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venerdì 15 marzo 2019

G8, per la Diaz è ora di pagare, i poliziotti condannati a rimborsare tre milioni. - Marco Preve

G8, per la Diaz è ora di pagare, i poliziotti condannati a rimborsare tre milioni

Quasi vent'anni dopo, la sentenza della Corte dei Conti per il rimborso delle spese legali e dei risarcimenti. I giudici: "Quella notte sonno della ragione".

A quasi vent’anni dalla notte della macelleria messicana, i 27 poliziotti responsabili delle violenze alla scuola Diaz e delle false prove “per coprire le nefandezze perpetrate” subiscono una nuova condanna. Alti dirigenti, ispettori e agenti sono stati condannati dalla Corte dei Conti a risarcire un danno erariale pari a due milioni e 800 mila euro per danni materiali. Un’ulteriore condanna da cinque milioni per il danno d’immagine dovrà essere valutata il 22 maggio dalla Corte Costituzionale poiché un controverso codicillo del 2009 consente di contestare il danno erariale solo per reati contro la pubblica amministrazione e non per imputazioni come il falso o le lesioni gravi.
Come richiesto dal procuratore regionale della Corte, Claudio Mori, dovranno rifondere ai ministeri dell’Interno e della Giustizia le spese legali dei tre gradi di processo penale, le provvisionali stabilite come risarcimenti alle decine di manifestanti inermi massacrati di botte e arrestati sulla base di prove costruite ad arte, nonché ripagare gli avvocati del gratuito patrocinio delle parti civili.
Nonostante siano trascorsi, appunto, quasi due decenni e l’ultimo capo della polizia Franco Gabrielli, due anni fa proprio su Repubblica, abbia finalmente fatto pubblica ammenda a nome della polizia per quanto accaduto nel luglio del 2001, il G8 e i fatti della Diaz in particolare continuano a rappresentare un corto circuito della nostra democrazia.
Intanto perché in questi lunghi anni tutti i responsabili hanno potuto fare tranquillamente carriera nonostante gli avvisi di garanzia e le prime condanne (Gilberto Caldarozzi, uno dei condannati, è oggi il numero due della Dia, la Direzione investigativa antimafia, l’Fbi italiana) e nonostante le sentenze della Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, che condannò l’Italia per la mancanza di un reato di tortura (legge arrivata, fra mille polemiche, solo nel 2017).


E poi perché il comportamento processuale degli imputati è stato sempre quanto di più distante vi sia da ciò che ci si aspetterebbe da alti rappresentanti delle istituzioni.
Esempio illuminante, il rifiuto di massa (se si eccettuata il vicequestore Massimiliano Fournier ) di deporre nelle aule dei processi. Il rifiuto di manifestare un minimo pentimento che valse ad alcuni dei condannati la negazione dell’affidamento ai servizi sociali.
Un atteggiamento ostruzionistico proseguito anche nel giudizio davanti alla Corte dei Conti con situazioni a dir poco imbarazzanti. Filippo Ferri, ex capo della squadra mobile di Firenze, figlio dell’ex ministro Enrico e fratello del leader dell’Anm Cosimo, ha tentato di sostenere la nullità della notifica “poiché il plico dell’invito a dedurre è stato consegnato a soggetto che non rivestiva la qualifica di familiare convivente”. La Corte ha ritenuto insussistente la questione poiché l’atto “è arrivato nella sfera di conoscibilità del destinatario, in particolare alla cognata”.
Inoltre, attraverso le difese di alcuni degli imputati del processo erariale si è scoperto che i due ministeri hanno notificato le cartelle esattoriali ai funzionari di polizia ai fini di rivalsa sulle spese sostenute ma che le “cartelle sono state annullate per vizi formali e per difetto di motivazione…. sicchè è ragionevole ritenere che allo stato degli atti non un solo euro di risarcimento è stato retrocesso alle amministrazioni danneggiate”.
Insomma, vent’anni senza interruzione di carriera - Franco Gratteri all’epoca il più alto in grado divenne questore, prefetto e poi capo Divisione Centrale Anticrimine prima di andare in pensione, Pietro Troiani è oggi capo di una delle centrali della Polstrada più importanti d’Italia - e senza risarcire alcunché. Ora tutti i condannati faranno ricorso in appello e se la sentenza verrà confermata si vedranno pignorare stipendi e pensioni del quinto. Ovvero, i costi della macelleria messicana ricadranno quasi interamente sui cittadini italiani.
Resta nei confronti di coloro che “hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero” il marchio d’infamia per aver infangato la divisa, per quel “sonno della ragione da parte dei vertici operativi Luperi e Gratteri che si propaga e investe tutta la catena di comando, la notte del 21 luglio sono sospese le garanzie costituzionali. Per gli occupanti non c’è via di scampo… Alla polizia venne lasciata carta bianca…sciolti i freni inibitori”.


https://genova.repubblica.it/cronaca/2019/03/15/news/g8_per_la_diaz_e_ora_di_pagare_i_poliziotti_condannati_a_rimborsare_tre_milioni-221568237/?fbclid=IwAR3OyuBDJHkWx7_DAN_lOROZe5QMJBI6MU-ybCZgkbkGqfev6OpXeUCKKVY

venerdì 16 maggio 2014

Infiltrazioni clan in Toscana,18 arresti.



Inchiesta DDA di Napoli su Casalesi,coinvolti anche 2 poliziotti.

Le Squadre Mobili di Caserta e Firenze, coordinate dallo Sco, stanno arrestando 18 persone, alcune ritenute legate al clan dei Casalesi, coinvolte in un'inchiesta della Dda di Napoli su infiltrazioni della camorra in Toscana. Implicati anche 2 poliziotti in servizio presso la Presidenza del Consiglio e alla Camera dei Deputati: Franco Caputo, napoletano di 56 anni, e Cosimo Campagna, 57 anni, originario di San Pancrazio Salentino (Brindisi).
Le indagini sulla violazione del segreto istruttorio e sulle attività dei due agenti di Polizia, ai domiciliari, secondo indiscrezioni potrebbero incrociarsi con la vicenda degli appalti dell'Expo che vede coinvolto l'ex ministro Scajola. I due agenti sono accusati di avere rivelato informazioni coperte da segreto istruttorio: al poliziotto in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (ufficio tecnico logistico gestionali) viene contestato di avere fornito a persone indagate, ritenute affiliate al clan dei Casalesi, informazioni su attività di intercettazione nei loro confronti. Secondo gli inquirenti avrebbe anche reso informazioni segrete a politici, imprenditori e alte cariche di apparati pubblici. Dati che carpiva anche da altri uffici e da colleghi per poi comunicarle all'esterno.
Al poliziotto in servizio presso la Camera dei Deputati (Ispettorato Generale di PS) viene contestato di essersi introdotto illecitamente nella banca dati per verificare i precedenti penali di una persona e acquisire informazioni su eventuali procedimenti penali e indagini nei suoi confronti. Tra i destinatari dei provvedimenti emessi dal gip di Napoli (14 in carcere e 4 ai domiciliari), figurano persone ritenute dagli inquirenti affiliate alle famiglie Schiavone, Iovine e Russo del clan dei casalesi.
La polizia sta anche effettuando delle perquisizioni. In casa di Franco Caputo, uno dei due agenti, sono stati trovati numerosi tesserini con il logo Federcalcio. A lui, secondo gli investigatori, avrebbe fatto riferimento anche un funzionario della Lega Nazionale Dilettanti della Figc Calcio per chiedere informazioni su un calciatore extracomunitario. Caputo, secondo gli investigatori, avrebbe anche fornito informazioni riservate riguardo il giro di false fideiussioni da 230 milioni di euro su cui ha indagato la Procura di Pescara. Altre notizie coperte da segreto, il poliziotto le avrebbe fornite a Francesco D'Andrea, fratello di un affiliato alla 'ndrangheta già condannato per associazione mafiosa e traffico di cocaina. Grazie alle sue soffiate, infine, un carrozziere casertano vicino al clan dei Casalesi sarebbe riuscito a "bonificare" alcune vetture usate dagli affiliati dalle "cimici" sistemate dalle forze dell'ordine nell'ambito di indagini sulle attività illecite della camorra casertana.
I reati contestati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, detenzione di armi, estorsione, traffico e spaccio di stupefacenti. I due agenti della Polizia di Stato sono accusati di favoreggiamento e rivelazione di segreto alcune ritenute legate al clan dei Casalesi.

martedì 9 ottobre 2012

Mafia, slot machine truccate: arresti tra le forze dell'ordine.


slotmachine
Avrebbero imposto e gestito ‘slot machine’ truccate e controllate dalla mafia, con un danno di svariati milioni per l’erario. Con questa accusa sei appartenenti alle forze dell’ordine sono stati arrestati dalla Squadra Mobile di Caltanissetta assieme ad altre quindici persone. Diciannove gli arrestati, mentre agli altri due sono stati concessi gli arresti domiciliari. Corruzione, concussione e frode informatica i reati contestati.
Ad altre 21 persone, responsabili dei bar e dei circoli ricreativi dov’erano installati i videogiochi illegali, è stato notificato un provvedimento di interdizione dall’esercizio dell’attivita’ d’impresa a bar e circoli ricreativi coinvolti nell’inchiesta. Le 42 misure cautelari sono state emesse dal gip del Tribunale di Caltanissetta Maria Carmela Giannazzo, su richiesta della Dda.
Tra gli arrestati ci sono un sostituto commissario di polizia, un assistente capo della polizia penitenziaria, un assistente capo della polizia di Stato, due marescialli della Guardia di Finanza e un vigile urbano. Avvisi di garanzia hanno raggiunto altri militari della Guardia di Finanza e alcuni dipendenti civili del ministero dell’Interno.
Il giro d’affari sarebbe gestito da tre fratelli imprenditori, Matteo, Salvatore e Luigi Allegro, arrestati anche con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Dello stesso reato risponde il sottufficiale degli agenti di custodia. Nell’indagine sono coinvolti anche alcuni funzionari di banca per il reato di riciclaggio. Avrebbero omesso di segnalare eventuali operazioni sospette. Già in una precedente operazione, alla famiglia Allegro erano stati sequestrati beni per 5 milioni di euro.
La presunta organizzazione avrebbe monopolizzato il settore dei videogiochi, costringendo gli esercenti a installarli nei loro locali. Con un telecomando o un codice segreto, gli apparecchi si trasformavano in ‘slot machine’ o videopoker, che eludevano il fisco con incassi in nero e nello stesso tempo riducevano l’ammontare della vincita a discapito dei giocatori.