Da una parte c'è la "Santa Russia" imperiale. Dall'altra si erge l'Occidente, amministratore della civiltà dei diritti. Ma una cosa è aiutare le vittime promuovendo la pace; altra cosa è attizzare cattive passioni: la crisi dà fiato ai nazionalisti
I morti ammazzati dai viventi sono sulla terra, anzi sotto terra; i valori sono in cielo. I morti chiedono compassione. Non sanno che farsene, dei valori. I potenti che ammazzano dove stanno? Sulla terra o in cielo? Evidentemente in terra, saldissimamente in terra, perché altrimenti non sarebbero potenti. Eppure, non fanno che evocare valori. Quando fanno finta d’essere in cielo, sono truffatori. Più si sale verso il cielo, più si perde di vista l’umanità.
Non c'è guerra, non c’è violenza, non c’è sopraffazione che non cerchino di giustificarsi, un tempo attraverso la santificazione, oggi attraverso la ideologizzazione. La violenza ha bisogno di “valorizzarsi”. Tanto più alto è il valore al quale ci si attacca, tanta più è la violenza cui ci si sente autorizzati. Per sua natura, “il valore deve valere”, cioè deve essere imposto con ogni mezzo. Il valore è astratto e puro e, come tutte le astrazioni, non è interessato al concreto. Anzi, lo disprezza perché nel concreto si annida la varietà, la relatività, l’impurità. Per realizzarsi, ogni ostacolo può, anzi deve essere spazzato via. Trasformata in valore anche la pace può giustificare la guerra, la “guerra giusta” o la guerra preventiva, per esempio (si vis pacem ecc.). Perfino la vita come valore può giustificare la morte (mors tua ecc.). Questa è la logica perversa del pensare per astrazioni.
I valori possono essere cose bellissime ma, maneggiati dai potenti, spesso fanno paura. In nome della promessa ad Abramo fatta dal “dio geloso” degli Ebrei, furono sterminate le popolazioni della terra di Canaan; in nome di Allah si proclama il Jihad offensivo contro gli infedeli; “Dio lo vuole” è il motto d’ogni “guerra santa”, d’ogni “crociata”, d’ogni sterminio degli eretici. Yahweh, Allah, il Dio cristiano degli eserciti hanno in comune l’assolutismo del valore. Chi potrebbe opporsi a chi parla e agisce in nome d’un dio? L’appello diretto, esplicito, a un dio di questa fatta, nel mondo secolarizzato odierno non fa più presa come un tempo. Le religioni, anzi, hanno fatto passi avanti verso la reciproca comprensione e il “dialogo interreligioso”, per essere possibile, deve rinunciare non ai propri valori, ma alla loro assolutizzazione. Ma, hanno trovato dei validi succedanei secolarizzati altrettanto astratti e pericolosi.
Tutte le “visioni del mondo”, le Weltanschauungen hanno parlato di “missioni” al servizio dell’umanità, o della civiltà, e si sono inevitabilmente risolte in razzismo, imperialismo, invasioni, stragi, partiti unici. Le guerre coloniali erano giuste per civilizzare i popoli primitivi, erano dunque un regalo. Lo stesso, gli sterminî degli indios per convertirli al cristianesimo. Il “destino manifesto” attribuito dalla Provvidenza agli americani chiamava i governanti di Washington al compito di espandere la libertà e la democrazia, tanto per incominciare con la cruentissima annessione del Nuovo Messico e con l’espansione in Arizona, Colorado, Nevada e Texas a spese dei popoli autoctoni.
Napoleone conquistò l’Europa e invase la Russia al prezzo di milioni di vittime in nome degli inviolabili valori della Rivoluzione. I nazisti e i fascisti si credevano in pieno diritto nel voler conquistare il proprio “spazio vitale” a danno dei popoli di “razza inferiore”. I dirigenti comunisti non dicevano certo di agire per sete di potere, ma per la felicità del popolo finalmente senza classi. Così, i valori, nelle mani dei potenti della terra, sono sempre stati armature ideologiche di politiche di potenza, fantasmi che si aggirano tra le genti con lo scopo di reciproche distruzioni. Questa è la sorte di tutte le dottrine universalistiche in mano alle potenze della terra, anche di quelle apparentemente più nobili e benevole. Il fatto, poi, che esse siano usate selettivamente, per intervenire qua e non là, secondo convenienze, dice tutto sul valore dei valori.
E oggi? Con quali fantasmi abbiamo a che fare?
Da una parte c’è l’ininterrotta presunzione della Russia d’essere destinataria d’una missione universale, che sia la “Santa Russia” imperiale o la “liberatrice dei popoli” o la patria della spiritualità ortodossa insidiata dal materialismo occidentale. Viene in mente l’immagine potente, meravigliosa agli occhi degli slavofili e terrificante per tutti gli altri, che conclude "Le anime morte" di Gogol: la troika che attraversa il mondo come un uragano, davanti alla quale tutti i popoli piegano il ginocchio.
Dall’altra parte, si erge l’Occidente, amministratore della civiltà dei diritti umani, della libertà, della democrazia: tutte bellissime cose che spesso, però, valgono soprattutto per rinfacciarne agli altri la violazione.
Ma, queste sono per l’appunto cose che stanno in cielo. Quando scendono in terra nelle mani dei potenti si trasformano in appropriazione monopolistica della legittimità. Servono le guerre, non la pace. Nella migliore delle ipotesi, i rapporti possono “congelarsi” temporaneamente, come nei decenni della “guerra fredda”. Abbiamo creduto in un “disgelo” che, in fondo, non ha mai sconfitto la politica di potenza, l’estensione delle “zone d’influenza”, la lotta per l’affiliazione o la dominazione dei popoli poveri e deboli che, per loro sfortuna, vivono nelle terre ricche.
Anche in quegli anni non c’era la pace, sebbene la guerra sembrasse improbabile nell’equilibrio del terrore. Improbabile non vuol dire impossibile e oggi ce ne rendiamo pienamente conto guardando la tragedia dell’Ucraina che, in fondo e per ora, sembra solo un foruncolo, ma forse è l’escrescenza su un’infezione che non è stata curata. Il che non diminuisce l’orrore, ma l’accresce.
I potenti che in tempo di guerra brandiscono una superiorità morale brandendo i loro valori si espongono a facili ironie e, soprattutto, non favoriscono la pace. Alzano barriere, armano i confini, creano incomunicabilità e ostilità. Alimentano il fanatismo, il conformismo, i “partiti unici” e comprimono le intelligenze. Si rialzano le frontiere. Si allontanano le speranze in un futuro in cui i nostri figli possano sentirsi membri d’una famiglia umana non divisa da vecchi e nuovi nazionalismi, possano viaggiare liberamente, possano stringere amicizie e coltivare amori con chi e come vogliono. Questa crisi, qualunque ne sia la fine, quando e se se ne verrà fuori, lascerà una scia di odio, di risentimenti, di desideri di rivincita, di altre violenze. Già ora si stanno distruggendo in un colpo solo i tanti fili economici, culturali, politici, giuridici e sociali che nei decenni sono stati faticosamente intessuti principalmente in Europa. Poiché, poi, la crisi dà fiato ai nazionalisti, consolida oligarchie, avvantaggia demagoghi e produttori di armi d’ogni tipo, è probabile che, al di là della propaganda e degli sdegni esibiti, vi sia chi ne trae vantaggio.
Con questa regressione dovremo fare i conti. Smascherando l’uso dei valori che stanno in cielo, guardando i morti e le sofferenze che stanno in terra. Qui, non là, sta la verità.
Accogliendo profughi senza distinzioni. Intessendo e potenziando relazioni, non interrompendole. Salvaguardando la dignità e l’universalità della cultura. Fornendo, nell’immediato, gli aiuti necessari a chi ne ha bisogno per vivere, sopravvivere e difendersi. La guerra c’è, e ci sono gli aggressori e gli aggrediti. Questa è l’unica certezza su cui non sono consentiti dubbi. Ma, una cosa è aiutare le vittime promuovendo la pace; altra cosa è attizzare cattive passioni. Dunque non aizzare i fanatici dell’Occidente, i nazionalisti, i sovranisti che oggi hanno l’occasione di mostrarsi come i suoi più efficaci difensori. Aiutare, ma contrastare le idee aggressive che prefigurano un futuro altrettanto o, forse, peggiore e, comunque, allontanano la prospettiva di un’intesa che metta fine alla guerra. Sobrietà e spirito critico, non per negare l’evidenza, ma per evitare il peggio.
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