domenica 13 marzo 2016

Per Renzi un buffet da 120mila euro in una galleria dell'autostrada.



Per l'arrivo del premier il cantiere per qualche ora si è trasformato in una sorta di loft, con tanto di divani in vimini e buffet molto ricercato.

COSENZA - Sono diverse le cose rimaste dalla visita del premier Matteo Renzi. 
Fra queste l’incredibile banchetto organizzato all’interno della galleria di Mormanno. Il cantiere per qualche ora si è trasformato in una sorta di loft, con tanto di divani in vimini e buffet molto ricercato. Pare ci fosse anche un carretto con gelati artigianali. Il tutto organizzato da una ditta di Tarsia per una cifra vicina ai 120mila euro.
Chi ha pagato? C’è chi dice l’Anas, chi la ditta che sta effettuando i lavori. 
L'Anas fa intanto sapere di non aver richiesto il buffet che è stato invece un'iniziativa della Italsarc (il consorzio di imprese che fa da general contractor dell'opera) che a ogni inaugurazione di tratto di autostrada offre un rinfresco ai suoi dipendenti. 
L'Anas precisa anche che il presidente del Consiglio Matteo Renzi non ha preso parte al buffet.
Un fatto è certo: in pochi hanno approfittato del buffet vista la location.

venerdì 11 marzo 2016

Riciclaggio di denaro evaso. Indagati gli amici di Boschi senior. -

boschi giacca red

Perquisite case e uffici. Associazione a delinquere e riciclaggio di denaro evaso al fisco per il faccendiere Flavio Carboni e il massone Valeriano Mureddu. A loro chiedeva consiglio il papà del ministro per Banca Etruria e…
La crisi economica? Un’ottima opportunità per riciclare denaro evaso al fisco, acquistando grandi aziende e società in difficoltà. La brillante idea sarebbe venuta secondo la Procura di Perugia (a marzo 2014) che poi ha trasferito il fascicolo per competenza alla Procura di Arezzo, a Flavio Carboni e Valeriano Mureddu, persone legate in qualche modo al giglio magico renziano e che sono finite iscritte nel registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro ed evasione fiscale. La vicenda è stata ricostruita dal Fatto Quotidiano.
Chi sono Carboni e Mureddu? I due nomi sono spuntati fuori in occasione della complessa vicenda di Banca Etruria, finita gambe all’aria, con multe e reati ipotizzati per i vertici della Popolare aretina fra cui anche Pier Luigi Boschi (ex vicepresidente), padre del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi.
Carboni è l’ultraottantenne faccendiere passato dall’inchiesta sul suicidio del banchiere di Dio Roberto Calvi alla P2 fino alla P3, amico di Licio Gelli prima e di Denis Verdini poi e in affari anche con Silvio Berlusconi. 
Mureddu, invece, è un sardo, che si autoproclama massone e appartenente ai servizi, cresciuto a Rignano sull’Arno, in una casa nella stessa via dell’abitazione nella quale è nato e cresciuto il premier Matteo Renzi e che, a sua detta, ha concluso con Tiziano Renzi ottimi affari. Ed è inoltre “ottimo amico”, dice sempre, di Pier Luigi Boschi che aveva messo in contatto a metà 2014 (con tanto di incontri) con Carboni per la ricerca del nuovo direttore generale di PopEtruria (individuato poi in Fabio Arpe, fratello del più famoso Matteo, ex Capitalia). Mureddu poi definisce Carboni “una guida e un mentore, come un padre”.
Il riciclaggio di denaro evaso al fisco. 
E’ l’ultima accusa rivolta a Carboni che con Mureddu e altre sei persone si sarebbero appropriate di fondi neri creati “grazie all’emissione e all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed approfittando della difficile congiuntura economica – scrivono i magistrati – hanno poi reimpiegato tale provviste nell’acquisizione anche tentata, di grandi aziende (anche attraverso la società Geovision intestata a Mureddu, ndr) che attraversavano un periodo di crisi finanziaria e operano in settori strategici dell’economia nazionale”.
L’inchiesta ha portato ieri le Fiamme gialle della Gdf a una serie di perquisizioni in Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Veneto e Lazio e Sardegna a sedi di aziende cedute o acquistate da Mureddu e Carboni e riconducibili alla Geovision.

Speculazione delusa: la Bce punta più sull’economia. - Morya Longo




Mario Draghi sembra aver perso il potere di incantare i mercati. Se una volta gli bastava aprire bocca per far partire rally fenomenali su Borse e titoli di Stato, ora la speculazione sembra non essere mai soddisfatta. Ma non è detto che questo sia negativo. Anzi: la reazione stizzita dei mercati di ieri potrebbe essere una buona notizia.
Draghi ha infatti deluso le Borse perché questa volta lo “zuccherino” non l’ha dato ai mercati finanziari (a quella speculazione internazionale che gode a vedere i tassi d’interesse diventare sempre più negativi), ma ha provato a darlo soprattutto all’economia reale. 

Non è detto che il suo intento funzioni: per far ripartire il credito in Europa serve ben più di un pacchetto di misure monetarie. Servirebbe una vera ripresa economica, un ritorno degli investimenti, una maggiore fiducia tra imprese e consumatori. E servirebbe soprattutto una politica fiscale più espansiva.
Ma almeno questa volta il focus della Bce è stato sull’economia reale più che sul mondo impazzito della finanza. 

Questo i mercati l’hanno percepito: così, dopo un’iniziale euforia, hanno reagito male. Ed è proprio per questo che non dobbiamo impensierirci più di tanto: non c’è infatti nulla per cui disperarsi se, una volta tanto, i benefici maggiori della politica monetaria dovessero arrivare più sulle imprese e sulle famiglie che sulla speculazione internazionale. Anzi, diciamolo chiaramente: sarebbe auspicabile.

Mercati delusi
Sono i grafici dei listini azionari, dell’euro e di tutti i mercati a spiegare chiaramente perché gli investitori siano rimasti delusi: a indispettirli non è stato il pacchetto di misure sfoderato dalla Bce alle 13,45, ma l’indicazione data da Draghi dopo le 14,30 quando ha lasciato intendere che difficilmente i tassi sui depositi delle banche in Bce scenderanno ulteriormente sotto quota -0,40%. Prima che Draghi svelasse questo dettaglio (indigesto per gli speculatori), ad esclusione dell’oro i mercati infatti brindavano alla manovra della Bce: Piazza Affari era arrivata a guadagnare il 4,41% e l’euro si era indebolito fino a un minimo di 1,0822 sul dollaro. 

Il motivo di tanto brio era legato al fatto che la manovra della Bce (soprattutto la riduzione del tasso sui depositi a -0,40% e l’aumento del quantitative easing) sembrava assicurare ancora tanta “droga” monetaria ai mercati. Tanta liquidità.
Appena Draghi ha iniziato a parlare, però, i mercati hanno capito che per loro la festa potrebbe finire presto. Il presidente Bce ha infatti lasciato intendere che d’ora in avanti difficilmente i tassi sui depositi scenderanno ancora. E ha detto senza mezzi termini che il suo focus questa volta (e in futuro se servirà) è orientato più sull’economia reale. Il vero coniglio uscito ieri dal cappello di Draghi è infatti il nuovo Tltro: cioè i nuovi prestiti alle banche, con tassi che potrebbero arrivare a -0,40%, vincolati all’erogazione di credito a imprese e famiglie. Insomma: la Bce di fatto pagherà le banche (avete capito bene: regalerà loro un po’ di utili) se queste aumenteranno i finanziamenti a imprese e famiglie. L’altro “coniglio" è dato dal fatto che la Bce comprerà presto anche obbligazioni emesse da imprese. Questa manovra dovrebbe piacere agli investitori, perché potrebbe stimolare la malandata economia europea. E forse, presto o tardi, i mercati lo capiranno. Ma, nell’immediato, ha prevalso la delusione: perché gli investitori vorrebbero sempre sentirsi dire che ad uno stimolo elargito ne seguirà un altro.

Economia reale.
Ovviamente per capire se questo pacchetto sarà davvero in grado di rivitalizzare l’arrugginita locomotiva europea servirà tempo. Ieri i commenti degli economisti erano in gran parte entusiasti: Fabio Balboni e Karen Ward di Hsbc si sono detti «impressionati dalle misure varate dalla Bce», un altro economista (che preferisce restare anonimo) le ritiene addirittura un «cambio di paradigma». Un altro suggerisce agli investitori di «cambiare occhiali» per capire davvero la mossa della Bce. Certo è che non basta “regalare” soldi alle banche per spronarle ad erogare più credito alle imprese, anche perché la stessa Bce impone alle medesime banche regole prudenziali sempre più stringenti che limitano la loro capacità di prestare denaro. Come già detto, per stimolare il credito e la crescita economica serve anche altro.


Ma almeno, questa volta, il bazooka è puntato sul bersaglio giusto: l’economia reale. La Bce ha preso atto che l’Europa non è l’America: da noi le imprese non si finanziano emettendo bond (come negli Usa), per cui continuare a gettare liquidità solo sui mercati rischiava di diventare un esercizio sterile. Da noi la liquidità all’economia reale arriva dalle banche: è il loro rubinetto, dunque, che va riaperto. Ed è qui che la Bce sta intervenendo. L’Eurotower ha anche capito che giocare al ribasso continuamente sul tasso dei depositi bancari è un altro esercizio che rischia di diventare sterile. Dunque ha fatto capire che questa è probabilmente l’ultima volta. Draghi, dunque, ha cambiato passo. 

Una volta tanto, una banca centrale non ha pensato solo ad assecondare i mercati finanziari, ma ha guardato altrove. E questo, prima ancora di sapere se la manovra avrà effetto, è già un punto a suo favore.

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-03-11/speculazione-delusa-la-bce-punta-piu-sull-economia-102026.shtml?uuid=ACxIfJmC&refresh_ce=1

Leggi anche: 
http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/11887197/draghi-bce-tassi-azzerati-mutui-prestiti-soldi-cosa-cambia.html

TRIPOLI E MISURATA IL VIETNAM DI RENZI. - Mara Maldo



La Libia può diventare il Vietnam del governo di Matteo Renzi? Il processo politico tarda a sbloccarsi. Sebbene il 15 febbraio sia stata presentata da al Serraj la lista dei ministri del governo di unità nazionale libico — che, rispetto alla precedente, è più snella, prevede 18 elementi (13 "ministri" e cinque "ministri di Stato") e nessun cambiamento per i dicasteri della Difesa e dell'Interno, un nome nuovo per gli Esteri, Taher Sayala — di fronte alla difficoltà di ottenere una pronuncia favorevole del Parlamento di Tobruk, emerge la proposta italiana, ora all'esame dell'Onu dal 2 marzo, di dare rilievo alle 101 firme dei parlamentari di Tobruk senza passare per un voto formale dello stesso Parlamento.

Mentre gli alleati confermano sul piano diplomatico un ruolo di leadership per l'Italia nella futura missione Liam (Libyan international assistance mission), alcune fughe di notizie statunitensi sembrano indicare il desiderio di Washington di coinvolgere l'Italia in un ruolo maggiormente attivo nella guerra all'Isis — ruolo che il governo Renzi ha finora respinto, rifiutando di armare i quattro Tornado schierati in Iraq. 

Così, il 24 febbraio il Wall Street Journal ha riferito che il governo italiano ha autorizzato gli Stati Uniti ad impiegare i velivoli teleguidati Reaper dislocati nella base di Sigonella nei raid in Libia, ma solo per effettuare "missioni difensive". Come riportato dalla stampa italiana, il presidente del Consiglio Renzi ha chiarito che le autorizzazioni per l'utilizzo della base di Sigonella per la partenza dei droni anti-terrorismo avverranno "caso per caso", precisando che "la priorità è la risposta diplomatica ma se abbiamo prove evidenti che si stanno preparando attentati l'Italia fa la sua parte". 
Dopo l'articolo del Wall Street Journal, il ministero della Difesa italiano ha confermato la notizia dell'accordo, sottolineando però che "l'attività non è comunque ancora iniziata e dovrà essere sottoposta, di volta in volta, all'autorizzazione del governo italiano che darà luce verde solo a missioni a scopo difensivo".

Da segnalare l'opinione del gen. Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa, affidata alle pagine del Corriere della Sera il 24 febbraio, che ritiene che "sul piano strategico non vale la pena di inseguire il miraggio di un governo unitario... meglio lasciar perdere... La soluzione migliore per la Libia sarebbe la divisione in tre parti: la Cirenaica, la Tripolitania e la zona meridionale dove le tribù sono armate le une contro le altre". 
Tesi esplicitata ulteriormente nella stessa data su Affari internazionali on line: "Mi piacerebbe però che l'attuale situazione di apparente stallo inducesse a una riflessione di più ampio respiro: davvero ci conviene puntare a una rappresentanza politica unitaria della Libia, che in ogni caso sarebbe afflitta da fragilità endemiche o non è forse il caso di esaminare l'opportunità di prendere atto che le diverse anime di quel vastissimo territorio possono ambire a forme statuali più articolate, ad esempio con un ritorno alle divisioni storiche di Cirenaica e Tripolitania (ed eventualmente Fezzan)?".

Secondo il Wall Street Journal l'amministrazione Obama sta tentando di persuadere il governo italiano ad autorizzare l'uso dei droni anche in operazioni offensive, come quella condotta dagli Stati Uniti il 19 febbraio contro il campo dell'Isis a Sabrata (Tripolitania occidentale) in cui sono morti una quarantina di miliziani incluso Noureddine Chouchane, responsabile degli attentati dell'anno scorso in Tunisia, al museo del Bardo di Tunisi e sulla spiaggia di Sousse. L'incursione è stata effettuata da cacciabombardieri F-15E decollati da Lakeneath, in Gran Bretagna, perché Roma ha rifiutato al Pentagono l'autorizzazione a impiegare i droni armati Reaper basati a Sigonella insieme ai ricognitori strategici teleguidati Global Hawk. 
Secondo quanto riferisce il giornale statunitense, le riserve del governo Renzi ad autorizzare l'impiego su vasta scala dei droni statunitensi sono legate al timore di scatenare l'opposizione interna, specialmente in caso di vittime civili. 

Il Sole 24 Ore fa notare che è "Difficile però, in termini tecnico-operativi e non politici, distinguere tra missioni difensive e offensive. Ad esempio, un intervento armato dei droni a difesa di forze speciali americane o alleate schierate in Libia potrebbe venire considerato difensivo ma già la presenza di truppe e mezzi militari in un Paese straniero costituisce di fatto un'azione offensiva".
Il Sole 24 Ore fa notare anche che per la seconda volta in pochi mesi gli Stati Uniti anticipano informazioni legate al ruolo dell'Italia contro l'Isis che Roma evidentemente non avrebbe voluto pubblicizzare o avrebbe preferito annunciare successivamente. 
Nel dicembre scorso Barack Obama riferì pubblicamente della missione delle truppe italiane in Iraq a difesa della diga di Mosul di cui aveva parlato con Renzi ma che non era stata definita e ufficializzata. Stessa tecnica utilizzata quando fonti dell'amministrazione hanno riferito al WSJ del parziale via libera di Roma all'impiego dei droni basati a Sigonella sulla Libia.

Il 25 febbraio 2016 il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal presidente della Repubblica Mattarella, "ha attentamente valutato la situazione in Libia, con riferimento sia al travagliato percorso di formazione del Governo di Accordo Nazionale sia alle predisposizioni per una eventuale missione militare di supporto su richiesta delle autorità libiche", come risulta dal comunicato diffuso dal Quirinale.

Ancora il Wall Street Journal ha rivelato il 29 febbraio la notizia dell'asserita creazione a Roma di un centro di coordinamento delle operazioni speciali allestito dai militari degli Stati Uniti e alleati. Mentre statunitensi, britannici e francesi hanno già inviato forze speciali sul terreno e stanno già conducendo operazioni in Libia che rispondono ai rispettivi interessi nazionali, "l'attribuzione all'Italia del comando di una missione di supporto e addestramento delle forze libiche avrebbe un peso marginale rispetto alle operazioni belliche messe a segno da francesi, britannici e statunitensi".

Sembra però che l'Italia non resti del tutto tagliata fuori dalle operazioni sul terreno, in quanto, con DPCM del 10 febbraio 2016 — secretato, ma in parte reso noto dalla stampa nazionale in data 3 marzo 2016 — è stato disciplinato il rapporto tra Aise e Forze speciali della Difesa, prevedendo — a quanto riferito dalla stampa — che il presidente del Consiglio, avvalendosi del Dis, possa autorizzare l'Aise ad adottare misure di contrasto e di intelligence anche con la collaborazione tecnica ed operativa delle Forze speciali della Difesa, alle quali si estendono le garanzie funzionali di cui godono gli agenti dell'Aise — come già previsto dall'art. 7-bis, comma 3, dell'ultimo decreto missioni.

Tale ultima disposizione — richiamando quanto previsto dalla legge 124/2007, articolo 17, comma 7 — in particolare prevede che quando, per particolari condizioni di fatto e per eccezionali necessità, le attività d'intelligence sono state svolte da persone non addette ai servizi di informazione per la sicurezza, in concorso con uno o più dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza, e risulta che il ricorso alla loro opera da parte dei servizi di informazione per la sicurezza era indispensabile ed era stato autorizzato secondo le procedure previste dall'art. 18 della medesima legge, tali persone sono equiparate, ai fini dell'applicazione della speciale causa di giustificazione, al personale dei servizi di informazione per la sicurezza.

Secondo quanto riportato dal Corriere, delle missioni di unità speciali a fini di intelligence eventualmente disposte dal presidente del Consiglio, il Parlamento verrà informato con atti scritti e secretati, tramite il Copasir.
A seguito del citato DPCM, sarebbero state inviate tre squadre di circa 12-13 unità di personale dell'Aise ciascuna (circa 40 unità) a cui si aggiungerebbero nelle prossime ore 50 unità dei paracadutisti del Reggimento Col Moschin.

Frattanto il 3 marzo, relativamente alla diffusione di alcune immagini di vittime di sparatoria nella regione di Sabrata in Libia, apparentemente riconducibili a occidentali, la Farnesina ha informato che "da tali immagini e tuttora in assenza della disponibilità dei corpi, potrebbe trattarsi di due dei quattro italiani, dipendenti della società di costruzioni Bonatti, rapiti nel luglio 2015 e precisamente di Fausto Piano e Salvatore Failla". Nella stessa data, il Copasir "alla luce di quanto avvenuto in Libia a due ostaggi italiani", ha convocato con urgenza l'Autorità delegata, senatore Marco Minniti.

Da lunedì il governo Renzi sarà obbligato a confrontarsi col Parlamento. Berlusconi ha già dichiarato che in Libia non si deve bombardare. Ancora più netto è stato Prodi. Matteo sa che deve fare una guerra senza darlo a vedere. Dicono che sia un giocatore delle tre carte. Forse è il momento di dimostrarlo. 

Link: http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2016/3/5/ITALIA-IN-LIBIA-Tripoli-e-Misurata-il-Vietnam-di-Renzi/685355/
5.03.2016

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16310

ITALIA, LIBIA, GUERRA, INTELLIGENCE. - Marco Della Luna

ArtiglieriaCammellataItaliana


Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia.
Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli USA e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani.

La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli USA in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre.

Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele. 
In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti. Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia. Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) saranno tenute segrete anche ai suoi familiari, non solo alla stampa. Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo.

La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal parlamento, decisa da Washington. E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington. Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi. 
E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.

Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro. Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei). Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’ONU e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere.

Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.

Fonte: http://marcodellaluna.info
Link: http://marcodellaluna.info/sito/2016/03/04/italia-libia-guerra/
4.03.2016

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16312

giovedì 10 marzo 2016

Popolare Vicenza, un milione a Zonin nell’annus horribilis della banca. - Mario Gerevini

Gianni Zonin

Il compenso 2015 all’ex presidente per il lavoro fatto nell’anno più disastroso nella storia dell’istituto. I soci perdevano in media 42 mila euro a testa. Passata ai figli la quota di maggioranza della casa vinicola.

Un milione. L’ex presidente Gianni Zonin, dimessosi il 23 novembre scorso, indagato dalla procura vicentina per presunti reati nella gestione della Banca Popolare di Vicenza, incassa un milione di euro di compenso (in linea con il 2014) per il lavoro fatto nell’anno più disastroso nella storia dell’istituto. Quello in cui i soci hanno visto letteralmente sparire 5 miliardi di risparmi (42mila euro a testa), famiglie rovinate, aziende distrutte, la banca tramortita, la reputazione ai minimi termini e un drastico piano di salvataggio, appena approvato.

I dettagli degli stipendi saranno resi noti nell’assemblea di bilancio convocata ieri dal consiglio per il 26 marzo. 
Ma il milione a Zonin, come tutti gli emolumenti del vertice, è già contabilizzato. Sempre ieri si è saputo che l’Antitrust ha aperto un procedimento contro la Popolare, ora spa, per presunta pratica commerciale scorretta, cioè l’aver condizionato, in passato, l’erogazione di prestiti all’acquisto di azioni. Subito dopo le dimissioni, Zonin, con una manovra sulle sue holding, ha assicurato il controllo del gruppo vinicolo ai tre figli. Tre bonifici per un totale di 2,5 milioni sono arrivati nel conto dell’accomandita «Gianni Zonin Vineyards» alla sede storica della Popolare in Contrà Porti. Denaro per ricapitalizzare la sas, retta da un intreccio di titoli in proprietà e usufrutto tra il capostipite e i figli. L’aumento, però, viene sottoscritto solo dai figli che salgono così al 50,02% garantendosi, a cascata, il controllo del gruppo. 

Forse era previsto o forse è un’operazione dettata dalla prudenza: con l’aria che tira non si sa mai che un ipotetico sequestro vada a toccare la Casa Vinicola Zonin.
Il vertice della banca, tuttavia, si muove con grande prudenza. Del resto è noto che gran parte del consiglio (13 su 18) è tuttora espressione della vecchia gestione. Si può chiedere, per esempio, a Marino Breganze (68 anni) di agire eventualmente contro sé stesso o contro chi gli ha garantito la poltrona di vicepresidente per 16 anni, di consigliere per 29, 590mila euro di stipendio, compreso quello da attuale presidente di Banca Nuova? 
E il segretario del consiglio Giorgio Tibaldo (66) che è lì esattamente da 30 anni, e prende 220mila euro? Di uomini cresciuti fianco a fianco con Zonin è pieno il cda. «Io non parlo e lei non mi citi — dice al telefono uno dei nomi nuovi al vertice — ma ho visto cose che voi umani ...».
E il collegio sindacale, che avrebbe titolo per avviare autonomamente azioni di responsabilità? Due su tre sono professionisti di fiducia di Zonin. Il numero uno, Giovanni Zamberlan (in servizio da 28 anni, 200mila euro di emolumenti, quasi il doppio dei sindaci Eni), è ben conosciuto anche dal nuovo presidente della banca, Stefano Dolcetta che lo ritrova alla guida del collegio della «sua» Fiamm e di altre 6 aziende del gruppo. All’assemblea del 26 solo il bilancio è all’ordine del giorno. Nessun ricambio nel consiglio. E la Fondazione Cassa di Prato, che ha fatto un bagno di sangue con azioni di Vicenza, preannuncia battaglia.

Wuppertal, Germania, monorotaia sospesa.