martedì 24 agosto 2021

Donazione camici: Bongiovanni, ex dg Aria “L’ordine di Fontana non era negoziabile”. - Davide Milosa

 

“La volontà del presidente Attilio Fontana non era negoziabile (…) Mi sono adeguato (…) Ho accondisceso a quella richiesta (…) Ero stato nominato. Venivo pagato da Regione Lombardia”. È il 24 maggio scorso quando Filippo Bongiovanni, ex dg della centrale acquisti di Regione Lombardia (Aria), rivela un dato che secondo la Procura di Milano chiuderà il cerchio sulle responsabilità del governatore leghista rispetto all’indagine dei camici venduti (e poi donati) al Pirellone dal cognato Andrea Dini, titolare della Dama spa. L’inchiesta, finita il 27 luglio, conta cinque indagati accusati di frode in pubbliche forniture tra i quali, oltre a Fontana e Dini, anche Bongiovanni, un altro dirigente di Aria e il vicesegretario generale della Regione Pier Attilio Superti. Nel verbale agli atti, l’ex dg affronta il passaggio dall’affidamento “oneroso” siglato il 14 aprile 2020 di 75 mila camici per 513 mila euro fino alla donazione dei camici consegnati alla data del 20 maggio. Passaggio voluto, secondo i pm, anche da Fontana. Bongiovanni conferma: nei due giorni precedenti al 20 maggio in Regione ci saranno diversi incontri. L’ex dg parla con Superti e con il segretario generale Antonello Turturiello (non indagato). “Ricordo – dice – che Superti o Turturiello mi spiegarono che per salvaguardare la figura politica del presidente Fontana sarebbe stato necessario formalizzare la donazione e rinunciare alla restante parte della fornitura”. Prosegue: “In quei giorni Superti mi disse di aver avuto un incontro con la moglie di Fontana” (non indagata). Ancora: “Ho acconsentito alla richiesta perché sono un dipendente regionale” e perché “mi è stato rappresentato in maniera diretta che questa era la volontà del presidente su un tema che gli stava (…) a cuore e di conseguenza mi sono adeguato”. L’ordine “non era negoziabile”. Non aver obbedito, prosegue, “avrebbe rappresentato una clamorosa rottura con il presidente”. Il 18 maggio l’ex dg incontra in Regione Superti e Turturiello: “Superti mi ha prospettato l’intenzione di Dama di donare e di ritenere chiuso il contratto (…) La versione che mi ha raccontato è che Fontana voleva l’Iban (di Dama, ndr) e l’importo dei camici già consegnati e fatturati”. In un’intercettazione del 14 luglio 2020, quando la vicenda è già pubblica, Bongiovanni dice di essersi trovato “in una situazione di impotenza”. A verbale conclude: “Ho eseguito quello che ritenevo un ordine”.

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Pupetto Montmartre. - Marco Travaglio

 

Abbiamo sempre avuto un debole per Bernard-Henri Lévy, il gagà più engagé degli intellò, il filosofo di cui sfuggono le idee, il firmaiolo di appelli un tanto al chilo (scambiò persino un volgare assassino come Cesare Battisti per un perseguitato politico). Di lui, più che il pensiero sottovuoto spinto ben mascherato dall’aria pensosa, ci hanno sempre affascinato la chioma sale e pepe da galleria del vento, i colletti modello Air France della camicia bianca spalancata sul petto villoso e l’acronimo con cui si fa chiamare: BHL che, più che alla filosofia, rimanda ai corrieri espresso pronta consegna. Fosse nato qualche annetto prima, avremmo giurato che avesse ispirato Totò per Pupetto Montmartre di Champs Elisées, “camminata internazionale, stanchezza congenita e al posto della erre la evve”, che si alliscia il ciuffo sbarazzino tra gli esistenzialisti Poldo, Poppy, Fuffy, Lallo&C. nella villa a Capri di Giulia Sofia (Franca Valeri). Da giorni, dopo la fuga ingloriosa degli amati yankee da Kabul, cercava al telefono Ahmad Massud, figlio del “leone del Panshir”, il signore della guerra afghano ucciso dai talebani nel 2001, per incitarlo alla pugna. Cioè alla guerra civile, che dopo 42 anni di orrori è proprio quel che ci vuole. Ma trovava staccato: da quelle parti non c’è campo. Poi, “la sera del 21 agosto”, il miracolo: “la linea è sicura, ma traballante. La voce mi giunge nitida, ma frammentata”, narra il filosofo telefonista su Repubblica.

Ogni tanto cade la linea. Ma lui, furbo, che fa? “Richiamo e mi faccio ripetere le parole”. Una non vuole proprio sentirla: “resa”. Il leoncino del Panshir lo accontenta: “Sono più determinato che mai”, “la resistenza è appena iniziata”, “‘resa’ non esiste nel mio vocabolario”. Ma a BHL non basta: vuole sentirsi dire che coi talebani non si parla. E qui Massud jr. lo delude: “Parlare si può. In ogni guerra si parla. Mio padre ha sempre parlato coi nemici. Pensi se i talebani si mettessero a rispettare i diritti delle donne, delle minoranze. Perché rinunciare a dire loro che tali principi avrebbero effetti positivi su tutti gli afghani, talebani compresi?”. Ahiahiahi, le cose si mettono male. BHL potrebbe decollare da Parigi sulle ali della camicia e lanciarsi sul Panshir. Ma un compromesso in extremis scongiura il peggio. BHL: “Posso dire al mio Paese e agli Stati Uniti che lei continua a nutrire speranza?”. Massud: “Sì, restiamo saldi nella tempesta e il vento finirà per soffiare a nostro favore”. Resta un piccolo problema: “A Kabul ho chiesto armi e me le hanno negate, quelle americane son finite nelle mani dei talebani”. I quali, incredibilmente, non gliele danno. Ma ora con Macron e Biden ci parla lui, Pupetto Montmartre di Champs Elysées, e risolve. Pronta consegna.

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lunedì 23 agosto 2021

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Telefono Azzurro. “Lasciateci adottare una bimba afghana” (Vittorio Feltri, Libero, 22.8). Ma prima almeno chiediamo alla sventurata se è d’accordo.

Valori bollati. “L’individuo è un’entità sacra. Così si crea il benessere. I valori in cui credo” (Silvio Berlusconi, Giornale, 22.8). Uahahahahah.

Il piacere dell’onestà. “Nessun male a definirsi antifascista, però io non distinguo le persone tra fascisti e antifascisti. Le persone non le distinguo se non per uomo, donna e persone perbene” (Luca Bernardo, Ansa, 13.8). Non per nulla è il candidato a sindaco di Milano per Berlusconi e Salvini.

La prova regina. “Macché fascista: Bernardo aveva i nonni partigiani” (Libero, 15.8). Fortuna per lui che non lo conoscevano.

Lo smemorato di Cologno. “Berlusconi scuote la Ue. Gli altri pensano ai voti” (Giornale, 19.8). “Berlusconi striglia la Ue: ‘Deve governare la crisi con l’Onu e la Nato’” (Giornale, 20.8). Mica come quel pirla che vent’anni fa trascinò l’Italia in guerra.

L’arma segreta. “La ministra Bonetti prepara il vertice sui diritti delle donne il 26 agosto” (Repubblica, 19.8). Panico fra i talebani.

Lezioni di guerra. “Afghanistan, ne valeva la pena. I veterano della missione italiana: ‘I nostri insegnamenti sono stati efficaci’” (Giornale, 18.8). Gli abbiamo insegnato a scappare.

L’estremo oltraggio. “Poteva mancare Gino Strada al coretto degli amici dei clandestini? Baci anche a lui” (Matteo Savini, segretario Lega, 22.12.2018). “Gino Strada mi definisce oggi ‘DISUMANO, gretto, IGNORANTE, fascistello, CRIMINALE’. Solo??? Evidentemente la fine della mangiatoia dell’immigrazione clandestina li sta facendo impazzire” (Salvini, 21.1.2019). “Il compagno Gino Strada mi vuole sotto processo? Uuuhhh, che paura. Bacioni” (Salvini, 26.1.2019). “Con la morte di Gino Strada, l’Italia perde un uomo di valore. La diversità delle idee politiche lascia spazio al cordoglio e alla preghiera. #ginostrada” (Salvini, beccato da @nonleggerlo, 13.8.2021). Se ne deduce che l’unico Gino Strada buono è quello morto.

Agenzia Sticazzi. “Finché ci sono ghiaccioli c’è speranza (meglio se al limone, per me)” (Giuseppe Sala, sindaco di Milano, Instagram, 15.8). Mo’ me lo segno.

Che cos’è il genio? “C’è una sola cosa sulla quale non si possono avere dubbi: ed è che se si fa una guerra del genere allora bisogna assolutamente vincerla, costi quel che costi” (Ernesto Galli della Loggia, Corriere della sera, 20.8). Ecco perché gli americani e i loro alleati han perso la guerra in Afghanistan: non avevano consultato Galli della Loggia, quindi non avevano capito che dovevano vincerla.

La pasionaria. “Le compagne parlino delle ragazze di Kabul” (Maria Elena Boschi, capogruppo Iv alla Camera, Giornale, 22.8). Invece per le ragazze di Riyad c’è tempo. E comunque ci pensa bin Salman.

Narcos senza droga. “Eroina, miliardi e geopolitica. I talebani sono i nuovi narcos” (Roberto Saviano, Corriere della sera, 18.8). Infatti nel 2000-‘01 furono gli unici ad azzerare la coltivazione di oppio. Che poi riprese coi “liberatori”.

Il quasi-vincitore. “Alle suppletive di Roma FI non segue Palamara e lancia il suo candidato. Corre Calzetta, che sfiorò la vittoria nel 2018” (Giornale, 18.8). Cioè perse le elezioni. Mezza sconfitta, mezza Calzetta.

Nella casa della libertà/1. “Via sbarre e manette dalle aule dei processi salvo ordine del giudice. Il decreto legislativo sulla presunzione di innocenza considera l’imputato ‘uomo libero’” (Repubblica, 11.8). Saranno fornite anche appositi seghetti, lime e lenzuola annodabili.

Nella casa delle libertà/2. “Choc in Francia, assassinato un prete: il killer un anno fa aveva bruciato la cattedrale di Nantes, ma era libero” (Stampa, 10.8). Ora è due volte presunto innocente.

L’affarone. “Olimpiadi, Tokyo chiude con un buco di 20 miliardi” (Fatto quotidiano, 9.8). “Roma non avrà i Giochi per colpa della Raggi” (Libero, 11.8). “Olimpiadi 2024, così Raggi fece per ignavia ‘il gran rifiuto’” (Francesco Merlo, Repubblica, 11.8). Peccato: Roma poteva raddoppiare il suo debito.

Le grandi riforme. “Nella Rai di Fuortes molti tagli, via i partiti e obbligo del ‘lei’” (Repubblica, 9.8). Non era meglio il “voi”?

Il titolo della settimana/1. “Con Alessia posso essere fragile. Ho avuto molti fidanzati discutibili, li ha sempre accolti. La sento tutti i giorni, se ci capita di litigare risolviamo subito. Sogno di invecchiare assieme in Kerala” (Costantino della Gherardesca, titolo su un’intera pagina, Corriere della sera, 17.8). E poi dicono che è morto il giornalismo d’inchiesta.

Il titolo della settimana/2. “Niente libertà, Pittelli deve marcire ai domiciliari” (Tiziana Maiolo, Riformista, 11.8). Poverino, deve avere proprio una casa di merda.

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domenica 22 agosto 2021

Dieci cose da fare per salvare (davvero) le nostre foreste dagli incendi che le devastano. - Giorgio Vacchiano

 

Il bosco ha una grande capacità di ripresa, per questo occorre intervenire bene e solo dove è veramente necessario.

Si parla in questi giorni di un “piano straordinario di rimboschimento” dopo gli incendi in Sud Italia. Il bosco ha una grande capacità di ripresa: ecco dieci punti per intervenire bene e solo dove necessario.

1) Aprire un tavolo coordinato dagli enti locali, in cui possano cooperare i comuni coinvolti, i proprietari dei boschi, i cittadini dei territori colpiti, le università competenti, i parchi naturali, i carabinieri forestali o corpo forestali regionale, i progettisti forestali, le associazioni ambientaliste, i rappresentanti delle attività economiche rese possibili dal bosco (filiera legno, turismo, allevatori…).

2) Individuare il perimetro delle aree colpite con il supporto dei carabinieri forestali. Suddividere il perimetro in zone a diversa severità dell’incendio In base alla gravità dei danni alla vegetazione e al suolo, con il supporto di rilievi a terra (es. metodo del Composite Burn Index) o di analisi di immagini satellitari (es. Normalized Burn Ratio), in collaborazione con gli enti di ricerca.

3) Dare un ordine di priorità ai benefici del bosco che si sono persi con l’incendio: prima la protezione dal dissesto idrogeologico, poi la protezione delle falde acquifere, poi tutti gli altri a seconda dei bisogni delle comunità locali (produzione di legno, conservazione della biodiversità, ricreazione e turismo…).

4) Valutare se i tempi e i modi della ripresa naturale della vegetazione negli ecosistemi colpiti dal fuoco sono compatibili con i benefìci che si intendono ripristinare. Tenere conto della fauna che beneficia delle aree percorse dal fuoco (es. rapaci, farfalle, orchidee…), dei futuri rischi climatici (es. siccità) e di altri fattori di disturbo per la vegetazione che verrà (es. insetti parassiti, erbivori domestici o selvatici).

5) Non rimuovere tutti gli alberi morti o danneggiati dal fuoco, compatibilmente con la necessaria sicurezza per i cittadini. Il legno morto migliora l’attecchimento delle giovani piantine (naturali o piantate) e le protegge da siccità e erosione. Gli alberi danneggiati ma ancora vivi, anche se “brutti”, possono essere una preziosa fonte di semi e accelerare la ripresa naturale del bosco, o addirittura rigenerarsi a partire dal ceppo (es. macchia mediterranea).

6) Solo dove lo sviluppo naturale della vegetazione sarà inadeguato o sufficiente a ripristinare rapidamente i benefici del bosco, e solo nelle zone accessibili, progettare il rimboschimento in modo condiviso con tutti i partecipanti al tavolo. Disegnare le aree da rimboschire in modo da creare “corridoi verdi” nel paesaggio che assicurino il movimento degli animali e la protezione da frane e erosione del suolo per le comunità a valle del bosco.

7) Scegliere le specie di alberi e arbusti da piantare tra quelle più compatibili con il clima e il suolo nei territori colpiti dal fuoco e in funzione dei benefìci che si intendono a ripristinare. La scelta delle specie deve massimizzare la biodiversità (meglio rimboschimenti con più specie), minimizzare la vulnerabilità climatica (includere sempre una componente a latifoglie) e ridurre l’infiammabilita nei confronti di nuovi incendi.

8) Rifornirsi da vivai locali come impone la legge 386/2003, scegliendo le varietà o provenienze di piante più adattate al clima locale del presente e del futuro. A luglio 2021 sono state definite le regioni di provenienza per tutte le specie forestali con un decreto del MiPAAF. Nel medio periodo, rinforzare gli investimenti nel settore vivaistico pubblico e nella raccolta di materiale di propagazione forestale da boschi certificati. È possibile affiancare alla tradizionale modalità di trapianto anche la semina diretta.

9) Programmare e investire da subito nelle cure che devono essere prestate alle giovani piantine nei primi 5-7 anni (protezione dagli erbivori, irrigazioni, contenimento della vegetazione erbacea concorrente dove necessario), pena il fallimento del rimboschimento, e nelle opere temporanee di protezione dal dissesto, che devono durare solo fino al raggiungimento della maturità delle nuove piantine (es. con strutture in legno e tecniche di ingegneria naturalistica).

10) Realizzare da subito un piano di gestione forestale e di prevenzione antincendi, sia per le aree rimboschite che per quelle lasciate al ripristino naturale, con il supporto dei progettisti forestali. Il piano deve programmare come gestire la nuova foresta, accompagnandone lo sviluppo, mettendola al riparo dai rischi climatici e assicurando nel tempo il raggiungimento dei benefici che chiediamo al nuovo bosco.

PS. I rimboschimenti delle superfici boscate percorse da incendio con fondi pubblici sono vietati per cinque anni (legge 353/2000), “salvo interventi necessari alla tutela della pubblica incolumità, e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici”. Dimostrando queste eventualità, è possibile chiedere al Ministero della Transizione Ecologica (nelle aree protette) o alle regioni l’autorizzazione all’intervento.

Fonti:

Rapporto Legambiente e SISEF – Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale per governare il fenomeno degli incendi estremi in un contesto di cambiamento climatico.

Vademecum L’albero giusto al posto giusto, della Fondazione AlberItalia.

Piano straordinario di interventi per gli incendi boschivi in Piemonte.

J. Castro et al., Precision restoration: a necessary approach to foster forest recovery in the 21st century

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Sòla che Sorgi. - Marco Travaglio

 

Almeno un effetto collaterale positivo la vittoria talebana l’ha avuto: ha resuscitato in Italia la stampa umoristica, con titoli da far invidia al compianto “Cuore”. L’altroieri ha vinto Libero con lo strepitoso “Conte sta con i talebani. L’avvocato dei tagliagole” (come del resto Libero, che il giorno prima titolava “Col ‘diavolo’ bisognerà trattare. Sedersi al tavolo col nemico a volte è necessario”), ex aequo con La Stampa (“La fuga degli sciatori”). Ieri il Giornale ha riagguantato il primato col sontuoso “I talebani ringraziano Cina e Cinque Stelle”. È noto infatti che i Talebani han vinto la guerra dei vent’anni grazie all’appoggio paritario prima di Pechino e poi del M5S (subentrato ai cinesi nella staffetta afghana nel 2009). Repubblica si difende come può, anche perché Sambuca Molinari non riesce ancora a pronunciare la parola “disfatta” e, appena finita una guerra, già ne sogna un’altra, stavolta civile (“Le milizie dei signori della guerra combattono contro i talebani”, evvai!), mentre Nando Mericoni-Merlo, inconsolabile per la mancata esportazione della democrazia/civiltà, continua a rastrellare gli “italebani”, veri artefici del trionfo dei mullah. Noi però siamo preoccupati per Marcello Sorgi, rimasto aggrappato al carrello dell’ultimo cargo decollato da Kabul e dimenticato da tutti lì appeso. Su La Stampa, spiega che Conte vuole dialogare coi talebani coinvolgendo Russia e Cina (“una gaffe”) perché ha una “grave lacuna: gli Esteri”. In effetti, dopo avere sventato due procedure d’infrazione Ue in sei mesi, fatto eleggere coi voti M5S la Von der Leyen e ottenuto il Recovery, il Mullah Giuseppi è deboluccio in materia. E, quel che è peggio, la sua ignoranza è più contagiosa della variante Delta: ora anche Ue, Onu, Nato, Merkel e Johnson vogliono dialogare coi talebani. La Merkel chiede a Putin di mediare con loro. E sulla stessa Stampa, a 18 cm da Sorgi, si legge: “Draghi pensa occorra mettere attorno al tavolo tutta la comunità internazionale, a partire da Cina e Russia”. Ma allora ditelo che glielo fate apposta, a Sorgi: ora, per coerenza, sempre lì appeso al carrello, gli toccherà scrivere che il suo “SuperMario” fa gaffe perché gli Esteri sono la sua grave lacuna. E Nando Merlo dovrà iscrivere pure Draghi al Partito Italebano. Ma si può vivere così?

Ps. Viva costernazione per la fatwa talebana contro le classi miste a scuola, come se negli altri paesi islamici maschietti e femminucce studiassero festosamente nelle stesse aule (per saperne di più, vedi l’Arabia Saudita del Nuovo Rinascimento). Chi scrive ha studiato al liceo Valsalice di Torino, riservato ai maschi, e pensava di avere a che fare coi Salesiani. Invece erano Talebani ben camuffati.

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Putin-Merkel, incontro a Mosca. La cancelliera: 'Ho chiesto di liberare Navalny'.

 

'La Germania resta uno dei principali partner della Russia', ha detto Putin. 'Il dialogo con la Russia è necessario nonostante distanze', ha affermato la cancelliera.


La cancelliera tedesca Angela Merkel a Mosca per incontrare il presidente russo Vladimir Putin, proprio nel giorno dell'anniversario dell'attacco con il gas nervino contro il leader dell'opposizione Alexei Navalny, curato poi a Berlino.

In quella che sarà l'ultima visita della Merkel in Russia, lo staff della cancelliera ha chiarito che la tempistica dell'incontro non è casuale, dato che (come ha detto il suo portavoce Steffen Seibert) "le nostre richieste non sono ancora state soddisfatte", il caso è "irrisolto" ed è un "pesante fardello" sulle relazioni tra i due Paesi.

La Germania resta uno dei principali partner della Russia in Europa e nel mondo, ha detto Putin in apertura del suo incontro con Merkel. Putin si è detto convinto che il vertice non sarà solo un viaggio di commiato da parte della Merkel ma "zeppo di contenuti", riporta la Tass. 

La Russia e la Germania devono continuare il dialogo nonostante le controversie, ha affermato la cancelliera tedesca.  

"Ho chiesto ancora una volta al presidente la liberazione di Navalny", ha detto Angela Merkel in conferenza stampa a Mosca con Putin, sottolineando che la detenzione del dissidente sia "inaccettabile".

Secondo Putin, Alexei Navalny "non è stato condannato" per la sua attività politica ma per "i crimini commessi contro i partner stranieri" nel caso Yves Rocher. La guerra alla corruzione "è importante" ma non deve essere usata "come strumento di lotta politica", ha aggiunto Putin commentando l'articolo di Navalny pubblicato da diversi giornali internazionali. 

"Saremo sempre felici di vederla in Russia ancora, grazie per il lavoro di questi 16 anni",  ha detto ancora Putin.

Sull'Afghanistan, Putin che detto che "i Talebani ora controllano la maggior parte del Paese, inclusa Kabul, questa è la realtà e dobbiamo evitare la distruzione dello Stato afghano. Noi conosciamo il Paese molto bene, sappiamo quanto controproducente sia imporre altri modelli stranieri verso l'Afghanistan, non ha mai successo". "Non si può imporre il proprio stile di vita su altri popoli, perché hanno le loro tradizioni. Questa è la lezione da trarre da quanto accaduto in Afghanistan. D'ora in poi lo standard sarà il rispetto delle differenze, perché non si può esportare la democrazia, che uno lo voglia o no". "I talebani hanno avuto più sostegno di quello che avremmo auspicato. Dovremo cercare di parlare con loro", ha detto Angela Merkel per fare in modo che gli afghani che hanno aiutato la Germania "possano lasciare il paese". "Spero che si possano trovare delle strutture inclusive", ha aggiunto, per aiutare il popolo afghano, e "allo stesso tempo spero che il terrorismo non sia più in futuro una minaccia internazionale".

Affrontato anche il tema Ucraina: l'impressione è che le autorità di Kiev abbiano "rinunciato" alla risoluzione pacifica del conflitto del Donbass e la Russia trova "preoccupanti" le dichiarazioni dell'Ucraina sul suo effettivo rifiuto di attuare gli accordi di Minsk, ha detto Vladimir Putin in conferenza stampa con Angela Merkel, sottolineando che chiederà alla cancelliera tedesca di fare pressioni su Kiev, nel corso del suo viaggio di domenica prossima, perché l'Ucraina attui la sua parte di accordo. "Il formato Normandia è l'unico che c'è", secondo Merkel che ha aggiunto: "Io consiglio di tenere in vita i negoziati per la pace" in Ucraina, anche se i passi avanti non sono rapidi quanto si vorrebbe. 

L'impressione è che le autorità di Kiev abbiano "rinunciato" alla risoluzione pacifica del conflitto del Donbass e la Russia trova "preoccupanti" le dichiarazioni dell'Ucraina sul suo effettivo rifiuto di attuare gli accordi di Minsk. Lo ha detto Vladimir Putin in conferenza stampa con Angela Merkel, sottolineando che chiederà alla cancelliera tedesca di fare pressioni su Kiev, nel corso del suo viaggio di domenica prossima, perché l'Ucraina attui la sua parte di accordo.

"Con tutte le divergenze di opinioni, sono molto contenta del fatto che noi possiamo parlare", e il colloquio è stato "costruttivo" alla ricerca di "soluzioni comuni", ha detto Angela Merkel. La cancelliera ha citato le visite regolari tenute in Russia in 16 anni: "Ho sempre cercato il contatto, anche se non sempre è stato facile". Merkel ha sottolineato l'importanza del "tentativo di cercare un compromesso". "Non c'è alcuna ragionevole alternativa a questo", ha concluso.

Putin ha regalato un mazzo di fiori alla cancelliera in apertura dei negoziati. Merkel, accompagnata dalla sua delegazione, si è dunque seduta al suo posto, accanto al leader russo, per le prime annotazioni d'inizio vertice solitamente tenute davanti alle telecamere. Mentre Putin parlava, all'improvviso, si è udito un trillo e Merkel ha frettolosamente estratto il cellulare dalla tasca, per silenziarlo.

ANSA

Superbonus, quando la nuova Cilas 110% non vale per tutti i bonus. - Giuseppe Latour e Luca Rollino

 

Ostacoli operativi e fiscali per gli interventi misti. L’attivazione della nuova Cilas, a partire dallo 5 agosto, non ha risolto tutti i problemi che committenti, imprese, contraenti generali e progettisti devono affrontare in materia di superbonus. Restano, infatti, diverse complicazioni da considerare quando un intervento non rientri completamente nel perimetro del 110% ma abbia al suo interno contemporaneamente più tipologie di incentivi fiscali.

Quali sono le conseguenze della coesistenza di interventi che hanno un trattamento giuridico e fiscale differente? Il quaderno illustrativo dell’Anci dà una prima risposta a questa domanda e dice che «per gli interventi che prevedono contemporaneamente opere soggette a benefici fiscali di cui al superbonus e altre opere non rientranti in tali benefici, occorre comunque presentare sia la Cila superbonus, sia attivare il procedimento edilizio relativo per le opere non comprese, anche contemporaneamente». C’è quindi, un inedito livello multiplo sul quale muoversi: la Cilas può convivere con una Cila ordinaria, una Scia o con permessi di costruire.

I problemi.

Questa convivenza, però, rischia di essere problematica, per diversi aspetti. Anzitutto, perché ci si trova a gestire contemporaneamente più procedimenti amministrativi. La Cilas, come si legge nel nuovo modulo, costituirà «integrazione alla pratica edilizia presentata», relativa «ad interventi edilizi non soggetti a superbonus». Quindi, ad esempio, la Cilas andrà a integrare una Scia o un’altra Cila.

Sul fronte fiscale, l’effetto è che la parte dei lavori che, nel nostro esempio, rientra nella Scia non accede alla clausola di favore introdotta all’articolo 119 del Dl Rilancio, limitata al 110%, per la quale sono solo quattro i casi che portano alla decadenza del beneficio.

Non solo. Anche sul fronte edilizio-urbanistico la situazione rischia di essere piuttosto complicata. Solo per la Cilas, infatti, la legge prevede che non ci sia attestazione dello stato legittimo. In caso di presentazione di altri titoli abilitativi, si torna al punto di partenza: lo stato legittimo dovrà essere attestato sempre in caso di Scia, in alcuni Comuni anche per la Cila, diluendo di molto la semplificazione. Addirittura, si possono creare delle situazioni particolarmente complesse in cui si deve essere molto attenti a operare.

Possibile decadenza.

Al di fuori della Cilas, l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile è sempre richiesta per la Scia e, in alcuni Comuni, anche per la Cila, mentre è sempre esclusa per gli interventi in edilizia libera. Inoltre, l’articolo 49 del Dpr 380/2001 sancisce la decadenza dei benefici fiscali (escludendo il superbonus) nel caso in cui vi siano violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure prescritte.

Le agevolazioni saltano, poi, in caso di mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione.

I tre scenari.

Questo implica che vi siano tre possibili situazioni, qualora si affianchino agli interventi da 110% altre opere:

1) L’intervento aggiuntivo non richiede attestazione dello stato legittimo e non vi sono abusi che generino la decadenza dei benefici: si può operare senza alcun timore;

2) L’intervento aggiuntivo non richiede attestazione dello stato legittimo ma vi sono abusi che generano la decadenza dei benefici: in questo caso si può procedere dal punto di vista amministrativo, ma è assai rischioso. Il committente deve essere quantomeno informato, poiché in caso di controllo successivo alla fine del cantiere potrebbero essere revocate le agevolazioni ordinarie di cui ha fruito;

3) L’intervento aggiuntivo richiede attestazione dello stato legittimo: si deve fare accesso agli atti e verificare la conformità edilizio urbanistica, con il rischio di dover sanare eventuali abusi e, sicuramente, con il pericolo di un allungamento dei tempi di diversi mesi. In questo caso, si perderebbero le sinergie operative derivanti da un unico cantiere in cui far convergere interventi che fruiscono del superbonus e interventi che vanno con aliquote ordinarie.

Nella sostanza, una verifica di conformità edilizio urbanistica in caso di interventi aggiuntivi al superbonus conviene sempre farla, a tutela del proprio committente.

Progetti e cantiere.

Vi sono dubbi anche dal punto di vista operativo. Se nella Cilas si può descrivere sinteticamente l’intervento, ed è facoltà del tecnico aggiungere ulteriori documenti progettuali, nei procedimenti edilizi ordinari la documentazione richiesta è abbondante, e spesso soggetta a richiesta di integrazioni.

Da non sottovalutare, poi, le possibili complicazioni lato sicurezza generate da un cantiere unico in cui vi siano più procedimenti amministrativi attivi: è da chiarire se, in questo caso, si possa effettuare un’unica notifica preliminare e se il responsabile dei lavori e i coordinatori per la sicurezza debbano essere unici per entrambe le attività o possano differire.

(Illustrazione di Maria Limongelli/Il Sole 24 Ore)

IlSole24Ore