Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 9 dicembre 2021
SARO' BREVE N. 84. - Rino Ingarozza
mercoledì 8 dicembre 2021
Scontro su bonus facciate almeno fino a giugno e sul 110% per le villette fino a fine 2022. - Marco Mobili
Tra i temi più caldi ci sono i lavori effettuati dalle persone fisiche finanziati con il 110% sulle unità immobiliari unifamiliari: nel mirino il “tetto” Isee di 25mila euro per poter accedere al Superbonus.
Scontro sulle unifamiliari.
Tra i temi più caldi e su cui c’è un’ampia convergenza tra tutte le forze politiche ci sono i lavori effettuati dalle persone fisiche finanziati con il 110% sulle unità immobiliari unifamiliari, più note come villette. Nel mirino di tutti i partiti è finito il “tetto” Isee di 25mila per poter accedere al Superbonus fino al 31 dicembre 2022. Il Partito democratico, ad esempio, con un emendamento firmato dalla capigruppo a Palazzo Madama, Simona Malpezzi, e dall’ex viceministro all’Economia Antonio Misiani, chiede di cancellare il riferimento all’Indicatore della situazione economica equivalente fino a 25mila euro, introdotto dal Governo per mitigare l’impatto finanziario della super agevolazione, e sostituirlo con la possibilità di beneficiare del 110% per i lavori sulle villette per le quali alla data del 30 marzo 2022 risulti effettuata la comunicazione di inizio lavori asseverata, la cosiddetta Cila, ovvero nei casi di demolizione o ricostruzione alla stessa data del 30 marzo siano state avviate le formalità amministrative per l’acquisizione del titolo abilitativo.
In questi casi, si legge nel correttivo Pd, la proroga del Superbonus potrà arrivare fino al 2025 con un decalage che prevede il 110% per i lavori effettuati fino al 31 dicembre 2022, che si riduce al 70% per i due anni successivi e passa poi al 65% nel 2025.
M5S contro il vincolo Cila.
Sulla cancellazione del tetto Isee anche il Movimento Cinque Stelle che, oltre a chiedere un rafforzamento delle proroghe sul 110%, chiede per le unità unifamiliari l’accesso al Superbonus per tutto il 2022 senza il vicolo della Cila e con interventi di riqualificazione energetica o di messa in sicurezza che al 30 giugno abbiano raggiunto il 30% dello stato di avanzamento lavori.
Più diretta la Lega che chiede la cancellazione di ogni riferimento all’Indicatore economico per poter effettuare interventi con il 110% fino al termine del 2022.
Ma non c’è solo il Superbonus. Il confronto tra maggioranza e Governo è acceso anche sul bonus facciate. Alle forza politiche non piace la proroga al 2022 del bonus edilizio più gettonato dell’ultimo anno ma con una percentuale ridotta dal 90 al 60%. Italia Viva chiede di sopprimere la percentuale del 60% e prorogare il bonus facciate anche per il prossimo triennio. Mentre il Partito democratico chiede una proroga di almeno sei mesi così da consentire l’accesso al bonus per la riqualificazione delle facciate degli edifici nella misura del 90% fino al 30 giugno 2022.
La capogruppo al Senato di Forza Italia, Anna Maria Bernini, invece, chiede che la detrazione del 90% del bonus facciate spetti anche per le spese sostenute entro il 2025, nella misura del 70% per quelle del 2024 e del 65% per quelle sostenute nel 2025.
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Lesa Migliorità. - Marco Travaglio
Qualche spunto per il cabaret. Zerovirgola, il politico più impopolare, già convinto di aver ucciso il politico più popolare che però rimane tale, ora crede di avere bloccato la sua candidatura a Roma-1 facendogli paura: e tutti lo assecondano, come si fa con i casi umani. Carletto dei Parioli, suo compare di litigate e di mitomania, noto perché si candida a tutto, anche alla Federpesca, e sempre con un partito diverso, annuncia che correrà a Roma-1 per fare il deputato, essendo già eurodeputato (col Pd) e consigliere comunale (con Azione), dopo aver contribuito ad affondare Italia Futura (Montezemolo) e a farsi trombare con Scelta Civica (Monti). Ma, siccome Conte non si candida più, rinuncia precisando che avrebbe stravinto. Un po’ come quando si sentiva già sindaco di Roma (“vinco al primo turno”): poi arrivò terzo, mancando il quarto posto solo perché la destra gli aveva regalato Michetti.
Conte si esercita a spiegare perché il M5S non può votare B. al Colle: ieri gli è scappato detto che “ha il conflitto d’interessi”, ma ha subito rimediato aggiungendo che “ha fatto molte cose buone” (fortuna che non gli han chiesto quali). Con un altro po’ di training, forse riuscirà a rinfacciargli un eccesso di cerone. Il compito più ingrato spetta a Minzo: dopo i peana del padrone al Reddito di cittadinanza, deve registrare altre flautate parole di B. (“Il voto al M5S aveva motivazioni tutt’altro che ignobili. I 5Stelle hanno dato voce a un disagio reale che merita rispetto”), senza poter aggiungere “luridi bastardi”, sennò perde il posto. Ora che Mattarella dice no al bis, Cassese dichiara che “la rieleggibilità non è prevista neanche per i giudici della Consulta, secondo l’art. 135 della Costituzione: perché non dovrebbe valere anche per il capo dello Stato?”. Strano: nel 2013, quando l’amico Napolitano si fece rieleggere, non fece una piega. E il 13 agosto ’21 disse l’opposto: “La Costituzione non prevede che il mandato non sia rinnovabile: se è rinnovato nei termini previsti, è possibile”. Faceva prima a citare il proverbio toscano: “La legge è come la pelle dei coglioni: più la tiri, più si allunga”. L’intera stampa è listata a lutto per lo sciopero generale Cgil-Uil contro Draghi, tipico caso di lesa migliorità: “Incredulità di Draghi” (Rep), “Stupore nel governo” (Corriere), “L’ira di Draghi” (Messaggero), “Fermatevi, finché siete in tempo”, “Premier sbigottito” (Stampa), “Follia dei sindacati” (Giornale), “Ci mancava solo questo” (Libero). Tra le prefiche inconsolabili si segnala per acume Cappellini di Rep: “C’è il rischio che la piazza diventi l’occasione di un raduno di scontenti, No Vax compresi”. Ma a tutto c’è rimedio. D’ora in poi, se i sindacati vogliono proprio fare i sindacati, solo raduni di contenti.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/08/lesa-migliorita/6418771/
sabato 4 dicembre 2021
Referendum Renzi, la Costituzione è la nostra forza: va fatta valere anche con gli altri governi. - Paolo Maddalena*
IIl 4 dicembre 2016 il popolo italiano respinse con referendum la modifica della Costituzione, proposta da Matteo Renzi, al fine di attrarre maggiori poteri nell’Esecutivo, riducendo, nello stesso tempo, la “rappresentanza popolare” e i poteri referendari del popolo sovrano. In estrema sintesi, il disegno di modifica della Costituzione prevedeva: che il Parlamento fosse praticamente ridotto alla sola Camera dei Deputati, tranne alcune eccezioni (art. 10); che le firme richieste per proporre una legge di iniziativa popolare fossero elevate da 50mila a 150mila (art. 11); che, infine, il governo potesse chiedere alla Camera dei Deputati di “deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge, indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo, fosse iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei Deputati entro il termine di 70 giorni dalla deliberazione” (art. 12).
Con queste e altre numerose modifiche, veniva in pratica cambiata gran parte della Costituzione vigente e si veniva incontro a coloro che, in virtù delle numerosissime leggi costituzionali fino ad allora emanate, affermavano la venuta in essere di una “Costituzione materiale” che avrebbe cancellato quella “formale”. L’esito referendario, tuttavia, ha confermato quest’ultima e ha tolto ogni dubbio in proposito.
Si trattava di una riforma che voleva dar forza all’azione, già da tempo intrapresa dai nostri governi, per cancellare il doveroso “obiettivo” di dare piena attuazione alla Costituzione, costituente l’ultimo “ostacolo” all’avanzata inarrestabile del neoliberismo. Quel pensiero unico dominante che, attraverso numerose leggi incostituzionali, aveva in pratica sostituito al “sistema economico produttivo di stampo keynesiano” (secondo il quale, e coerentemente con i principi fondamentali della Costituzione, si ritiene che la ricchezza deve essere distribuita alla base della piramide sociale, e lo Stato deve intervenire come imprenditore nell’economia), con il “sistema economico predatorio, illecito, cinico e incostituzionale del neoliberismo” (secondo il quale: la ricchezza deve essere nelle mani di pochi, tra questi ci deve essere una forte concorrenza e lo Stato non deve intervenire nell’economia).
Una molto esecranda operazione, che esaltava l’egoismo individuale (estraneo alla Costituzione) e abbatteva il principio fondamentale della “solidarietà politica, economica e sociale” del Paese.
Limitandosi alla cronaca dei fatti, si può dire che, nell’immediato secondo dopoguerra, il sistema economico italiano, grazie all’intervento dello Stato nell’economia, marciava a pieno ritmo. Il reddito nazionale cresceva e tutti erano rinfrancati dall’incremento dell’occupazione e dei consumi: l’Italia era stata addirittura fregiata di importanti riconoscimenti in campo finanziario.
Protagonista di questo successo era stato l’intervento dello Stato nell’economia, e primariamente l’attività imprenditoriale dell’Iri, il quale, nel 1980, possedeva circa mille società, con 500mila dipendenti, e ancora nel 1993 (quando era già stata decisa la sua liquidazione) era il settimo conglomerato al mondo per dimensioni, con un fatturato di circa 67 milioni di dollari.
Ed è da sottolineare che questo successo conquistato dall’Italia doveva aver suscitato, molto probabilmente, le preoccupazioni di altri Paesi occidentali.
È comunque un fatto indiscutibile che la “decadenza economica” dell’Italia sia stata realizzata dai nostri governi seguendo le idee neoliberiste propalate in tutto il mondo dal famoso libro di Milton Friedman, della Scuola economica di Chicago, dal titolo La storia della moneta degli Stati Uniti dal 1867 al 1960. L’obiettivo del neoliberismo, com’è noto, è di porre tutto sul mercato, prescindendo dal valore dell’uomo, da considerarsi solo come homo oeconomicus e talvolta come semplice merce; di abolire la solidarietà che è a fondamento dell’esistenza dei popoli; e, con questa, il “demanio costituzionale”, e cioè quel complesso di beni e servizi sui quali si fonda la “costituzione” e la “identità” dello Stato comunità. Trattandosi di beni e servizi, come precisa l’art. 42 Cost., “in proprietà pubblica” del popolo – o meglio, come affermò nel secolo scorso l’illustre amministrativista Massimo Severo Giannini – in “proprietà collettiva demaniale” del popolo stesso, e per questo un tipo di proprietà inalienabile, inusucapibile e inespropriabile.
Si tratta, principalmente; “del paesaggio, del patrimonio artistico e storico (art. 9 Cost.), dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio (art. 43 Cost.).
Il primo colpo contro il sistema economico keynesiano, e, naturalmente, contro l’intervento dello Stato nell’economia, fu dato (molto probabilmente al solo fine di contrastare l’inflazione, ma fu una mossa estremamente ingenua e dannosa, come subito dopo è visto), dal Ministro Beniamino Andreatta, il quale, con una semplice lettera a Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della banca d’Italia, in data 12 febbraio 1981 dispensò detta banca dall’obbligo di acquistare i buoni del tesoro rimasti invenduti. In tal modo venne meno la possibilità di pagare i nostri debiti stampando moneta e si attribuì alla Banca d’Italia piena indipendenza.
Insomma, da quel momento le necessità del popolo venivano messe in secondo piano rispetto alle richieste provenienti dal mondo economico finanziario, che miravano a ottenere leggi che favorissero la finanza senza tener conto dei bisogni della povera gente.
Il colpo mancino più duro all’intervento dello Stato nell’economia fu dato, tuttavia, dal Governo Andreotti, il quale, dopo essersi consultato con alcuni Governi Europei, con dl 5 dicembre 1991, n. 386, convertito nella legge 29 gennaio 1992, n.35, stabilì che gli enti di gestione delle partecipazioni statali e gli altri enti pubblici economici, nonché le aziende pubbliche statali, potevano essere trasformati in società per azioni.
La prima applicazione di questo principio si deve al governo Amato, il quale, dopo un mese e nove giorni dal discorso che fece Draghi il 2 giugno 1992 sul panfilo Britannia, invocando un forte impulso della politica per attuare la “privatizzazione” dei beni del popolo, emise il dl 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, trasformando in Spa le aziende di Stato Iri, Eni, Ina e Enel, che poi furono vendute, dai governi successivi e specialmente dal governo Prodi, a prezzi estremamente bassi.
Dopodiché c’è stata la privatizzazione di numerosissimi enti e aziende di Stato, che è impossibile enumerare.
Sulla convenienza di dette “privatizzazioni” si pronunciò poi la Corte dei conti il 10 febbraio 2010, rilevando “una serie di importanti criticità che vanno dall’elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors e organismi di consulenza al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito”.
E’ inoltre da precisare che dette privatizzazioni sono avvenute secondo l’ispirazione di un preciso teorema che pone come primo elemento “l’indebitamento” di un Paese, per poi passare alla commercializzazione di questi debiti con le “cartolarizzazioni”, istituzionalizzate dal governo D’Alema, e con l’istituto dei “derivati”, definiti durante il Governo Prodi.
In tal modo si è messo a punto un obiettivo molto caro al pensiero neoliberista: quello della “finanziarizzazione dei mercati”, in modo che essi non servano più per “creare” ricchezza, ma per “trasferire” questa dagli speculatori meno accorti agli speculatori più scaltri.
Altro punto del teorema è quello, non finanziario ma economico, delle accennate “privatizzazioni”, cioè della trasformazione dell’ente o dell’azienda pubblica in Spa, con l’incredibile conseguenza che il “patrimonio pubblico” di tutti i cittadini, gestito per l’appunto da enti o aziende pubbliche, diventasse “patrimonio privato” dei singoli soci della Spa. A dette privatizzazioni sono poi da aggiungere le “liberalizzazioni”, e, quindi, le “delocalizzazioni” e le “svendite”. In tal modo il popolo è spogliato completamente del suo “demanio costituzionale” e si avvia, inconsapevolmente e nella indifferenza di tutti, verso il traguardo finale del default.
E si può dire, purtroppo, che da cinque anni a questa parte nulla è cambiato. Infatti il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato il cosiddetto Trattato del Quirinale, che a mio parere in pratica istituzionalizza la superiorità economica della Francia rispetto all’Italia, senza che neppure una Commissione parlamentare abbia potuto valutarlo;, e peraltro in pompa magna, dimostrando con i fatti la superiorità dell’Esecutivo rispetto al potere legislativo.
Ciononostante egli è osannato dai partiti e ha ora l’ardire di proporre al Parlamento un disegno di legge che esalta la “concorrenza” fino al punto di imporre ai Comuni l’onere di specificare i motivi per i quali esso abbia preferito una gestione in proprio, anziché ricorrere alle concessioni di carattere privatistico, imponendo inoltre di porre a gara sul mercato europeo e internazionale persino il servizio dei taxi e quello delle spiagge, sempre ignorando, e mai nominando, la nostra Costituzione.
Ma è proprio la Costituzione la nostra forza. E dobbiamo farla valere, non solo contro Matteo Renzi, com’è stato con il referendum del 2016, ma anche nei confronti di altri governi, come l’attuale, che insistono a ritenere il sistema economico neoliberista un dato di natura, mentre i fatti dimostrerebbero che si tratta semplicemente di un cinico disegno studiato a tavolino per togliere ricchezza al popolo, proprietario del “demanio costituzionale”, e donarla alla finanza e alle multinazionali. Cancellando così millenni di civiltà e riconducendo tutti a uno stato di soggezione, se non di schiavitù.
*Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale
venerdì 3 dicembre 2021
Strappare lungo i bordi. - Zerocalcare
Ieri ho visto la serie animata "Strappare lungo i bordi" di Zerocalcare.
Non l'avrei mai vista se non me l'avesse consigliata mio figlio.
Una denuncia dura e pura contro lo status quo.
Ne sono rimasta impressionata; è una fantastica elencazione della vita quotidiana di un qualsiasi individuo, cittadino della nostra Italia, che si districa tra i vari gangli da incubo creati ad hoc da chi ha interesse a mantenere il controllo su tutto, creando paletti che generano disagio a chiunque voglia addentrarsi nel mondo del lavoro.
Ormai la politica, nata come arte di governare, è diventata la nuda proprietà di chi si dovrebbe assumere la gravosa responsabilità di governare il paese, ma, in effetti se ne sente il padrone assoluto.
Infatti, chi vi ha chiesto di credere in lei/lui promettendovi mari e monti, una volta ottenuta la vostra approvazione, diventa inarrivabile, inavvicinabile, perchè dedicherà tutto il suo prezioso tempo a stringere accordi con chi lo foraggia economicamente, e, molto spesso, disonestamente.
Così anche un posto di lavoro diventa appannaggio e proprietà della politica peggiore e chi non si piega ad essa vaga a vuoto in quel circolo vizioso fatto di rifiuti e vane promesse, mentre il tempo trascorre inesorabilmente.
Si sono appropriati di tutto, detengono il potere, ci tartassano privandoci del necessario, dimentichi del fatto che siamo noi a mantenerli.
L'Italia siamo noi, noi la manteniamo, pertanto, noi abbiamo il diritto di pretendere ciò che il primo articolo della Costituzione sancisce: "L'italia è una repubblica fondata sul lavoro."
Il lavoro è un diritto di ogni cittadino, il lavoro è la dignità di ogni cittadino e non va parcellizzato dalla politica che lo amministra secondo i suoi criteri per cui chi non lo ha meritato e lo ha ottenuto, sentendosi protetto, non lo adempie al meglio e crea caos.
Parliamo dei concorsi? Tutti truccati.
Vi siete mai chiesti perchè chi partecipa ai concorsi per posti di lavoro o per entrare nelle facoltà a numero chiuso non deve firmare il proprio lavoro? No, non è perchè non si debbano preferire i raccomandati riconoscendone la firma, ma perchè, se il loro compito è sbagliato viene eliminato e, quindi, non va preso in considerazione. E' più facile, invece, avendo tanti risultati a disposizione, attribuire ai raccomandati quelli giusti ed agli altri quelli sbagliati.
Le pensano tutte, pur di gestire a loro piacimento il potere.
"O cumannà è meglio d' 'o fottere" (Il potere è meglio del sesso) diceva un anonimo, e non gli si può dar torto..
Ed è così che va avanti da tempo immemore la ruota del carrozzone Italia, e le falle create da questo pessimo sistema si vedono in tutte le situazioni che dobbiamo affrontare: non funziona nulla, siamo in un caos creato ad arte da imbecilli ammalati di potere.
E i nostri giovani, intanto, aspettano, si adattano, hanno inventiva, sono creativi, ma gli è preclusa anche la possibilità di realizzare qualcosa da soli.
E' un gioco al massacro.
Ci tartassano e ci privano anche della speranza di un futuro migliore, perchè con loro ai posti di comando nulla potrà migliorare, semmai peggiorare...
cetta.
Green Pass e Super Green Pass dopo il vaccino: rilascio, durata e validità. - Barbara Weisz
La durata del Green Pass scende a nove mesi: stesso QR e codice Authcode per quelli validi, nuovo rilascio dopo il vaccino con valore di Super Green Pass.
Le nuove regole sul Green Pass con validità ridotta a nove mesi si applicano a partire dal 15 dicembre, pertanto coloro che si sono vaccinati nei primi mesi del 2021 rischiano di trovarsi senza Certificazione Verde se non effettuano per tempo la terza dose (ottenendo peraltro un Super Green Pass). Chi ha una Certificazione ancora valida non deve richiederne uno nuova: il QR Code resta lo stesso ma la sua validità si riduce nel tempo, quindi chi volesse un Green Pass cartaceo che indichi la nuova data di scadenza può scaricarne uno nuovo, utilizzando il codice Authcode. I nove mesi si calcolano dal termine del ciclo vaccinale oppure dalla somministrazione della terza dose.
Vediamo tutte le regole aggiornate in base alle novità introdotte con il decreto 172/2021 e alle FAQ pubblicate sul portale nazionale DGC.
Indice.
- Green Pass: validità ridotta a 9 mesi
- Green Pass e Super Green Pass: ambiti applicativi
- Utilizzo del Super Green Pass
Green Pass: validità ridotta a 9 mesi.
L’articolo 3 del Decreto 172/2021 prevede che il Green Pass dei vaccinati duri nove mesi (prima erano dodici), che si calcolano dal termine del ciclo vaccinale primario (quindi dalla seconda dose oppure dall’unica somministrazione con Janssen), oppure dalla somministrazione della terza dose.
Green Pass: applicazione della nuova validità.
La nuova regola sulla validità ridotta di tre mesi si applica a partire dal 15 dicembre. Quindi, coloro che hanno terminato il primo ciclo vaccinale prima del 15 marzo 2021, se non fanno la terza dose entro metà dicembre perdono il Green Pass. Questo perché, fino al 15 dicembre, la Certificazione in loro possesso continua ad avere la precedente validità di un anno ma, successivamente a questa data, si riduce a nove mesi e di conseguenza perde efficacia ai fini dei controlli (anche sul lavoro, per esempio).
Green Pass da 9 mesi: esempi pratici.
Esempio. Completamento del ciclo vaccinale il 5 aprile 2021: in base alle vecchie regole la certificazione sarebbe rimasta valida fino al 5 aprile 2022, ora invece scade il 5 gennaio 2022, quindi bisogna fare la terza dose entro questa data.
Per riassumere:
- vaccinati entro il 15 marzo 2021: dal 15 dicembre il Green pass non sarà più valido, per averne uno nuovo da vaccinazione bisogna fare la terza dose.
- Vaccinati dopo il 15 marzo 2021: per avere un Super Green Pass da vaccino serve fare il richiamo entro nove mesi dall’ultima somministrazione del ciclo vaccinale.
Green Pass e Super Green Pass: ambiti applicativi.
Rilascio Green Pass aggiornato.
Chi ha un Green Pass ancora valido, vedrà l’aggiornamento automatico della sua durata: nel momento in cui viene controllato il QR Code con la App o con altri sistemi, sarà visualizzata la nuova scadenza.
«L’App di verifica applica automaticamente i nuovi criteri di validità semplicemente leggendo il QR Code, che non cambia, anche se nella certificazione vi è ancora scritto “Certificazione validità 12 mesi», si legge nelle FAQ.
E’ comunque possibile scaricare una nuova Certificazione che riporti la nuova scadenza nella sezione testuale: in questo caso, bisogna utilizzare lo stesso Authcode ricevuto al completamento del ciclo vaccinale, via mail o SMS.
Rilascio Super Green Pass.
Utilizzo del Super Green Pass.
In definitiva:
- dal 6 dicembre al 15 gennaio, anche in zona bianca, per accedere a spettacoli, eventi sportivi, ristorazione al chiuso, feste e discoteche, cerimonie pubbliche si dovrà avere il Green Pass rafforzato, cioè rilasciato per vaccinazione o guarigione;
- chi possiede già un Green Pass valido per vaccinazione o guarigione non deve scaricare una nuova Certificazione perchè sarà l’App VerificaC19 a riconoscerne la validità.
giovedì 2 dicembre 2021
Berlusconi vuole candidarsi al Quirinale: a gennaio il videomessaggio. - Giacomo Salvini
COME NEL ’94 - Dopo il discorso della discesa in campo, questo si intitolerà: “Un nuovo sogno italiano”.
Al posto del “miracolo” sarà il “sogno italiano”. Il “nuovo sogno italiano”. Al posto dello sgabuzzino della villa di Macherio, dove abitava la moglie Veronica, con ogni probabilità ci sarà la villa di Arcore o la scrivania di villa Zeffirelli, nuovo quartier generale romano sull’Appia Antica. L’obiettivo però non è cambiato: dopo 27 anni, Silvio Berlusconi vuole scendere di nuovo in campo. Allora, nel 1994, il videomessaggio trasmesso a reti Fininvest unificate (“l’Italia è il Paese che amo…”) serviva per lanciare Forza Italia e correre da leader politico alle elezioni mentre crollava il sistema dei partiti. Oggi il videomessaggio servirà per rincorrere il sogno di una vita, quello che aveva promesso anche a mamma Rosa: la Presidenza della Repubblica. Ufficializzando, così, la sua candidatura. L’idea di Berlusconi e dei suoi consiglieri è quella di non registrarlo adesso – “è troppo presto” dicono ad Arcore – ma dopo Capodanno, alla vigilia del grande ballo del Quirinale. Se il leader di Forza Italia capirà che le condizioni per essere eletto saranno concrete, deciderà di giocare la carta del videomessaggio agli italiani.
D’altronde, mentre prosegue la caccia ai voti per essere eletto, Berlusconi sa benissimo che prima o poi una mossa per ufficializzare la sua candidatura dovrà farla. E, come suo solito, lo farà in grande stile. L’ipotesi del videomessaggio quindi sta prendendo sempre più piede tra i suoi consiglieri. L’idea è semplice: parlare a tutti gli italiani per convincere i parlamentari a scrivere il suo nome nel segreto dell’urna. Lo slogan su cui si sta riflettendo è: “Un nuovo sogno italiano”. Un modo per rievocare il 1994, ma allo stesso tempo presentarsi come il garante delle speranze dei cittadini. Un’idea non nuova visto che il remake del discorso del 1994 Berlusconi lo aveva già fatto nel 2019, in occasione del 25 esimo anniversario, alla vigilia delle elezioni europee. Questa volta però il nemico da battere non saranno più i “comunisti” o il M5S ma il coronavirus, la crisi economica e le “fratture sociali” del Paese”. Per questo Berlusconi sta pensando a un discorso che si baserà su tre principi: la lotta al Covid e i vaccini “per tutti”, la rinascita italiana come ai tempi del Dopoguerra e soprattutto la pacificazione nazionale dopo “trent’anni di guerra sulla giustizia”. Un modo, pensano ad Arcore, anche per tendere una mano ai suoi avversari storici. A questo aggiungerà anche una rappresentazione di sé che è già stata in parte anticipata con l’opuscolo che Berlusconi nelle ultime settimane ha fatto recapitare a tutti i parlamentari. Una brochure in cui si presenta come l’erede del liberalismo di Giolitti e del cattolicesimo di don Sturzo e De Gasperi e ricorda i suoi valori cardine: l’europeismo, la cristianità e il garantismo. Prima di gennaio, però, Berlusconi non starà fermo. Mentre continua la caccia ai peones, per tutto dicembre tornerà al centro della scena. Voci di corridoio parlano anche di un suo ritiro a Merano per una beauty farm in vista della sfida del Quirinale, ma ieri lo staff del leader di Forza Italia smentiva seccamente. A ogni modo Berlusconi vedrà spesso gli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni e continuerà a dare interviste per corteggiare i parlamentari: solo nelle ultime due ha elogiato il Reddito di cittadinanza e le tematiche ambientaliste per lisciare il pelo agli ex M5S. Avance confermate ieri anche da Luigi Di Maio che, pur auspicando un accordo col centrodestra e spiegando che l’ex premier “sarà fregato dai suoi”, ha detto: “Non sottovalutiamo la presa di Berlusconi sul Parlamento, lui ci crede”. Ed è proprio così. Non è un caso che a sostenere l’ex premier ci siano gli stessi che lo aiutarono, alcuni malvolentieri, a scrivere il discorso del 1994.
Tra questi Fedele Confalonieri, Gianni Letta e Marcello Dell’Utri. Manca quel Paolo Del Debbio che scrisse la prima bozza del discorso per la discesa in campo. Ironia della sorte, 27 anni dopo, proprio Berlusconi ha deciso di rinnegare il suo ghostwriter chiudendo il suo programma tv Diritto e Rovescio per tutte le feste natalizie fino all’ultima settimana di gennaio. Obiettivo: frenare il “telepopulismo” proprio quando avrà bisogno di presentarsi come uno “statista” moderato.
I PARERI.
Grottesco
Silvio ghigna come Joker: adesso il parlamento è il suo harem.
Una fiera della vanità, un trono riservato a re taumaturghi osannati dal popolo e da tutta la classe politica e da tutta la stampa anche quando hanno un passato molto insudiciato: la corsa al Quirinale è questa, e i candidati al grottesco avanspettacolo non mancano. Primeggia fra loro Berlusconi, che forse scherza forse fa sul serio ma comunque ghigna come un Joker e ci guadagnerà.
È stato membro della P2, frodatore del fisco, corruttore, premier inaffidabile, ma da ora in poi si bisbiglierà: nonostante tutto è stato candidato alla massima carica dello Stato, corteggiato da non pochi parlamentari non meno vanitosi di lui, affamati di posti, di ribalta, di soldi o di impunità. Il Parlamento come suo nuovo harem: c’è chi lo ritiene inverosimile ma tante cose inverosimili s’inverano, non solo da noi. È così allettante essere Capo dello Stato in Italia, più che altrove: nessuno oserà più avvicinarsi al Sublime Scranno senza inchinarsi, e ogni critica sarà bandita e sarà sempre Natale.
Barbara Spinelli
Perché no.
Processi e pessima eredità culturale: l’Italia merita più dignità.
Di tutte le cose assurde che ti possono capitare nella vita – parecchie direi – questa è la più assurda: trovarsi a firmare una petizione per non vedere Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. Lo dico per me, cittadino che intende conservare un po’ di dignità, e anche per la Repubblica Italiana, che un recupero di dignità se lo meriterebbe. È l’assurdo dell’impensabile che qualcuno però pensa, e lui più di tutti. Ma insomma tocca dire, fermi e gentili: no. Per una lista infinita di motivi conficcati da trent’anni nel corpo del Paese.
Le inchieste, le condanne, le millemila prescrizioni, e lo sappiamo. Ma anche la curvatura cultural-ideologica che l’uomo ha dato al Paese. Ma anche l’indefesso attacco alla magistratura. Ma anche – nella folle eventualità i dettagli raccapricciano – il suo ritratto presidenziale in ogni aula di tribunale: una cornice dorata, una maschera sorridente, la vittoria dei potenti impuniti, la volpe eletta guardia del pollaio. Ecco. No.
Alessandro Robecchi
Inadatto.
Non ci si può improvvisare uomini delle istituzioni, e lui non lo è.
Con un Paese che sta così faticosamente riprendendo a camminare, e devo dire con un ruolo riconosciuto anche all’estero, mi sembra davvero inopportuno ritrovarci davanti la proposta di Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. Dobbiamo ricordarci che Berlusconi non è un uomo delle istituzioni, ha fatto una scelta diversa. Anche quando ricopriva importanti ruoli politici, è rimasto un imprenditore, ha sempre visto il mondo e la società con gli occhi di un imprenditore. D’altra parte era entrato in politica dopo Tangentopoli proprio perché era mancata la rappresentanza partitica di quel settore.
Non ci si può improvvisare uomini delle istituzioni né tanto meno presidenti della Repubblica. Mi sembra che per un capriccio personale l’Italia rischierebbe di aprire una voragine nel suo percorso di sviluppo. Dovrebbe essere lo stesso Berlusconi a capirlo e a fare un passo indietro.
Monica Guerritore