giovedì 6 febbraio 2020

La mossa del cavallo… - Alessandro Robecchi

Spiazzante, sorprendente, imprevedibile. La mossa del cavallo, con quel suo balzo irregolare a forma di L, la possibilità di saltare gli avversari è, negli scacchi, a saperlo giocare, un vero colpo gobbo. Sarà anche il titolo del prossimo libro di Matteo Renzi, che presenterà entrambi (sia il libro che la mossa) durante un tour di cento tappe, in camper, che batterà le regioni in campagna elettorale. Come dire: siete avvertiti, poi non venite a lamentarvi.
Renzi non ci dice in cosa consista ‘sta famosa mossa a sorpresa, che, come ci tiene a precisare, “non è quella di agosto, ma la prossima”, quindi si capisce la popolazione mondiale con il fiato sospeso, i primi segnali di panico, la tensione, le mascherine a 300 euro il pacco. Devo dire la verità: mi aspetto di tutto, da Renzi, perché è l’unico politico italiano veramente palindromo, cioè leggibile sia da sinistra a destra che al contrario. Non c’è cosa che Renzi abbia detto negli ultimi due anni di cui non abbia detto l’esatto contrario prima. La prescrizione (che voleva abolire), la Brexit (che non ci sarebbe stata, fidatevi), il potere di veto dei “partitini”, contro cui oggi non tuona più, essendo partitino lui stesso, ed esercitando il suo potere di veto e di ricatto, fino all’annuncio di votare con l’opposizione contro la sua maggioranza.
Ora in attesa di vedere questa mossa annunciata che mischierà promozione editoriale, propaganda politica, comizi, camper e tutto il circo che si sa, siamo nel campo delle ipotesi, e una l’ha già fatta Brunetta: perché non immaginare una maggioranza di volenterosi con Salvini, Meloni, Silvio Buonanima e gli italiavivaisti? Sarebbe una buona mossa del cavallo (naturalmente smentita con sdegno, ma coi palindromi non si sa mai). In attesa che si disveli il mistero, portiamoci avanti col lavoro, e suggeriamo le prossime mosse a sorpresa dell’imprevedibile statista.
LA MOSSA DELL’OPOSSUM. Felicemente sperimentata in Emilia-Romagna, consiste nel fingersi morti durante la battaglia, poi alzarsi come se niente fosse e gioire della vittoria (oppure criticare i vinti per la sconfitta col ditino alzato). Potrebbe tornare di moda alle elezioni in Toscana, dove la popolazione, vedendo Renzi sulla scheda, potrebbe avere reazioni imprevedibili.
LA MOSSA XYLELLA. Sganciare Teresa Bellanova sulla Puglia con un attacco diretto al governatore Emiliano, come già annunciato, è una mossa dirompente. Riassumendo, avremmo una ministra che ha giurato da ministra col Pd, è passata a un altro partito dopo due minuti, e nemmeno un anno dopo contribuisce alla sconfitta di un candidato del Pd, suo alleato di governo. Consigliato: xamamina compresse.
LA MOSSA DI MACRON. Dimenticata e abbandonata da tempo, era una mossa interessante di quando Macron andava di moda e faceva fico sentirsi dire “Macron italiano”. Ora che il Macron vero sta messo maluccio con i suoi cittadini, la sua polizia che mena parecchio, anche i pompieri, e la stella pare offuscata, la mossa Macron non va più di moda, ma anche qui, non si sa mai.
LA MOSSA DI SATURNO. Ci sono momenti in cui, annoiato dal dibattito corrente, Matteo Renzi si lancia verso le stelle. Dice che qui ci si annoia, mentre tutto il mondo parla di intelligenza artificiale, futuro, ricerca ecc. ecc. Una mossa davvero dirompente per la politica italiana sarebbe l’intuizione che su Saturno Italia Viva sarebbe senza dubbio il primo partito, e dunque l’annuncio che si prepara una spedizione sarebbe politicamente coerente.
LA MOSSA TONY BLAIR. Un sempreverde. Quando festeggia per la sconfitta di qualche sinistra in giro per il mondo, ecco Renzi tessere le lodi di Tony Blair, che è un po’ come se uno si ostinasse a portare come esempio un re merovingio, o un antico condottiero delle fiabe nordiche. Un “se c’era lui…” che fa un po’ tenerezza, perché suona come un “Ci sarei anch’io”.

Vi toglieranno tutto. Anche l’anima. - Giuseppe Palma



Il capitalismo non è più borghese, col quale ciascuno poteva trattare. Fino agli Anni Novanta lo guardavi in faccia, sapevi con chi avevi a che fare. Era un capitalismo umano e tutti potevano ambire, attraverso il lavoro, a detenere le leve del capitale urbano (il cosiddetto ceto-medio).
Oggi il capitale è cosmopolita, senza volto. Non è più possibile trattare con chi lo detiene soprattutto per due motivi: 1) viaggia troppo velocemente ed è sovranazionale, quindi dei tuoi diritti non gliene frega nulla perché sono di ostacolo al contenimento dei prezzi, quindi alla competitività del servizio o del prodotto all’interno di un sistema globalizzato; 2) la deindustrializzazione (avvenuta per fare gli interessi stranieri) ha reso l’Italia un Paese di servizi, cioè con preminenza del settore terziario su quello industriale e agricolo. La maggior parte dei servizi sono ormai nelle mani di grosse multinazionali (capitalismo apolide e transnazionale) con le quali il capitalismo borghese – ammesso che esista ancora – non può più competere, quindi è evidente che i tuoi diritti fondamentali cedano il passo alle ambizioni di profitto senza freni.
A coadiuvare questo sistema le folli regole di bilancio della Ue (che costringono gli Stati a consegnare al capitale apolide i servizi che loro non possono più garantire a causa dei vincoli di bilancio) e il regime dei cambi fissi (l’euro), che scarica il peso della competitività su lavoro, salari e diritti. In tutto questo, la politica avrebbe dovuto fare da diga contro il dilagare degli indicibili scopi del capitale sovranazionale, soprattutto per tutelare i diritti fondamentali come lavoro, salari e salute. E invece ha abdicato, rendendosi la migliore alleata del capitale e il peggior nemico del popolo.
Ovviamente di tutto ciò non avete capito nulla, o peggio ancora vi rifiutate di capire, e continuate a strillare contro l’inesistente e aleatorio pericolo fascista oppure contro gli inconsistenti fantasmi del razzismo, puntando il dito – e la rabbia – verso questioni superflue o problemi del tutto secondari.
Mentre perdete il vostro tempo ad abbaiare contro il sovranismo (che del resto è una dottrina politica di pace per il ripristino della preminenza degli Stati nazionali sulle antidemocratiche strutture sovranazionali), il capitale transnazionale vi divorerà la dignità.
Vi toglieranno tutto. Anche l’anima.

A chi interessa se cascano i Benetton? - Tommaso Merlo



A nessuno. Se i Benetton fallissero domani mattina non fregherebbe nulla a nessuno. Anzi, ci sarebbero manifestazioni di giubilo per le strade di tutta Italia. I Benetton ormai sono il simbolo del lobbysmo avido e cinico che tanto male ha fatto al nostro paese. Sono l’emblema di potentati che grazie ad una politica stracciona e venduta, si è arricchito a dismisura sulle spalle dei poveri cristi. Sono state queste lobby a comandare in Italia per decenni. Comprandosi la politica e i media e quindi il consenso. La tragedia del ponte Morandi è solo uno dei tanti esempi di quello che genera quel sistema sostanzialmente mafioso in cui interessi egoistici s’impongono su quelli collettivi e perfino sulla legalità. Un sistema che ha prosperato anche grazie ad una etica pubblica da uomini delle caverne. Dopo mesi dal crollo del Morandi, ormai l’unica cosa che sorprende è la faccia tosta dei Benetton, è constatare che invece di vergognarsi e di sparire dalla circolazione, fanno ancora di tutto per non mollare l’osso delle concessioni e per rifarsi una verginità. Davvero impressionante. Glaciali. A momenti non chiedevano nemmeno scusa dopo il crollo e da subito si sono arroccati per difendersi. Scaricando le responsabilità su altri, sguinzagliando eserciti di avvocati, mandando lettere di supplica ai giornali e spingendosi perfino a strumentalizzare i quattro ragazzini delle sardine finiti penosamente nella loro rete. Come se i Benetton fossero certi che tra cavilli e prescrizioni tutto finirà legalmente in nulla, come se sapessero che l’Italia ha la memoria corta e se tengono duro ben presto “a nessuno interesserà più che sia cascato un ponte”.  Del resto in Italia ha sempre funzionato così. Del resto i sistemi culturalmente mafiosi funzionano così. Poveri cristi per strada a gridare e piangere i loro cari con qualche cartello in mano, Lorsignori a sguazzare nell’oro e nell’impunità e nei loro grotteschi sogni di gloria. Anche il comportamento dei vecchi partiti dopo il crollo è stato un classico. Dopo decine di morti, una politica sana avrebbe reagito compatta per cacciare a calci i Benetton ed invece in Italia sono iniziati i soliti distinguo e le palle in tribuna. A far reagire compatta la politica non sono serviti nemmeno gli scandali emersi dopo la tragedia, nemmeno il profondo sconcerto e dolore che ha attraversato il paese, nemmeno la semplice constatazione che il concessionario autostradale ha dimostrato di non essere in grado di svolgere adeguatamente un lavoro per cui si è arricchito vergognosamente. Mafiosità del sistema. Etica pubblica delle caverne e lo spietato egoismo che sta devastando il mondo. I Benetton sono una famiglia dal patrimonio miliardario. Si tratta di gente che problemi di soldi non ne avrà per generazioni. Gente che non sa neanche più come spenderli i soldi. E allora perché non si levano dai piedi? Perché? L’avidità non ha limiti ma le ragioni della loro agghiacciante resistenza devono essere più profonde. Hanno paura. Paura di vedere il loro impero di cartone finire in frantumi e con esso l’immagine che hanno di se stessi. Paura di scoprire il nulla che c’è dietro al loro patrimonio, al loro status, ai loro deliri esistenziali. Paura. Paura di dover ammettere di aver sbagliato e non solo a gestire quelle dannate autostrade ma a spendere la propria vita ad accumulare soldi e potere alimentando un disgustoso sistema. Paura di scoprire chi sono veramente e di finire per non piacersi affatto guardandosi allo specchio. Paura di rendersi conto che in Italia non frega niente a nessuno se cascano i Benetton. Anzi, ci sarebbero manifestazioni di giubilo per tutto il paese.

Milena Gabanelli - «Giustizia, ogni anno in fumo 130.000 processi. Cosa fare?» - 18/11/2018

Il manuale del prescrittore: ecco come ti allungo i tempi. - Gianni Barbacetto



C’è un video su Youtube in cui un avvocato di Napoli, Arturo Buongiovanni, racconta che cosa fa lui e tanti suoi colleghi per puntare diritto non alla dichiarazione d’innocenza dei loro assistiti, ma alla prescrizione. Approfittare delle falle del sistema giudiziario per arrivare al “game over”, alla fine dei giochi: per tempo scaduto. “Prima ancora di capire se il mio cliente è colpevole o innocente, io guardo la data del fascicolo”, spiega Buongiovanni, “ma lo fanno tutti: perché si crea la possibilità di un paracadute, se si riesce a guadagnare del tempo. Perché le notifiche spesso si perdono”.
Come “vincere” un processo per prescrizione, lezione uno: mai far eleggere domicilio legale al proprio cliente presso lo studio dell’avvocato difensore. “Da me la notifica arriva subito, non si scappa”, dice Buongiovanni al microfono di Franz Baraggino del fattoquotidiano.it, “perché devo favorire questo sistema?”. Se invece il domicilio è altrove, si crea la possibilità che le notifiche vaghino per l’Italia, non arrivino, si perdano. Tempo perso, cioè guadagnato per la prescrizione.
Lezione due: i testimoni. “Riesco a far passare una lista di testi che non risulti sovrabbondante, una ventina. E poi se un testimone non si presenta in aula, non è colpa mia. O magari si presenta in ritardo. Solitamente non c’è interruzione dei termini di prescrizione e così si guadagna tempo. Non sono mezzucci”, giura l’avvocato, “sono falle del sistema. E io ho l’obbligo di usare questi mezzi, me lo dice la Corte costituzionale, la Costituzione stessa: devo difendere come meglio posso il mio cliente”.
“La prescrizione è usata come forma (dissennata) per reagire alla lunghezza dei processi”, ripete il magistrato Piercamillo Davigo, “che in Italia sono troppi e vengono fatti morire in gran numero con la prescrizione”. L’avvocato Leopoldo Perone, con studio a Napoli, spiega che ormai molte delle manovre dilatorie messe in atto dagli avvocati sono disinnescate. “Dopo la pronuncia delle sezioni unite della Cassazione, quando il processo s’interrompe per intervento della difesa, si interrompono anche i termini di prescrizione. Succede anche gli scioperi degli avvocati”. Non sono più possibili i giochetti fatti, per esempio, dalle difese di Silvio Berlusconi, che ha guadagnato la prescrizione in ben sette processi con imputazioni gravi come corruzione giudiziaria, falso in bilancio, appropriazione indebita, finanziamenti illeciti a Bettino Craxi, rivelazione di informazioni coperte da segreto istruttorio. Reiterate ricusazioni dei suoi giudici, infinite riproposizioni di legittimi impedimenti, processi cominciati da capo per trasferimento dei giudici, trucchi e trucchetti per tirare in lungo. “Oggi un imputato normale non può usare tecniche dilatorie”, sottolinea Perone. Può però allungare il brodo chiedendo di essere interrogato, o nuove indagini, o l’interrogatorio di nuovi testimoni. Le notifiche sono un punto debole del sistema. O un punto forte del perfetto esperto in prescrizione. Una notifica omessa, o sbagliata, può far chiedere al difensore la nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del processo. E il gioco riparte dal via. La prescrizione corre se si perdono udienze a causa di testimoni che non si presentano in aula, anche con giustificazioni ineccepibili.
Fa perdere tempo e avvicinare la prescrizione anche il giudice malato. Se poi viene trasferito, il processo deve ricominciare da capo, perché la prova deve formarsi nel processo e il giudice che emette la sentenza deve essere lo stesso che ha assistito alla formazione della prova. “Anche se è stata videoregistrata”, chiosa Davigo. Non basta acquisire la videoregistrazione, si deve rifare tutto dall’inizio.
Gli impedimenti professionali, sia del difensore, sia dell’imputato, fanno sospendere il dibattimento e correre la prescrizione. Come pure quello che Davigo chiama “effetto libretto d’assegni”. Lo racconta così. Se a una persona viene rubato un libretto d’assegni e i venti assegni del carnet sono spesi, con firma falsa, in venti diverse città, il proprietario di quel libretto viene chiamato a testimoniare in venti processi in venti città diverse. È umano che dopo tre o quattro volte si stufi e non si presenti. Ebbene, la sua assenza prolungherà i processi e farà avvicinare la prescrizione del reato per chi l’ha commesso. “Impossibile acquisire la denuncia dello smarrimento o del furto del libretto”, spiega Davigo, “e presentarla nei venti processi come prova dell’avvenuto furto o smarrimento”. Così i dibattimenti si allungano, il tempo corre, la prescrizione si avvicina.

Il Codice Venale - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 5 Febbraio:

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Per dire com’è ridotta l’informazione, basta leggere i commenti dei principali quotidiani sulla blocca-prescrizione. Cioè su una legge dello Stato regolarmente approvata dalla maggioranza parlamentare e promulgata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella oltre un anno fa, in vigore da 13 mesi e valevole per i processi relativi ai reati commessi dal 1° gennaio 2020. La circostanza appare ignota a chiunque la commenti: tutti blaterano di “compromessi”, “mediazioni”, “tavoli” e si domandano “chi cederà” fra 5Stelle e Italia Morta, chi “perderà la faccia tra Bonafede e Renzi” (come se Renzi, fra l’altro, avesse una faccia), “che farà Conte” e se reggerà la “tregua Zingaretti”. Ma di che vanno cianciando questi orecchianti? Ma lo vogliono capire o no che la blocca-prescrizione non è un’idea, una proposta, un progetto, un’intenzione, ma una legge vigente e funzionante? La vera questione è che FI, Lega, Iv e mezzo Pd vogliono cancellarla e, per farlo, devono approvare insieme in Parlamento una nuova legge: quella firmata dal forzista Enrico Costa, noto fabbricante seriale di leggi ad personam per Berlusconi. Se la voteranno, non esisterà più alcuna maggioranza giallorosa e alcun governo Conte e nascerà la coalizione dell’impunità contro un valore cruciale: quello della giustizia uguale per tutti.

Questa è la partita che si gioca in queste ore: tutte le disquisizioni sul garantismo, il giustizialismo, le manette, gli errori giudiziari, la ragionevole durata del processo, l’incostituzionalità, il derby avvocati-magistrati sono fumo negli occhi per distrarre e disorientare un’opinione pubblica che fortunatamente ne ha viste troppe, in vent’anni, per dimenticarsi la vergogna dei 120 mila processi prescritti all’anno e continua nei sondaggi a schierarsi dalla parte delle vittime, anziché da quella dei colpevoli impuniti. Se abolire la prescrizione fosse incostituzionale perché viola l’articolo 111 sulla ragionevole durata dei processi, come sostengono giuristi, avvocati e perfino magistrati di chiara fama e fame, la Consulta l’avrebbe già ripristinata nel processo civile, che dura un’eternità come il penale, ma la prescrizione non ce l’ha: e chi perde un processo civile può subire conseguenze ben più pesanti (risarcimenti anche milionari) di chi perde un processo penale (in media, qualche mese o anno di carcere, peraltro virtuale, cioè finto, visto che in Italia fino a 4 anni non si va in carcere). E se chi contesta la blocca-prescrizione fosse davvero interessato a una giustizia più rapida, proporrebbe qualche straccio di soluzione per abbreviare i tempi dei processi.

Avete mai sentito un Renzi o un Salvini o un forzista o un pidino proporre qualcosa di concreto per ridurre anche di un giorno i tempi processuali? Ci ha provato Davigo, in un’intervista al Fatto, ed è mancato poco che lo linciassero. Eppure quel che si deve fare per accorciare i processi lo sanno tutti: abolire un grado di giudizio o almeno inserire drastici disincentivi e sanzioni contro le impugnazioni pretestuose e infondate; abolire il divieto di reformatio in pejus che impedisce al giudice di appello di aggravare la pena del primo grado; e una serie di misure organizzative e di investimenti in nuovi magistrati e cancellieri previsti dal dl Bonafede sulla riforma del processo penale, pronto da quasi un anno, che non a caso la Lega prima e Pd&Iv oggi tengono bloccato, impedendo di velocizzare quei processi che a parole chiedono di velocizzare. Ma nessuno, a parte Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri, propone nulla: e giustamente, perché, se lorsignori riotterranno la prescrizione in appello e in Cassazione, saranno tutti felici così. Poi ci sono i settori più oltranzisti dell’avvocatura, che non hanno alcuna intenzione di rinunciare ai processi eterni su cui campa la parte meno professionale e più parassitaria della categoria (se i processi durassero meno, quanti dei 180 mila avvocati italiani resterebbero disoccupati?). E ci sono pure dei magistrati, per fortuna minoritari, che non riescono proprio a immaginare il cambiamento radicale imposto dalla blocca-prescrizione. Anche fra loro ci sono sacche di resistenza al nuovo, che significherebbe lavorare di più (meno processi prescritti, più processi celebrati) e più onestamente, mentre la prescrizione è un ottimo rifugio per le toghe fannullone e anche per quelle colluse e corrotte (se ti lascio prescrivere il processo, tutte le carte sono a posto, non devo neppure assolvere un colpevole, e tu cosa mi dai in cambio?). Ma, siccome non potranno mai confessarlo, si rifugiano dietro la pretesa incostituzionalità della legge: peccato che, negli ultimi vent’anni, il loro sindacato – l’Anm – abbia ininterrottamente chiesto di bloccare la prescrizione al rinvio a giudizio o al massimo dopo il primo grado, e nessuno degli ermellini che ora ne scoprono l’illegittimità s’è mai alzato ad accusare i suoi rappresentanti di violare la Costituzione.

La verità, a questo punto, dovrebbe essere chiara a tutti: nessuno di quanti dicono di battersi contro la blocca-prescrizione vuole una giustizia più efficiente e più veloce. Vogliono tutti l’esatto contrario: riprendersi la prescrizione e mantenere la giustizia inefficiente e i processi eterni. Ben sapendo che gli unici processi che arrivano in fondo sono quelli per i reati di strada e gli unici imputati che finiscono in galera sono i poveracci. Perciò, da qualche anno, non invocano più amnistie o indulti: perché quelli poi liberano tutti, pure i delinquenti comuni, e gli elettori s’incazzano. Molto meglio la prescrizione, che libera soprattutto i signori, cioè i politici e i loro foraggiatori: un’amnistia razziale, censitaria e classista. Il Codice Venale: l’unica, vera, incostituzionale “barbarie”.


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martedì 4 febbraio 2020

Da Palermo alla Nasa, esplosioni stellari in 3D. - Marco Malaspina



Tecnicamente sono simulazioni a tre dimensioni derivate da modelli magnetoidrodinamici di fenomeni astronomici, rigorosamente ottenute a partire da dati scientifici e destinate in prima battuta agli astrofisici. Ma a guardarle sembrano opere d’arte. Ne parliamo con lo scienziato alla guida del team che le ha prodotte, Salvatore Orlando dell’Inaf di Palermo.
Fotogrammi dalle sei visualizzazioni richieste dalla Nasa. Crediti: Inaf-Osservatorio astronomico di Palermo/Salvatore Orlando
Una protostella, una nova e vari resti di supernove. Tutte in 3D, tutte coloratissime. Sono le animazioni scientifiche selezionate la settimana scorsa dal team del telescopio Chandra e riprese in home page sul sito web della Nasa. Una più affascinante dell’altra, non sfigurerebbero come videoinstallazione in una galleria d’arte contempoanea. Portano tutte e sei la firma di un astrofisico dell’Inaf di Palermo, Salvatore Orlando, e dei suoi colleghi.
Cosa si prova a vedere le proprie opere in home page sul sito della Nasa? «Intanto vorrei precisare che i modelli sono stati sviluppati e pubblicati su riviste specializzate nel corso degli anni per studi riguardanti diversi fenomeni astronomici e sono frutto della collaborazione di ricercatori dell’Inaf – in particolare, dell’Osservatorio astronomico di Palermo – con colleghi di diversi istituti in Italia (tra cui l’Università di Palermo) e all’estero. Ovviamente fa sempre piacere quando qualcuno apprezza il tuo lavoro, chiunque esso sia. Certo la Nasa ci ha dato la possibilità di avere grande visibilità a livello internazionale. Per essere precisi, però,  la Nasa ha ripreso dei modelli che noi abbiamo pubblicato negli scorsi mesi su Sketchfab, una piattaforma largamente utilizzata per la diffusione di modelli 3D per la realtà virtuale e la realtà aumentata».
Animazioni scientifiche ma al tempo stesso, in un certo senso, anche opere d’arte. Partiamo da questo secondo aspetto. Da dove emerge la notevole componente estetica di queste rappresentazioni? Solo dal codice, o è stato necessario un intervento umano? «I codici numerici che utilizziamo – tra cui vorrei menzionare il codice Pluto, sviluppato in Italia presso l’Università  di Torino in collaborazione con l’Osservatorio astronomico di Torino – sono codici magnetoidrodinamici per plasmi astrofisici che forniscono le distribuzioni spaziali delle quantità fisiche: densità, temperatura, velocità, campi magnetici… Ultimate le simulazioni, si rende necessario l’intervento umano per rendere la visualizzazione di queste quantità efficace nella rappresentazione del fenomeno – utile per ottenere informazioni dai modelli (ricordiamoci che i modelli sono sviluppati per la ricerca scientifica) – e gradevole nel momento in cui si desidera avvicinare modelli che, in genere, sono per addetti ai lavori, alla portata di tutti.
In cosa consiste? «L’intervento umano consiste essenzialmente nel selezionare una scena rappresentativa del fenomeno che si intende descrivere, mettendo in risalto le componenti fisiche più importanti attraverso la scelta dei colori, delle trasparenze, e più in generale delle caratteristiche degli elementi che si visualizzano».
E le competenze artistiche da dove arrivano? Non tutte dal corso di laurea in fisica, immagino… «Credo che si acquisiscano nel corso degli anni, quando si preparano le figure o i filmati da inserire negli articoli scientifici e che devono veicolare in modo possibilmente semplice ed immediato le informazioni da comunicare al lettore. È chiaro che poi intervengono anche i gusti personali nella scelta dei colori, nel modo di miscelarli insieme, e nella selezione delle componenti fisiche per la rappresentazione dei modelli».
Salvatore Orlando, astrofisico all’Inaf di Palermo
Veniamo alla scienza. Sono rappresentazioni pensate anzitutto per gli astronomi, ci stava dicendo. A cosa possono servire? «Le rappresentazioni pubblicate sul sito di Sketchfab fanno parte di un progetto avviato circa un anno fa presso l’Osservatorio astronomico di Palermo che ha lo scopo di creare un ambiente di analisi e visualizzazione di simulazioni astrofisiche di modelli magnetoidrodinamici che si basa sulla realtà virtuale. Il progetto si chiama 3DMap-Vr ed è stato recentemente presentato su Rnaas (Research Notes of the American Astronomical Society). Il laboratorio di realtà virtuale che abbiamo realizzato consente ai ricercatori di analizzare e visualizzare le simulazioni scientifiche in modo immersivo, integrando in tal modo la tradizionale rappresentazione su schermo e consentendo ai ricercatori di navigare e interagire con i loro modelli. Allo stesso tempo, abbiamo compreso che lo stesso strumento può essere utilizzato con grande successo per la divulgazione scientifica, in quanto permette ai non addetti ai lavori di “vedere” ciò che non si può visualizzare senza strumenti adatti, come la radiazione emessa in diverse bande spettrali, i campi magnetici, oggetti astronomici che si trovano a grandi distanze da noi e che i nostri telescopi non riescono a risolvere».
Avete già avuto occasione di mostrarli in pubblico? «Sì, certo. Negli eventi dedicati alla divulgazione scientifica in cui abbiamo messo a disposizione i nostri apparati per la realtà virtuale e i nostri modelli, la risposta da parte delle persone è stata di grande entusiasmo. Il pubblico ha avuto la possibilità di esplorare strutture magnetiche della corona solare, di avvicinarsi a getti protostellari e dischi di accrescimento attorno a stelle giovani, ammirando il processo di formazione di una stella, di vedere da vicino drammatiche esplosioni di nove e supernove e di viaggiare attraverso il materiale stellare espulso a seguito di questi eventi e che interagisce con il mezzo circumstellare e interstellare per migliaia di anni. Grazie a questi strumenti, il pubblico ha potuto comprendere in modo semplice i modelli fisici sviluppati e, più in generale, i fenomeni astronomici studiati, ma anche il tipo di lavoro che viene svolto dai ricercatori».
I dati di partenza da quali telescopi e strumenti provengono? «I modelli si basano su osservazioni e dati raccolti da diversi strumenti astronomici operanti in varie bande spettrali. Abbiamo usato dati raccolti in banda radio, infrarosso, ottico, ultravioletto, X e gamma. Per esempio, giusto per menzionare qualche strumento che opera in banda X, oltre ai dati di Chandra abbiamo usato anche quelli di Xmm-Newton, ma anche di satelliti precedenti e non più operanti, come Rosat e Asca».
Chi volesse vedere la collezione completa, dove può cercare? «Come dicevo prima, in realtà i sei modelli che la Nasa ci ha richiesto sono già disponibili pubblicamente insieme a molti altri da noi sviluppati già da qualche mese sulla piattaforma Sketchfab. In particolare, abbiamo creato due gallerie di modelli accessibili pubblicamente da qualsiasi browser. La prima galleria – “Universe in hands” – si basa su modelli idrodinamici e magnetoidrodinamici sviluppati per ricerca scientifica e già pubblicati in riviste specializzate. La seconda – “The art of astrophysical phenomena” – è invece composta da “rappresentazioni artistiche” di vari fenomeni astronomici e, chiaramente, si basa molto sulla fantasia dello sviluppatore, sempre tenendo conto di ciò che sappiamo del fenomeno fisico rappresentato. In totale sono già disponibili 35 modelli e molti altri ne verranno aggiunti in futuro. I modelli possono essere visualizzati in modo tradizionale su schermo ma con la possibilità di interagire con essi, potendoli esplorare in tutti i modi. Se poi si ha a disposizione un equipaggiamento per la realtà virtuale, i modelli possono essere esplorati anche in modo immersivo, dando la possibilità al “cosmonauta virtuale” di viaggiare al loro interno».