giovedì 14 aprile 2022

Quanto sono pericolosi i valori maneggiati dai potenti della Terra. - Gustavo Zagrebelsky

 

Da una parte c'è la "Santa Russia" imperiale. Dall'altra si erge l'Occidente, amministratore della civiltà dei diritti. Ma una cosa è aiutare le vittime promuovendo la pace; altra cosa è attizzare cattive passioni: la crisi dà fiato ai nazionalisti

I morti ammazzati dai viventi sono sulla terra, anzi sotto terra; i valori sono in cielo. I morti chiedono compassione. Non sanno che farsene, dei valori. I potenti che ammazzano dove stanno? Sulla terra o in cielo? Evidentemente in terra, saldissimamente in terra, perché altrimenti non sarebbero potenti. Eppure, non fanno che evocare valori. Quando fanno finta d’essere in cielo, sono truffatori. Più si sale verso il cielo, più si perde di vista l’umanità.
Non c'è guerra, non c’è violenza, non c’è sopraffazione che non cerchino di giustificarsi, un tempo attraverso la santificazione, oggi attraverso la ideologizzazione. La violenza ha bisogno di “valorizzarsi”. Tanto più alto è il valore al quale ci si attacca, tanta più è la violenza cui ci si sente autorizzati. Per sua natura, “il valore deve valere”, cioè deve essere imposto con ogni mezzo. Il valore è astratto e puro e, come tutte le astrazioni, non è interessato al concreto. Anzi, lo disprezza perché nel concreto si annida la varietà, la relatività, l’impurità. Per realizzarsi, ogni ostacolo può, anzi deve essere spazzato via. Trasformata in valore anche la pace può giustificare la guerra, la “guerra giusta” o la guerra preventiva, per esempio (si vis pacem ecc.). Perfino la vita come valore può giustificare la morte (mors tua ecc.). Questa è la logica perversa del pensare per astrazioni.
I valori possono essere cose bellissime ma, maneggiati dai potenti, spesso fanno paura. In nome della promessa ad Abramo fatta dal “dio geloso” degli Ebrei, furono sterminate le popolazioni della terra di Canaan; in nome di Allah si proclama il Jihad offensivo contro gli infedeli; “Dio lo vuole” è il motto d’ogni “guerra santa”, d’ogni “crociata”, d’ogni sterminio degli eretici. Yahweh, Allah, il Dio cristiano degli eserciti hanno in comune l’assolutismo del valore. Chi potrebbe opporsi a chi parla e agisce in nome d’un dio? L’appello diretto, esplicito, a un dio di questa fatta, nel mondo secolarizzato odierno non fa più presa come un tempo. Le religioni, anzi, hanno fatto passi avanti verso la reciproca comprensione e il “dialogo interreligioso”, per essere possibile, deve rinunciare non ai propri valori, ma alla loro assolutizzazione. Ma, hanno trovato dei validi succedanei secolarizzati altrettanto astratti e pericolosi.
Tutte le “visioni del mondo”, le Weltanschauungen hanno parlato di “missioni” al servizio dell’umanità, o della civiltà, e si sono inevitabilmente risolte in razzismo, imperialismo, invasioni, stragi, partiti unici. Le guerre coloniali erano giuste per civilizzare i popoli primitivi, erano dunque un regalo. Lo stesso, gli sterminî degli indios per convertirli al cristianesimo. Il “destino manifesto” attribuito dalla Provvidenza agli americani chiamava i governanti di Washington al compito di espandere la libertà e la democrazia, tanto per incominciare con la cruentissima annessione del Nuovo Messico e con l’espansione in Arizona, Colorado, Nevada e Texas a spese dei popoli autoctoni.
Napoleone conquistò l’Europa e invase la Russia al prezzo di milioni di vittime in nome degli inviolabili valori della Rivoluzione. I nazisti e i fascisti si credevano in pieno diritto nel voler conquistare il proprio “spazio vitale” a danno dei popoli di “razza inferiore”. I dirigenti comunisti non dicevano certo di agire per sete di potere, ma per la felicità del popolo finalmente senza classi. Così, i valori, nelle mani dei potenti della terra, sono sempre stati armature ideologiche di politiche di potenza, fantasmi che si aggirano tra le genti con lo scopo di reciproche distruzioni. Questa è la sorte di tutte le dottrine universalistiche in mano alle potenze della terra, anche di quelle apparentemente più nobili e benevole. Il fatto, poi, che esse siano usate selettivamente, per intervenire qua e non là, secondo convenienze, dice tutto sul valore dei valori.
E oggi? Con quali fantasmi abbiamo a che fare?
Da una parte c’è l’ininterrotta presunzione della Russia d’essere destinataria d’una missione universale, che sia la “Santa Russia” imperiale o la “liberatrice dei popoli” o la patria della spiritualità ortodossa insidiata dal materialismo occidentale. Viene in mente l’immagine potente, meravigliosa agli occhi degli slavofili e terrificante per tutti gli altri, che conclude "Le anime morte" di Gogol: la troika che attraversa il mondo come un uragano, davanti alla quale tutti i popoli piegano il ginocchio.

Dall’altra parte, si erge l’Occidente, amministratore della civiltà dei diritti umani, della libertà, della democrazia: tutte bellissime cose che spesso, però, valgono soprattutto per rinfacciarne agli altri la violazione.
Ma, queste sono per l’appunto cose che stanno in cielo. Quando scendono in terra nelle mani dei potenti si trasformano in appropriazione monopolistica della legittimità. Servono le guerre, non la pace. Nella migliore delle ipotesi, i rapporti possono “congelarsi” temporaneamente, come nei decenni della “guerra fredda”. Abbiamo creduto in un “disgelo” che, in fondo, non ha mai sconfitto la politica di potenza, l’estensione delle “zone d’influenza”, la lotta per l’affiliazione o la dominazione dei popoli poveri e deboli che, per loro sfortuna, vivono nelle terre ricche.
Anche in quegli anni non c’era la pace, sebbene la guerra sembrasse improbabile nell’equilibrio del terrore. Improbabile non vuol dire impossibile e oggi ce ne rendiamo pienamente conto guardando la tragedia dell’Ucraina che, in fondo e per ora, sembra solo un foruncolo, ma forse è l’escrescenza su un’infezione che non è stata curata. Il che non diminuisce l’orrore, ma l’accresce.
I potenti che in tempo di guerra brandiscono una superiorità morale brandendo i loro valori si espongono a facili ironie e, soprattutto, non favoriscono la pace. Alzano barriere, armano i confini, creano incomunicabilità e ostilità. Alimentano il fanatismo, il conformismo, i “partiti unici” e comprimono le intelligenze. Si rialzano le frontiere. Si allontanano le speranze in un futuro in cui i nostri figli possano sentirsi membri d’una famiglia umana non divisa da vecchi e nuovi nazionalismi, possano viaggiare liberamente, possano stringere amicizie e coltivare amori con chi e come vogliono. Questa crisi, qualunque ne sia la fine, quando e se se ne verrà fuori, lascerà una scia di odio, di risentimenti, di desideri di rivincita, di altre violenze. Già ora si stanno distruggendo in un colpo solo i tanti fili economici, culturali, politici, giuridici e sociali che nei decenni sono stati faticosamente intessuti principalmente in Europa. Poiché, poi, la crisi dà fiato ai nazionalisti, consolida oligarchie, avvantaggia demagoghi e produttori di armi d’ogni tipo, è probabile che, al di là della propaganda e degli sdegni esibiti, vi sia chi ne trae vantaggio.
Con questa regressione dovremo fare i conti. Smascherando l’uso dei valori che stanno in cielo, guardando i morti e le sofferenze che stanno in terra. Qui, non là, sta la verità.
Accogliendo profughi senza distinzioni. Intessendo e potenziando relazioni, non interrompendole. Salvaguardando la dignità e l’universalità della cultura. Fornendo, nell’immediato, gli aiuti necessari a chi ne ha bisogno per vivere, sopravvivere e difendersi. La guerra c’è, e ci sono gli aggressori e gli aggrediti. Questa è l’unica certezza su cui non sono consentiti dubbi. Ma, una cosa è aiutare le vittime promuovendo la pace; altra cosa è attizzare cattive passioni. Dunque non aizzare i fanatici dell’Occidente, i nazionalisti, i sovranisti che oggi hanno l’occasione di mostrarsi come i suoi più efficaci difensori. Aiutare, ma contrastare le idee aggressive che prefigurano un futuro altrettanto o, forse, peggiore e, comunque, allontanano la prospettiva di un’intesa che metta fine alla guerra. Sobrietà e spirito critico, non per negare l’evidenza, ma per evitare il peggio.

Begli amici. - Marco Travaglio

 

Più passano i giorni, più si avvera la frase dell’antropologo Antonello Ciccozzi: “In Ucraina, agli invasi e agli invasori, dovremmo aggiungere gli invasati”. Che popolano le file sia degli invasori sia degli invasi e dei loro alleati. Nelle ultime 48 ore, sia Putin sia Biden hanno evocato un “genocidio”: quello in Donbass per mano degli ucraini e quello in Ucraina per mano dei russi. Ora, il genocidio è l’annientamento sistematico di un popolo, un’etnia, una religione: gli ebrei per mano dei nazisti con la Shoah-Olocausto (un unicum nella storia), i pellerossa e altri aborigeni per mano dei colonialisti, gli armeni per mano degli ottomani. Per definire i massacri ucraini contro i russofoni e russofili in Donbass (15 mila morti circa in 7 anni) e quelli russi in Ucraina (2 mila morti circa in 49 giorni, secondo l’Onu) basta e avanza il termine “guerra”, anche se il primo tempo (iniziato nel 2014) viene pervicacemente negato da chi vede solo il secondo (iniziato il 24.2.2022). Perché allora insistere sul “genocidio”? Putin lo fa per giustificare l’ingiustificabile aggressione dell’Ucraina. Biden – sbugiardato da Macron e Scholz, cioè dagli alleati a schiena dritta, quindi non da Draghi – deve alzare ogni giorno l’asticella dell’escalation verbale a supporto di quella armata che deve impedire ciò che più teme: che la guerra finisca presto. Infatti, dopo le sue sparate sul golpe in Russia contro il “macellaio”, nessuno parla più di negoziati. Nemmeno l’Ue che, diversamente da lui, avrebbe tutto l’interesse a riallacciare i fili al più presto.

Il guaio di Biden e dei suoi servi sciocchi e furbi è che, col trascorrere dei giorni e l’aumentare dei morti e delle distruzioni, l’opinione pubblica occidentale è sempre meno intruppata e sempre più scettica sulla corsa al riarmo. Ormai lo capiscono anche i paracarri che si tenta di spacciare un conflitto regionale sul Donbass per una guerra mondiale contro tutta l’Ue, anzi tutto l’Occidente: altrimenti i governi che riempiono di armi l’Ucraina senza domandarsi che fine fanno in piena guerra e che fine faranno a fine guerra sarebbero già stati cacciati coi forconi; o almeno costretti a levarsi dalla testa la tafazziana ideona di privare i propri cittadini e imprese del gas russo, con recessione, razionamenti energetici, fallimenti di grandi e piccole aziende, boom dei disoccupati e dei poveri, solo perché glielo chiedono Zelensky (che al gas russo non rinuncia, e neppure al miliardo e mezzo di euro l’anno di diritti di transito del gasdotto) e Biden (che vuole rifilarci il suo, molto più caro, scarso e inquinante). Ieri su Rep si leggeva l’ultima good news: “Gas russo, gli Usa minacciano le società Ue che lo acquistano”. Che carini. Meno male che sono amici, sennò li avremmo già bombardati.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/14/begli-amici/6559388/

La via del melo. - Toni Capuozzo

 

Di Maio. “Chi nega Bucha alimenta la propaganda russa che provoca morte” . Nel suo italiano stentato il ministro degli Esteri vuole essere definitivo. Avrei qualche domanda per lui, come per Giletti, per la veterinaria di Open e tanti altri.

Cosa vuol dire negare ? Non c’è dubbio alcuno che i russi abbiano commesso crimini durante l’occupazione di Bucha. A testimoniarlo ci sono le fosse comuni scavate dietro alla chiesa. I 350 corpi che contengono, raccontano quello che è successo. Le mie perplessità riguardano i morti che dal 3 aprile vengono ritrovati per strada, in quella ormai tristemente famosa via Jablonskaja, la via del Melo. Il mio dubbio è che quei cadaveri non appartenessero all’orrendo capitolo precedente (i russi se n’erano andati il 30 marzo) ma fossero il risultato di un’operazione di un corpo speciale della polizia ucraina (ho riportato l’articolo della stampa ucraina che annunciava la caccia a Bucha di sabotatori e collaborazionisti). Oppure che fossero vittime dei russi recuperati dalle cantine e dai cortili e disposte sulla strada a beneficio delle televisioni. Come ricorderete, a smentire questa ipotesi apparvero subito foto da satellitari e da droni che retrodatavano la presenza di quegli stessi corpi almeno al 19 marzo.
-come si sono conservati i corpi nelle strade per due settimane, in un clima freddo ma umido, con animali randagi e selvatici ?
-come mai alcune vittime avevano i fazzoletti bianchi al 
braccio?
-come mai alcune vittime avevano accanto a sé razioni dell’esercito russo ?
-come mai non c’è quasi mai sangue e mai un solo bossolo accanto ai corpi ?
-come mai ci sono immagini che ritraggono militari ucraini che trascinano i corpi con cavi, andando oltre la semplice precauzione di spostarli di mezzo metro, rivoltandoli, così da appurare che non siano minati ?
-Come mai un video apparso su Telegram di un certo Boatman, il 1 aprile da Bucha, non dice nulla sui morti per strada? Unico fatto di rilievo l’incontro con un parlamentare del partito di Zelensky (Boatman lo descrive come “scuro di pelle”, nota inevitabile per un suprematista bianco come lui. Russo, Boatman è al secolo Sergey Korotkikh, ricercato per l’omicidio di due immigrati davanti a una bandiera nazista. Ripara in Ucraina e nel ’14 partecipa alla guerra civile antirussa, ricevendo il passaporto ucraino, e la nomina a capo di una squadra speciale della polizia).
-come mai in un altro video si vede la squadra di Boatman apprestarsi a operare e uno di loro chiede cosa si debba fare di persone incontrate senza il bracciale blu degli ucraini. “Sparagli, cazzo” è la risposta di Boatman.
-come mai si continua caparbiamente a ignorare l’operazione dei corpi speciali della polizia, iniziata il 1 aprile – i russi si sono ritirati il 30 marzo – di bonifica da esplosivi, sabotatori e collaborazionisti ? Ne dà notizia, quel giorno, la stampa ucraina. E poi non si sa come si a andata, se abbiano trovato collaborazionisti o meno.
- come mai sono apparse su Telegram conversazioni che maledicono Boatman per aver rovinato tutto con i suoi video ? “ eravamo d'accordo - lo era, non lo era - gonfiamo per il bene di un pubblico europeo impressionabile, finalmente ci passano armi pesanti e difesa aerea. Cioè, i nostri "alleati" sono tali che non gli bastano gli attacchi missilistici sulle città, per loro. Ok, stiamo lavorando. L'informazione principale è andata, lo straniero l'ha raccolta .. e poi la Guardia Nazionale e il Nostromo sono usciti dalla tabacchiera come un coglione con i loro video divertenti sulla pulizia di Bucha….”
Perchè, intervistato dalla stampa italiana, al becchino di Bucha non viene fatta la più semplice delle domande: come mai ha rischiato la vita per inumare i morti nella Bucha occupata dai russi e , quando i russi se ne sono andati, li ha lasciati invece per strada ?
-come mai quelle vittime sono state lasciate per settimane, secondo la foto satellitare, senza un solo gesto di pietà, come se fossero morti altrui, da schivare e basta ?
-come mai la Croce Rossa Internazionale non è stata convocata subito sul luogo del massacro ?

Non devo ripetere a ogni passo che non sono filoputin, né filorusso. Sono solo convinto per esperienza che purtroppo la guerra è il regno dell’odio, delle vendette, delle manipolazioni. In guerra puoi essere disciplinato, se la combatti o te ne fai travolgere. Se sei giornalista, anche quando hai chiaro dove risieda la ragione e dove il torto, dove l’aggressore e dove l’aggredito, sai che le linee nette del Bene e del Male vengono scavalcate con facilità, e resta il dovere di ragionare sui fatti, anche quando non coincidono con la tua visione delle cose, e specie quando fanno fare alla guerra un salto di qualità, come una chiamata alle armi.

Perché acquistare il Gnl americano costa il 50% in più del gas russo. - Sissi Bellomo

 

Il Sole 24 Ore ha fatto i conti, scoprendo che a fine 2021 per un carico di Gnl americano (trasporto e rigassificazione inclusi) in Europa si spendevano più di 30 milioni di euro.

Importare gas dagli Stati Uniti? Un paracadute indispensabile oggi come oggi, ma anche costoso per l’Europa: chi ha comprato Gnl «made in Usa» a dicembre ha speso almeno il 50% in più rispetto a chi si è rifornito dalla Russia. Ma qualcuno ha sborsato anche il quintuplo di quanto avrebbe pagato con Gazprom, se invece di importare direttamente dagli Usa si è rivolto a un intermediario, ad esempio Shell, Vitol o Trafigura, colossi del commercio di gas liquefatto.

Il confronto emerge da un’analisi del Sole 24 Ore, che ha cercato di mettere a fuoco le dimensioni della sfida – anche economica – per ricostruire il nostro sistema di approvvigionamenti energetici evitando la dipendenza da Mosca.

Una filiera lunga e complessa.

Che il Gnl, in generale, sia più caro delle forniture via gasdotto è intuitivo: dai giacimenti il gas dev’essere trasferito a impianti speciali, dove viene liquefatto a una temperatura di 162 gradi sotto zero che ne riduce il volume di circa 600 volte, poi c’è il trasporto su navi metaniere e infine, una volta a destinazione, bisogna rigassificare il carico. Ma in tutto quanto si spende?

Non c’è una risposta univoca che possa chiudere la questione, perché ci sono troppe variabili in gioco: dipende da quando e da come si effettua l’acquisto di gas, se si compra in modo occasionale (sul mercato spot) o con un contratto pluriennale: una sorta di abbonamento, che può durare anche 20-30 anni e che a sua volta può avere condizioni molto diverse, a seconda del fornitore e del cliente.

I dettagli – soprattutto la formula di calcolo che ogni mese aggiorna i prezzi – sono coperti in modo più o meno fitto da segreto commerciale, anche se il governo italiano ha da poco ottenuto che i contratti vengano trasmessi in via riservata all'Arera. «Abbiamo cercato di avere cognizione sui contratti di importazione di gas e non siamo riusciti – si è sfogato il premier Mario Draghi – Sono comportamenti non più tollerabili».

Fermo immagine.

L’analisi del Sole 24 Ore ha cercato un rigore metodologico, impiegando solo dati ufficiali: di qui la scelta di concentrarsi su dicembre 2021, l’ultimo mese che offre elementi di comparazione sufficienti. Il risultato – occorre chiarirlo subito – non è una fotografia da mettere in cornice: piuttosto è un fotogramma che ritrae una singola scena di un film denso di azione. La realtà è molto complessa, oltre che poco trasparente. Russi e americani non sono gli unici protagonisti, né esiste solo il gas, che compete con altre fonti, rinnovabili e non.

Con queste premesse, per gli Usa abbiamo usato le cifre del dipartimento dell’Energia (Doe), che registra l’esportazione di 111 carichi di Gnl a dicembre, per un totale di 345 miliardi di piedi cubi (Bcf) a un prezzo di vendita – liquefazione inclusa specifica il Doe – di 9,26 dollari per milione di British thermal units (MMBtu).

Bisogna districarsi nella giungla delle unità di misura, sempre molto fitta quando si parla di gas (il che non aiuta a dissipare malintesi e propaganda politica). Ma si evince che un carico di Gnl Usa è stato venduto in media per 28,7 milioni di dollari. Quello però è il prezzo Fob (Free on board o franco a bordo): tutto il resto si paga a parte.

Un calcolo necessariamente approssimativo porta a stimare un conto di 35,3 milioni di dollari (32,5 milioni di euro). Sono 415,3 dollari per 1.000 metri cubi di gas immesso in rete, contro i 273 dollari che Gazprom ha dichiarato di aver ottenuto – sempre a dicembre – per il gas esportato “Far Abroad”, ossia fuori dall’area ex sovietica.

Un paio di conversioni, per chiarezza e non pedanteria: si tratta di 34,5 euro per Megawattora (11 $/MMBtu) per il gas Usa e di 22,6 €/MWh (7,2/MMBtu) per quello russo.

A dicembre, quando il gas in Europa già macinava record, il prezzo medio al Ttf è stato 116,2 €/MWh o 37 $/MMBtu, contro appena 3,75 $/MMBtu all’Henry Hub americano.

Extra profitti anche in Cina.

Comprare Gnl a stelle e strisce è stato ancora più oneroso per chi non si è rivolto direttamente ai produttori (in Italia solo Enel, attraverso Endesa, ha un contratto per rifornirsi dall’impianto texano di Corpus Christi di Cheniere Energy): da un intermediario i carichi spot si comprano a prezzi di mercato e il riferimento europeo è il Ttf, che a dicembre indicava valori cinque volte più alti dei prezzi praticati da Gazprom.

Il conto saliva a più di 120 milioni per una metaniera Usa, di cui un centinaio finivano in tasca all’intermediario: a volte anche utility giapponesi o cinesi, che ci “aiutavano” girandoci qualcuno dei loro carichi contrattuali. Aberrazioni figlie di un mercato impazzito.

«Il prezzo al Ttf è ormai completamente dissociato dai costi produttivi del gas – commenta Massimo Nicolazzi, docente di Economia delle risorse energetiche all’Università di Torino – L’attuale meccanismo di formazione dei prezzi risente del costo crescente delle coperture dei trader, che alimenta la spirale rialzista».

Strategie di vendita a confronto.

I russi hanno costi di estrazione tra i più bassi del mondo (poco più di 1 $/MMBtu) e politiche commerciali molto diverse dai produttori Usa. Gazprom vende quasi tutto via gasdotto con contratti pluriennali che prevedono un volume minimo di forniture da pagare anche se non vengono ritirate: il famoso “Take-or-Pay”, che peraltro ci farebbe violare i contratti in caso di embargo o tagli troppo rapidi dell’import da Mosca.

Il prezzo del gas russo, un tempo indicizzato al petrolio, oggi per l’80% delle vendite è agganciato almeno in parte al Ttf, ma ne riflette l’andamento con un mese di ritardo o più: il “time lag” a volte lo rende super conveniente, altre induce a comprare solo i volumi obbligati.

Il Gnl Usa è molto più flessibile, non solo perché viaggia per mare: anche quello “contrattualizzato” non ha padroni forti, perché non ci sono clausole di destinazione e basta pagare una penale, oggi di 11-12 milioni di dollari, per liberare un carico in modo da dirottarlo altrove. Così le forniture tendono a spostarsi dove vengono pagate meglio.

Oggi per il 70% il gas americano arriva in Europa, ma in futuro chissà, probabile che dovremo contenderci i carichi con l’Asia e un tetto ai prezzi del Ttf rischierebbe di renderci un mercato poco appetibile. A meno che non firmiamo qualche contratto, che ci impegni «almeno fino al 2030» specifica la Casa Bianca, promettendo forniture crescenti.

Il peso delle spese extra.

Il gas Usa non è caro quando sale a bordo di una metaniera: i contratti di vendita di solito riflettono il prezzo all’Henry Hub con un ricarico del 15% più il costo di liquefazione (che Bank of America stima tra 2 e 3,25 $/MMBtu). Ma al conto, come si diceva, bisogna aggiungere gli extra.

In Italia per scaricare il Gnl, rigassificarlo e immetterlo in rete si pagano circa 4 milioni di euro per una nave spot da 150mila metri cubi liquidi, che allo stato gassoso diventano 90 milioni (poco più di quanto importiamo in un giorno dalla Russia).

Più complesso valutare il trasporto marittimo dagli Usa. Fanno altri 2,8 milioni di euro usando la media dei noli spot degli ultimi 12 mesi moltiplicata per 29 giorni (andata e ritorno, perché la nave torna vuota, più i tempi di caricazione).

«I noli delle metaniere – spiega Enrico Paglia, analista di Banchero Costa – sono sempre molto volatili e legati alla stagionalità: salgono d’inverno e calano a primavera, seguendo i consumi di gas nell’emisfero nord, ma negli ultimi mesi ci sono state oscillazioni estreme sul mercato spot con picchi oltre 250mila dollari tra novembre e dicembre, seguiti da un crollo, addirittura brevemente su valori negativi, poi una risalita di recente verso 40mila dollari al giorno. La media degli ultimi 12 mesi è di 77mila dollari al giorno».

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Dalle rinnovabili alla cessione dei bonus edilizi, ecco le misure del decreto Bollette. - Andrea Carli

 

Dalla sterzata sugli iter autorizzativi degli impianti rinnovabili alla stretta sugli impianti di riscaldamento e condizionamento degli edifici pubblici. E poi il rafforzamento del bonus sociale e l'azzeramento degli oneri di sistema per il secondo trimestre 2022, passando dal credito di imposta a favore delle imprese energivore fino al nuovo volto della quarta cessione in tema di bonus edilizi. La Camera ha dato il via libera (323 sì e 49 no) al decreto Bollette (decreto legge 17/2022, recante misure urgenti per il contenimento dei costi dell'energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali). Il provvedimento passa all'attenzione del Senato, con tempi stretti per l'esame: va convertito in legge entro il 30 aprile, quindi il testo è “blindato”.

Ecco, in sintesi, alcune delle misure principali.

Estensione della possibilità di realizzare impianti per autoconsumo entro 10 chilometri dall'utenza interessata e procedure semplificate anche per impianti fotovoltaici flottanti - oltre che, più in generale, per le installazioni medio piccole -, la cui corretta posizione sotto il profilo ambientale sarà individuata con decreto del ministero della Transizione ecologica, di concerto con Mims e Mef, da emanare entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del Dl. Vengono poi snelliti gli iter per installare nuovi impianti solari fotovoltaici o termini in aree a destinazione industriale (che coprano fino al 60% della superficie di pertinenza). Percorsi semplificati sono poi stati previsti anche per i processi produttivi di impianti di biogas e di biometano, oltre che le infrastrutture elettriche, inclusa la ricostruzione di linee esistenti «purché siano realizzate con le migliori tecnologie esistenti ed effettuate sul medesimo tracciato dell'infrastruttura già esistente o nelle sue immediate vicinanze».

Dal 1° maggio al 31 marzo 2023, «la media ponderata delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti di ciascuna unità immobiliare per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici pubblici non devono superare rispettivamente i 19 gradi (+ 2 di tolleranza) e non deve essere minore dei 27 gradi (-2 di tolleranza)». Dalla misura sono esclusi ospedali, cliniche o case di cura, come le strutture di ricovero o cura di minori o anziani, come pure quelle dedicate all’assistenza e al recupero dei tossico-dipendenti e di altri soggetti affidati servizi pubblici sociali.

Alla stretta sugli impianti di riscaldamento e condizionamento degli edifici pubblici il provvedimento aggiunge una sterzata decisa per incrementare l'efficienza energetica degli impianti di illuminazione pubblica, che dovrà essere ottenuta, recita la norma, introducendo sensoristica ad hoc, ammodernando o sostituendo gli impianti o i dispositivi esistenti e individuando le aree, urbane ed extraurbane, in cui applicare tecnologie più avanzate. L'obiettivo è avviare un percorso virtuoso per iniziare a tagliare le bollette dei Comuni.

Arriva l'ok alla Strategia nazionale contro la povertà energetica: entro 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto il Mite dovrà predisporre, sulla base dei dati forniti dall'Osservatorio, un documento di respiro nazionale che contiene obiettivi indicativi periodici ma anche misure strutturali e di lungo periodo.

Il provvedimento rafforza i bonus sociali per l'energia elettrica e il gas e il bonus per disagio fisico per l'energia elettrica. In particolare, le agevolazioni relative alle tariffe per la fornitura di energia elettrica riconosciute ai clienti domestici economicamente svantaggiati e ai clienti in gravi condizioni di salute e la compensazione per la fornitura di gas naturale verranno rideterminate dall'Arera in modo da minimizzare gli incrementi della spesa per la fornitura previsti per il II trimestre 2022, fino a concorrenza dell'importo di 400 milioni di euro.

Viene rinnovato, con riferimento al secondo trimestre 2022, l'azzeramento delle aliquote relative agli oneri generali di sistema applicate alle utenze domestiche e a quelle non domestiche in bassa tensione, per altri usi, con potenza disponibile pari o superiore a 16,5 kW, anche connesse in media e alta/altissima tensione o per usi di illuminazione pubblica o di ricarica di veicoli elettrici in luoghi accessibili al pubblico.

Viene ridotta al 5 per cento l'aliquota IVA applicabile alle somministrazioni di gas metano per usi civili e industriali dei mesi aprile, maggio e giugno 2022.

È riconosciuto alle imprese a forte consumo di energia elettrica che abbiano subito un significativo incremento del relativo costo, un contributo straordinario sotto forma di credito di imposta pari al 20 per cento delle spese sostenute per la componente energetica acquistata ed effettivamente utilizzata nel secondo trimestre 2022. Il credito di imposta è riconosciuto anche in relazione alla spesa per l'energia elettrica prodotta a auto consumata dalle imprese energivore nel secondo trimestre 2022.

È prevista la parziale destinazione (fino al 60%) dell'energia, ritirata dal Gse da produttori di rinnovabili mediante contratti di ritiro e vendita di almeno tre anni, con prezzi agevolati prioritariamente a clienti industriali energivori, con particolare attenzione alle imprese localizzate in Sicilia e Sardegna.

Viene estesa la concessione delle garanzie straordinarie Sace a sostegno della liquidità delle imprese - previste dal decreto-legge 23/2020 - anche a sostegno di comprovate esigenze di liquidità conseguenti agli aumenti dei prezzi dell'energia. Le garanzie in questione sono concedibili sino al 30 giugno 2022. Fino al 30 giugno 2022, non è dovuta commissione per le garanzie rilasciate dal Fondo di garanzia Pmi a sostegno delle esigenze di liquidità conseguenti agli aumenti dei prezzi dell'energia. Il pagamento della commissione è stato reintrodotto con effetto dal 1° aprile.

Novità in arrivo anche sul fronte del venture capital. È prevista l'apertura di un apposito conto corrente di tesoreria centrale dello Stato intestato al ministero dello Sviluppo Economico su cui far confluire le disponibilità dei fondi sottoscritti dallo stesso Mise (fino a due miliardi di euro) come sottoscrittore delle quote di uno o più fondi per il venture capital gestiti da Cdp Venture Capital Sgr.

Aumenta di 25 milioni di euro complessivi per l'anno 2022 il sostegno finanziario per l'autotrasporto. È riconosciuto alle imprese italiane di logistica e di trasporto delle merci in conto terzi, un credito d'imposta per l'acquisto del componente AdBlue per la trazione dei mezzi di ultima generazione Euro VI/D (commi 3 e 4) nonché Euro VI/C, Euro VI/B, Euro VI/A ed Euro V, secondo una modifica approvata nel corso dell'esame in Commissione e per l'acquisto di metano (GNL) utilizzato per l'autotrazione dei mezzi.

Viene prevista una disposizione transitoria (applicabile fino al 31 dicembre 2022) secondo cui, in deroga ai vigenti atti autorizzativi, in caso di impianti di produzione di cemento autorizzati allo svolgimento delle operazioni di recupero di rifiuti “R1” (utilizzazione dei rifiuti principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia) con limiti quantitativi orari, giornalieri o riferiti ad altro periodo inferiore all’anno, si considera vincolante soltanto il quantitativo massimo annuo di utilizzo, limitatamente ai quantitativi effettivamente avviati al recupero energetico.

Nel passaggio nelle commissioni riunite della Camera il testo del decreto Bollette ha cambiato volto, in particolare il passaggio dedicato alla quarta cessione dei crediti nell'aambito dei bonus edilizi. Stop alla solidarietà tra banca e titolare della detrazione, ma arrivano altri vincoli: il cessionario dovrà necessariamente essere un correntista, e il cedente dovrà essere per forza un istituto di credito (si veda anche Il Sole 24 Ore del 12 aprile).

Nel primo passaggio parlamentare del provvedimento i partiti della maggioranza hanno ottenuto l'impegno a valutare il possibile spostamento in avanti dell'attuale termine del 30 giugno. Rimane il nodo delle risorse da recuperare per coprire questa soluzione.

https://www.ilsole24ore.com/art/dalle-rinnovabili-cessione-bonus-edilizi-ecco-misure-decreto-bollette-AEy3jWRB

“Perché inviamo le armi in Ucraina e non in Yemen o ai palestinesi?”. - Andrea Scanzi

 

È una domanda che rimbalza spesso. Giustamente. Al di là del fatto che sia giusto o meno inviarle, e considerando pure che una tale decisione possa essere addirittura ritenuta incostituzionale, questa domanda è tanto lecita quanto ingenua.

L’Italia, e l’Europa (non tutta), sta inviando armi agli ucraini e non altrove per il semplice fatto che l’Ucraina è vicina. Vicina ed europea (anche la Libia è vicina, ma non è europea). La guerra viene da noi percepita come qualcosa di prossimo e, quindi, pericoloso. Non è che ci interessi la popolazione ucraina: ci interessa che la guerra non arrivi a noi.

Il comportamento dell’Europa, e dell’Occidente in generale, è meramente egoistico e autoreferenziale. Non discuto che a molti interessi davvero il popolo ucraino. Certo. Ma se ne parliamo tutti così tanto, è perché abbiamo paura che Putin ci bombardi. O che addirittura usi il nucleare

In Siria non muoiono di meno. Nello Yemen non muoiono di meno. I palestinesi non resistono di meno. Ma sono “lontani”. E quindi ce ne frega di meno: “non ci riguarda”, è questo il retropensiero.

L’Europa e l’Occidente, in questo, sono proprio come l’essere umano: ipocriti ed egoisti. Se la stessa guerra fosse stata lanciata da Putin nel Botswana, non ce ne sarebbe fregato un cazxo. Non avremmo avuto nessuna maratona televisiva permanente. Vacchi avrebbe molti più post dedicati di Orsini. E non solo nessuno avrebbe inviato armi, ma neanche si sarebbe posto il problema.

Facciamo un regalo intellettuale a noi stessi: ammettiamolo serenamente, che la si pensi come Letta o Di Battista, De Luca (Erri) o Montanari eccetera. Siamo egoisti, siamo ipocriti, siamo umani. E parliamo (così tanto!) di questa guerra perché abbiamo una paura fottuta di morirci dentro. Proprio come sta accadendo ai poveri ucraini.

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mercoledì 13 aprile 2022

“Gli Usa sfruttano la guerra per sbarazzarsi di Putin e mandare un segnale alla Cina e al mondo. Ma la ‘loro’ Nato non ha più l’appeal di 30 anni fa”. - Antonio Li Gobbi

 

L'analisi dell'ex generale Antonio Li Gobbi, già direttore delle operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della Nato, sugli esiti probabili del conflitto. Putin avrebbe già perso ma "una crisi lunga può risultare strumentale al perseguimento di obiettivi meno visibili, che vanno molto aldilà della guerra in corso". Dalla necessità di Washington di rilanciare la Nato (e contenere l'autonomia strategica dell'Europa) a quella di resistere al baricentro che si sposta nel Pacifico. Ecco perché.

In un’intervista sulla rivista The Atlantic l’ex presidente Bill Clinton descrive in modo accorato la sua visione del trentennio che dalla caduta del muro di Berlino ha portato all’attacco russo contro l’Ucraina. Ritengo che l’allora presidente Clinton abbia saputo gestire in maniera efficace le crisi in Europa e nella ex Jugoslavia con cui ha dovuto confrontarsi. Sicuramente più efficace di quanto non siano risultati i suoi quattro successori. Clinton afferma di ritenere che Putin sia stato spinto ad attaccare l’Ucraina solo per paura dell’avvicinamento di Kiev alla democrazia. Possibile, certamente, né lui potrebbe forse vedere la problematica in maniera diversa. Però, forse, degli eventi europei di questi ultimi trent’anni vi sono state almeno quattro letture diverse: una statunitense, una russa, una degli europei occidentali (paesi già membri della Nato trent’anni fa) e una degli europei orientali (paesi ex patto di Varsavia ora avvicinatisi o entrati nella Nato). Letture diverse dovute a percezioni spesso opposte degli stessi eventi.

Analogamente, penso che si possa ritenere che in relazione alla crisi ucraina siano oggi in corso ben tre conflitti che vedono il coinvolgimento di attori diversi, il ricorso a strumenti differenti e soprattutto con obiettivi tra loro ben distinti. Noi tendiamo forse a focalizzarci solo su quello più sanguinoso e più evidente. Vi è, infatti, indubbiamente un conflitto sanguinoso e violento tra Russia e Ucraina. Un conflitto combattuto sia con armi letali che con le armi della comunicazione.

In questo conflitto si sta esprimendo una crudeltà che, giustamente, ci stupisce e ci indigna. Una crudeltà, una barbarie, una violenza di cui pensavamo che l’essere umano non fosse più capace. Violenza gratuita, omicidi, stupri a danni di civili spesso inermi. Crimini che non ci aspettavamo oggi in Europa.

Questo è un conflitto che è sotto gli occhi di tutti e non occorre alcun ulteriore approfondimento. I giornali e le televisioni ne esaminano ogni aspetto. Potrà terminare presto? Purtroppo non credo, perché i russi non accetteranno di perdere e gli ucraini sono convinti (a torto o a ragione è da vedere) che se resistono prima o poi gli Usa e la Nato entreranno in guerra al loro fianco, capovolgendo l’esito dello scontro militare.

Chi lo vincerà? Penso nessuno dei due contendenti. La Russia comunque non sarà vincitrice e ciò indipendentemente dagli scontri sul terreno. Infatti da 75 anni sul campo si possono vincere le battaglie, ma le guerre si vincono o si perdono in base alla percezione che ne hanno le opinioni pubbliche. Ce lo insegnano il Vietnam, l’Iraq e l’Afghanistan. E la Russia politicamente potrebbe già aver perso. L’Ucraina forse otterrà delle vittorie sul terreno, ma temo che la sua economia faticherà a risollevarsi. Questo, per utilizzare una terminologia militare, rappresenta però solo il livello “tattico-operativo” di quanto sta avvenendo in relazione alla crisi ucraina.

Vi è poi un livello che definirei “strategico”. Ovvero la guerra in atto tra Usa e Russia. Si tratta di una guerra combattuta sia sul terreno (in questo caso per gli USA si tratta di una “guerra per procura” che Washington combatte utilizzando i soldati e i civili ucraini) che con la gestione della comunicazione e con armi economiche (le sanzioni). In questa guerra gli Usa si avvalgono anche della Nato e della Ue, che si sono immediatamente e convintamente schierate al fianco di Kiev e di Washington.

È chiaro, peraltro, che gli obiettivi ai due lati dell’Atlantico siano fondamentalmente diversi. Per alcuni Stati europei (Italia, Francia, Germania, Spagna) l’obiettivo sembrerebbe essere giungere a una rapida de-escalation del conflitto, facendo in modo da evitarne l’allargamento ai paesi Nato. Ovvero, si auspicano il conseguimento in tempi brevi di una pace stabile. Inutile evidenziare che affinché la pace possa essere “stabile” nessuna delle due parti sul terreno (Ucraina e Russia) dovrebbe risultare “visibilmente” sconfitta.

Per Washington, invece, l’obiettivo è radicalmente diverso: si tratta di sfruttare il conflitto ucraino per decapitare le eccessive ambizioni di tornare ad essere una “grande potenza” manifestate dalla Russia putiniana, indurre un “regime change” a Mosca, rinsaldare e rinvigorire la Nato ( che stava dando evidenti segni di stanchezza) anche al fine di utilizzarla in futuro in funzione anticinese. A tali obiettivi, in una visione che potrebbe apparire cinica, possono aggiungersi quelli di azzoppare la locomotiva economica europea (di cui Washington non gradisce la competizione) e far accantonare qualsiasi ambizione di autonomia strategica Ue che possa minare l’insostituibilità della Nato. Evidente che gli obiettivi Usa non possano essere conseguiti senza prima una “visibile” e decisa sconfitta russa. Ciò può richiedere l’escalation dei combattimenti e, soprattutto, molto tempo (mesi o anche anni).

Facilitare una soluzione negoziale non appare certamente coerente con gli obiettivi di Washington che vuole la caduta di Putin e quindi ha bisogno una sconfitta tale da provocare un regime change e possibilmente un radicale ridimensionamento delle aspirazioni geopolitiche di Mosca. Lo stesso ampio ricorso a sanzioni economiche che non portano a risultati immediati indica una prospettiva di molti anni di interruzione delle relazioni economiche con la Russia (lunga interruzione che gli Usa si possono permettere, ma che per molti Paesi europei potrebbe comportare non trascurabili sofferenze al sistema produttivo).

Peraltro, vi è anche un terzo conflitto che si combatte intorno alla crisi ucraina. Un conflitto ben più importante per il nostro futuro: quello che viene combattuto a livello geo-politico tra Usa e Cina. È chiaro che Washington voglia inviare un messaggio a Pechino in relazione a Taiwan. Ovvero far sapere a Pechino che come oggi gli Usa sono riusciti ad aggregare una vasta coalizione per contrastare le mire russe sull’Ucraina, così saranno in grado di fare per difendere l’indipendenza di Taiwan e che anche in quel caso le armi sarebbero soprattutto di natura economico-finanziaria (le armi che il Dragone forse teme di più). Soprattutto, però, indipendentemente dal destino di Taiwan, di cui all’elettore americano medio importa relativamente, prendendo spunto dall’attacco russo all’Ucraina Washington sta tentando di obbligare il mondo a scegliere con chi schierarsi: se con il “mondo democratico” o con l’aggressore Putin (e indirettamente con Pechino, che notoriamente ha legami abbastanza solidi con Mosca).

Infatti, alla riunione dei ministri degli Esteri della Nato del 6 e 7 aprile, che mi sarei aspettato fosse incentrata esclusivamente sulla crisi ucraina, erano invitati oltre a ministri dei Paesi Nato anche quelli di UcrainaGeorgiaSvezia e Finlandia (presenze più che comprensibili) e i ministri dei principali alleati degli Usa nell’Indo-Pacifico (Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Sud Corea). Nel comunicato stampa del Segretario Generale al termine della riunione, al pericolo cinese veniva attribuito quasi tanto spazio quanto a quello russo. Ulteriore indice della volontà più volte espressa da Washington di utilizzare la Nato quale suo strumento anche nel confronto tra Usa e Cina.

Una divisione del mondo in due blocchi che si contrapporrebbero più con armi economiche e sanzioni incrociate che con le portaerei. Si vedrà quali saranno a lungo termine gli effetti di una tale divisione, soprattutto per quei Paesi, come i molti europei, le cui economie sono maggiormente dipendenti dall’interscambio commerciale con governi “non graditi” a Washington.

Finora, però, i risultati di questa strategia tendente a fare terra bruciata intorno alla Russia e alle nazioni che continueranno a “violare” l’embargo unilateralmente deciso dall’Occidente non sembrerebbero particolarmente confortanti. La politica del “o con me o contro di me” lanciata da Biden potrebbe essere percepita da parti terze come più o meno ricattatoria, ma questo non è l’aspetto più importante. Il punto è che si tratta di una politica la cui efficacia va scemando man mano che diminuisce il bisogno delle parti terze di accontentare gli Usa. Ad oggi il fronte dei Paesi che stanno seguendo le indicazioni Usa (taluni con forti mal di pancia) appare limitato ai suoi “alleati storici”: Ue e Nato (meno la Turchia che si è ritagliata un ruolo super partes), GiapponeSud CoreaAustraliaNuova Zelanda.

Non solo Usa e Ue hanno ricevuto una risposta diplomatica abbastanza sprezzante da parte di Pechino quando hanno chiesto alla Cina di voltare le spalle al loro alleato russo, ma anche i Paesi Opec hanno dimostrato estrema freddezza nei confronti delle richieste statunitensi di incrementare le loro estrazioni per compensare il bando imposto all’acquisto di greggio e gas russo. In sintesi, l’iniziativa statunitense non pare accogliere consenso da nessun altro Paese significativo di Asia, Africa o America Latina. Continenti questi dove il concetto di “invasore” e di “guerra di aggressione” viene quasi sempre correlato agli Usa o al massimo alle passate mire imperiali e coloniali di Paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Italia) o asiatici (Giappone) oggi tutti schierati con Washington.

Soprattutto, però, mentre venticinque anni fa un aut aut del genere da parte di Washington sarebbe stato accettato forse in tutto il mondo, per convenienza se non per convinzione, il quadro geopolitico globale è oggi cambiato. L’imperialismo commerciale cinese ha fatto sì che ormai Pechino rappresenti la potenza economica di riferimento per buona parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Inevitabile che, stante la posizione cinese, l’aut aut commerciale imposto da Usa e Ue ad attenersi alle sanzioni decise a Washington e Bruxelles possa avere scarso appeal al di fuori della comunità Nord-Atlantica.

Ciò non solo ne vanificherà gli effetti per Mosca ma accelererà quei processi di polarizzazione del mondo in due blocchi politico economici, uno con Pechino come punto di riferimento e l’altro con Washington. In tale contesto è chiaro che verrà accelerato l’emergere di soluzioni finanziarie alternative a quelle che attualmente vedono lo Swift come principale sistema mondiale di interscambio bancario e il dollaro come principale moneta di riferimento internazionale. Ma anche l’Ue (già sofferente per le sanzioni alla Russia) non potrebbe oggi permettersi che la guerra commerciale avviata contro la Russia abbia un impatto sul suo interscambio commerciale con la Cina (che è oggi il primo partner commerciale dell’Ue, con un interscambio di 828,11 miliardi di dollari nel 2021 ).

In conclusione, un approccio “o con noi o contro di noi” non potrà che evidenziare plasticamente il calo di credibilità della leadership politica, economica e militare Usa. Leadership che era stata incontrastata dopo la fine della Guerra Fredda, ma che ormai da una decina di anni almeno mostra segni di debolezza in favore del Dragone. Ragionare come se si fosse ancora l’unica superpotenza in un mondo unipolare quando i rapporti di forza sono drasticamente cambiati può rivelarsi estremamente pericoloso per Washington (e di conseguenza per i suoi più fedeli Alleati europei)

Non sappiamo oggi come evolveranno questi tre conflitti che si muovono lungo piani forse non sempre paralleli. Certo è che si influenzeranno a vicenda e ciò probabilmente non nell’interesse di una rapida soluzione del conflitto sul terreno. Tale crisi sul terreno potrebbe, per diversi attori extra europei, risultare strumentale al perseguimento di obiettivi strategici e geopolitici aldilà della situazione in Ucraina e che forse hanno il loro baricentro nell’Oceano Pacifico.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/13/gli-usa-sfruttano-la-guerra-per-sbarazzarsi-di-putin-e-mandare-un-segnale-alla-cina-e-al-mondo-ma-la-loro-nato-non-ha-piu-lappeal-di-30-anni-fa/6557554/