lunedì 17 febbraio 2020

"Il post cazzarismo". - Tommaso Merlo




Se davvero saltano fuori senatori che rendono il cazzaro toscano e la sua Italia Morta superflui, potrebbe davvero aprirsi una fase politica interessante. Un post cazzarismo guidato dal governo Conte a trazione 5 stelle. Un governo finalmente libero dai ricatti e capace di macinare risultati. Salario minimo, conflitto d’interessi, acqua pubblica, nuovo modello di sviluppo ed ambientale e tutti i punti programmatici del 4 marzo che per colpa del cazzarismo si son persi per strada. Certo, non è che col Pd di Zingaretti si possa volare. Non hanno idee, non hanno energie. Sono uno partito vecchio che si regge su uno zoccolo duro (di testa), giornalume e qualche effimero pesciolino che gli nuota attorno. Ma senza Renzi tra i coglioni, perlomeno il governo Conte potrebbe ricominciare a “fare” che è l’unica ricetta vincente per liberare il suolo italico dal cazzarismo sfrenato di questi tempi. La cronaca sorride. Renzi è stato sommerso da una alluvione di sterco sulla prescrizione e perfino la sua servitù è pronta a ribellarsi. Della serie: se si vuole suicidare che lo faccia da solo. Sull’altro fronte cazzarista, invece, Salvini è dato in picchiata nei sondaggi. È venuto a noia e non ne azzecca più una nemmeno per sbaglio. Dopo la legnata emiliano-romagnola che ha scalfito la sua imbattibilità, lo attendono mesi di grane processuali, di fantasmi russi e man mano che perde smalto si comprende con sempre più nitidezza la follia politica che ha compiuto ad agosto. Salvini poteva onorare il voto del 4 marzo e partecipare da protagonista ad una fase politica di radicale cambiamento come richiesto a gran voce dagli italiani. Poteva impegnarsi e cogliere l’occasione per servire il proprio paese dopo anni di melina parassitaria e dimostrare la qualità da premier di cui si vanta. Ed invece il suo ego tossico lo ha trascinato in una inconcludente campagna elettorale permanente, in mesi di cazzeggio e di cazzate fino all’apoteosi, l’autocastrazione. Oggi il suo destino politico è in mano ai suoi nemici. Più il post cazzarismo guidato da Conte produrrà frutti, più Salvini ne uscirà sgonfiato. Già se ne intravedono i segnali. Per i transfughi di Forza Mafia e per il neofascistume nostrano, la Meloni è molto meglio. Più nera delle imitazioni. Magari un tantino burina ma perlomeno collega il cervello prima di aprire la bocca e così alla fine le sue amenità sovraniste appaiono più coerenti. Salvini ha dimostrato di essere del tutto inaffidabile ed imprevedibile, un cavallo imbizzarrito che nemmeno i suoi riescono più a seguire e che più si dimena più dimostra la sua totale inadeguatezza a guidare il paese. Evviva il post cazzarismo, dunque, che potrebbe riservare altri vantaggi. Oltre a liberarci dell’egopolitica cazzara e portare a casa altri storici risultati per i cittadini, il post cazzarismo potrebbe ristabilire la verità storica su quello che sta succedendo in Italia in questi anni. In giro è pieno di falsità e d’ipocrita revisionismo, il moribondo vecchio regime sta falsificando la storia per sopravvivere, ma il loro inganno restauratore non potrà durare all’infinito. Col tempo dovrà cedere. Sotto il peso della sua irrilevanza. Di fronte a nuove conquiste per la nostra democrazia, di fronte alla conferma della salubre direzione politica intrapresa il 4 marzo, i meschini e subdoli tentativi di tornare al passato finiranno in niente e l’Italia potrà continuare il suo percorso di cambiamento. Libera da ogni cazzaro.

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domenica 16 febbraio 2020

Bibbiano, la Cassazione: “Non c’erano elementi per la misura” per il sindaco Andrea Carletti (Pd).

Bibbiano, la Cassazione: “Non c’erano elementi per la misura” per il sindaco Andrea Carletti (Pd)
I supremi giudici rilevano "l'inesistenza di concreti comportamenti", ammessa anche dai giudici di merito, di inquinamento probatorio e la mancanza di "elementi concreti" di reiterazione dei reati.

La procura di Reggio Emilia ne aveva chiesto l’arresto, oggi la Cassazione afferma che non esistevano i presupposti neanche per quella che viene considerata la più lieve tra le misure cautelari. Non c’erano gli elementi per disporre la misura dell’obbligo di dimora nei confronti del sindaco di Bibbiano Andrea Carletti nell’ambito delle indagini sugli affidi illeciti in Val d’Enza. I giudici lo scrivono nelle motivazioni del verdetto che il 3 dicembre ha annullato senza rinvio la misura cautelare. I supremi giudici rilevano “l’inesistenza di concreti comportamenti“, ammessa anche dai giudici di merito, di inquinamento probatorio e la mancanza di “elementi concreti” di reiterazione dei reati. Il ricorso sottoposto ai giudici di piazza Cavour era stato presentato dagli avvocati difensori Giovanni Tarquini e Vittorio Manes, contro la decisione del Riesame dello scorso 20 settembre che aveva revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari per Carletti, ma aveva applicato l’obbligo di dimora nella sua casa di Albinea, sempre nel Reggiano. Il primo cittadino, sospeso dal ruolo su decisione del Prefetto e autosospeso dal Pd, è accusato di abuso di ufficio e falso per l’affidamento di alcuni locali per la cura di minori. Carletti, che si era autosospeso anche dal Partito Democratico, era stato arrestato il 27 giugno. Erano stati disposti i domiciliari che non sussistevano.

Sul rischio di inquinamento probatorio, gli ermellini sottolineano che l’ordinanza del riesame di Bologna – che il 20 settembre ha revocato i domiciliari a Carletti imponendo però l’obbligo di dimora – non si è basata su “una prognosi incentrata sul probabile accadimento di una situazione di paventata compromissione delle esigenze di giustizia”. Anzi, il Riesame – prosegue il verdetto – “pur ammettendo l’inesistenza di concreti comportamenti posti in essere dall’indagato, ne ha contraddittoriamente ravvisato una possibile influenza sulle persone a lui vicine nell’ambito politico amministrativo per poi inferirne, astrattamente e in assenza di specifici elementi di collegamento storico-fattuale con la fase procedimentale in atto, il pericolo di possibili ripercussioni sulle indagini”. Tutto “senza spiegare se vi siano, e come in concreto risultino declinabili, le ragioni dell’ipotizzata interferenza con il regolare svolgimento di attività investigative ormai da tempo avviate”. Di “natura meramente congetturale” anche il rischio di reiterazione.

In proposito la Cassazione rileva che “già in sede di applicazione dell’originaria misura cautelare”, ossia gli arresti domiciliari, i giudici di merito a fondamenta delle loro motivazioni si erano serviti di “elementi” messi “in relazione con altro passaggio motivazionale, di non univoca e quanto meno dubbia interpretazione, direttamente tratto dalle dichiarazioni rese da Carletti al Pm”. Interrogato dal magistrato, il sindaco di Bibbiano, sottolinea la Suprema Corte, “genericamente ed in via del tutto ipotetica, si limitò ad affermare che, qualora fosse tornato a rivestire la carica di sindaco, avrebbe potuto prendere in considerazione la proposta, proveniente da un interlocutore serio ed onesto, di un investimento su un terreno privato per la progettazione di una struttura, parallela a quella gestita dalla Asl, per la tutela di minori ed anziani”. Per gli ‘ermellini’ questa considerazione è “meramente congetturale e di per sé non sintomatica della intenzione di commettere ulteriori condotte delittuose dello stesso tipo di quelle per cui si procede”. Pertanto il riesame “ha illogicamente ricollegato la manifestazione di un atteggiamento volitivo orientato a proseguire l’esercizio delle funzioni di sindaco con un metodo d’azione volto alla mera realizzazione di fini politici, indifferente alle regole e alla normativa sottostante”. Carletti era stato sospeso dal prefetto ed era tornato a fare il sindaco dopo il verdetto della Cassazione.

È un grande risultato – commenta l’avvocato di Carletti, Giovanni Tarquini all’AdnKronos -, perché si riconosce che, fin dall’inizio, non c’erano i presupposti e le motivazioni per la misura cautelare. Le misure cautelari sono uno strumento molto forte e di fatto un’anticipazione del giudizio e, in questo caso, erano una forzatura. È un atto forte da parte della Cassazione – prosegue – perché nell’impostazione dell’accusa si riteneva che Carletti potesse condizionare le indagini e questo viene smentito e viene riconosciuto che non c’era una volontà di collusione con il mascheramento di condotte illecite o di non far arrivare alla verità. Infatti è tutto il contrario da parte del mio assistito”.

Il caso Bibbiano scoppia il 27 giugno, quando i carabinieri eseguono 18 misure cautelari in un’inchiesta della Procura di Reggio Emilia su un presunto giro di affidi illeciti nella Val d’Enza reggiana. Nei guai finiscono assistenti sociali, liberi professionisti, psicologi. Agli atti, secondo i pm, ci sarebbero stati lavaggi del cervello ai bambini per raccontare abusi che non ci sono mai stati, relazioni dei servizi sociali falsate e quindi, questa l’accusa principale, minorenni illegittimamente tolti alle famiglie naturali e riaffidati: un business da migliaia di euro. Nelle carte comparivano anche l’uso di una macchinetta dei ricordi, con impulsi elettromagnetici e elettrodi applicati su mani e piedi dei bimbi: un sistema che serviva per alterare lo stato della memoria in prossimità dei colloqui. Ma anche i regali e le lettere dei genitori naturali nascosti in un magazzino, i disegni dei bambini contraffatti per descrivere molestie mai subite in famiglia.

Si parla subito di caso Bibbiano. Carletti è accusato di abuso d’ufficio e falso e di aver ‘coperto’ i reati. L’inchiesta verte su sei-sette casi e alcune figure, tra cui la dirigente del servizio sociale, Federica Anghinolfi, lo psicoterapeuta Claudio Foti della onlus torinese Hansel & Gretel e la moglie, Nadia Bolognini. Fin da subito pero’ lo scandalo esce dalla Val d’Enza e diventa di rilievo nazionale e terreno di scontro politico. Il ministro Bonafede invia ispettori al tribunale per i minorenni e alla Procura di Reggio. Si annuncia presto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul tema affidi e case famiglie. È in particolare il Movimento 5 Stelle a attaccare il Pd, “il partito di Bibbiano” per il vicepremier Luigi Di Maio. I dem rispondono annunciando querele e chiedendo di non strumentalizzare. Nel paese intanto si tengono manifestazioni e fiaccolate e Giorgia Meloni di FdI è una delle prime a arrivare e a incontrare alcuni genitori, seguita da Matteo Salvini che nei prossimi giorni chiuderà la campagna elettorale delle prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna. Intanto il tribunale per i minorenni, “parte lesa” come detto dal suo presidente Giuseppe Spadaro, avvia un’ampia rivalutazione dei casi seguiti dal servizio sociale incriminato, non solo quelli al centro dell’inchiesta. In alcuni casi, nel frattempo i bambini sono stati già riaffidati alle famiglie naturali.

Spazio, segnale radio misterioso ricevuto da un’altra galassia: cos’è il Fast Radio Burst. - Paolo Virtuani

Spazio, segnale radio misterioso ricevuto da un'altra galassia: cos'è il Fast Radio Burst

Proviene da una sorgente a 500 milioni di anni luce di distanza. Si è ripetuto per più di un anno ogni 16,35 giorni. Anche se l’origine è sconosciuta, per gli scienziati non si tratterebbe di una civiltà aliena. 

Nel gergo degli astrofisici si chiamano Fast Radio Bursts (Frb), lampi radio veloci. Durano pochi millesimi di secondo, provengono dall’esterno della nostra galassia e vengono captati dai radiotelescopi in modo casuale. Ora per la prima è stato registrato un segnale (classificato come FRB 180916.J0158+65) che si è ripetuto secondo uno schema regolare. La notizia proviene dal Canada. Gli scienziati dell’esperimento Chime (Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment) tra il 16 settembre 2018 e il 30 ottobre 2019 hanno identificato un segnale che aveva il seguente schema: nei primi quattro giorni arrivava una volta ogni ora, poi spariva e ritornava dodici giorni dopo con la stessa modalità. 

Ancora sconosciuti. Gli Frb sono una manifestazione ancora non del tutto compresa: per alcuni sono dovuti ai buchi neri, per altri alle pulsar, per altri ancora all’azione della materia oscura. Vennero identificati per la prima volta nel 2007 analizzando dati ricevuti nel 2001 e finora ne sono stati registrati poco più di cento, anche se alcune stime ritengono che sulla Terra ne arrivino migliaia ogni giorno provenienti da ogni zona del cielo. Sono fenomeni di enorme energia, ma dopo aver attraversato l’Universo arrivano da noi con una potenza mille volte inferiore a quella di un messaggio di un cellulare posto alla distanza della Luna.

Messaggi alieni?Gli Frb sono stati ritenuti un mezzo per identificare eventuali civiltà aliene se fossero stati ricevuti con uno schema regolare, tale da ipotizzare un invio preciso e voluto. Ma gli stessi studiosi di Chime dicono che il segnale ricevuto è stato originato con un‘energia tra le più forti dell’intero universo, tale da rendere difficile immaginarlo dovuto a una civiltà anche estremamente avanzata. La provenienza, poi, 500 milioni di anni luce da una galassia a spirale, lo esclude da un’origine interna alla Via Lattea. Resta però la domanda del motivo della regolarità dell’impulso. Forse una sorgente che ruota intorno a una stella in un sistema binario, oppure una stella di neutroni e una stella massiccia e molto calda. Concludono gli scienziati: servono ulteriori approfondimenti sugli Frb e in particolare su quello osservato.


Vitalizi hanno ragione i 5 stelle quel taglio è stato sacrosanto. Franco Bechis (Il Tempo)



Chi ha fatto il politico tutta la vita non ci rimette. Chi pochi anni ha comunque un’altra pensione. Dove mai sarebbe il problema del taglio dei vitalizi operato finalmente in questa legislatura dopo anni di battaglie contro una ingiustizia palese? Su questo personalmente sto con il Movimento 5 stelle e la sua piazza di Roma e non potrebbe essere diversamente, visto che in prima persona avevo fatto all’inizio della scorsa legislatura questa battaglia pubblicando su Libero una lunga inchiesta che metteva a confronto gli assegni vitalizi percepiti dai “papponi delle pensioni” con i contributi da loro versati per ottenerle. Credo che fra tutti i percettori dei vitalizi in quel momento solo una ventina percepivano assegni mensili dovuti ai versamenti effettuati. Tutti gli altri avevano percepito per lunghissimi anni importi del tutto sproporzionati ai contributi versati. Più di cento avevano già incassato oltre un milione di euro di vitalizio avendo versato meno di 20 mila euro per ottenerlo. Manco al lotto si ottengono vincite di questo tipo. Per anni ho sentito ripetere dai parlamentari che sarebbe servita una legge costituzionale per toccarli, ed era una falsità perché il diritto al vitalizio non è stabilito nè dalla Costituzione nè da alcuna legge ordinaria. Ma solo da una delibera segretata dell’ufficio di presidenza della Camera a metà degli anni Cinquanta, e giustamente una analoga delibera ha cambiato quelle regole. Non vedo come una qualsiasi commissione interna alle Camere non possa riconoscere questo diritto a cambiare le regole del gioco senza forzare il diritto in modo strumentale.
C’è una sola cosa che cambierei nelle decisioni prese dalle Camere: il tetto al vitalizio. Perché se deve essere rapportato ai contributi versati e il parlamentare ha svolto questa funzione per 45 anni andando in pensione assai tardi, non c’è motivo per non dargli il vitalizio calcolato sui contributi versati anche se l’importo dovesse essere molto alto. Fuori da palazzo questo potrebbe accadere? No. E allora non c’è motivo di mettere quel tetto. Riguarda pochi, ma indebolisce la ragione del taglio a tutti gli altri. Uno deve avere in base a quello che ha versato e basta. E non si crea alcun dramma. Chi ha fatto per molte legislature il parlamentare non avrà tagliato il proprio assegno perché se lo è guadagnato. Chi lo ha fatto per poche settimane, mesi o anni avrà in ogni caso un’altra pensione dal lavoro che ovviamente avrà dovuto fare per mantenersi una volta fuori dal Palazzo.
Oltretutto anche oggi non è vero che i parlamentari hanno lo stesso trattamento di tutti gli altri italiani. Con 4 anni e 6 mesi di lavoro loro hanno diritto ad una pensione contributiva di circa mille euro netti a partire dal 65° anno di età. Con 9 anni di lavoro hanno oltre 2 mila euro netti al mese a partire dal 60° anno di età. C’è qualche altro italiano che ha le stesse condizioni pensionistiche? No. Quindi i privilegi, sia pure ridotti rispetto al passato, esistono ancora oggi. E non è proprio il caso di riportare in vigore quelli di prima buoni al massimo per qualche corte medioevale.

Riveder le stelle - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 16 Febbraio

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La piazza strapiena contro i vitalizi di ritorno e la restaurazione strisciante non risolve nessuno dei problemi drammatici in cui si è avvitato il M5S. Ma è un segnale. Anzitutto di vita. E poi del fatto che chi smette di guardarsi l’ombelico parlandosi addosso su questioni interne e sventola bandiere di principio e non di bottega trova sempre migliaia di cittadini pronti a impegnarsi. Il sentimento dominante, in piazza Santi Apostoli, era l’orgoglio per le cose fatte da un movimento vilipeso e combattuto da tutti che ha mantenuto molte promesse, ma non è stato ripagato, anzi paradossalmente è stato punito dagli elettori. I militanti sono cambiati e maturati come i loro eletti. Hanno rinunciato alle battaglie impossibili, sia quelle magari giuste ma irrealizzabili, sia quelle sbagliate e velleitarie del complottismo e dell’antieuropeismo. La sfida del governo ha fatto bene a tutti, dalla base ai vertici, costretti a diventare in fretta uomini di governo e molti – anche se non tutti e fra mille errori – ci sono riusciti. Tant’è che da due anni, altro paradosso, il “movimento del vaffa” è diventato il principale fattore di stabilità, prima contro il cazzaro verde, poi contro il cazzaro rosé. Ha espresso un premier, Conte, che ha imparato più in fretta di tutti. E un capo politico, Di Maio, che ha traghettato nelle istituzioni il più grande movimento di protesta mai nato in Italia, fino al gesto raro e dignitoso delle dimissioni.

Se i 5Stelle si riappropriano delle piazze, accanto a quelle delle Sardine che per prime ne hanno meritoriamente strappato il monopolio a Salvini, è un bene per loro e per tutti: anche perché la nuova piazza non è più contro il governo di turno (sarebbe autofagia), ma per alcune battaglie. A partire da quelle sulla legalità che hanno portato all’anticorruzione, al carcere per gli evasori, alla blocca- prescrizione e all’accorcia- processi, grazie anche alla santa pazienza di Bonafede, accolto ieri come una star. Ora però, anziché crogiolarsi nel primo bagno di folla dopo mesi di cicuta, il M5S dovrebbe far tesoro di quella piazza. La smetta di discutere di regolette interne e dispettucci ombelicali. Faccia alleanze nelle regioni dove può vincere un candidato presentabile. Fissi al più presto questo benedetto congresso degli “stati generali”, lo apra a tutti i contributi esterni possibili, si dia una leadership seria e credibile e un pacchetto di nuovi traguardi da tagliare. La casta gli ha regalato lo sdegno contro i nostalgici dei vitalizi e dell’impunità, oltre al demenziale referendum di marzo contro il taglio dei parlamentari. La casta lavora per i 5Stelle. I 5Stelle la smetteranno di giocare contro se stessi?


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La piazza contro i vitalizi. - Tommaso Merlo



Per abolire i vitalizi ci è voluta la mezza rivoluzione del 4 marzo. I cittadini sono dovuti entrare nei palazzi e li hanno aboliti in qualche settimana dopo che per anni le caste raccontavano la balla che era impossibile farlo. Mantenuta la promessa era lecito aspettarsi che quella storiaccia dei vitalizi fosse finalmente conclusa. Ed invece no. Ed invece le caste hanno avuto l’incredibile sfacciataggine di fare ricorso. L’ennesima dimostrazione della cultura avida ed arrogante che ha corroso la democrazia italiana fino a devastarla. Il vitalizio è un furto legalizzato, uno dei privilegi più vergognosi anche perché mentre le caste si arricchivano a dismisura intascandosi soldi non dovuti, i cittadini scivolavano in povertà. E ci scivolavano perché quelle stesse caste governavano coi piedi pensando solo a se stesse, alle loro carriere, alle loro prebende. I vitalizi sono l’emblema non solo della malapolitica, ma anche della sua totale irresponsabilità e indifferenza rispetto alle cose fatte, ai risultati raggiunti. Un sacco di soldi. A vita. Come premio per aver rovinato il paese. Quando grazie al miracolo del 4 marzo i vitalizi sono stati aboliti, ci si sarebbe aspettati che le caste sconfitte sposassero la nuova fase politica delineata dalle urne. Ed invece no. Ed invece i cittadini sono ancora costretti a scendere in piazza per evitare che con qualche gioco sporco nei palazzi le caste ricomincino ad arricchirsi alla faccia dei poveri cristi che i soldi se li devono guadagnare fino all’ultimo euro. I cittadini sono costretti ancora a scendere in piazza perché le caste vogliono calpestare la volontà popolare ed imporre ancora una volta i propri meschini interessi sulla collettività. Un cinismo davvero impressionante. Se davvero le caste la spuntassero sui vitalizi, sarebbe per loro una vittoria simbolica e l’inizio di una vittoriosa restaurazione. La piazza contro i vitalizi non è quindi solo un grido di rabbia contro un indegno privilegio che uscito dalla porta rischia di rientrare dalla finestra, ma è un grido contro il tentativo politico del vecchio sistema partitocratico di fregarsene del 4 marzo e riprendere l’abbuffata interrotta. I vitalizi, l’impunità con la prescrizione, il referendum contro il taglio dei parlamentari, la distruzione mediatica e politica della forza che ha vinto le elezioni e osato intaccare i privilegi delle caste e dimostrare che un diverso modo di fare politica sia possibile. Tutti tasselli di un disegno restauratore che rischia di andare a buon fine se non ci sarà un’altra veemente reazione popolare. Molti cittadini sembrano essersi arresi, altri hanno abboccato ai camuffamenti con cui il vecchio sistema cerca di riciclarsi, altri attendono in disparte sfiduciati e confusi, altri han pensato bene di tradire. Cedimenti e divisioni che fanno solo il gioco delle caste e della loro restaurazione. La piazza contro i vitalizi serve anche a questo. A ricordare a tutti che dal 4 marzo in poi si son vinte tante battaglie ma la guerra per il cambiamento è ancora lunga. E non bisogna mollare.

https://infosannio.wordpress.com/2020/02/15/la-piazza-contro-i-vitalizi/?fbclid=IwAR0KBvXwxlOBWSO3oHzY6t4JKkPHnEU01O4XYKyPT-CNyK6yAjIa_YsnZLw

sabato 15 febbraio 2020

Guerra delle nomine, Renzi è tornato sul luogo del delitto. - Giorgio Meletti e Carlo Tecce



Sei anni fa #enricostaisereno. L’ultima volta stravinse, ora rischia le briciole tra Fraccaro, Gualtieri e D’Alema. Brutti segnali su Privacy e Agcom.

Il 14 febbraio 2014, Enrico Letta salì al Quirinale per dimettersi da presidente del Consiglio. La fretta di Matteo Renzi di fargli le scarpe a colpi di #enricostaisereno, con il supporto logistico di Giorgio Napolitano, aveva un’unica spiegazione: installarsi a Palazzo Chigi in tempo per gestire la tornata di 400 nomine nelle società controllate dallo Stato, a cominciare dalle più appetibili, Eni, Enel, Poste e Leonardo. L’analisi di Riccardo Fraccaro, esponente non di primissimo piano dei Cinque Stelle, fu assai severa: “La verità è che ha fretta di gestire la prossima infornata di poltrone. Il neopremier è un cinico arrivista, un arrampicatore politico senza scrupoli. Invece di occupare militarmente le poltrone, adotti una procedura trasparente per il rinnovo dei vertici dei più importanti gruppi d’Italia”.
Sei anni dopo, anche ieri la festa di San Valentino è stata segnata dai venti di crisi soffiati da Renzi. Ancora una volta la vera posta in palio, nell’immediato, è la spartizione delle poltrone. Solo che stavolta è Fraccaro al tavolo principale. Spentasi la stella di Luigi Di Maio e passata la meteora Stefano Buffagni, è lui, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a rappresentare i Cinque Stelle al suk delle poltrone (per la verità non trasparente come Fraccaro pretendeva da giovane). M5S e Pd, come azionisti di riferimento del governo Conte, conducono il gioco. Nicola Zingaretti ha la sponda dell’amico Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, aiutato a sua volta nel disbrigo della pratica dall’attivissimo capo della segretaria Ignazio Vacca. Essendo Gualtieri titolare del decisivo potere formale di proposta dei grossi nomi da portare al Consiglio dei ministri, in questa fase il ruolo di Giuseppe Conte è ridimensionato, non avendo voluto, o potuto, accollarsi la mediazione tra i variegati appetiti della maggioranza. Anche se non ci sono tavoli formali, sono Fraccaro e Zingaretti (alias Gualtieri, alias Vacca) a condividere la discussione, già fitta a quattro-cinque settimane dall’appuntamento con le nomine, con i piccoli azionisti della maggioranza, ex Leu e Italia viva, e con un grande vecchio come Massimo D’Alema che gioca più che altro a titolo personale e, ringalluzzito dalla nomina dell’amico Rodolfo Errore alla presidenza della Sace, si dà molto da fare convinto com’è di poter ancora contribuire al bene del Paese suggerendo qualche nome giusto per una delle circa 400 poltrone in palio.
A differenza di sei anni fa, non potendo sbancare Palazzo Chigi e fare bottino pieno, Renzi è costretto a minacciare sfracelli per ottenere qualche poltroncina in più. “Finora non ci hanno fatto toccare palla”, piagnucolano i suoi, anonimamente, per giustificare le insensate intemperanze del capo sulla prescrizione. Martedì in aula è in agenda la partita preliminare per le autorità per la Privacy e per le Comunicazioni, con otto mesi di ritardo e con una forte sensazione di ennesimo rinvio. Al momento Renzi è fuori dalla contesa, un pessimo segnale che l’ha innervosito. Neppure stavolta, però, i deputati e i senatori dovrebbe riuscire a scegliere i quattro componenti della Privacy e i quattro dell’Agcom più il presidente che spetta al governo con l’avallo dei due terzi delle commissioni competenti.
In mancanza di accordo nel collegio, la Privacy va al più anziano: il centrodestra aveva puntato sul candidato senatore Ignazio La Russa, classe 1947, il centrosinistra ha replicato col giurista Pasquale Stanzione (1945), il centrodestra ha sfoderato l’imbattibile Raffaele Squitieri (1941), ex Corte dei Conti. In questo stato di salute la maggioranza di governo si prepara ad affrontare i dossier Eni & C con un’accortezza: non toccare gli amministratori delegati, anche se vacillano Luigi Ferraris di Terna e Alessandro Profumo di Leonardo, e cambiare i presidenti, con le eccezioni di Gianni De Gennaro di Leonardo e Patrizia Grieco di Enel, protetta dall’ad Francesco Starace, il manager che è talmente tranquillo da spendersi per altri e non per sé.
Per la multinazionale del petrolio serve l’impresa più coraggiosa: dimostrare che le vicende giudiziarie di Claudio Descalzi e i conflitti d’interessi con gli affari passati della moglie non siano una variabile. A chiedere la conferma del numero uno pare siano scesi in campo i Paesi dove l’Eni estrae greggio, con i quali Descalzi si è dato molto da fare, e la loro domanda di continuità non ha trovato insensibile il Quirinale.
I Cinque Stelle non farebbero barricate se però il Pd ci mette la faccia intestandosi il terzo mandato dell’amministratore delegato. In tal caso Marco Alverà di Snam, legato al sistema dell’ex ad Paolo Scaroni e in campagna elettorale da mesi, aspetterebbe il prossimo giro. In Poste si aspetta la formalità per brindare al bis di Matteo Del Fante, adottato dai renziani e poi adorato dai pentastellati, ma soprattutto scortato dal vice Giuseppe Lasco; invece Emma Marcegaglia, il presidente di Eni, non ha speranze e Giampaolo Massolo (oggi in Fincantieri) scalpita.
In Fincantieri, sotto la guida di Giuseppe Bono, è cominciata la carriera di Fabrizio Palermo. Il capo di Cassa Depositi e Prestiti si considera uomo di industria e pensa a un ritorno nel settore, magari in Leonardo, ma Profumo ha un buon rapporto con M5S e Pd e la spinta del Quirinale. Palermo libererebbe l’ambita poltrona in Cdp. Ma un governo così debole non può permettersi un disegno così ampio. La politica si accontenta di ritoccare qua e là i vertici delle aziende e di scannarsi per i consigli di amministrazione.