sabato 6 luglio 2024

LE LACRIME DI PETER HIGGS. - Stefano Fortini

 

Era il 4 luglio del 2012, una data indelebile nella storia della fisica. Nell’affollatissimo Auditorium del CERN di Ginevra, veniva annunciata la scoperta di una particella a cui gli scienziati di tutto il mondo avevano dato la caccia per quasi mezzo secolo.
Soprannominato dalla stampa “la particella di Dio” per via del titolo di una saggio di Leon Lederman ma anche “la primula rossa delle particelle elementari” (Marco Cattaneo, Habemus Higgs, Le Scienze, agosto 2012) in riferimento all’inafferabile eroe scaturito dalla penna della scrittice Emma Orczy, il bosone di Higgs è uno dei pilastri del Modello Standard della fisica delle particelle.
Ad annunciare il ritrovamento dell’elusivo ultimo pezzo del puzzle furono i portavoce dei due esperimenti realizzati al Large Hadron Collider (LHC), un tunnel sotterando di 27 chilometri di circonferenza che corre sotto la frontiera tra Francia e Svizzera: Fabiola Gianotti per l’esperimento ATLAS e Joseph Incandela per l’esperimento CMS.
Una delle immagini più iconiche di quella memorabile giornata – e della storia recente della scienza – fu però quella che un operatore attento riuscì a non farsi sfuggire e che venne trasmessa in diretta streaming dal CERN.
Peter Higgs, fisico teorico britannico recentemente scomparso, è seduto in una delle prime file dell’auditorium. È lui ad aver ipotizzato per primo, in un articolo pubblicato il 19 ottobre del 1964 sulla prestigiosa rivista «Physical Review Letters», l’esistenza del “bosone scalare” (così preferisce chiamarlo il suo ideatore) che conferisce massa alle altre particelle.
Nel vedere finalmente la conferma di quanto aveva ipotizzato quasi mezzo secolo prima Higgs si commuove, si toglie gli occhiali e si asciuga le lacrime con un fazzoletto, sopraffatto dall’emozione del momento. L’anno dopo sarebbe volato a Stoccolma insieme al collega François Englert per ricevere il premio Nobel per la Fisica.
Le lacrime di Peter Higgs ci ricordano che la scienza non è solo un’impresa razionale e metodica, ma è anche profondamente umana. Le emozioni dello scienziato britannico sono una conseguenza della passione e della dedizione necessarie per risolvere gli enigmi della natura nonché della gioia e della soddisfazione nel vedere confermata una teoria nella quale è stato riversato tanto impegno.
Immagine: Peter Higgs in lacrime all’annuncio della scoperta della particella da lui predetta (fonte: CERN).

venerdì 5 luglio 2024

Patagonian.

 

Le dimensioni di un Patagotitan, uno dei più grandi dinosauri mai vissuti sulla Terra circa 102 milioni di anni fa!
Qui a confronto un osso della zampa (circa 2.4 metri) rinvenuto in Argentina con
David Attenborough, naturalista e divulgatore scientifico britannico.

Shardana guerrieri di Nibiru - Minerva Elidi Wolf

 




Pitagora, Leonardo da Vinci, Giulio Verne, Nicola Tesla, Albert Einstein, Cleopatra, e tanti altri.

Tutti presenti in un libro misterioso.
Cosa hanno veramente in comune?
Rammento a tutti che questo post è uno spazio di scambio di idee, se volete commentare fattelo educatamente, bisogna crescere non retrocedere. Grazie
Titolo shardana guerrieri di NIBIRU autrice o presunta tale Minerva Elidi Wolf
Sul web non ho trovato notizie su di lei.
La prima parte del libro sembra interessante, all'interno spazia dei misteri vari tenuti occulti, insomma, un mistero dentro un altro.
Uno stralcio della prima parte, me ne assumo la responsabilità nel divulgarlo.
Nibiru non è un Pianeta come tutti possono pensare ma il luogo nello spazio interdimensionale, spesso descritto in antichi testi cuneiformi sumeri, dove ogni, circa 3.600, anni si apre, quello che viene definito ai giorni d’oggi, lo Stargate, ossia un portale col quale una razza tecnologicamente molto più avanzata della nostra, periodicamente viene a farci visita.
Il nome Nibiru, da attenti studi attuali, deriva palesemente dalla traduzione della lingua accadica il cui significato e’: LUOGO DELL'ATTRAVERSAMENTO, il simbolo per tanto tempo legato ai pianeti, oggi di fatto viene attribuito ad una croce.
Infatti il vero nome degli Anunnaki è HABIRU, il cui significato tradotto dall’antico alfabeto cuneiforme babilonese significa Senza terra, più avanti conosciuti come gli SHASU, o meglio come venivano chiamati da adoratori del dio YAH.
Questi SHASU, antecedenti alla storia di Abramo pare fossero disseminati in tutto il mondo conosciuto anche in Sardegna (Testimonia il fatto la presenza di un antico Zigurath in località Monte D’accoddi nella provincia di Sassari)
Ma chi erano veramente gli SHASU?
Alcune antichi testi li definiscono i Pheleset (farisei)
Ossia coloro che camminano nella polvere.
Yah impasto' acqua e ''polvere'' dalla diretta traduzione del testo, su cui si narra l’avvento della visita dei Pheleset o Shasu o Anunnaki, trascrivendo tra i simboli cuneiformi che, molti di loro, arrivarono su questo pianeta molto prima di quanto indicato dalla loro comparsa ''ufficiale''.
Coloro che persero, non si sa se volutamente, la ''coincidenza'' con lo stargate, ossia l’apertura del portale per il rientro nella loro patria Nibiru.
Costretti a restare sul pianeta e adattandosi ad una vita grama, con poche tecnologie rimaste, da tenere segrete e per il momento giusto, per dare via successivamente ad un lungo programma di preparazione studio ed esperimenti lontani dal controllo dei loro generali, chiamati Antichi Dei, partendo dalla creazione del popolo eletto, quelli che col tempo si ribellarono ai loro creatori. spesso vinti, spesso schiavi anche degli egiziani, e successivamente nemici e dopo alleati, chiamati i guerrieri giganti, non vi ricorda qualcosa?
Ebbene si, alcuni geroglifici narrano appunto di questi guerrieri definiti sanguinari coraggiosi, le cui gesta parlano del popolo del mare gli Shardana.

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Trucchi di bellezza che si possono preparare con la crema Nivea.

 

La crema Nivea è uno dei prodotti cosmetici industriali più antichi, e viene usata da più di un secolo tanto da essere diventata un prodotto familiare per tantissimi di noi.

Usata perlopiù per umettare la pelle, la crema Nivea può essere utile in tantissimi altri modi, e di seguito ti elenchiamo alcuni trucchi di bellezza che possono essere preparati partendo da questa crema.

Contro le smagliature. La crema Nivea ha un potente effetto idratante e favorisce l’elasticità della pelle, ed è per questo che può essere utilissima contro le smagliature. Applica la crema sulle aree del corpo colpite da smagliature, quasi sempre addome, cosce e glutei.

Contro i segni dell’acne. Questa crema ha un leggero effetto cicatrizzante che aiuta a recuperare la pelle danneggiata, risultato dell’eccesso di acne. Applicane una piccola quantità direttamente sui segni.

Contro le occhiaie. Applica una piccola quantità di crema Nivea sotto gli occhi prima di andare a dormire per alleviare occhiaie e borse sotto gli occhi.

Contro i talloni screpolati. Una scarsa idratazione dei piedi può farli screpolare e per prevenire ciò basta applicare un po’ di crema Nivea prima di andare a dormire. Metti delle calze e fai agire la crema tutta la notte.

Schiarire la pelle. La crema Nivea è particolarmente utile per schiarire gomiti, collo e ginocchia, aiutando al tempo stesso ad ammorbidire queste aree che tendono a screpolarsi.

Migliorare l’aspetto di capelli. Applica una piccola quantità di crema Nivea sui capelli per idratarli, prevenire le doppie punte e problemi come il classico “frizz”.

Rimuovere il trucco. Andare a dormire col trucco danneggia la pelle e provoca imperfezioni e rughe. Per rimuovere velocemente il trucco e al tempo stesso idratare la pelle usa la crema Nivea come se fosse un normale prodotto struccante.

https://www.rimedio-naturale.it/trucchi-di-bellezza-che-si-possono-preparare-con-la-crema-nivea.html

Ecco perché dovresti considerarti fortunato se hai un albero di fico nel tuo giardino.

 

Avere un albero di fico nel tuo giardino è, senza dubbio, una fortuna da non sottovalutare. Questi alberi, carichi di storia e significato simbolico, portano con sé una serie di benefici tangibili e intangibili che arricchiscono la tua vita quotidiana e il tuo spazio esterno in modi sorprendenti.

Esploriamo insieme perché dovresti considerarti fortunato se hai la possibilità di godere di questa meraviglia naturale nel tuo giardino.

Benefici dei fichi e delle foglie di fico

1. Nutrienti: I fichi, frutti succosi prodotti dagli alberi di fico, sono un concentrato di nutrienti. Sono ricchi di fibre, vitamine e minerali essenziali come potassio, magnesio, vitamina A e vitamina K. Consumare fichi contribuisce a mantenere una dieta equilibrata e promuove la salute generale.

2. Sostenibilità alimentare: Avere un albero di fico nel tuo giardino significa avere accesso a una fonte di cibo sostenibile. I fichi sono facili da coltivare e richiedono poche cure, ma offrono frutti abbondanti. Questa autosufficienza può contribuire a ridurre la tua dipendenza dal supermercato e promuovere uno stile di vita più ecologico.

3. Proprietà antiossidanti: I fichi contengono potenti antiossidanti, come i polifenoli, che aiutano a combattere lo stress ossidativo nel corpo. Questi composti proteggono le cellule dai danni causati dai radicali liberi, contribuendo a ridurre il rischio di malattie croniche e a mantenere un invecchiamento sano.

4. Regolazione del transito intestinale: Le fibre presenti nei fichi favoriscono il transito intestinale regolare e aiutano a prevenire problemi digestivi come la stitichezza. Consumare fichi può contribuire a mantenere un sistema digerente sano e a promuovere una buona salute intestinale.

5. Benefici per la pelle: L’olio estratto dai semi di fichi è ricco di acidi grassi essenziali e vitamine che favoriscono la salute della pelle. Può essere utilizzato per idratare e lenire la pelle secca, ridurre l’infiammazione e migliorare l’aspetto generale della pelle.

6. Riduzione del colesterolo: Studi hanno dimostrato che i fichi possono contribuire a ridurre i livelli di colesterolo LDL nel sangue, aiutando così a migliorare la salute cardiaca. Questo li rende un’aggiunta salutare alla tua dieta.

7. Utilizzo delle goglie: Le foglie di fico, oltre ai frutti, offrono benefici. Possono essere utilizzate per preparare infusi o tè che hanno proprietà antibatteriche, antinfiammatorie e antidiarroiche. Le foglie di fico possono contribuire al benessere generale del tuo organismo.

In conclusione, possedere un albero di fico nel tuo giardino è un vero privilegio. Oltre ad aggiungere bellezza e fascino al tuo spazio esterno, offre una varietà di benefici tangibili e salutari attraverso i suoi frutti e le sue foglie.

Apprezza questa meravigliosa benedizione della natura e sfrutta al massimo tutti i vantaggi che un albero di fico può offrire.

https://www.rimedio-naturale.it/ecco-perche-dovresti-considerarti-fortunato-se-hai-un-albero-di-fico-nel-tuo-giardino.html?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR23vojr8YERiCmH2JPRre06YWrvDjIx5Zahm06jlasVmKzwmTsqHgxZ2-o_aem_5ozR9hx5Q_QYx5_wRJ0VVg

giovedì 4 luglio 2024

La civiltà delle donne. - Franco Capone

Nelle culture più antiche le donne avevano un ruolo importante. E ancora oggi esistono società matriarcali. Come ci sono sempre state. Storia, fortune e sfortune dei matriarcati.


La prima scultura di forma umana che si conosca fu realizzata 35 mila anni fa. È un pendaglio di avorio di mammut, lungo appena 6 centimetri, ritrovato nella grotta di Hohle Fels, in Germania. La statuina scoperta nel 2008 rappresenta una donna grassa, con seni spropositati, natiche grandi e sporgenti e una vulva accentuata. Era con tutta probabilità una divinità femminile, da portare al collo.



QUANDO DIO ERA FEMMINA. Se a quei tempi la divinità principale era femmina, il ruolo delle donne doveva essere importante, non inferiore a quello dei maschi. Anzi, per tutto il Paleolitico, specialmente 25 mila o 20 mila anni fa, le cosiddette Veneri, statuine ritrovate in Europa e Asia, hanno rimarcato il concetto del “dio femmina”.

Non solo: statue e statuette di donne abbondanti e gravide, simboli di rigenerazione e nutrimento, erano diffuse in tutto il Neolitico, il periodo in cui si imparò a coltivare le piante e ad allevare gli animali. A Çatal Hüyüc, in Turchia, erano per esempio oggetto di culto in uno dei primi grandi villaggi agricoli. E divinità femminili obese, che rappresentavano una dea madre, sono state trovate fra i megaliti di Malta, dove una civiltà realizzò templi utilizzando grandi blocchi di pietra, nel IV millennio a. C., 1500 anni prima che in Egitto si costruisse la piramide a gradoni di Saqqara.

A Malta venivano immagazzinate scorte alimentari in granai pubblici, inglobati nei templi, dove si svolgevano cerimonie per distribuire cibo in nome della dea. Il surplus alimentare consentiva il mantenimento di addetti alle opere pubbliche e di un corpo sacerdotale, costituito probabilmente da donne. Sacerdotesse che, come la dea madre, non dovevano avere corpi da “veline”, ma extralarge.


Una dea di Malta: l’obesità è fertilità; il sonno rappresenta la morte, prima del ritorno in vita.

INSEDIAMENTI PACIFICI. Gli insediamenti megalitici non avevano fortificazioni, segno che la guerra era pressoché sconosciuta. E non si ritrovano solo a Malta, ma anche nelle attuali Gran Bretagna, Francia, Spagna, Italia e in località dell’Europa centro-orientale. L’antropologa Marija Gimbutas (1921-1994), in decine di campagne di scavo, raccolse segni a spirale, simboli femminili, e sculture di divinità femminili della fertilità. E anche statuine di “donne-civetta”, trovate in sepolture che non indicavano differenze sociali fra i defunti. Arrivando a una conclusione: nella vecchia Europa, e non solo, era esistita una grande civiltà precedente ai Sumeri e ai Greci. Una civiltà delle donne. Egualitaria, pacifica, che credeva in una dea madre.


UNA STORIA AL FEMMINILE. Già lo storico Johann Jacob Bachofen (1815-1887) aveva lanciato l’idea di un passato matriarcale dell’umanità.

Sosteneva che alcuni miti greci, da quello delle Amazzoni alla storia di Medusa (vedi foto sotto), non erano il frutto di problemi psicologici con l’altro sesso, ma il ricordo di conflitti sociali veri, che poi portarono al patriarcato, cioè al dominio del maschio sulla femmina. Insomma, Perseo che uccide Medusa elimina una antica matriarca, dipinta poi come mostro nel racconto mitico. Bachofen riteneva che la società patriarcale avesse vinto quando gli uomini si impossessarono del potere religioso riservato alle donne.



Medusa era l’unica mortale delle tre mostruose sorelle dette Gorgoni. Ma inizialmente Medusa (in greco, “colei che domina”), era una donna bellissima. Poseidone si innamorò di lei e la sedusse, ma Atena la punì trasformandola in un mostro con serpenti al posto dei capelli. E un viso che impietriva chi lo guardava. Aizzato dal re di Serifo, Polidette, il giovane eroe Perseo promise di portare al re la testa di Medusa. Atena ed Ermes lo equipaggiarono con uno scudo lucente come uno specchio e un falcetto. Usando lo scudo per evitare di guardarla direttamente, Perseo tagliò la testa alla Gorgone. Nella visione dello storico Johann J. Bachofen, mostruosi esseri femminili come la Medusa (“colei che domina”) o la Sfinge non rappresentavano la paura per il sesso femminile: i Greci, più pragmaticamente, rivivevano con tali miti antiche vittorie sulle grandi matriarche.

ETÀ DELL'ORO. La studiosa italiana Momolina Marconi (1912-2006) confermò l’ipotesi del matriarcato con l’idea che dalla Puglia alla Sardegna, alle coste africane e dell’Anatolia, fosse esistita una civiltà matriarcale, quella dei Pelasgi, che credeva in una Grande madre mediterranea. Un’età dell’oro, di bilanciamento fra i sessi. Ma questa fase matriarcale è stata spesso considerata un’utopia femminista, nonostante fosse stata ipotizzata anche dal filosofo ed economista Friedrich Engels (1820-1895) che ne spiegò la fine con la nascita della proprietà privata.


LE SOCIETÀ MATRIARCALI OGGI. Le cose negli ultimi anni sembrano essersi chiarite. Nel 2005 a San Marcos, in Texas (Usa), archeologi e antropologi da tutto il mondo si sono riuniti in un convegno di “studi matriarcali”, confrontando dati archeologici e osservazioni su alcune popolazioni attuali. Risultato: la civiltà megalitica del Neolitico era incentrata sulle donne. E decine di etnie risultano essere ancora oggi matriarcali. Per esempio, i Mosuo dello Yunnan cinese, i Bemba e i Lapula delle foreste dell’Africa centrale, gli indiani Cuna “isolati” al largo di Panamá o i Trobriandesi della Melanesia.

Fondamentale è uno studio sui Minangkabau di Sumatra, circa 4 milioni di persone. L’antropologa Peggy Reeves Sanday, dell’Università della Pennsylvania (Usa), ha trovato che i loro valori sono incentrati sulla cura, sui bisogni della comunità invece che sui principi patriarcali di “giustizia divina”, sacrifici e rigide prescrizioni sessuali dettate dall’alto. I valori di cura, i cerimoniali in onore dei cicli della natura e dono discendono da antenate mitiche divinizzate.

Il matriarcato, fra i Minangkabau come negli altri gruppi studiati, non è il semplice ribaltamento del patriarcato, cioè la dominazione opposta di un sesso sull’altro, ma una cultura di bilanciamento dei ruoli. Le spose restano a vivere nel villaggio della madre dove l’organizzazione e la cura dei figli si avvale degli uomini, ma questi sono in genere fratelli della sposa, zii e nonni.


Donne trobriandesi durante la locale festa dell’igname sfilano con i tuberi raccolti.

MARITI PART-TIME. I mariti abitano invece nel villaggio materno, dove si occupano dei loro nipoti e dei campi.

Sono infatti “visitatori serali” della sposa e il mattino presto tornano nel villaggio materno. Il risultato di questa relazione part-time è che i bambini vengono accuditi dalla madre e dai parenti materni, e quasi mai è chiaro chi sia il padre naturale. Quella che conta è la paternità sociale, collettiva.

Inoltre, il matrimonio di un elemento del clan A con uno del clan B non è isolato, ma è parte di una serie di unioni. Così come fra il clan B e il C. Alla fine i clan sono composti quasi soltanto da parenti. Così ogni persona ha una parte dei suoi geni nei conoscenti dei clan e tutto l’interesse ad aiutarli.

L’antropologa Heide Göttner- Abendroth, dell’Accademia internazionale Hagia di Winzer (Germania), fondatrice dei moderni studi sul matriarcato, ne ha descritto le caratteristiche principali, presenti e passate. «Viene praticata in genere l’orticoltura o una agricoltura di autosostentamento» spiega. «Si vive nel villaggio materno prendendo il nome della madre e se ne ereditano i beni. Ci sono matrimoni di gruppo fra clan e relazioni coniugali basate sulla “visita”, con conseguente libertà sessuale dei partner».


I DONI BATTONO LE VENDITE. La proprietà privata è ridotta al minimo: terreni e animali appartengono al clan. Al posto dello scambio è presente l’economia del dono. «Nello scambio si guarda al valore della merce e si soddisfa un bisogno personale» spiega l’antropologa. «Nel dono, invece, non si fanno valutazioni merceologiche, si soddisfa il bisogno dell’altro». Lo scambio interrompe la relazione (chi ha dato ha dato, chi ha avuto…). Il dono no, va ricambiato prima o poi, e la relazione continua. Nelle società matriarcali capita che il valore dei doni sia più alto o più basso, secondo la volontà e la possibilità delle persone. Ma ciò che si perde materialmente lo si guadagna in considerazione sociale, e al momento del bisogno i conti tornano sempre. Questa disparità nei doni, per esempio di un clan che ha avuto un raccolto favorevole e può donare di più, serve anche come riequilibrio sociale: la ricchezza viene distribuita meglio.


Statuine del V millennio a. C. da Poduri, Romania: è un’assemblea di dee e ricalca la vita reale nei villaggi matriarcali.

DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA. «I clan matriarcali» spiega ancora Göttner-Abendroth «funzionano su base assembleare, alla continua ricerca del consenso: una famiglia manda il suo rappresentante, donna o uomo, all’assemblea del clan. Se non c’è accordo si torna a consultare coloro che hanno dato la delega. Lo stesso succede quando i delegati del clan vanno a un’assemblea di villaggio, oppure quelli del villaggio a una regionale: se non c’è accordo si torna a parlare con chi si rappresenta.

L’idea sbagliata che il matriarcato non sia mai esistito era dovuta alla presenza di maschi nelle assemblee: alcuni antropologi li scambiarono per capi, ma erano solo delegati».

Altre caratteristiche dei matriarcati sono la fede in divinità femminili e una particolare credenza sulla morte. Nella visione matriarcale, dopo la morte si rinasce all’interno del proprio clan: il bambino non se lo ricorda, ma una volta era uno zio o una nonna. Questa idea deriva dall’osservazione dei cicli vegetali, che risale all’inizio dell’agricoltura. Le piante muoiono in autunno, ma i loro semi riposano d’inverno fino a primavera, quando germogliano e rinascono uguali a quelle precedenti.

Per questo nell’ipogeo funebre di Hal Saflieni (vedi sotto), a Malta, 5 mila anni fa le persone venivano seppellite in posizione fetale, in attesa che rinascessero nel clan. I cicli stagionali, le stelle che scompaiono per ritornare la sera dopo, il Sole che “muore” e sempre poi “rinasce”, lo stesso ciclo mestruale femminile, erano i riferimenti naturali del matriarcato, che portarono all’idea di una Grande madre che rassicurava tutti, femmine e maschi.


Il cimitero di Hal Saflieni (Malta, 2.500 a. C.). Si era sepolti in posizione fetale, per rinascere.

ARRIVANO I PATRIARCHI. Perché allora le cose cambiarono? Secondo la ricostruzione di Gimbutas, confermata dagli studi genetici e linguistici, in tre ondate successive dal 4500 a. C. al 3000 a. C. popoli guerrieri provenienti dalle pianure del Volga, che avevano addomesticato il cavallo e disponevano di armi di bronzo, dilagarono nella vecchia Europa, ma anche nel Vicino Oriente, spingendosi poi sulle rive dell’Indo. Parlavano una lingua proto-indoeuropea e avevano divinità celesti, maschili e guerriere.

La religione e i costumi dei popoli conquistati cambiarono, nella direzione del patriarcato. «Fu un processo lento che, sebbene giunto dall’esterno, trovò l’appoggio di diversi maschi delle popolazioni matriarcali» spiega l’antropologa Luciana Percovich, autrice del libro Oscure madri splendenti (Venexia). «Si iniziò a pretendere che le mogli si trasferissero nel villaggio dei mariti. Che i beni familiari e del clan si trasmettessero per linea maschile».

Una svolta dovuta al fatto che la guerra era diventata una forma di economia e la forza maschile era molto più importante di un tempo. Per fare in modo che le terre possedute e conquistate restassero ai propri discendenti, i maschi pretesero la sicurezza della paternità e per questo iniziarono a segregare le donne. Le sacerdotesse vennero subordinate ai sacerdoti.


La dea egizia Nut che si distende a formare la volta celeste: era signora del cielo, del giorno e della notte, e della rinascita.

MASCHI SOVVERSIVI. Fra i Sumeri, il popolo che in Mesopotamia ha dato vita alle prime città-Stato, allo sviluppo dell’irrigazione, dell’agricoltura e alla scrittura cuneiforme, si ebbe un periodo di transizione fra matriarcato e patriarcato.

Questa transizione risultava ben chiara durante l’investitura del re. «Egli doveva accoppiarsi con una grande sacerdotessa che rappresentava la dea Inanna (vedi immagine sotto), versione locale della dea madre» spiega Percovich. «I re venivano eletti e restavano in carica solo un anno. Ma poi questi prorogarono i loro mandati, si portarono alla pari con il potere religioso femminile e, successivamente, presero il sopravvento designando sacerdoti maschi. Il potere da allora divenne dinastico». Le frequenti guerre rafforzarono il ruolo centrale dei maschi che diedero ulteriore slancio alle risoluzioni violente dei conflitti, opzioni molto meno popolari nelle società matriarcali.



I Sumeri riflettono il passato matriarcale e la transizione al patriarcato nel ciclo mitico della dea Inanna (analoga alla babilonese Ishtar e alla fenicia Astarte), evoluzione locale della dea madre. Il mito racconta che la dea Inanna si impossessò dei “me” della conoscenza (i me nella mitologia sumera sono i fondamenti, le leggi e le pratiche alla base della civiltà) per donarli agli uomini. E come altra prova di virtù e coraggio discese negli inferi. Ma sua sorella Ereshkigal, che lì sotto regnava, invidiosa, la bloccò e lasciò uscire solo a patto di trovare qualcuno che la sostituisse fra i morti. Toccò a Dumuzi, lo sposo di Inanna. Ma la sorella di Dumuzi, per aiutarlo, si offrì di dargli il cambio: 6 mesi sarebbe rimasta negli inferi lei e sei mesi il fratello. Così Dumuzi poteva ricomparire vivo in primavera, per poi tornare fra i morti in autunno. Nella realtà, i primi re sumeri governavano a tempo determinato e dovevano accoppiarsi con una sacerdotessa che rappresentava Inanna.

L’IMBROGLIO BIOLOGICO. La Grande madre ebbe una variante anche in Egitto, con la dea del cielo Nut, ma poi i faraoni si dichiararono i rappresentanti in terra di divinità maschili, come Ra, il dio Sole. In Grecia, Zeus mandò nell’oblio la dea madre attuando una completa, innaturale e illogica inversione dei ruoli: partorì lui la figlia Atena, dalla testa.


1 marzo 2017 Franco Capone