mercoledì 8 ottobre 2025

Il Grande Gelo e le Città Sotterranee.

 

Negli antichi testi zoroastriani si racconta di un evento catastrofico che devastò la Terra: un'improvvisa e breve era glaciale, chiamata "i giorni di Malkush", che durò circa tre anni. Prima che questo disastro si verificasse, una divinità, Ahura Mazda, offrì un mezzo di salvezza: costruire città sotterranee per proteggersi dal gelo. Che ci sia del vero in questa storia, che sembra uscita direttamente da un romanzo di fantascienza?

Quella che vedete nella foto è Derinkuyu, una misteriosa città sotterranea situata nella regione turca della Cappadocia. Secondo gli archeologi, il centro della città esisteva già 2.800 anni fa, almeno 8 secoli a.C. Stiamo parlando di un'intera città, scavata fino a una profondità di 85 metri, in grado di ospitare fino a 20.000 persone. Ma è probabile che anche le grotte naturali siano antecedenti a questa data.

Derinkuyu non è una semplice grotta: è una struttura complessa, con 18 livelli sotterranei, tra cui pozzi, cappelle, stalle, scuole e persino aree dedicate alla produzione di vino e olio. Alcune parti della città mostrano tracce di riutilizzo in epoca medievale, con l'aggiunta di strutture religiose cristiane, ma il nucleo originario risale a un'epoca molto più antica.

La città fu "riscoperta" solo nel 1963, quando un uomo, mentre ristrutturava la sua casa, trovò per caso un tunnel che conduceva a questo mondo sotterraneo. Da allora, Derinkuyu è diventata uno degli esempi più affascinanti dell'ingegno umano antico.

Derinkuyu non è un caso isolato. Grazie alle moderne tecnologie che ci permettono di esplorare il mondo sotterraneo, stiamo scoprendo che le città sotterranee e le reti di tunnel sono un fenomeno diffuso in tutto il mondo:

Egitto: sotto l'altopiano di Giza si estende un vasto sistema sotterraneo di grotte, tunnel artificiali e fiumi. Alcuni ricercatori, come il Dott. Selim Hassan, hanno documentato passaggi che si estendono per chilometri, suggerendo che gli antichi Egizi (o forse una civiltà precedente) conoscessero tecniche di scavo avanzate.

Guatemala: Sotto il complesso piramidale Maya di Tikal sono stati mappati 800 chilometri di tunnel, molti dei quali rimangono inesplorati.

Cina: nel 1992, nella provincia di Zhejiang furono scoperte 24 grotte artificiali, scavate con incredibile precisione. Si stima che per costruirle siano stati rimossi circa 36.000 metri cubi di pietra.

Europa: migliaia di tunnel dell'età della pietra, chiamati "Erdstall", si estendono attraverso il continente, lasciando gli archeologi perplessi circa il loro scopo originale.

Oggi sappiamo che circa 12.000 anni fa la Terra fu colpita da un'improvvisa e intensa era glaciale chiamata Dryas Recente. Questo evento, durato circa 1.300 anni, causò un drastico calo delle temperature e sconvolse gli ecosistemi globali. È possibile che i "giorni di Malkush" narrati da Zoroastro siano un ricordo distorto di questo cataclisma? E se così fosse, città sotterranee come Derinkuyu furono costruite per proteggersi dal gelo?

Ma c'è di più: da cosa, o da chi, si proteggevano gli antichi quando scavavano queste città? Come potevano persone che, teoricamente, non sapevano nulla del ferro o della ruota, creare opere così complesse? Anche con la tecnologia del XXI secolo, costruire una città come Derinkuyu richiederebbe decenni di lavoro.

Cosa ci nasconde il nostro passato? È possibile che civiltà avanzate, ormai dimenticate, abbiano lasciato tracce del loro passaggio sotto i nostri piedi?


https://universocetico.com/a-grande-gelada/

Un fossile da un milione di anni riscrive la storia dell'Homo sapiens.

 

La ricostruzione virtuale del cranio Yunxian 2 rivela un mosaico di tratti primitivi e moderni, ridefinendo l’evoluzione umana.

Il protagonista di questa storia è Yunxian 2, un reperto di circa un milione di anni, scoperto in cina nel 1990 nella provincia di Hubei e a lungo attribuito erroneamente all’Homo erectus. Il cranio era gravemente danneggiato, ma oggi grazie a un lavoro tecnologico avanzato è stato possibile riportarlo alla sua forma originaria. La ricerca pubblicata su science ha mostrato come i ricercatori utilizzando tomografia computerizzata, scansione a luce strutturata e sofisticate tecniche di ricostruzione virtuale, sono riusciti a confrontare il cranio con oltre cento altri fossili umani e portando gli studiosi a credere che l'origine dell'homo sapiens potrebbe essere più antica di quanto pensassimo

Yunxian 2 combina tratti primitivi, come la scatola cranica bassa e tozza e il volto sporgente tipici dell’Homo erectus, con caratteristiche più moderne, simili a quelle dell’Homo longi, noto come “Uomo Drago”, e dello stesso Homo sapiens.

Secondo gli studiosi, guidati dall’Università Fudan di Shanghai e dall’Accademia delle Scienze cinese, in collaborazione con il paleo antropologo Chris Stringer del Natural History Museum di Londra, il fossile non appartiene a Homo erectus, ma a un ramo vicino ai Denisoviani.

La scoperta riscrive la nostra storia evolutiva: già un milione di anni fa i nostri antenati si erano divisi in più linee, da cui sarebbero emersi Neanderthal, Homo longi e Homo sapiens. Un quadro molto più antico e complesso di quanto si pensasse fino ad oggi con diverse linee evolutive che si sono separate in un arco di tempo molto ristretto, tra 1,38 e 1,02 milioni di anni fa. Come spiega lo stesso Stringer, “Yunxian 2 ci aiuta a chiarire quello che è l’enigma dei fossili compresi tra un milione e 300 mila anni fa”.
Un tassello fondamentale, che ci permette di guardare più a fondo alle radici intricate della nostra specie.


martedì 7 ottobre 2025

Salvini, un nome una garanzia...

 

L'idea non è malvagia...

Chiederemo a voi parlamentari le cauzioni personali quando andate al governo e combinate danni economici...

cetta

Les Cornus - Marco Travaglio

 

E niente, dopo soli 836 minuti anche Lecornu è venuto prematuramente a mancare, anche se lo tengono attaccato alle macchine per altri due giorni. Strano, perché per fare un’ottima riuscita aveva proprio tutto: è un “moderato riformista” e, com’è noto, “si vince al centro”; l’ha scelto Macron, il liderino amato dalla la gente che piace (soprattutto in Italia) e odiato dal suo popolo (notoriamente “populista”); non lo voterebbero manco i parenti stretti e questo fa curriculum nell’Occidente che, a furia di esportare la democrazia, l’ha quasi finita; pretendeva, come i predecessori, di governare la Francia contro i 9/10 dei francesi con un governo quasi uguale a quello appena sfiduciato, per salvare la poltrona al mini-Napoleone dell’Eliseo, il genio incompreso che programma il futuro di Russia, Ucraina, Ue e Nato senza sapere se arriva a Natale.

Cosa poteva mai andargli storto? Purtroppo quegli estremisti, populisti, sovranisti e ovviamente putiniani della destra e della sinistra che fanno sempre il pieno di voti non lo hanno capito e, anziché perdere milioni di elettori per portargli l’acqua con le orecchie, l’han bocciato. Ma non disperiamo. Prima di ammettere che forse il problema è lui e tornarsene a casa da Brigitte a suon di sberle, Micron ha ancora parecchie frecce al suo arco: gli basterà attingere al vasto catalogo di opzioni della democrazia 2.0 regnante da 15 anni in Europa.

Modello Italia. Si prende un banchiere o un prof che lavora per qualche banca d’affari, lo si promuove “tecnico super partes” per un “governo dei migliori” che trasformi l’esigua minoranza delle élite in maggioranza oceanica.

Modello Romania. Si va alle Presidenziali e, se vince il candidato sbagliato, si annulla tutto e si arresta il vincitore perché “ha stato Putin”. Poi si rivota a oltranza finché non vince quello giusto.

Modello Georgia. Se vince quello sbagliato grazie al solito Putin, si foraggiano cortei “spontanei” della minoranza democratica contro la maggioranza anti-democratica che pretende di governare solo perché ha vinto.

Modello Moldova. Si mettono fuorilegge i partiti sbagliati, dunque antidemocratici perché telecomandati dalla guerra ibrida russa, così vincono i democratici.

Modello Ucraina. Se vince il candidato sbagliato tipo Yanukovich nel 2004 e nel ‘10, si finanzia una “rivoluzione arancione” per cacciarlo. E, se rivince, si assoldano cecchini per una “rivoluzione rossa” (di sangue) che lo ri-cacci.

Modello baltico-polacco-tedesco-danese-israeliano. Si nomina primo ministro un altro Carneade, tipo Bayrou o Lecornu. Poi si fa volteggiare qualche drone non identificabile su un paio di aeroporti e si dichiara guerra alla Russia fingendo che sia stata la Russia a dichiarare guerra alla Francia.

di Marco Travaglio

Il Fatto Quotidiano
7 ottobre 2025

https://www.facebook.com/photo/?fbid=749400448086444&set=a.117463224613506

Botta e risposta...

 

Il Presidente degli Stati Donald Trump poche ore fa aveva attaccato col suo solito stile oxfordiano Greta Thunberg, definendola “una piantagrane con problemi di gestione della rabbia. Una pazza”.

Pochi minuti fa gli ha risposto la diretta interessata perculandolo meravigliosamente e trattandolo come dovrebbero essere sempre trattati i bulli.

“Ho sentito che Trump si è espresso ancora una volta in modo ‘lusinghiero’ sul mio carattere, e apprezzo la sua preoccupazione per la mia salute mentale.
A Trump: "Vorrei gentilmente ricevere da lei ogni tipo di raccomandazione abbia da darmi per gestire questi cosiddetti “problemi di gestione della rabbia” dal momento che - a giudicare dalle sue esperienze pregresse - sembra soffrirne anche lei.”

Semplicemente perfetta.

Ecco come si risponde a un bullo che a 79 anni, dall’alto del suo potere, se la prende con una ragazza di 22 anni che mette il proprio corpo, la sua faccia e la sua pelle per una missione umanitaria.

Con le uniche due armi che il bullo non possiede: ironia e intelligenza. 

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venerdì 3 ottobre 2025

Per la prima volta sono stati creati ovuli fecondabili da cellule della pelle: “Pensavamo fosse impossibile” - Maria Teresa Gasbarrone

In uno studio dalla portata potenzialmente rivoluzionaria, un gruppo di ricercatori dell’Oregon Health & Science University è riuscito a creare in laboratorio ovuli umani fecondabili a partire dal DNA di cellule cutanee. Lo studio è ancora soltanto una dimostrazione teorica e presenta molti limiti, ma per gli autori è una “pietra miliare” verso il trattamento dell’infertilità.

Per la prima volta nella storia sono stati creati in laboratorio ovuli umani usando il DNA di cellule della pelle. Ovuli che poi sono stati fecondati con spermatozoi e di cui una piccola parte è riuscita a svilupparsi fino allo stadio embrionale iniziale, quello che nella fecondazione in vitro tradizionale (IVF) è il momento in cui l'embrione viene impiantato nell'utero della donna.

"Abbiamo raggiunto un risultato che si pensava fosse impossibile". Con queste parole Shoukhrat Mitalipov, uno dei ricercatori dell'Oregon Health & Science University che hanno condotto lo studio, ha commentato i risultati a cui sono giunti, da poco pubblicati sulla rivista Nature Communications. Sebbene infatti si tratti – come precisano gli stessi autori – di una "proof of concept", ovvero una prova ancora a livello teorico, questo studio mostra per la prima volta che è possibile prendere il patrimonio genetico da una cellula non riproduttiva e trasferirlo in un ovulo che può essere fecondato in laboratorio.

Pur con tutti i limiti del caso, per i ricercatori questo risultato rappresenta comunque una "pietra miliare" verso una nuova tecnica per affrontare l'infertilità, in quanto apre una potenziale strada verso la gametogenesi in vitro, ovvero la creazione di cellule riproduttive, ma in laboratorio.

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Come sono stati creati gli ovuli

Riprendendo la stessa tecnica che è stata utilizzata già in passato per la clonazione animale, ovviamente in via sperimentale, i ricercatori hanno preso ovuli umani donati e li hanno privati del loro nucleo, dove si trova il materiale genetico. Di pari passo hanno prelevato cellule di pelle e da queste hanno estratto il nucleo, con tutto il suo corredo genetico. A questo punto hanno trasferito il nucleo della cellula della pelle nell'ovulo privato del suo nucleo. Con questa tecnica nel 1997 è stata clonata la famosa pecora Dolly.

A quel punto però i ricercatori dovevano affrontare la vera sfida: le cellule della pelle, così come tutte le altre del corpo, hanno 46 cromosomi (due set completi), tranne i gameti, ovvero le cellule riproduttive (gli spermatozoi negli uomini e gli ovuli nelle donne): questi infatti hanno metà esatta dei cromosomi, 23. Le cellule con 46 cromosomi sono dette "diploidi", quelle con 23 "aploidi". Questo è fondamentale perché nel momento della fecondazione i due set da 23 cromosomi si uniscono formando una cellula con il numero completo di cromosomi (cellula diploide).

"Un terzo processo di divisione cellulare"

Per risolvere questo problema i ricercatori hanno studiato i metodi di riproduzione cellulare: "La natura ci ha fornito due metodi di divisione cellulare e noi ne abbiamo appena sviluppato un terzo", ha detto Mitalipov. Il nome stesso anticipa il suo funzionamento. I ricercatori l'hanno chiamato "mitomeiosi" in quanto è una combinazione tra mitosi e meiosi. La prima è il processo attraverso cui si generano due cellule geneticamente identiche da una singola cellula, il secondo invece permette la riproduzione sessuale, in quanto consente il dimezzamento del numero di cromosomi in ciascuna cellula riproduttiva.

Con una buona dose di semplificazione possiamo dire che i ricercatori hanno combinato i due processi: quando hanno impiantato il nucleo della cellula di pelle nell'ovulo privato del suo nucleo, hanno visto che il citoplasma riusciva a influenzare il nucleo. Il citoplasma, la parte che circonda l'ovulo, svolge infatti un importante ruolo di regia nei processi di divisione cellulare.

In sostanza, il citoplasma dell'ovulo ha stimolato il nucleo della cellula cutanea, inducendolo a scartare metà dei suoi cromosomi in un processo simile alla meiosi. In questo modo i ricercatori hanno creato 82 ovuli funzionali, che sono stati poi fecondati tramite fecondazione in vitro con spermatozoi donati.

Hanno poi osservato in provetta come si comportavano questi embrioni. Di questi, circa il 9% si sono sviluppati fino allo stadio di blastocisti (sei giorni dopo la fecondazione), ovvero lo stadio in cui nell'IVF tradizionale l’embrione sarebbe trasferito nell’utero. Molti embrioni presentavano però anomalie cromosomiche e in ogni caso nessun embrione è stato impiantato in un utero perché lo studio è stato condotto esclusivamente in laboratorio.

Prospettive e possibili limiti.

Il potenziale sviluppo di una tecnica di gametogenesi in vitro sicura, ovvero una tecnica che a partire dal nucleo di altre cellule permette di creare dei gameti fecondabili potrebbe fare la differenza per le donne che desiderano una gravidanza ma che non sono più fertili per l'età avanzata o perché non sono più in grado di produrre ovuli funzionali dopo cure contro il cancro o altri motivi.

"Oltre a offrire speranza a milioni di persone con infertilità dovuta alla mancanza di ovuli o spermatozoi, questo metodo – ha aggiunto la professoressa Paula Amato, coautrice dello studio – consentirebbe alle coppie dello stesso sesso di avere un figlio geneticamente imparentato con entrambi i partner".

Ma allo stesso tempo sono molto cauti sull'eventuale applicazione di questa tecnica nella realtà: perché per prima cosa – ribadiscono – serve tempo, almeno dieci anni, di ricerca prima che l'approccio possa essere ritenuto sufficientemente sicuro o efficace da poter essere sottoposto a sperimentazione clinica. Inoltre, quest'ultima non è scontata, perché qualsiasi sperimentazione clinica, per poter partire, ha bisogno dell'autorizzazione degli organi di sicurezza e regolamentazione del paese in cui dovrebbe essere condotta, in questo caso gli Stati Uniti. Ovviamente il punto interrogativo, in questo studio più che in altri, è d'obbligo perché fa riferimento a un argomento che già oggi rappresenta un terreno di dibattito, spesso di scontro, molto accidentato.

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Assurdo pianeta affamato come una stella vaga nello spazio: “Accumula 6 miliardi di tonnellate al secondo” - Andrea Centini

 

Nel cuore dello spazio profondo, a 620 anni luce dalla Terra e incastonato nella costellazione del Camaleonte, si trova un pianeta vagante – cioè libero e non associato a un sistema stellare – che si accresce in modo incredibilmente vorace, tanto da accumulare 6 miliardi di tonnellate di materiale ogni secondo. Questo ritmo di accrescimento è così estremo che fino ad oggi non era mai stato documentato in nessun pianeta, ma solo nelle stelle e nelle cosiddette "stelle fallite" (nane brune), ecco perché secondo gli autori dello studio questo oggetto così peculiare confonde un po' i confini tra ciò che è un pianeta e ciò che è una stella.

La massa dell'esopianeta, chiamato Cha 1107-7626, è da 5 a 10 volte superiore quella di Giove, il pianeta più grande e massiccio del Sistema solare, pertanto non siamo innanzi a una nana bruna, caratterizzata da una massa compresa tra 13 e 80 volte quella di Giove. Le nane brune sono oggetti intermedi tra stelle e pianeti, che non brillano di luce propria perché non riescono a fondere l'idrogeno come fanno le stelle vere e proprie, ma possono fondere altri elementi – come il deuterio – e “splendere” nell'infrarosso. In questi affascinanti corpi celesti, così come nelle giovani stelle in crescita, è stato osservato un accrescimento vorace simile di Cha 1107-7626, ma hanno tutti masse sensibilmente superiori a quella del pianeta. Pertanto, questo è il primo oggetto di massa planetaria a mostrare una simile “fame”.

A documentare l'accrescimento estremo dell'esopianeta Cha 1107-7626 è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Osservatorio Astronomico di Palermo dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di vari istituti. Fra quelli coinvolti la Facoltà di Fisica e Astronomia dell'Università di St. Andrews (Regno Unito), il Dipartimento di Fisica e Astronomia della Johns Hopkins University (Stati Uniti), il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Bologna e altri. I ricercatori, coordinati dal dottor Victor Almendros-Abad dell'osservatorio siciliano, hanno fatto questa scoperta dopo aver messo nel mirino Cha 1107-7626 con lo strumento XSHOOTER installato sul potente Very Large Telescope (VLT) dell'ESO (Cile) e il Telescopio Spaziale James Webb.

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Il pianeta vagante era stato scoperto nel 2008 e gli scienziati avevano presto capito che si trattava di qualcosa di molto interessante, alla luce di segni di accrescimento. Tra la primavera e l'estate di quest'anno il dottor Almendros-Abad e colleghi hanno puntato l'oggetto più volte, scoprendo un improvviso e significativo aumento di luminosità nel corso dei mesi estivi, fino a sei volte. Ciò era compatibile con il fenomeno dei lampi Exor, ovvero quelli emessi dalle stelle giovani mentre si accrescono in modo vorace e repentino. Secondo i calcoli degli esperti, durante questa sessione di "fame eccezionale", il pianeta era in grado di accumulare ben 6 miliardi di tonnellate di materiale al secondo dal disco di accrescimento di gas e polveri che lo avvolge. Analizzando dati di archivio, è stato scoperto che Cha 1107-7626 si era già comportato così nel 2016, quindi siamo innanzi ad “attacchi di fame” ricorrenti. I ricercatori hanno anche osservato alcuni cambiamenti nella composizione chimica del disco di accrescimento, come ad esempio la comparsa di tracce di vapore acqueo.



L’esopianeta in formazione Cha 1107–7626, vorace come una stella. Credit: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser

Tutto questo suggerisce che il raro pianeta vagabondo sia nato in una nube di gas e polveri in modo non dissimile da una stella, e che non sia stato espulso nello spazio profondo dal suo sistema stellare (un'altra possibile origine per i pianeti vaganti, come potrebbe diventare la Terra alla “morte” del Sole). “Questa scoperta confonde il confine tra stelle e pianeti e ci offre un'anteprima dei primi periodi di formazione dei pianeti vaganti”, ha affermato in un comunicato stampa la coautrice dello studio Belinda Damian. I dettagli della ricerca "Discovery of an Accretion Burst in a Free-floating Planetary-mass Object" sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata The Astrophysical Journal Letters.

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