sabato 6 febbraio 2021

Vengo anch’io, non tu no. - Marco Travaglio

È una fortuna che in Italia esista la libertà di stampa, altrimenti non sapremmo che Draghi a scuola “andava bene in matematica” e “non faceva la spia”, gioca a calcio “alla Di Bartolomei” ma va meglio col basket, “acquista i croccantini per il cane al supermercato”, “fulmina” la moglie che parla di politica, si presenta al Colle (ma anche altrove) con “look istituzionale” (mica a torso nudo, pinocchietto e infradito come i predecessori), “si mette in fila quando va a fare la spesa” (anziché abbattere gli altri avventori col bazooka), “apprezza i piatti della comune tradizione” perché è “normale” (sennò li sputerebbe), “fa la carità, ma di nascosto” e c’è già il primo miracolo: l’abbattimento dello spread con la sola forza del pensiero (peraltro di appena 7 punti, mentre i puzzoni di prima l’avevano portato nell’ultimo anno da 300 a 100, prima che il Rignanese lo rifacesse schizzare all’insù). Altro di lui non si sa, almeno come premier: cosa vuol fare, come e con chi, ma queste sono quisquilie. Infatti tutti rispondono per lui e danno per fatto un governo di natura, maggioranza, programma e durata ignoti (anche a Draghi, che però è una persona seria e infatti consulta e tace).

Nell’attesa, siamo andati a rileggerci l’ultimo discorso di Mattarella: “Mi appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Ha detto proprio così: “tutte le forze politiche presenti in Parlamento”. Non maggioranza Ursula, Barbara, Maria Elena: nel governo entrano tutti quelli che vogliono. E ci mancherebbe che non fosse così: nelle consultazioni il nome di Draghi non l’aveva fatto nessun partito. Ora tutti s’affannano a dire sì o no a un governo del tutto sconosciuto, al buio. E a decidere chi entra e chi no. FdI no. FI sì. Pd e LeU entrano, ma non vogliono la Lega, mentre FI gli va benissimo. Salvini non vuole i 5Stelle, ma forse entra lo stesso “se c’è posto per noi”. I 5Stelle non s’è ben capito (e forse, prima di frantumarsi e suicidarsi a tavola con B. e i due Matteo, potrebbero astenersi o al massimo dare un appoggio esterno condizionato alle elezioni fra sei mesi o un anno e al mantenimento e alla realizzazione delle loro riforme, senza ministri propri, ma con garanti esterni tipo De Masi al Lavoro e Davigo alla Giustizia). Certo, più gente entra, più bestie si vedono, più il governo s’indebolisce: litigavano già i giallorosa, figurarsi con FI e magari la Lega. Ma la maggioranza non la decidono né Zinga, né Grillo, né B., né Salvini. Chi ciancia di “maggioranza Ursula” o “dei migliori” e gioca al “vengo anch’io, no tu no” tradisce le parole di Mattarella. Sempreché abbiano ancora un senso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/06/vengo-anchio-non-tu-no/6092214/

L’uomo della strada sta con Conte e lo ringrazia. - Sergio Rinaldi Tufi

 

Ha ragione Antonio Padellaro (Il Fatto, 3 febbraio): dobbiamo un grazie a Conte. La cosiddetta “grande stampa” per la verità non ne sembra convinta: ne è convinto, invece, l’uomo della strada, quello che nei sondaggi designa il professore-avvocato come miglior premier europeo, insieme con Angela Merkel, nella lotta alla pandemia.

L’uomo della strada, però, è soprattutto sgomento. Credeva di aver capito che Renzi, ancora una volta, stesse facendo male a se stesso, e quello, con una serie di attacchi a mitraglia, ripete, in disordine e confusamente, le istruzioni ricevute dagli ambienti opachi e oscuri che lo pilotano (“ci interessano i contenuti, non le poltrone”: poi chiede due, tre, quattro ministeri), scompagina la maggioranza e induce Conte alle dimissioni. Ad averla vinta, dunque, è il Bomba, che intanto sta perfezionando in Arabia la sua nuova dimensione di traditore della Patria.

L’uomo della strada credeva anche di aver capito che il nome di Draghi fosse evocato come spauracchio, all’insaputa di Draghi stesso (figurarsi se un personaggio di quel genere si fa sponsorizzare da Renzi…), e invece dopo qualche giorno ecco Draghi che sale al Quirinale.

La cosiddetta “grande stampa” e molti politici assistono a tutto ciò leccandosi i baffi, come se la crisi fosse stata una rissa da cortile e non un doloroso e impari confronto fra un aggredito e un aggressore “pompato” da mega-interviste un po’ ovunque. Fa eccezione Giorgia Meloni che indica in Renzi il vero colpevole, anche se continua a osteggiare e a oltraggiare Conte.

D’altra parte Conte è troppo anomalo, si presenta con eleganza, non parla il politichese; è stato punto di equilibrio per un governo al cui interno c’era di tutto, e soprattutto si è trovato a fronteggiare una pandemia in un Paese in cui i precedenti governi hanno inferto alla sanità duri colpi. Particolarmente drammatica la situazione della Lombardia, sia per le scelte del passato (privilegiate le strutture private) sia per quelle del presente, dovute alla giunta a trazione leghista. Le drammatiche cifre dei contagi e dei decessi nella Regione influiscono pesantemente sul conteggio complessivo del Paese. Il segretario della Lega stessa, promotore a sua volta di ogni sorta di ammucchiate estive, imputa al governo centrale una situazione di cui lui e il suo partito sono ampiamente corresponsabili.

Conte fin dal principio non reagisce, o reagisce con compostezza. Una volta si ribella (eravamo all’inizio della pandemia), ed è bufera. Ricordate quando Salvini e Meloni lo accusavano si aver firmato nottetempo la richiesta del Mes, e lui in una conferenza stampa li sbugiardò? Si era difeso da un’accusa inconsistente (il Mes non è stato richiesto a tutt’oggi, vediamo che farà Draghi), peraltro espressa con i soliti toni sgradevoli e insultanti, ma ce ne era abbastanza perché Mentana si stracciasse le vesti (“se avessi saputo che avrebbe detto quelle cose non lo avrei mandato in onda”); a Meloni e Salvini furono addirittura concessi nei telegiornali spazi per la replica, peraltro male impiegati.

Su certi temi il comportamento dei media non è solo ingiusto, ma crea disinformazione. Molti fingono di dimenticare che i famosi miliardi del Recovery Fund non sono lì per caso, sono frutto del negoziato di Conte in Europa, dove evidentemente si trova a suo agio ed è bene accolto. E che dire del Recovery Plan? Quando Draghi curerà, con la sua indubbia sapienza, la versione definitiva, i sapientoni diranno: meno male che ha preso in mano la situazione, Conte era in ritardo, batteva la fiacca. Ma quale ritardo? La consegna del piano è richiesta ad aprile, e oggi (come Il Fatto ha già raccontato) di quel “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (detto anche Next Generation EU) esiste già una versione estremamente avanzata e accurata, redatta sotto la direzione del ministro Gualtieri. Scarichiamola da Internet (la si trova in numerosi siti): sarà interessante vedere quanto l’edizione definitiva sarà diversa, in che misura la nuova gestione sarà decisiva…

Stampa a parte, nei discorsi di questi giorni (conferimento dell’incarico da parte di Mattarella, accettazione da parte di Draghi, e via dicendo) quanti “grazie” avete sentito? Probabilmente pochi.

Patria ingrata? Presidente, l’uomo della strada è con lei, anche per la correttezza e per lo spirito di collaborazione con cui ha incontrato il suo successore. Sembra che, per il momento, non tornerà a fare soltanto l’avvocato e il professore…

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/06/luomo-della-strada-sta-con-conte-e-lo-ringrazia/6092243/

venerdì 5 febbraio 2021

Le richieste di Renzi umili e ragionevoli: dal Meb alla Arcuri. - Selvaggia Lucarelli

 

Oltre i tweet. I veri diktat dello statista di Rignano.

A un certo punto Matteo Renzi s’è stufato. Per giorni, il sentimento prevalente nell’opinione pubblica era quello di assoluto stupore nei confronti di una crisi di governo che, oltre al momento storico particolare, sembrava assolutamente priva di ragioni che non fossero l’ego di Renzi, “il suo odio per Conte” (cit. Giulio Gallera) o anche l’ego di Renzi. E questo, l’ego di Renzi, non poteva proprio accettarlo. Per cui l’ego di Renzi ha affidato a un tweet, pubblicato poco prima del discorso di Mattarella, le vere ragioni dello strappo: “Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, Alta velocità, Anpal, Reddito di cittadinanza. Su questo abbiamo registrato la rottura, non su altro. Prendiamo atto dei Niet dei colleghi della ex maggioranza”.

Ma tu pensa, davvero hanno detto no? Se il primo editore a ricevere il manoscritto del libro di Harry Potter fosse stato l’ego di Renzi, probabilmente l’ego di Renzi avrebbe sentenziato “Togli il maghetto, Voldemort, la scuola di magia, Albus Silente, lo sport sulle scope volanti e i genitori morti, ma per il resto è perfetto”.

Me lo immagino anche come curatore di una collana sulla cucina italiana. “Via la pizza, gli spaghetti, i tortellini, le lasagne, il panettone e il pesto. Il resto va bene”.

Tuttavia, dal momento che ci sta che nella sintesi in 280 caratteri si perda qualcosa, andiamo a vedere più nello specifico quali sono state le sue umili, ragionevoli richieste a Conte :

– Il MEB. Probabilmente quello sul Mes è un refuso dal momento che, più che l’accettazione del Meccanismo Europeo di Stabilità, la prima urgenza di Renzi sembra l’accettazione di Maria Elena Boschi per la sua stabilità. Non scambiatela per un’ossessione, come non lo era quella di Dante per Beatrice. È una questione di merito e competenza, e quindi giustissima la Boschi alle Infrastrutture. O allo Sport, all’Agricoltura, alla Scuola, alla Giustizia. Perfetta anche per tutti i ministeri contemporaneamente, grazie a una speciale poltrona a rotelle brevettata personalmente dalla Azzolina.

– Grandi opere. “Il Tav? Non è un’opera dannosa, ma inutile. Soldi impiegati male. Rischia di essere un investimento fuori scala e fuori tempo”. “Continuano a parlare dello Stretto di Messina, ma io dico che gli 8 miliardi li dessero alle scuole per la realizzazione di nuovi edifici e per rendere più moderne e sicure!”. Parlava così, Matteo Renzi, un tempo. Ora che finalmente non deve più fingere di essere di sinistra, si è impuntato sull’esatto opposto. Sì al Tav, sennò salta il banco. Ma soprattutto sì al ponte sullo Stretto, con una piccola deviazione fino a Riyad, in modo che i protagonisti del nuovo rinascimento possano frequentarsi più spesso risparmiando sulla benzina del jet e sulle emissioni inquinanti. Che si sa, l’Arabia Saudita è la più grande fan del processo di allontanamento dal petrolio come fonte energetica: puntano a venderlo in bottiglie e a farcelo bere.

– Domenico Arcuri. Sul commissario, Matteo Renzi non sente ragioni. Lo detesta. A tal punto che c’era un disegno preciso, quello di punire non solo il commissario per l’emergenza Covid, ma pure Manuela Arcuri, per l’odiosa omonimia. Posto il veto sulla sua partecipazione a un eventuale remake di Carabinieri, Matteo Renzi ha chiesto a Conte che il ruolo dell’agente Paola Vitali venisse affidato a Maria Elena Boschi.

– La prescrizione. Modeste anche le sue pretese in tema di prescrizione. Matteo Renzi ha chiesto che per i processi per fatture false, traffico di influenze illecite e turbativa d’asta la prescrizione subentri a due giorni dall’inizio delle indagini preliminari. A chi lo ha accusato di voler dare una mano al padre, ha risposto che per tutti coloro in possesso di un certificato che attesti lo stato di paternità, lui vuole l’immunità parlamentare. A chi gli ha contestato che non si può prescrivere un reato se non è iniziato il processo, ha risposto: “Questo perché l’Italia è il nuovo Medioevo”.

– Alfonso Bonafede. In realtà Matteo Renzi ha molta stima nelle capacità professionali di Alfonso Bonafede, tanto che ha esplicitamente chiesto a Conte di rimuoverlo dall’incarico di ministro perché possa portare la sua esperienza all’estero, soprattutto nel mondo delle carceri. In particolare, aveva proposto per lui un incarico di rilievo in Russia: quello di assaggiatore del rancio di Navalny.

– Rocco Casalino. Non è affatto vero che Renzi ne abbia chiesto la testa su un vassoio d’argento. Sembra che la trattativa sia stata molto più modesta. Ne ha chiesto solo stinco, spalla e sottocoscia in un tegame da forno. Con patate.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/04/le-richieste-di-renzi-umili-e-ragionevoli-dal-meb-alla-arcuri/6089605/

Il disprezzo delle solite élite ora prende di mira Casalino. - Salvatore Cannavò

 

Come da italica tradizione, dismesso il potere ti tirano le pietre che prima trattenevano nelle tasche. Succede a Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio, da sempre criticato sottotraccia e invece, ora, preso di petto come fosse lui il responsabile del marasma. “Peracottaro”, “parvenu”, “isterico”, si divertono i leoni da tastiera “liberali e competenti” che per esserne davvero immuni il populismo se lo sono fatto iniettare in vena.

Così, Casalino non viene criticato, legittimamente, per come organizza le conferenze stampa (anche per quello), per una eccessiva pressione sui Tg (anche per quello), per presunte gaffe o scatti d’ira (anche per quello). Su di lui non si esercita la sana critica al potere, ovunque sia collocato, anche nella stanza di fianco a quella del primo ministro.

Qualche anno fa il Fatto dedicò un approfondimento al ruolo del portavoce di Matteo Renzi a palazzo Chigi, Filippo Sensi e al suo modo di gestire l’informazione, di palleggiarla, metterla a fuoco in funzione dell esigenze del leader. Allora sembrò scandaloso, per molta stampa intorno a noi, permettersi quella critica.

Ma non fu nulla a confronto del risentimento che si scarica su Casalino, dipinto come un vanesio assetato di potere, sgraziato e manipolatore. A cui si estorcono finte interviste che l’interessato deve poi smentire il giorno dopo.

Con lui si è andati oltre. Gli è stato rimproverato di essere il Rasputin di Conte, una sorta di anima nera pronto a dare buoni consigli “sentendosi come Gesù nel tempio”. Si è arrivati al punto di tirarlo in ballo nello scontro inscenato da Renzi il quale lo ha additato addirittura come una figura da rimuovere per risolvere la crisi di governo e che, ancora ieri nell’intervista a Le Monde, diceva che la politica non si fa con “i like”. E qui c’è forse la mistificazione più grande di questa storia. Perché colui che ha importato a palazzo Chigi una capacità inedita di costruire l’immagine del capo è stato proprio Sensi, Nomfup per chi frequenta Twitter, abile costruttore di storie quotidiane con il suo #cosedilavoro.

Sensi è quello che davvero ha innovato, che ha dato alla comunicazione una marcia in più, spregiudicata o semplicemente professionale che sia, aprendo una strada nuova: le foto con i leader internazionali, quelle dei momenti “riservati”, l’input “Renzi ai suoi”. Casalino quella strada l’ha imboccata senza esitazioni e provenendo dal M5S, nato nel web e con una predisposizione naturale ai social, ha adottato uno stile diverso, abilità diverse, ma ha portato Conte a una popolarità che pochi possono vantare. Invece di insultarlo sarebbe forse più utile chiedergli come ha fatto.

Però dileggiare viene meglio, specialmente se si devono regolare conti antichi, come quelli che si stanno regolando in questi giorni. Basta seguire la comunità dei giornalisti su Twitter, le tante frasi sguaiate, l’arroganza e il disprezzo diffuso a piene mani.

E qui c’è il punto della questione. L’assalto a Casalino è di una diversa qualità, non è semplicemente scontro politico tra parti avverse. Non è la tradizionale dialettica “amico-nemico” per utilizzare un canone del pensiero politico. Esprime un disprezzo culturale, intellettuale e antropologico. L’altro giorno un giornalista autorevole come Pierluigi Battista ha scritto dieci volte (10) in un messaggio su Twitter: “Casalino ha scritto un libro, Casalino ha scritto un libro, Casalino ha scritto un libro…” e così via. In un Paese in cui i libri li scrivono calciatori e soubrette, alcuni “giganti del pensiero” assurgono ad arbitri della produzione libraria nazionale, veicolando in realtà il riflesso delle élite, culturali e intellettuali (se ci si perdona il termine) verso i nuovi arrivati, verso gli avventurieri o, come sono stati chiamati a lungo i 5Stelle, sempre con disprezzo, “gli scappati di casa”. E così confermando la critica che i vari populisti (ammesso che il M5S si possa considerare tale, cosa che la più recente evoluzione smentisce) muovono proprio alle élite. Che, invece, urlano e si disperano non appena notano l’invasione di un campo che considerano sacro e intoccabile.

Chi scrive non conosce Casalino, riceve solo i suoi vari messaggi e le sue comunicazioni. Il personaggio ha certamente gestito in modo criticabile il suo ruolo. Ma criticare Casalino solo per ribadire la superiorità e segnalare una distanza con chi dovrebbe stare in basso è esattamente quello che ha permesso l’esplosione di una forza come il M5S. Storia che nessuno ancora vuole iniziare a capire. Il vero limite delle classi dirigenti in Italia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/05/il-disprezzo-delle-solite-elite-ora-prende-di-mira-casalino/6091018/

Con l'avvento dei mezzi di comunicazione come twitter, facebook e altri, chiunque può scaricare le proprie frustrazioni scrivendo banalità, insultando chiunque capiti loro a tiro, come a volerne sminuire l'essenza, qualunque essa sia. E non si rendono conto del fatto che questa triste consuetudine non allevia la loro sofferenza, ma ne accresce la consistenza.


Cambio di casacca? Per un figlio si fa. - Antonio Massaro

 

E anche questa settimana a Criminopoli tira un’ottima aria. La leggerissima flessione non intacca il trend positivo: 32 i nuovi indagati per corruzione dal 23 gennaio al 4 febbraio. 

La scorsa erano stati 40, è vero, ma il totale dall’inizio dell’anno si avvicina alle tre cifre: siamo a quota 92. Media giornaliera: 2,6 nuovi indagati ogni 24 ore. Uno ogni 9 ore! 

Grandi soddisfazioni anche sul fronte mafie: i 36 nuovi avvisi di garanzia (9 in meno della scorsa settimana) portano il totale del 2021 a 308 indagati per associazione mafiosa. Media giornaliera: 8,8 (in leggera diminuzione, rispetto ai 9,7 della scorsa settimana, ma pur sempre un gran risultato: un nuovo indagato ogni 2 ore e mezza). 

Restiamo in tema di minuti, ore, giorni, mesi e anni. Oggi 5 febbraio Matteo Messina Denaro può festeggiare ancora: è libero da ben 10.110 giorni. 

Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Laura Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro sono invece morti da 10.484 giorni. 

Abbiamo invece perso Paolo Borsellino e i cinque agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina da ben 10.427 giorni. 

Il Premio mazzetta di questa settimana va al neo indagato Luigi Sergi, ex consigliere comunale di Brindisi, accusato di aver compiuto atti contrari ai suoi doveri in cambio di una promessa per suo figlio: all’amato rampollo avevano prima proposto un assessorato, poi aveva ottenuto l’incarico di componente dell’ufficio di supporto del sindaco. E Sergi cosa offriva in cambio? Semplice. Siccome era passato dalla maggioranza all’opposizione, “tornava a votare – in modo determinante – con la maggioranza”. Lo accusano di aver violato il “dovere di votare in piena libertà e secondo scienza e coscienza”. Ma, in coscienza, Sergi tiene famiglia. E un voto in democrazia che sarà mai? Piuttosto, come tutti i nostri premi, siamo pronti a revocarglielo se sarà assolto o archiviato. È simbolico ma deve restare in buone mani.

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Grazie Giuseppe: stile e onore nel suo saluto. - Antonio Padellaro

 

Non conoscevo Giuseppe Conte ma quando, nel novembre del 2019, lo vidi nei tg andare incontro agli operai dell’Ilva di Taranto – giustamente agitati per la irrisolta crisi della fabbrica e prostrati dalla paura di perdere il lavoro – ne fui colpito. Poiché è abbastanza raro vedere un presidente del Consiglio che invece di rifugiarsi dentro un’auto blu e dileguarsi decideva di assumersi le proprie responsabilità di governo e di accettare un confronto che nell’occasione fu molto duro.

Quando, il 9 marzo 2020, nella notte più lunga della Repubblica, Giuseppe Conte annunciò il lockdown a un Paese smarrito e angosciato dall’aggressione del Covid-19 lo immaginai con l’animo in subbuglio mentre era costretto a prendere una decisione che non aveva precedenti. Con la propria firma in calce a un decreto che, come gravità, equivaleva alla dichiarazione di una guerra. Quando, nell’estate dello stesso anno, ottenne da Bruxelles i famosi 209 miliardi per l’Italia, il salvagente a cui aggrapparsi per evitare il naufragio definitivo di una nazione, mi domandai come avesse fatto a vincere la resistenza dei cosiddetti Paesi frugali che ci vedono come degli scrocconi perennemente col cappello in mano. Però c’era riuscito. Ieri, infine, quando è uscito dal portone di palazzo Chigi per congedarsi e augurare buon lavoro a Mario Draghi ho provato gratitudine per un signore che nel paesaggio di macerie frutto dell’opera del noto sfasciacarrozze (e dei sabotatori associati) si preoccupava di assicurare un sereno passaggio di consegne, nel pieno rispetto dei cittadini e delle istituzioni. Ciò non significa, ovviamente, che nella esperienza di premier Giuseppe Conte non abbia commesso errori. L’estate del liberi tutti che ha creato le condizioni per la catastrofica seconda ondata della pandemia avrebbe dovuto essere gestita certamente con maggiore prudenza. E se avessi potuto lo avrei messo in guardia dal reclutare i famosi responsabili o volenterosi, non perché non fosse legittimo allargare il consenso parlamentare al governo quanto per l’inclinazione diciamo così mercantile di certi personaggi di cui si era fidato. Adesso però, per quel che conta, desidero ringraziarlo per come si è comportato nell’esercizio delle sue funzioni, e in momenti particolarmente difficili per noi tutti. Da uomo. Con disciplina e onore.

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Conte: “Il governo sia politico”. E si candida a leader giallorosa. - Luca De Carolis

 

L’ultima, classica scena dell’era Conte potrebbe essere l’inizio della nuova fase. A Mario Draghi per fare un governo servivano i Cinque Stelle dubbiosi e lacerati, e glieli porta in dote l’unico che poteva riuscirci, Beppe Grillo, sentito via telefono. Poi però c’è Giuseppe Conte, che dopo essersi sentito proprio con Grillo all’ora di pranzo parla davanti a palazzo Chigi, circondato da giornalisti assembrati, per dire che “serve un nuovo governo, politico”. E si rivolge innanzitutto “agli amici dei 5Stelle, a cui dico che ci sono e sarò sempre”. Perché sarà ancora in politica, magari anche come leader del M5S. Di certo come mastice e futuribile candidato premier giallorosa.

E infatti: “Agli amici Pd e di Leu dico che dobbiamo lavorare tutti insieme perché l’alleanza per lo sviluppo sostenibile che abbiamo iniziato a costruire è un progetto forte e concreto”. Da qui vuole ripartire Conte, dal patto anche con quei dem che in queste ore gli avevano chiesto in tutti i modi il sostegno al governo che verrà. Da quella coalizione che Matteo Renzi voleva disfare, con lo strappo che è già costato l’incarico all’avvocato. Così eccolo, il presidente uscente, che quasi lo giura: “Ho sempre lavorato perché si possa formare un nuovo governo. Mi descrivono come un ostacolo, evidentemente non mi conoscono o parlano in mala fede. I sabotatori cerchiamoli altrove”.

Non poteva essere lui a mettersi di mezzo. Ma il suo riferimento al governo politico, “che prenda decisioni politiche”, imperniato su ministri e punti di programma concordati con i partiti, non è proprio ciò che appare, un via libera. Fonti qualificate raccontano che quel riferimento sia anche e forse soprattutto un modo per sottolineare che questo esecutivo dovrà avere precise caratteristiche. Cioè si potrà fare solo concordando i temi con le forze politiche, “e finora nelle consultazioni di temi Draghi non sta parlando” assicurano le stesse fonti. Tradotto, Conte non fa muro. Ma ieri non voleva spingere le vele di Draghi. Piuttosto, rivendicare le ragioni e i temi dei giallorosa. Lo ha fatto dopo aver incontrato Draghi, mercoledì, e dopo aver (ri)sentito Grillo, convintosi ad appoggiare il nuovo esecutivo dopo una telefonata con l’economista romano. Un incastro a tre che cambia l’inerzia dentro il Movimento. Fino a mercoledì notte, in maggioranza per il no, secco. Ma già nell’ennesima assemblea del M5S, all’una della notte tra mercoledì e giovedì, il reggente Vito Crimi aveva di fatto aperto a Draghi. Un segnale che aveva colpito molto i parlamentari collegati via Zoom. Anche in questo caso per nulla casuale, visto che Crimi aveva parlato dopo aver ricevuto apposita telefonata di Grillo. Ieri, attorno alle 12.30, il segno dell’aria che tira lo dà una nota dell’ex capo ma leader di fatto, Luigi Di Maio: “Oggi si aprono le consultazioni di Mario Draghi e il Movimento ha il diritto di partecipare, ascoltare e assumere poi una posizione sulla base di quello che decideranno i parlamentari”. Tradotto, bisogna sedersi a quel tavolo, trattare.

Poco dopo, sul Foglio.it, la sindaca di Roma Virginia Raggi: “Il M5S apra a Draghi”. Quindi Conte, con microfoni su un tavolino in mezzo alla piazza e il portavoce Rocco Casalino che esorta le telecamere a inquadrare il Parlamento. Comunque vada i 5Stelle qualche eletto lo perderanno. Soprattutto in Senato, pieno di veterani che si sono esposti contro l’economista. “Chi crede che si possa creare un vero governo politico è cieco” ringhia Alberto Airola. Per ricucire si muovono due big, Paola Taverna e l’ex capogruppo Stefano Patuanelli. Ma lì fuori c’è sempre Alessandro Di Battista, contrarissimo a Draghi.

Mercoledì sera aveva capito la piega degli eventi, e si era appellato pubblicamente ai suoi: “Non cedete alle pressioni”. Ieri l’ex deputato si è incollato al telefono, chiamando molti maggiorenti. Ma l’inversione di marcia pare difficile. E comunque poi si torna sempre a Conte. “Nel suo intervento si è rivolto innanzitutto a noi, è la conferma che vuole essere il nostro leader” dicono in diversi.

Ma proprio per questo ora dal M5S risale forte la richiesta che l’avvocato entri ufficialmente nel Movimento, che si iscriva. “Giuseppe c’è, resta con noi” sillaba con soddisfazione dentro la Camera Federico D’Incà. Buon per loro.

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