili operativi della piazza di spaccio, a cui spettava la custodia del denaro provento dell'attività illecita. Le indagini hanno permesso di scoprire come l'organizzazione avesse a disposizione magazzini e garage, in cui veniva stoccata la droga. Depositi nelle immediate vicinanze della piazza di spaccio che i pusher potevano raggiungere rapidamente una volta ricevuta la richiesta dei clienti.

https://www.adnkronos.com/2020/09/30/pusher-vedette-sgominata-rete-spaccio-palermo_ooPmhMzYPHyKKZUIv8YaQK.html?refresh_ce

Piccole cronache di Covid e lavoro nella ex zona rossa. - Silvia Truzzi


 














Francesco lavora da 41 anni. Fa il salumiere in un supermercato, da 33 anni nello stesso negozio a Casalpusterlengo, 15mila anime nella bassa Lodigiana. Dietro il banco: prosciutti, formaggi, salami, roast beef. E Coronavirus. Anche lui, in marzo, si è ammalato: polmonite bilaterale interstiziale, ricovero in ospedale a Crema, febbre e paura. Poi la polmonite è passata, i guai no: la malattia che tiene in scacco il mondo da otto mesi gli ha lasciato in dono complicazioni cardiache di non poco conto, anche se lui è uno sportivo. Al Corriere che ieri ha raccontato la sua storia ha spiegato: “Ho resistito perché ho un cuore forte: lavoro in cella frigorifero, sono un appassionato cicloamatore e abituato ai grossi sforzi. Ho anche fatto il Mont Ventoux (tappa tra le più dure del Tour de France) su tutti i lati”. In ospedale ci è stato undici giorni, la carica virale si è esaurita in aprile con due tamponi negativi, ma i problemi sono continuati fino a luglio. Francesco ha cercato di tornare al lavoro, dietro il suo bancone in salumeria: non tutti i lavori si possono fare da remoto, con la formuletta magica dello smart working che piace tanto alle aziende perché le fa risparmiare. Soprattutto i lavori più umili si fanno in presenza. Francesco però non stava ancora bene e non era in condizioni di lavorare: l’holter cardiaco che gli avevano applicato ha segnalato un’anomalia nel tracciato. Così a fine luglio è tornato in ospedale per altre due settimane, gli hanno fatto esami approfonditi ed è saltata fuori una miocardite. Ancora oggi è costretto ad andare in giro con un defibrillatore portatile. Fine della storia? No, perché questa non è una storia di Covid, è una storia di lavoro. Francesco, a 17 mesi dalla pensione, è stato licenziato con una lettera da parte della sua azienda. Motivo? Aveva superato il massimo dei giorni di malattia di cui si può usufruire senza venire licenziati. A giugno l’Inail gli aveva trasformato la malattia in infortunio, posticipando il rientro al lavoro a metà ottobre, ma comunque il decreto Cura Italia esclude i giorni di ricovero e di isolamento per Covid dal conteggio dei periodi di comporto. Dunque, spiega un sindacalista lodigiano della Cgil, l’azienda ha fatto un errore e probabilmente il licenziamento verrà annullato. Chissà se Francesco farà in tempo a tornare dietro il suo bancone prima che scatti il giorno dell’agognata pensione: non è un bel modo di concludere la propria vita lavorativa.

C’è, dietro questa storia, la miseria di un’umanità travolta dalla burocrazia, dall’incapacità e dall’ingordigia del profitto (dopotutto un salumiere apprendista costa sicuramente meno di un salumerie con 33 anni di anzianità aziendale). Nelle cronache dalle zone rosse abbiamo sentito parlare per mesi di eroi, angeli e varie altre creature soprannaturali: applausi, lacrime, commozione svenduta a buon mercato per qualche clic. E del resto non ce ne frega niente: i meglio opinionisti parlano del lavoro come di una merce, ormai sempre più difficile da trovare, e nemmeno più se ne vergognano. Per non dire dei toni che ci tocca ascoltare nei dibattiti sul Reddito di cittadinanza: le storie che assurgono agli onori delle cronache – il criminale con il Reddito, il fancazzista sul divano che non vuole lavorare – servono solo per far venire la bava alla bocca a un’opinione pubblica sempre più anestetizzata e incattivita. Mai che ci raccontino di come i sussidi aiutano le persone in difficoltà. C’è una cosa che fa riflettere nella vicenda di Francesco: da morto lo avrebbero beatificato, da licenziato verrà ignorato. Come società facciamo abbastanza schifo, eppure non si sente parlare che di “solidarietà”.

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“Sta funzionando: ma questa gente sa di cosa parla?” - Carlo Di Foggia

 



Elena Granaglia, docente di Scienza delle Finanze a Roma Tre e membro del Coordinamento del Forum Disuguaglianze. È in corso un assalto al Reddito di cittadinanza, secondo lei è una misura perfettibile?

Sì, ma non va snaturato. La misura ha funzionato, ci sono tre milioni di beneficiari, la povertà si è ridotta. In Italia mancava: esiste in tutti i Paesi d’Europa.

Prima critica: la soglia è troppo alta.

Quella del Reddito di inclusione era 187 euro, non dignitosa. La soglia del Rdc, 780 euro individuali, è quella della povertà relativa indicata da Eurostat, non l’hanno inventata i 5Stelle. Oggi il Rdc penalizza moltissimo le famiglie numerose e non va bene, ma si può risolvere con più risorse o abbassando un po’ la soglia.

Seconda critica: va anche agli evasori.

Può essere, ma il problema è il Rdc o l’evasione? Come diceva il sociologo Albert Hirschman, quando vari una misura, devi decidere da che parte sbagliare. Basta migliorare i controlli. O aboliamo il Servizio sanitario perché lo usano pure gli evasori?

Mezzo arco politico ritiene che sia troppo assistenziale e che non aiuti a trovare il lavoro.

Fioccano articoli che dicono che è un flop perché non attiva abbastanza persone al lavoro, che al Nord le imprese non trovano ingegneri qualificati… Ma hanno idea di chi sono i percettori del Rdc? Se il lavoro è decoroso, difficile che vi rinuncino. Ma forse dobbiamo intenderci su cosa sia decoroso…

Cito il governatore emiliano Stefano Bonaccini: “Serve dare un assegno per poco e poi farli alzare dal divano e farli andare a lavorare”.

È una narrazione che si basa sull’aneddotica, non ha nulla a che fare con i dati. Quelli europei dicono che i poveri vogliono lavorare e comunque è sbagliato valutare il successo di queste misure solo dal lato del lavoro.

Perché?

In tutta Europa il successo di queste misure dal lato delle politiche attive è molto basso rispetto al contrasto alla povertà. Anche in Germania se le dovessimo valutare sotto questo profilo sono degli insuccessi. L’obiettivo è prima di tutto il sostegno al reddito, a questo servono le misure anti-povertà. Che, peraltro, sono solo l’ultimo passo. Non si può contrastare la povertà solo con trasferimenti monetari, ma nel processo economico che la genera. Dobbiamo pensare a come produciamo e distribuiamo il valore aggiunto e creiamo occupazione di qualità. Oggi questa manca, non è un problema del Rdc.

Perché c’è tanta ostilità verso questa misura?

È una conseguenza della cultura lavorista, l’idea che solo il lavoro ti definisca. E anche dell’impoverimento del Paese, meno disposto a misure anti-povertà. La politica è ostile al Rdc, siamo stati gli ultimi in Europa ad averlo introdotto.

Il Rdc ha troppe condizionalità?

In parte sì. Vanno ridotte quelle patrimoniali: abbiamo 10 milioni di persone che hanno risparmi per un mese. Anche quella di fare lavori socialmente utili la trovo ingiusta: se non c’è lavoro, perché obbligarti a quello gratuito solo perché la collettività ti aiuta? La collettività siamo noi: se ci va bene finanziamo con imposte programmi anti povertà e se ci va male ne godremo. È così che funziona il welfare.

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