sabato 28 settembre 2019

Italia Morta. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 28 Settembre:

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Munitevi di un bel sacchetto da vomito e leggete qua: “…Vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito… Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità di tutte le Istituzioni”. L’autore di questa prosa ributtante è Matteo Renzi, già sindaco e ora senatore di Firenze, Comune parte civile nei processi per le stragi del 1993-’94, una delle quali sterminò 5 persone fra cui una bimba di 50 giorni proprio a Firenze in via dei Georgofili. Quando mai costui abbia “contrastato Berlusconi sul piano della politica”, non è dato sapere. A meno che l’intrepido “contrasto” non sia consistito nel correre ad Arcore a baciargli la pantofola con tacco e rialzo prima di diventare segretario Pd e, subito dopo, invitarlo al Nazareno per scrivere una legge elettorale incostituzionale (l’Italicum) e una schiforma costituzionale (poi rasa al suolo dagli elettori). Ora, avendo tentato per cinque anni di diventare come B. senza riuscirci, si accontenta di fregargli un paio di deputati e qualche elettore superstite, nella speranza di superare il 3-4% nei sondaggi con Italia Viva (si fa per dire).

Infatti, appena s’è diffusa la notizia che l’inchiesta di Firenze sui mandanti occulti delle stragi comprende l’attentato a Costanzo, l’impunito ha bruciato sul tempo gli altri leader di centrodestra, da Salvini alla Meloni, nel difendere in simultanea con Sallusti e Farina-Betulla il martire perseguitato dalle toghe fiorentine. Le stesse – ma è solo una coincidenza – che han fatto arrestare il su babbo e la su mamma e indagano sugli strani finanziatori della Leopolda. Renzi non sa nulla dell’inchiesta sulle stragi, e questa non è una colpa: c’è il segreto investigativo. Ma, se invoca a ogni piè sospinto “sentenze” possibilmente “definitive”, dovrebbe sapere qualcosa di quelle che han condannato i boss delle stragi (anche grazie ai pm di Firenze) e soprattutto quella che ha condannato Marcello Dell’Utri a 7 anni per mafia; senza contare quella di I grado sulla Trattativa (altri 12 anni a Dell’Utri). Così eviterebbe di fare lo gnorri sull’indagine riaperta due estati fa (non dalla Procura, ma dal gip) sull’ipotesi che B. e Dell’Utri siano coinvolti nell’ideazione di quelle stragi. O di approfittare dell’ignoranza generale (diffusa a piene mani dall’apposita stampa) per dire scemenze come “senza uno straccio di prova”.

Se l’inchiesta sui mandanti esterni, più volte aperta e archiviata in base a fior di prove ritenute però insufficienti, è ripartita nel 2017 è proprio perché ne sono giunte di nuove: le intercettazioni del boss Giuseppe Graviano, che pianificò le autobombe da via D’Amelio (19.7.’92) allo stadio Olimpico di Roma (23.1.’94). Raccontando le stragi al compagno di ora d’aria, Graviano parla guardacaso di “Berlusca” che “mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza… Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto: ‘Ci vorrebbe una bella cosa’… Nel ’93 ci sono state altre stragi, ma no che (non) era la mafia, loro dicono che era la mafia”. Una conferma al racconto del killer pentito Gaspare Spatuzza sul “colpetto”, il “colpo di grazia” che Graviano gli commissionò ai primi del ’94 con la strage all’Olimpico per dare l’ultima spinta a B. a entrare in politica. Ma non ce ne fu bisogno: il 26 gennaio B. annunciò la discesa in campo, l’indomani i fratelli Graviano furono arrestati a Milano e la strage, fallita al primo colpo, non fu più ritentata. B. andò al governo, ma – lamenta Graviano – non mantenne tutte le promesse: “Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: ‘Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato’. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore… 25 anni mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo… Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera… Al signor crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia”.
Eccoli gli “stracci di prova” che han fatto riaprire l’indagine. Se piovessero nel deserto, ci sarebbe da ridere. Ma sono solo l’ultima tessera di un mosaico terrificante che ha portato la Cassazione a condannare Dell’Utri per mafia perché “dal 1974 al ’92” fu il “mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”: il “patto di protezione” siglato 45 anni fa a Milano fra B., Dell’Utri, i boss Bontate, Teresi, Di Carlo, Cinà e Mangano (che poco dopo si installò per due anni nella villa di Arcore). E poi la Corte d’assise di Palermo a condannare uomini di mafia e di Stato per la Trattativa, scrivendo che B. finanziò Cosa Nostra dal ’74 a fine ’94 (quand’era già premier e Cosa Nostra aveva già sterminato Falcone, Borsellino, le scorte e altri 10 innocenti a Firenze, Milano e Roma); e i boss, tramite Dell’Utri e Mangano, ricattarono il suo primo governo per ottenere leggi pro mafia.
Solo chi, in totale malafede, finge di non conoscere queste sentenze, facilmente reperibili online, può dirsi “attonito” se si ipotizza un ruolo di B. nelle stragi, perpetrate dagli stessi boss amici di Dell’Utri e finanziati da B.. E può accusare magistrati che rischiano la pelle indagando sui mandanti di rendere “un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni”. Istituzioni che la Procura di Firenze onora cercando la verità e Renzi&C. disonorano tentando di sbianchettarla.



Renzi difende un suo simile, un personaggio alquanto discutibile che lui ha sempre guardato con ammirazione, che ha cercato di emulare ma senza risultati, perchè gli manca il cinismo necessario per commettere le azioni riprovevoli delle quali è sospettato il suo idolo. Lui sa solo emulare, non ideare, lui non ha gli stessi appoggi del calafatato.
C.

venerdì 27 settembre 2019

Cervelli di ritorno. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 26/09/2019



Era un po’ di tempo che stavamo in pensiero: non avevamo più notizie di Marianna Madia. Ci mancava il suo sguardo penetrante da paracarro di periferia, il suo calore umano da termosifone spento, il suo irrefrenabile dinamismo intellettuale da lampione fulminato. Ci aspettavamo di trovarla nel toto-ministri, niente: c’era persino Guerini, ma lei no. L’abbiamo cercata nella lista dei sottosegretari, nisba: c’era financo la Ascani, ma lei no. Temevamo che l’Anonima Sequestri Sovranista stesse facendo sparire le migliori menti del pensiero dem (si son perse le tracce pure di Orfini). Avevamo iniziato a chiamare questure, procure e pronto soccorso, casomai qualcuno ne avesse denunciato la scomparsa o l’avesse ritrovata in stato confusionale notando qualche differenza dallo standard abituale. Poi, finalmente, La Stampa ci ha dato sue notizie. Marianna gode ottima salute. Ed è la solita fucina di idee: “L’ostacolo a qualunque prospettiva di collaborazione a Roma col M5S è la Raggi”, che deve dimettersi ipso facto con due anni d’anticipo. Perché “governa da tre anni e mezzo”. Infatti dovrebbe governare un altro anno e mezzo. E con qualche chance di successo, visto che il governo sta per assegnare alla Capitale poteri e fondi speciali e le gare bandite nei primi tre anni per strade, buche, decoro, trasporti e rifiuti stanno dando i primi frutti. Ma la Madia, non avendo mai preso un voto in vita sua, detesta i sindaci di Roma eletti dal popolo almeno quanto il Pd, che cacciò Marino dopo un anno e mezzo e ora ci riprova con la Raggi. Che – assicura la Marianna – “ha fallito”. E di fiaschi lei se ne intende, dacché la Consulta rase al suolo la sua riformicchia della PA.
Ora, per dire, vuole “contribuire a ridare dignità alla capitale” (come se la capitale non avesse già abbastanza guai di suo). E ha le idee piuttosto chiare: tipo “riaprire un dibattito pubblico con tanti pezzi della società”. M’hai detto un prospero. Già che c’è, contribuisce anche alla legge di Bilancio: “si deve discutere in Europa per ottenere le risorse che servono”, casomai Conte e Gualtieri non ci avessero pensato. E pure alla legge elettorale: “Spero in una netta presa di posizione del Pd per il maggioritario”. È quel che dice anche Salvini. La scissione di Renzi non le è piaciuta, la qual cosa lo getterà nel più cupo sconforto. Ma “nelle correnti del Pd fatico a capire i posizionamenti ideali”. E parla per esperienza, avendole girate tutte: è stata napolitaniana (nel senso di Giulio), veltroniana, lettiana (nel senso di Enrico), dalemiana, bersaniana, renziana, gentiloniana, zingarettiana. Ma non ha mai capito i posizionamenti ideali. Mi sa che è colpa della Raggi.

Mercato delle vacche. - Tommaso Merlo



I parlamentari che tradiscono il Movimento lo fanno per intascare subito lo stipendio pieno ed ambire ad uno scranno oltre i due mandati. Le baggianate con cui cercano di giustificarsi rendono il loro tradimento ancora più meschino. Abbassare gli stipendi a tutti gli onorevoli è una di quelle battaglie del Movimento saltate per colpa di Salvini. Ma anche parlare di soldi col Pd è tempo perso. Fino a ieri proponevano leggi per incassare ancora di più a fine mese e per far pagare le spese del loro partito ai contribuenti. Quanto a seguire il buon esempio del Movimento, inutile farsi illusioni. La vocazione politica di certi bovini si misura in euro. Quello degli onorevoli traditori è una piaga epocale della politica italiana. Ad ogni cambio di stagione politica, mandrie di vacche hanno sempre transumato da una parte all’altra dell’emiciclo. Tutte attratte da maggiore potere e da prospettive più allettanti di carriera. Una poltrona, un posto in lista, un seggio favorevole. Il tutto giustificandosi con impellenti ragioni politiche e di principio. Oltre al danno, pure la presa per il culo. Il mercato delle vacche ha causato danni enormi alla nostra democrazia. Le vacche sono arrivate a determinare addirittura la nascita e il crollo dei governi e intere mandrie hanno brucato per decenni ingrassando alla faccia dei poveri cristi. Nel caso del Movimento 5 Stelle, le vacche hanno un incentivo in più per cambiare pascoli, i soldi. Farsi un SUV nuovo o la villetta al mare alla faccia di quei coglioni che li hanno votati. Il tradimento di un portavoce a 5 stelle fa più male perché il Movimento nasce tra l’altro per impedire il mercato delle vacche. Il vincolo di mandato è una sua battaglia storica. Perché se “porti la voce” dei cittadini nei palazzi, non esiste che una volta dentro tradisci quella ‘voce” e ti metti a blaterale cazzate per i fatti tuoi. Non esiste che dei cittadini tradiscano altri cittadini come loro che li hanno delegati per realizzare un programma scritto insieme. Non esiste. Igiene democratica e dignità personale vorrebbero che se per qualsiasi motivo ad un portavoce non va più bene la linea del Movimento, allora si deve dimettere e tornarsene a casa sua. Ma prima di fare le valige, sarebbe buona prassi se quel portavoce andasse davanti ai suoi elettori e agli attivisti che si sono sbattuti per farlo eleggere e gli spiegasse le ragioni del suo tradimento. Guardandoli in faccia, guardandoli negli occhi. Così, se le sue ragioni non saranno ritenute convincenti, si beccherà una sonora e meritata caterva di vaffanculi e di verdura marcia prima di sparire nell’anonimato. Altro che meschina transumanza. Vaffanculi e verdura marcia. Perché ha tradito dei principi e dei valori che conosceva benissimo e a cui ha aderito. Perché ha tradito la buona fede di chi prima lo ha selezionato come candidato e poi lo ha votato. Perché ha tradito un’intera comunità per misere ambizioni personali alimentando una delle peggiori piaghe della nostra democrazia.

Stragi, Silvio Berlusconi indagato anche per il tentato omicidio del pentito Salvatore Contorno (quand’era già stato eletto premier). - Giuseppe Pipitone

Stragi, Silvio Berlusconi indagato anche per il tentato omicidio del pentito Salvatore Contorno (quand’era già stato eletto premier)

Tra le 23 contestazioni della procura di Firenze ce n'è anche una assolutamente inedita: il tentato omicidio del collaboratore di giustizia del 14 aprile del 1994. All'epoca il leader di Forza Italia era stato già eletto presidente del consiglio da 16 giorni. A cercare di uccidere il pentito fu Gaspare Spatuzza, il killer più fidato dei fratelli Graviano. Che però all'epoca erano già stati arrestati.

È indagato per un tentato omicidio compiuto quando già sedeva a Palazzo Chigi. Ed è un omicidio con il quale – in linea teorica – non dovrebbe avere nulla a che fare. C’è anche il piano di morte del pentito Salvatore Contorno tra le accuse che hanno portato la procura di Firenze a iscrivere nel registro degli indagati il nome di Silvio Berlusconi. L’informazione è contenuta nella relazione di due pagine prodotta dagli avvocati dell’ex premier agli atti del processo sulla Trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla corte d’Assise d’Appello di Palermo. I giudici del capoluogo siciliano vorrebbero sentire la deposizione di Berlusconi, come richiesto dalla pubblica accusa e dalla difesa di Marcello Dell’Utri. I legali di Arcore, però, si sono opposti: in che veste deve essere sentito Berlusconi? In quelle di teste o da indagato di reato connesso, con la facoltà di non rispondere?
Le accuse di Firenze – I giudici siciliani decideranno il 3 ottobre prossimo, alla luce della documentazione depositata da Franco Coppi e Niccolò Ghedini. Gli avvocati di Berlusconi, infatti, hanno chiesto alla procura di Firenze di mettere nero su bianco se il loro assistito è ancora indagato per le stragi del 1993. Una notizia nota dall’ottobre del 2017, pochi mesi dopo la diffusione delle intercettazioni in carcere di Giuseppe Graviano. Due anni dopo la procura toscana conferma: Firenze indaga ancora su Berlusconi. Per la prima volta viene messo nero su bianco che l’ex presidente del consiglio è accusato di tutta la strategia stragista del 1993: dal fallito attentato contro Maurizio Costanzo alle bombe di Roma, Milano e Firenze. Berlusconi è già finito sotto inchiesta a Firenze e Caltanissetta per le stragi: per due volte è sempre uscito dalle indagini grazie a un provvedimento di archiviazione.
L’attentato a Contorno dopo l’arresto dei Graviano – Tra le ventitré contestazioni dei giudici fiorentini, però, questa volta ce n’è anche una assolutamente inedita: il tentato omicidio del pentito Contorno del 14 aprile del 1994. All’epoca Berlusconi era stato già eletto presidente del consiglio da 16 giorni. A cercare di uccidere Contorno – il secondo pentito più importante della storia di Cosa nostra dopo Tommaso Buscetta – furono Gaspare Spatuzza e gli altri uomini del gruppo di fuoco dei fratelli Graviano. Agli occhi dei boss di Brancaccio Contorno ha una colpa non emendabile: avrebbe partecipato all’eliminazione del loro padre, Michele Graviano. Quando Spatuzza si muove per eliminarlo, però, i fratelli Graviano sono già in carcere da tre mesi: vengono arrestati il 27 gennaio del 1994 e da allora non un solo colpo sarà sparato nella Penisola. “Lo sai cosa scrivono nelle stragi? Nelle sentenze delle stragi, che poi sono state assoluzione la Cassazione e compagnia bella: le stragi si sono fermate grazie all’arresto del sottoscritto“, dice a un certo punto lo stesso Graviano, intercettato in carcere nel 2017 col compagno di socialità, Umberto Adinolfi. Perché allora Spatuzza, ormai orfano del suo boss che gli aveva fino a quel momento indicato ogni obiettivo della strategia stragista, decide di rischiare provando a uccidere Contorno? Stiamo parlando dell’omicidio di un collaboratore di giustizia, nascosto a Formello, nei dintorni di Roma. Per provare ad ammazzarlo Spatuzza piazza nei dintorni della sua abitazione 70 chili di esplosivo, che però furono ritrovati dalle forze dell’ordine: il rischio di finire in galera per assassinare un vecchissimo nemico, insomma, era molto alto. Perché Spatuzza scelse di correrlo comunque quel rischio?
“Dell’Utri gli disse dove si trovava” – E dire che poco prima dell’arresto dei Graviano, lo stesso killer aveva discusso con il suo capo dell’eventuale eliminazione di Totuccio. Lo fa durante l’ormai noto incontro del 21 gennaio del 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”. A quel punto il pentito fa la sua proposta al suo capo: “Io ho provato a dire se non fosse il caso di occuparci di Totuccio Contorno, lo avevamo rintracciato a Roma ma Graviano disse lascia stare Contorno perché l’attentato ai carabinieri si deve fare lo stesso sia perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia sia perché per Contorno dobbiamo trovare un tipo di esplosivo diverso” . Queste parole di Spatuzza dicono agli inquirenti due cose: Graviano non voleva che l’attentato all’assassino di suo padre fosse ricollegabile agli altri fatti di sangue compiuti in quei mesi, perché? E poi che i boss sapevano dove fosse nascosto Contorno – che era un collaboratore di giustizia – già tre mesi prima del tentato omicidio: come fanno a saperlo? “I Graviano dissero a mio padre che fu Dell’Utri, attraverso i servizi segreti deviati, a fargli sapere dove si trovava”, ha raccontato nei giorni scorsi durante il processo d’appello sulla Trattativa il pentito catanese Francesco Squillaci, che si è autoaccusato di 14 delitti senza mai essere stato chiamato in causa. Perché Dell’Utri avrebbe dovuto far sapere dov’era Contorno ai Graviano?
“Il politico di Milano sapeva dove erano i pentiti” – Una risposta gli investigatori sono andati a cercarla tra i vecchi verbali di un altro ex componente del gruppo di fuoco di Brancaccio: Pietro Romeo. Nel 1995 ha dichiarato di aver saputo da Francesco Giuliano (altro boss all’ordine dei Graviano) che “c’era un politico di Milano che aveva detto a Giuseppe Graviano di continuare a mettere le bombe. Il politico diceva di fare questi attentati a cose di valore storico, artistico“. E poi che il politico “doveva dare a Graviano Giuseppe indicazioni su dove erano custoditi i pentiti“. Sempre lo stesso politico “aveva entrature per arrivare a sapere dove erano tutti i pentiti“. Chi era questo “politico di Milano“? Romeo lo dirà l’anno dopo, nel 1996: mentre si trovavavano in un agrumeto di Ciaculli, nei dintorni di Palermo, Giuliano aveva chiesto “a Spatuzza se era Berlusconi la persona che c’era dietro gli attentati. Spatuzza aveva risposto di sì”. Dichiarazioni dirompenti, anche se quella pista sarà abbandonata dagli inquirenti fiorentini sulla base di altre deposizioni di pentiti.
I verbali di Cancemi e il Contorno sbagliato – Gli investigatori, però, continuano a interrogarsi su una domanda: perché Spatuzza avrebbe dovuto rischiare così tanto per uccidere Contorno, dopo l’arresto dei suoi capi? Gli stessi capi, che pochi giorni prima di finire in manette avevano indicato tra le priorità l’attentato contro i carabinieri – cioè quello fallito allo stadio Olimpico – e non l’assassinio del vecchio nemico mafioso. Tra le piste battute dagli inquirenti ce n’è una. Il 20 marzo del 1994 mancano sette giorni alle elezioni politiche. Il quotidiano Repubblica fa uno scoop: i verbali del pentito Totò Cancemi. Il boss di Porta Nuova parla di Berlusconi, di Dell’Utri, di Vittorio Mangano. E di strani ospiti che avrebbero trovato asilo “nella tenuta tra Milano e Monza“. Quale tenuta? Non si sa. Tra gli altri, dice Cancemi, vi trovarono rifugio “durante la latitanza i fratelli Grado e Contorno“. All’epoca gli investigatori pensarono subito che si trattasse di Totuccio Contorno. Che però ha negato subito: “No, non sono io. Credo che sia Giuseppe Contorno… In quegli anni lui aveva interessi a Milano con i Pullarà, Ignazio e Giovambattista”. Due settimane dopo cercarono di ammazzarlo a Formello. Ora per quel tentato omicidio è indagato anche Berlusconi.

Anatomia di un buco nero.





Così è fatto un buco nero. Ad illustrarlo, una simulazione della Nasa nella quale, per la prima volta, viene mostrata con una estrema precisione nei dettagli l'anatomia di questi oggetti affascinanti quanto oscuri che popolano l'universo La ricostruzione è stata realizzata a partire dalla prima ‘foto’ di un buco nero, quello della galassia Messier 87, ottenuta lo scorso aprile grazie al lavoro di telescopi e interferometri situati in diverse parti del globo.

Il Pap’occhio. - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 27 Settembre:

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Mentre Facebook chiude pagine satiriche e letterarie perché gli algoritmi non capiscono le battute e tantomeno l’arte, e i giornaloni continuano a prendersela con le fake news dei social perché rivogliono l’esclusiva sulle bugie, un fatto di cronaca rimette le cose a posto.

L’ex pm ed ex deputato forzista Alfonso Papa, condannato in primo grado a 4 anni e mezzo di galera in un filone dello scandalo P4, se la cava per prescrizione in appello.

Ma l’AdnKronos, che vanta come presidente l’ex generale Michele Adinolfi (a suo tempo intercettato, indagato e poi archiviato nell’inchiesta P4), “informa” che è stato “assolto da tutti i reati”. E raccoglie le lacrime e la gioia dell’imputato perché è stata “accertata la verità” dopo i “lunghissimi anni” di persecuzione in cui “ho perso una famiglia e un lavoro”.

Povera stella. Tutti i siti, trattandosi di un’agenzia di stampa, se la bevono e rilanciano.
“Papa assolto”, dunque il suo arresto era “illegale”. Ergo il pm Woodcock che l’aveva indagato è un puzzone. E ora “chi risarcirà” il povero martire?

La Corte (come già quella di Palermo sulla balla “Andreotti assolto”) invita i somari a leggersi il dispositivo, che non è di assoluzione, ma di “non doversi procedere per intervenuta prescrizione” degli stessi “reati per cui l’imputato era stato condannato in primo grado”.

Quindi Papa non è un innocente perseguitato, ma l’ennesimo colpevole che l’ha fatta franca.
Grazie agli avvocati e al tribunale che sono riusciti a far durare 6 anni il processo a un solo imputato. Roba da ispezione ministeriale. Anche perché gli altri tre processi di primo grado a carico del noto galantuomo durano da 7 anni.

Un legislatore degno di questo nome avrebbe bloccato la prescrizione vent’anni fa, quando falcidiava i processi di Tangentopoli.

Invece B. (per i noti motivi) e il centrosinistra (per i noti motivi) allungarono i processi e dimezzarono la prescrizione. Dovettero arrivare i 5Stelle, noti incompetenti, per bloccarla dopo la sentenza di primo grado: se l’avessero fatto gli altri, il processo Papa non si sarebbe prescritto.

Nessun avvocato o giudice avrebbe perso tempo e il processo sarebbe durato pochi mesi. E, se anche fosse durato 6 anni, la prescrizione non avrebbe ripreso a correre in appello.

Ora Salvini e B. sperano di neutralizzare la legge Bonafede prima che entri in vigore il 1° gennaio.
E pare che parte dei renziani e del Pd, la stessa che tentenna sulle manette agli evasori, dia loro manforte.

Se così fosse, il Conte 2 nato per combattere Salvini&B. coi fatti non avrebbe più senso e il M5S dovrebbe aprire subito la crisi.

La paura di Salvini&B. non può giustificare un governo che fa le stesse porcate di Salvini&B.


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giovedì 26 settembre 2019

“I due pesi di Feltri l’azzeccagarbugli”. - Massimo Fini

Su Libero del 20 settembre Vittorio Feltri, che ne è il direttore editoriale non il responsabile così le querele se le becca tutte il povero Senaldi, in un articolo intitolato “Giustiziamo i giustizialisti di sinistra” scrive a proposito di Diego Sozzani di cui la magistratura aveva chiesto l’arresto (ai domiciliari naturalmente perché questa detenzione soft è riservata a lorsignori, parlamentari e non, mentre gli altri, nelle stesse condizioni, vengono sbattuti in carcere senza tanti complimenti e anche questa è una discriminazione sociale intollerabile) ha scritto: “Troviamo assurdo privare della libertà un signore, fosse anche colpevole, prima di essere processato e condannato. La gente, di qualunque tipo, non va punita se non dopo sia stata dimostrata con regolare processo la sua partecipazione a un reato…Basta ricevere un avviso di garanzia per essere sputtanato a vita, esposto al pubblico ludibrio”.
Il Feltri si concede qui la parte del Cesare Beccaria del Dei delitti e delle pene (meglio cento colpevoli in libertà che un innocente in galera). Ma il Feltri Beccaria lo deve aver letto abbastanza di recente o forse è uno scambio di persona tanto diverso è dal Feltri che diresse l’Indipendente dal 1992 al 1994. Quell’Indipendente fu il quotidiano più “forcaiolo” della storia del giornalismo italiano. Fu Feltri a sbattere in prima pagina, con goduto compiacimento, una grande foto dell’onorevole Carra in manette. Fu sempre Feltri a coniare per Bettino Craxi, in quel momento raggiunto solo da un avviso di garanzia, il termine “cinghialone” dando a una legittima inchiesta della magistratura il sapore di una caccia sadica che non fu estranea al vergognoso lancio di monetine davanti all’hotel Raphael. Fu ancora Feltri ad attaccare pesantemente i figli di Craxi, Stefania e Bobo, come se i figli avessero le colpe dei padri. Avallò anche i suicidi che avvennero durante la stagione di Mani Pulite: “Craxi ha commesso l’errore…di spacciare i compagni suicidi (per la vergogna di essere stati colti con le mani nel sacco) come vittime di complotti antisocialisti”. Il Feltri diventò  “ipergarantista” quando nel 1994 passò alla corte di Silvio Berlusconi. Era stato l’ammiratore più fanatico dei magistrati di Mani Pulite, Di Pietro in testa, ne divenne un altrettanto fanatico accusatore. Da questo “forcaiolo”, poi pentitosi al momento in cui gli conveniva pentirsi, non accettiamo quindi lezioni postume di “garantismo”.
La carcerazione preventiva certamente dolorosa per qualsiasi indagato, soprattutto se poi risulterà innocente, si rende necessaria in tre casi: quando i magistrati ravvisino il pericolo di fuga o la possibilità di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. Ma seguiamo pure l’ultimo Feltri o il Feltri numero 2 o lo pseudo Feltri, che di diritto ne sa quanto la mi zia,  nel suo ragionamento e aboliamo quindi la carcerazione preventiva. Non si capisce allora però perché questa immunità dal gabbio lo indigni particolarmente quando di mezzo c’è un parlamentare. Non gli ho sentito emettere simili lai quando in carcere preventivo, e non ai più comodi domiciliari, sono stati sbattuti senza tanti complimenti presunti ladri di galline, presunti rapinatori, presunti stupratori. In questo caso la linea è anzi quella di madama Santanchè che fa parte del suo giro o comunque del movimento politico, la destra, cui si rifà: “In galera subito e buttare via le chiavi”. Cioè in galera senza che nemmeno ci sia un processo. Il Feltri o lo pseudo Feltri appartiene a quella linea politica, sempre la destra, che quando Pietro Valpreda era in galera da quattro anni senza processo voleva che vi rimanesse a vita.
La carcerazione preventiva è una dolorosa necessità che esiste in tutti gli ordinamenti. Ma se si vuole abolirla, come sottintende il Feltri, allora va abolita per tutti e con la stessa indignazione che Feltri riserva al parlamentare di Forza Italia. Insomma, nonostante il lacrimoso e intellettualmente disonesto articolo di Feltri, siamo alle solite: due pesi e due misure, due diritti, uno per lorsignori e gli amici degli amici l’altro per i cittadini comuni.
Mi colpisce l’inerzia di questi ultimi. I privilegi di lorsignori rimangono intatti tant’è che Feltri li difende fingendo di farlo per tutti e noi non ci ribelliamo mai. Qualsiasi partito si sia votato o non si sia votato la cittadinanza intera dovrebbe insorgere. Invece no. Siamo solo pecore da tosare, asini al basto, maiali che si fanno docilmente portare al macello senza emettere nemmeno un grugnito, preda per soprammercato degli azzeccagarbugli alla Vittorio Feltri.