sabato 16 marzo 2019

Il nuoto delle farfalle capaci di fingersi un drago.

Caso Ruby, morta la teste Imane Fadil per “mix di sostanze radioattive”. La procura di Milano indaga per omicidio.


Risultati immagini per Imane Fadil

La modella marocchina aveva 34 anni: il decesso all'Humanitas di Rozzano, Milano, dopo trenta giorni di ricovero. "Un mese di agonia", lo hanno definito gli investigatori. Il pm Greco: "Nella cartella clinica ci sono anomalie. Abbiamo disposto l'autopsia". Gli esiti degli esami tossicologici sono arrivati il 6 marzo, cinque giorni dopo la morte, e sono stati trasmessi alla Procura di Milano. Sequestrate le bozze del libro che la donna stava scrivendo. Poche settimane fa aveva chiesto di costituirsi parte civile al Ruby ter, dove Berlusconi è accusato di corruzione in atti giudiziari.

È morta dopo un lungo ricovero in ospedale per un “mix di sostanze radioattive”. Sostanze, però, diverse dal polonio. E prima di morire ha telefonato al fratello e all’avvocato, per dire la stessa identica frase: “Mi hanno avvelenato“. È un vero e proprio mistero quello legato alla morte di Imane Fadil, modella marocchina di 34 anni, testimone del processo Ruby ter, che vede tra gli imputati l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Due mesi fa aveva chiesto di costituirsi parte civile: richiesta rigettata dai giudici. La procura di Milano ha aperto un’indagine per omicidio volontario e sono stati gli esiti degli esami tossicologici disposti lo scorso 26 febbraio dai medici dell’Humanitas di Rozzano, dove era ricoverata, ed effettuati in un centro specializzato di Pavia a evidenziare che la donna è deceduta a causa di un “mix di sostanze radioattive”. Gli esiti, scrive l’Ansa, sono arrivati il 6 marzo e trasmessi immediatamente dallo stesso ospedale alla Procura di Milano.
Disposta autopsia: “Sintomatologia da avvelenamento” - In ospedale era arrivata il 29 gennaio. Per trenta giorni esatti è rimasta ricoverata. “Un mese d’agonia“, lo hanno definito gli investigatori. Poi l’uno marzo la morte, per cause ancora tutte da accertare. La notizia, infatti, è stata diffusa soltanto oggi, direttamente dal procuratore capo di Milano, Francesco Greco. È lo stesso capo dell’ufficio inquirente lombardo a spiegare che la giovane aveva detto ai suoi familiari e avvocati che temeva di essere stata avvelenata. Nella cartella clinica di Fadil, spiega Greco, ci sono “più anomalie” e per capire la causa esatta della morte “è stata disposta l’autopsia, che dovrebbe essere seguita a breve”. Ma visto il risultato degli esami tossicologici, i tempi per effettuarla sono tutti da verificare, visto che le sostanze rilevate potrebbero mettere in pericolo i medici stessi.
La procura ha riferito di essere stata informata del decesso solo la settimana scorsa, quando l’avvocato di Fadil si è rivolto alla magistratura. “I medici della clinica non hanno avvisato la procura del decesso”, ha detto il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, titolare dell’inchiesta. Ma in serata in una nota l’Humanitas ha spiegato: “Al decesso della paziente, il 1 marzo scorso, l’Autorità Giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, Humanitas ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, lo ha prontamente comunicato agli inquirenti”. L’ospedale ha poi precisato di avere messo “in campo ogni intervento clinico possibile per la cura e l’assistenza” della giovane. Stando a quanto ricostruito, i medici dell’Humanitas dopo aver effettuato sulla giovane tutti gli esami generali possibilipoiché continuava lo stato di sofferenza e di agonia, il 26 febbraio scorso hanno deciso di disporre accertamenti tossicologici ad ampio spettro, che sono stati effettuati in un centro tossicologico specializzato di Pavia. Il primo marzo la giovane è morta e, da quanto si è saputo, quello stesso giorno sono state sequestrate le cartelle cliniche. Il 6 marzo è arrivato il referto tossicologico che parlava di sostanze radioattive, immediatamente trasmesso dall’ospedale all’autorità giudiziaria. La ragazza era risultata anche  negativa agli esami che le erano stati effettuati per capire se facesse uso di sostanze stupefacenti.
Secondo le indagini, la modella era stata ricoverata prima in terapia intensiva e poi rianimazione: è stata vigile fino all’ultimo, nonostante i forti dolori e il “cedimento progressivo degli organi”. “Non c’è una diagnosi precisa sulla morte – ha detto l’aggiunto Siciliano –  ma dalle analisi emerge una sintomatologia da avvelenamento“. A quanto si apprende da fonti vicine alla struttura ospedaliera, inoltre, la ragazza non si è mai ripresa durante tutta la degenza: le cure non hanno avuto l’esito sperato. Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio, titolari dell’indagine, hanno sentito testimoni fino a tarda sera, incluso i medici curanti della giovane.
“Ha detto di essere stata avvelenata” – “Sono in corso gli accertamenti sui campioni di sangue prelevati durante il ricovero – spiega Greco – non si può escludere nessuna pista visto che dalla cartella clinica non emerge nessuna malattia specifica“. La giovane riferiva di gonfiori e dolori al ventre. “Fadil – ha detto il procuratore di Milano – durante il ricovero ha telefonato ad alcune persone, il fratello e l’avvocato, sostenendo di essere stata avvelenata. Stiamo sentendo i testimoni, verranno sentiti anche i medici dell’Humanitas, e abbiamo disposto l’acquisizione dei suoi oggetti personali”. Come per esempio il libro che la modella stava scrivendo: la procura ha sequestrato le bozze di quel manoscritto. Quel libro, però, non sembra contenere elementi interessanti a spiegare il decesso della giovane.
L’ospedale: “Abbiamo riferito agli inquirenti” – Greco ha spiegato che mai nelle settimane in cui la ragazza era ricoverata e nemmeno il giorno della morte, l’ospedale aveva comunicato alcunché alla magistratura, sebbene non fossero state individuate le cause della morte e non ci fosse una diagnosi certa sul decesso. Con una nota l’ospedale Humanitas ha voluto precisare che “la paziente è stata ricoverata lo scorso 29 gennaio in condizioni cliniche molto gravi. È stata presa in carico da una équipe multidisciplinare che ha messo in campo ogni intervento clinico possibile per la cura e l’assistenza della paziente, compresi tutti gli approfondimenti diagnostici richiesti dai curanti”. Al decesso della paziente, si legge ancora nel comunicato, “il 1 marzo scorso, l’Autorità Giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, Humanitas ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, lo ha prontamente comunicato agli inquirenti”. Per rispetto della privacy e dell’indagine in corso, “Humanitas non rilascerà ulteriori commenti su nessun aspetto di questa vicenda”.
L’avvocato: “Era sofferente ma lucida” – “Imane durante il mese di ricovero alla clinica Humanitas era sofferente ma mentalmente era lucida ed è rimasta lucida fino alla fine”, ha raccontato l’avvocato Paolo Sevesi, legale della modella. È Sevesi che ha accompagnato il fratello di Imane in procura dopo la morte della ragazza. “Che sostanza poteva essere ad averla avvelenata? Ci sono diverse ipotesi che sono al vaglio della Procura”, ha spiegato il legale. Che poi ha aggiunto: “Ho letto il libro che aveva scritto Imane sul caso Ruby ma non so se avesse trovato un editore. Di sicuro l’aveva terminato diversi mesi fa. Conoscendo la situazione e conoscendo bene Imane, io una mia idea me la sono fatta, ma ci sono delle indagini in corso e di più non posso dire”.
La testimonianza al processo – La giovane, insieme ad Ambra Battilana e Chiara Danese, aveva raccontato agli inquirenti delle cosiddette “cene eleganti” di Arcore, cioè le serate hot passate alla storia come il bunga bunga. Fadil aveva partecipato a otto di quelle cene. Qualche tempo dopo si era presentata in procura, diventando testimone del caso Ruby. Le tre ragazze, che avevano chiesto di costituirsi come parte civile, erano però state escluse dal filone principale del processo Ruby ter perchè i giudici della settima sezione penale, davanti ai quali si celebra la tranche principale del processo che vede imputati Berlusconi e altre 27 persone per corruzione in atti giudiziari, (compresa Karima El Mahroug e molte altre olgettine che avrebbero testimoniato il falso), avevano ritenuto che i reati contestati non ledessero direttamente le tre ragazze, ma ‘offendessero’ lo Stato. Imane, Ambra e Chiara avevano anche intavolato una trattativa con la senatrice di Forza Italia, Maria Rosaria Rossi, fedelissima di  Berlusconi, per un risarcimento in sede stragiudiziale. Da indiscrezioni era trapelato che avessero chiesto danni per 2 milioni di euro. L’accordo, però, non era stato raggiunto e le trattative erano saltate. Le tre ragazze, a quel punto, avevano chiesto di costituirsi parte civile anche in una altro filone del processo, che vede imputati Berlusconi e la showgirl Roberta Bonasia, pendente davanti ai giudici della quarta sezione penale e che presto verrà riunito con quello principale. A margine di una delle udienze, a cui non mancava mai, la modella 34enne aveva raccontato che stava scrivendo un libro sulle “cene eleganti“.
L’intervista al Fatto: “Ad Arcore setta che adora il demonio” – Di quel libro aveva parlato anche in un’intervista al Fatto Quotidiano dell’aprile scorso. “Voglio raccontare tutto. La cosa non si limita a un uomo potente che aveva delle ragazze. C’è molto di più in questa storia, cose molto più gravi”. La modella sosteneva di avere lasciato Arcore dopo aver ricevuto una proposta indecente. Dopo poco tempo era diventata una testimne dell’accusa. Al Fatto, però, Fadil aveva raccontato anche dettagli mai resi in tribunale. “Questo signore fa parte di una setta che invoca il demonio. Sì lo so che sto dicendo una cosa forte, ma è così. E non lo so solo io, lo sanno tanti altri, che in quella casa accadevano oscenità continue. Una sorta di setta, fatta di sole donne, decine e decine di femmine complici”, era un altro passaggio del suo racconto. In cui diceva di aver “visto presenze strane, sinistre. Io sono sensitiva fin da bambina: da parte di mio padre discendo da una persona che è stata santificata e le dico che in quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c’ è il Male, io l’ho visto, c’è Lucifero“. Accuse gravi, sulle quali sosteneva di avere le prove. Che sarebbero state esibite, a suo dire, presto. “Non manca molto, devo solo finire questo libro. E poi il mondo saprà”.
Il caso dell’ex avvocato di Ruby – Recentemente, tra l’altro, il caso Ruby era tornato al centro della cronaca quando il procuratore aggiunto Siciliano e il sostituto Luca Gaglio avevano ascoltato come persona informata sui fatti la socia di studio dell’avvocato Egidio Verzini, morto col suicidio assistito in Svizzera il 5 dicembre, dopo che il giorno precedente aveva raccontato, in un comunicato affidato all’Ansache Berlusconi avrebbe versato 5 milioni di euro a Karima El Mahroug, con i soldi transitati da Antigua in Messico. Verzini fu legale di Ruby nel 2011. La sua socia di studio ha confermato che il legale decise di fare quelle rivelazioni per una “esigenza di giustizia” e per un “dovere etico“, come da lui stesso scritto nel comunicato, ma che lei non sapeva altro su questa sua scelta. Verzini era già stato sentito quattro volte nel corso delle indagini, avvalendosi più volte del segreto professionale: era anche un teste dell’accusa nel processo in corso. Nel comunicato diffuso un giorno prima di morire parlò di “un pagamento di 5 milioni di euro eseguito tramite la banca Antigua Commercial Bank su un conto presso una banca in Messico”, sostenendo che la “operazione Ruby” sarebbe stata “interamente diretta dall’avvocato Ghedini con la collaborazione di Luca Risso”, ex compagno di Karima. Lo storico legale di Berlusconi aveva annunciato querela. Nell’ultima riga del comunicato Verzini aveva scritto di essere “in possesso di ulteriori elementi ed informazioni documentate“. Ed è proprio su questo aspetto, ossia sulla ricerca di carte e documenti per trovare riscontri alle sue dichiarazioni, che si stanno concentrando le indagini in corso dei pm, i quali poi depositeranno gli atti dei nuovi accertamenti nel dibattimento in corso. Il processo ha al centro i milioni di euro che l’ex premier avrebbe versato a Ruby e alle ‘Olgettine’ per ottenere il silenzio o la reticenza sulle serate ad Arcore. A quel processo Imane Fadil voleva costituirsi parte civile. Poi il 29 gennaio è finita in ospedale: stava male, sosteneva di essere stata avvelenta. È morta dopo un mese di agonia.

Greta, Mattarella e la bufala della crisi climatica. - prof. Franco Battaglia


Secondo il Presidente della nostra Repubblica saremmo «sull’orlo di una crisi climatica». Mi verrebbe da dire che Sergio Mattarella sia sull’orlo d’una crisi di nervi. E mi viene spontaneo chiedermi da dove l’amato presidente s’è inventato l’allarme. Non certo dai propri studi scientifici, visto che di formazione è giurista. La voce più vicina nel tempo che gli ha scosso il sistema nervoso deve allora essere stata Greta, la quindicenne svedese in sciopero dalla scuola ogni venerdì «contro l’ingiustizia climatica» (sic!).
Io conterò meno della quindicenne, almeno quanto a scuotere un qualche sentimento – e come competere con una bimba? – però rimane il fatto che anche costei non può avere avuto il tempo, almeno data l’età, per focalizzare un problema che non esiste. E provare che una cosa non esiste è molto più difficile che provarne l’esistenza. Provate voi a dimostrare che non esistono i cani a tre teste nel sottosuolo di Venere.
Comunque sia, sulla quindicenne è stato costruito una campagna mediatica e pubblicitaria tale da violare ogni articolo del codice penale quanto a sfruttamento minorile. Greta è stata trascinata davanti al Parlamento svedese e nelle pubbliche piazze e indotta a fare affermazioni di una tale stupidità che quando sarà cresciuta e avrà modo di riascoltarsi se ne vergognerà fino a nutrire sentimenti indicibili nei confronti dei suoi sfruttatori, a cominciare dagli stessi genitori. Al momento la piccina è lo strumento della raccolta di circa 3 milioni d’euro, al grido dello slogan, ideato da professionisti nel marketing senza scrupoli, «non abbiamo più tempo» (per ritardare la lotta ai cambiamenti climatici).
Ma si può essere più fessi? L’umanità dovrebbe dedicare i propri sforzi a impedire che il clima cambi: più facile dedicarli a svuotare gli oceani! Perché, caro Presidente Mattarella, non solo il clima è sempre cambiato, ma soprattutto noi non possiamo farci niente. Provo a tranquillizzarla.
In uno stesso luogo la temperatura ha, nel corso di un anno, una variabilità anche di diverse decine di Celsius. Nello stesso momento la temperatura ha, nei vari punti del pianeta, una variabilità dell’ordine di 100 Celsius. Dall’anno Mille, quando si era all’apice del Periodo Caldo Medievale, quando la temperatura media globale era un paio di Celsius superiore a oggi, fino al 1650, al minimo della Piccola Era Glaciale, quando la temperatura era oltre un paio di Celsius inferiore a oggi, la temperatura variava di circa 5 Celsius.
Oggi, stiamo appunto uscendo dalla Piccola Era Glaciale, e lo stiamo facendo da oltre tre secoli e non possiamo farci niente. Anzi, proprio questi ultimi 150 anni ci hanno offerto un clima straordinariamente stabile. Oltre ogni aspettativa: +0.8 gradi appena in ben 150 anni!
E gli eventi climatici disastrosi? Sono diminuiti, Signor Presidente. L’America è stata colpita da 149 uragani (di cui 10 di forza 4) negli 80 anni compresi fra il 1850 e il 1930; e fu colpita da 135 uragani (di cui 8 di forza 4) negli 80 anni compresi fra il 1930 e il 2010 (dati della National Oceanic and Atmospheric Administration americana). Quindi, come vede, gli uragani sono diminuiti per intensità e numero. Ma le emissioni di CO2 sono aumentate senza sosta. Per fortuna. Perché vede, signor Presidente, noi dobbiamo ringraziare Dio di essere nati nell’era del petrolio e non in quella della pietra o in qualunque altra era successiva all’era della pietra: nella nostra era, almeno, la schiavitù è un tabù, differentemente a prima, quando la pratica non era, neanche moralmente, in discussione.
Tranquillo, Signor Presidente: keep calm and be relaxed. Non mi vorrà scioperare pure lei!

IL FONDATORE DI GREENPEACE: LA BUFALA DEL RISCALDAMENTO GLOBALE SPINTA DAGLI SCIENZIATI CORROTTI “DIPENDENTI DALLE SOVVENZIONI GOVERNATIVE”. - Robert Kraychik



Patrick Moore, co-fondatore di Greenpeace ed ex presidente di Greenpeace Canada, ha descritto le ciniche e corrotte macchinazioni che alimentano la narrazione del riscaldamento antropocentrico e del "cambiamento climatico" in un'intervista del mercoledì al Breitbart News Tonight di SiriusXM con i padroni di casa Rebecca Mansour e Joel Pollak.

Moore ha spiegato come la paura e il senso di colpa siano sfruttati dai sostenitori del cambiamento climatico: La paura è stata usata per tutta la storia in modo da ottenere il controllo di menti e portafogli delle persone e di tutto il resto, e la catastrofe climatica è strettamente una campagna di paura e senso di colpa: hai paura di uccidere i tuoi figli perché li stai trasportando nel tuo SUV il quale sta emettendo anidride carbonica nell’atmosfera e ti senti in colpa per fare ciò. Non c’è motivazione più forte di queste due cose.
Gli scienziati vengono iscritti e corrotti da politici e burocrazie investiti nel far avanzare la favola del “cambiamento climatico” al fine di centralizzare ulteriormente il potere e il controllo politico, ha spiegato Moore.
Moore ha notato come le compagnie “verdi” parassitano i contribuenti attraverso regolamenti favorevoli e sussidi apparentemente giustificati dalle minacce rivendicate dalla suddetta favola, il tutto mentre godono della protezione propagandistica attraverso i media.
E così abbiamo il movimento verde che crea storie che infondono paura al pubblico. Abbiamo la cassa di risonanza dei media – fake news – ripetendo più e più volte a tutti che stanno uccidendo i loro figli. E poi i politici verdi che acquistano scienziati con denaro del governo in modo da produrre paura per loro sotto forma di documentazione dall’aspetto scientifico. E poi ci sono le imprese verdi, i cercatori di rendite e i capitalisti clientelari che stanno approfittando di enormi sussidi, enormi detrazioni fiscali e mandati governativi che richiedono le loro tecnologie per fare una fortuna su questo. E poi, naturalmente, abbiamo gli scienziati che sono accondiscendenti, essi sono fondamentalmente dipendenti delle sovvenzioni governative.
Quando parlano del consenso del 99% [tra gli scienziati] sul cambiamento climatico, questo è un numero completamente ridicolo e falso. Ma la maggior parte degli scienziati – mettiamo tra virgolette, scienziati – che stanno spingendo questa teoria catastrofica vengono pagati con denaro pubblico, non vengono pagati da General Electric o Dupont o 3M per fare questa ricerca, dove le compagnie private si aspettano di ottenere qualcosa di utile dalla loro ricerca, ricerca che potrebbe produrre un prodotto migliore e alla fine renderlo un profitto perché la gente lo vuole – un’idea per costruire un migliore tipo di trappola per topi. Ma la maggior parte di ciò che fanno questi cosiddetti scienziati sta semplicemente producendo più paura in modo che i politici possano usarlo per controllare le menti delle persone e ottenere i loro voti perché alcune persone sono convinte che: “Oh, questo politico può salvare mio figlio da una morte certa.”
La favola del riscaldamento globale antropogenico o “cambiamento climatico” è una minaccia esistenziale alla ragione, ha avvertito Moore:
È la più grande bugia dal tempo in cui la gente pensava che la Terra fosse al centro dell’universo. Questa ci riporta alla mente Galileo. Se ricordi, Galileo scoprì che il sole era al centro del sistema solare e che la Terra ruotava attorno ad esso. Fu condannato a morte dalla Chiesa cattolica e solo perché ritrattò gli fu concesso di vivere agli arresti domiciliari per il resto della sua vita.
Questo successe intorno all’inizio di quello che chiamiamo Illuminismo, quando la scienza è diventata il modo in cui abbiamo acquisito conoscenza invece di usare la superstizione e invece di usare demoni invisibili e qualsiasi altra cosa del genere, abbiamo iniziato a capire che si deve avere l’osservazione degli eventi reali e quindi si devono ripetere queste osservazioni più e più volte, e questo è fondamentalmente il metodo scientifico.
“Ma questo abominio che si sta verificando oggi nella questione climatica è la più grande minaccia all’Illuminismo che si è verificata da quando Galileo”, ha dichiarato Moore, “si è avvicinato ad esso. Questa è la cosa peggiore che è accaduta alla scienza nella storia della scienza.”
Moore ha concluso: “Sta prendendo il sopravvento sulla scienza con la superstizione e con una specie di combinazione tossica di religione e ideologia politica. Non c’è nessuna verità in questo. È una bufala e una completa truffa.”

Scoperti nell'universo giovane 83 buchi neri supermassicci.

I ricercatori hanno utilizzato i dati raccolti con una gigantesca “macchina fotografica”, l’Hyper Suprime-Cam (Hsc), montata sul Telescopio Subaru alle Hawaii. (Fonte: the National Astronomical Observatory of Japan)

Esistevano già soltanto 800 milioni di anni dopo il Big Bang.

83 giganteschi buchi neri supermassicci sono stati scoperti nell’universo primordiale: esistevano già “soltanto” 800 milioni di anni dopo il Big Bang, avvenuto 13,8 miliardi di anni fa. La scoperta rivela per la prima volta quanto fossero comuni questi oggetti agli albori del cosmo e getta nuova luce sulla loro interazione con il gas primordiale che li circondava. La ricerca è stata pubblicata in una serie di articoli su The Astrophysical Journal e sulla rivista dell’Osservatorio Astronomico del Giappone, da ricercatori di Giappone, Taiwan e Università di Princeton guidati da Yoshiki Matsuoka, ora alla giapponese Ehime University.
I buchi neri supermassicci possono essere milioni, o anche miliardi di volte più grandi del Sole e diventano visibili quando cominciano ad attirare grandi quantità di gas, che li fa brillare creando i cosiddetti “quasar”. “È eccezionale che oggetti così densi e massicci si siano potuti formare tanto presto dopo il Big Bang”, commenta Michael Strauss di Princeton, uno degli autori dello studio. “Capire come si siano originati e quanto sono comuni è una sfida per le nostre attuali teorie”.
I ricercatori hanno utilizzato i dati raccolti con una gigantesca “macchina fotografica”, l’Hyper Suprime-Cam (Hsc), montata sul Telescopio Subaru dell’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone, alle Hawaii. L’Hsc ha un enorme campo visivo, grande sette volte l’area occupata dalla Luna piena, e ha osservato il cielo per 300 notti nell’arco di cinque anni. L’indagine ha rivelato 83 quasar molto distanti prima sconosciuti, che si vanno ad aggiungere ai 17 già noti nella regione: se dividessimo l’universo in immaginari cubetti, con ogni lato lungo un miliardo di anni luce, troveremmo un buco nero supermassiccio in ognuno di essi.

venerdì 15 marzo 2019

Ai vertici dell'antimafia un condannato per la "macelleria messicana" alla scuola Diaz. - Marco Preve

Ai vertici dell'antimafia un condannato per la "macelleria messicana" alla scuola Diaz

Gilberto Caldarozzi, 3 anni e 8 mesi per i falsi del G8, è il numero 2 della Dia. Per i giudici ha "gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero".

Più che la rabbia della vittima c’è il senso di sconfitta del cittadino di fronte al Potere, negli occhi di uno degli ex ragazzi che nel luglio del 2001 attraversarono le notti della macelleria messicana della Diaz e del carcere cileno di Bolzaneto.

Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per falso, ovvero per aver partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi venne pestato senza pietà da agenti rimasti impuniti, è oggi il numero 2 – Vice direttore tecnico operativo-  della Direzione Investigativa Antimafia, ovvero il fiore all’occhiello delle forze investigative italiane, la struttura alla quale è affidata la lotta al cancro criminale.
La nomina, decisa dal ministro dell’Interno Marco Minniti, passata quasi in sordina ed ignorata dalla politica, risale a poche settimane fa.
Se ne sono accorti, quasi casualmente nei giorni scorsi i reduci del Comitato Verità e Giustizia per Genova, un gruppo formato da ex arrestati della Diaz e di Bolzaneto e dai loro famigliari.
“Molti dei ragazzi tedeschi, vittime della polizia nel luglio 2001 – racconta un membro del Comitato – spiegano di avere provato paura quando, ritornati in Italia per i processi o per le vacanze hanno incontrato agenti in divisa. Mi chiedo come si possa dire a queste persone che l’Italia è cambiata se uno dei massimi dirigenti del nostro apparato di sicurezza è oggi proprio colui che ieri fece di tutto per accusarli ingiustamente e coprì gli autori materiali dei pestaggi e delle torture”.



Ai vertici dell'antimafia un condannato per la "macelleria messicana" alla scuola Diaz
Una ragazza pestata alla scuola Diaz nel 2001

Caldarozzi, ex capo dello Sco, la Sezione criminalità organizzata, considerato un “cacciatore di mafiosi”, per la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo è invece uno dei responsabili dei comportamenti di quella notte del 2001 e dei successivi comportamenti degli apparati di Stato, che sono valsi al nostro paese due condanne per violazione alle norme sulla tortura. Scrissero i giudici della Cassazione per Caldarozzi e gli altri condannati: “hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”. Non esattamente una medaglia da inserire nel proprio curriculum.
D’altra parte, a luglio di quest’anno sono scaduti i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e i dirigenti condannati per la Diaz che non erano andati in pensione sono rientrati in polizia.
In un intervento sulle sentenze della Cedu, pubblicato sul sito Questione Giustizia di Magistratura Democratica, il pm del processo Diaz Enrico Zucca affronta il caso Caldarozzi: “L’ultimo dei rientri, che si fa fatica a conciliare con quanto espresso nei confronti del condannato in sede di giudizio di Cassazione, è quello che riguarda l’attuale vice-capo della Dia, che vanta così nel suo curriculum il  “trascurabile”  episodio  della  scuola  Diaz”.
Il capo della polizia, il prefetto Franco Gabrielli, in un’intervista a Repubblica dell'estate ha voluto finalmente affrontare il tema G8 senza tabù, dichiarando che lui al posto di “Gianni De Gennaro (allora capo della polizia oggi presidente di Finmeccanica, ndr) si sarebbe dimesso”. A quanto si sa, i funzionari rientrati in polizia sarebbero stati destinati a ruoli non di primo piano. Ma Caldarozzi è sfuggito a questa logica. Essendo la Dia una struttura che dipende direttamente dal Ministero, per lui, che vanta con Minniti e con il gruppo De Gennaro un’antica amicizia, si sono spalancate le porte dei piani alti.
Il suo esilio, per altro non è stato quello di un appestato. Gli anni di interdizione li ha trascorsi lavorando come consulente della sicurezza per le banche e poi come consulente per la Finmeccanica dell’ex capo De Gennaro. Si parlò anche di  “collaborazioni” con il Sisde, i servizi segreti, proprio come, sempre a stare alle voci, si racconta intrattenga oggi il anche pensionato Franco Gratteri, ex capo della Direzione centrale anticrimine, il più alto in grado fra i condannati della Diaz.
Nonostante l’Italia, tra molte contestazioni e distinguo, si sia dotata da qualche mese di una legge sulla tortura, sembra essere completamente inevaso uno degli aspetti più volte ricordati dai giudici europei. Quello che riguarda non gli autori materiali delle torture bensì tutta la scala gerarchica e i regolamenti interni che non provvedono a isolare i torturatori e chi li ha coperti nelle fase preliminare delle indagini, e che poi non provvede, se non a radiarli, perlomeno a bloccare le progressioni di carriera, o in estremo subordine ad assegnarli ad incarichi non operativi. Diciassette anni dopo aver disonorato – lo dicono, per sempre, i giudici della Cassazione, anche se molti poliziotti e altrettanti politici non hanno mai accettato questa sentenza - la polizia italiana, Gilberto Caldarozzi viene premiato con una delle poltrone più importanti della lotta al crimine. La “macelleria messicana” è stata archiviata dallo Stato.


Questi sono i motivi che mi inducono a dissentire dal comportamento di chi ci governava e  prendere le distanze da chi ha permesso che fatti così esecrabili accadessero.
Cetta.

G8, per la Diaz è ora di pagare, i poliziotti condannati a rimborsare tre milioni. - Marco Preve

G8, per la Diaz è ora di pagare, i poliziotti condannati a rimborsare tre milioni

Quasi vent'anni dopo, la sentenza della Corte dei Conti per il rimborso delle spese legali e dei risarcimenti. I giudici: "Quella notte sonno della ragione".

A quasi vent’anni dalla notte della macelleria messicana, i 27 poliziotti responsabili delle violenze alla scuola Diaz e delle false prove “per coprire le nefandezze perpetrate” subiscono una nuova condanna. Alti dirigenti, ispettori e agenti sono stati condannati dalla Corte dei Conti a risarcire un danno erariale pari a due milioni e 800 mila euro per danni materiali. Un’ulteriore condanna da cinque milioni per il danno d’immagine dovrà essere valutata il 22 maggio dalla Corte Costituzionale poiché un controverso codicillo del 2009 consente di contestare il danno erariale solo per reati contro la pubblica amministrazione e non per imputazioni come il falso o le lesioni gravi.
Come richiesto dal procuratore regionale della Corte, Claudio Mori, dovranno rifondere ai ministeri dell’Interno e della Giustizia le spese legali dei tre gradi di processo penale, le provvisionali stabilite come risarcimenti alle decine di manifestanti inermi massacrati di botte e arrestati sulla base di prove costruite ad arte, nonché ripagare gli avvocati del gratuito patrocinio delle parti civili.
Nonostante siano trascorsi, appunto, quasi due decenni e l’ultimo capo della polizia Franco Gabrielli, due anni fa proprio su Repubblica, abbia finalmente fatto pubblica ammenda a nome della polizia per quanto accaduto nel luglio del 2001, il G8 e i fatti della Diaz in particolare continuano a rappresentare un corto circuito della nostra democrazia.
Intanto perché in questi lunghi anni tutti i responsabili hanno potuto fare tranquillamente carriera nonostante gli avvisi di garanzia e le prime condanne (Gilberto Caldarozzi, uno dei condannati, è oggi il numero due della Dia, la Direzione investigativa antimafia, l’Fbi italiana) e nonostante le sentenze della Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, che condannò l’Italia per la mancanza di un reato di tortura (legge arrivata, fra mille polemiche, solo nel 2017).


E poi perché il comportamento processuale degli imputati è stato sempre quanto di più distante vi sia da ciò che ci si aspetterebbe da alti rappresentanti delle istituzioni.
Esempio illuminante, il rifiuto di massa (se si eccettuata il vicequestore Massimiliano Fournier ) di deporre nelle aule dei processi. Il rifiuto di manifestare un minimo pentimento che valse ad alcuni dei condannati la negazione dell’affidamento ai servizi sociali.
Un atteggiamento ostruzionistico proseguito anche nel giudizio davanti alla Corte dei Conti con situazioni a dir poco imbarazzanti. Filippo Ferri, ex capo della squadra mobile di Firenze, figlio dell’ex ministro Enrico e fratello del leader dell’Anm Cosimo, ha tentato di sostenere la nullità della notifica “poiché il plico dell’invito a dedurre è stato consegnato a soggetto che non rivestiva la qualifica di familiare convivente”. La Corte ha ritenuto insussistente la questione poiché l’atto “è arrivato nella sfera di conoscibilità del destinatario, in particolare alla cognata”.
Inoltre, attraverso le difese di alcuni degli imputati del processo erariale si è scoperto che i due ministeri hanno notificato le cartelle esattoriali ai funzionari di polizia ai fini di rivalsa sulle spese sostenute ma che le “cartelle sono state annullate per vizi formali e per difetto di motivazione…. sicchè è ragionevole ritenere che allo stato degli atti non un solo euro di risarcimento è stato retrocesso alle amministrazioni danneggiate”.
Insomma, vent’anni senza interruzione di carriera - Franco Gratteri all’epoca il più alto in grado divenne questore, prefetto e poi capo Divisione Centrale Anticrimine prima di andare in pensione, Pietro Troiani è oggi capo di una delle centrali della Polstrada più importanti d’Italia - e senza risarcire alcunché. Ora tutti i condannati faranno ricorso in appello e se la sentenza verrà confermata si vedranno pignorare stipendi e pensioni del quinto. Ovvero, i costi della macelleria messicana ricadranno quasi interamente sui cittadini italiani.
Resta nei confronti di coloro che “hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero” il marchio d’infamia per aver infangato la divisa, per quel “sonno della ragione da parte dei vertici operativi Luperi e Gratteri che si propaga e investe tutta la catena di comando, la notte del 21 luglio sono sospese le garanzie costituzionali. Per gli occupanti non c’è via di scampo… Alla polizia venne lasciata carta bianca…sciolti i freni inibitori”.


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