mercoledì 24 novembre 2021

Ora e sempre preferenza. - Marco Travaglio

 

B.mente sempre quando parla sul serio e dice la verità solo quando scherza. Invece bin Rignan (un B. che non ce l’ha fatta), totalmente sprovvisto di umorismo, è incapace di scherzare: mente sempre quando parla sul serio e dice la verità solo quando è sovrappensiero. Gli è capitato domenica alla Leopolda, fra una balla e l’altra su Open. Stava piagnucolando perché, nel Pd, “nessuno” ha solidarizzato con lui, povero indagato, “a parte Irene Tinagli” (nessuno, appunto), “che non ci deve niente” perché non fu candidata da lui nel 2018 (era deputata uscente di Scelta Civica), ma da Zingaretti nel 2019 a Bruxelles. Invece “chi è stato eletto nelle liste fatte da noi” è reo di “silenzio vigliacco”. Il pizzino in perfetto stile Dell’Utri è per tutti i parlamentari del Pd nominati da lui grazie a quella colossale porcheria chiamata Rosatellum, uscita dai laboratori renziani e approvata nel 2017 da Pd, FI e Lega (contrari M5S, FdI e SI). Quella che scippa il diritto di scelta agli elettori e consegna i tre quarti dei parlamentari (la quota proporzionale) ai segretari di partito grazie alle liste bloccate, come con gl’incostituzionali Porcellum e Italicum. Il risultato è quello descritto, in un lampo involontario di sincerità, dall’Innominabile: l’asservimento totale dei nominati a chi li ha messi lì.

Se i pidini non solidarizzano con lui è solo perché ha traslocato altrove e non sarà lui a fare le liste delle prossime elezioni. Altrimenti si starebbero stracciando tutti le vesti per l’indagine a suo carico. La solidarietà gli è giunta, in compenso, dalla quarantina di disperati di Iv (che sperano nella ricandidatura, anzi nella ri-nomina). Ma anche da forzisti e leghisti (con Giornale, Foglio e Libero al seguito): un po’ per colleganza fra indagati, un po’ perché contano sui voti di Iv per il Colle. Il fatto che l’aspirante ago (anzi ego) della bilancia, che ormai sfugge ai radar dei sondaggi e delle urne, continui a contare qualcosa in Parlamento si deve soltanto a quel Porcellum bis chiamato Rosatellum: che lo rende proprietario di una pattuglia di nominati pronti a seguirlo ovunque, anche al macello dell’irrilevanza post-Conticidio, perché sarà lui a decidere se qualcuno di loro tornerà lì o dovrà cercarsi un lavoro. Difficile tornarci con Iv, condannata all’estinzione dalla soglia del 3%. Più probabile un trasloco di pochi fedelissimi in Forza Italia, o come diavolo si chiamerà il prossimo centrino. Ora Conte invoca riforme istituzionali a partire dalla “sfiducia costruttiva” contro le crisi al buio (specialità di bin Rignan). Buona idea, ma basterebbe una norma ordinaria che, se non riscrive la legge elettorale, ripristini almeno la preferenza. Se i parlamentari li scegliamo noi e non più lorsignori, è la volta che ci liberiamo del pelo superfluo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/24/ora-e-sempre-preferenza/6403177/

martedì 23 novembre 2021

Suicidio assistito, la lunga battaglia di Mario: "Adesso mi sento più leggero e libero di scegliere"

 

L'uomo, 43enne, gravemente paralizzato da 11 anni era in attesa del parere favorevole del Comitato Etico dell'azienda sanitaria locale. Aveva chiesto da circa un anno che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere ad un farmaco letale e porre fine alle sue sofferenze. Cappato: "Parlamento paralizzato. Serve referendum".

"Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni". Questo, rende noto l'Associazione Luca Coscioni,  il commento di Mario - primo malato ad aver ottenuto il via libera al suicidio assistito in Italia - dopo aver letto il parere del Comitato etico. "Sono stanco e voglio essere libero di scegliere il mio fine di vita. Nessuno - dice in un video - può dirmi che non sto troppo male per continuare a vivere in queste condizioni", e "condannarmi a una vita di torture. Si mettano da parte ideologie, ipocrisia, indifferenza, ognuno si prenda le proprie responsabilità perché si sta giocando sul dolore dei malati". Mario, 43 anni, è paralizzato dalle spalle ai piedi da 11 anni a causa di un incidente stradale in auto. Ha chiesto da oltre un anno all'azienda ospedaliera locale che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere, legalmente in Italia, ad un farmaco letale per porre fine alle sue sofferenze. Questo l'inizio dell'iter previsto in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n.242/2019 che indica le condizioni di non punibilità dell'aiuto al suicidio assistito. Dopo il diniego dell'Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche (ASUR), una prima e una seconda decisione definitiva del Tribunale di Ancona, due diffide legali all' ASUR Marche, Mario ha dunque ottenuto il parere del Comitato etico, che ha confermato il possesso dei requisiti per l'accesso legale al suicidio assistito. Il tema resta comunque un terreno di battaglia etica e politica: qualche settimana fa l'Arcivescovo di Perugia Gualterio Bassetti, Presidente della Cei, aprendo la sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente, ha criticato il referendum sulla morte assistita: "Propone una soluzione che rappresenta una sconfitta dell'umano" ha detto il cardinale. E anche le forze politiche sono divise tanto sulla sentenza della Consulta, quanto sul referendum. Cappato: "Prima decisione dopo la Consulta" Quello di Mario, primo malato ad aver ottenuto il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia, è un "calvario dovuto allo scaricabarile istituzionale". Questo il commento di Marco Cappato, Tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni.   "Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha a tutti gli effetti legalizzato il suicidio assistito, nessun malato ha finora potuto beneficiarne, in quanto il Servizio Sanitario Nazionale si nasconde dietro l'assenza di una legge che definisca le procedure - afferma Cappato -. Mario sta comunque andando avanti grazie ai tribunali, rendendo così evidente lo scaricabarile in atto. Dopo aver smosso l'Azienda Sanitaria locale che si rifiutava di avviare l'iter, ora è stata la volta del Comitato Etico. Manca ora la definizione del processo di somministrazione del farmaco eutanasico". Tale "tortuoso percorso è anche dovuto alla paralisi del Parlamento, che ancora dopo tre anni dalla richiesta della Corte costituzionale non riesce a votare nemmeno una legge che definisca le procedure di applicazione della sentenza della Corte stessa. Il risultato di questo scaricabarile istituzionale - rileva - è che persone come Mario sono costrette a sostenere persino un calvario giudiziario, in aggiunta a quello fisico e psicologico dovuto dalla propria condizione".  Posegue Cappato: "È possibile che la decisione del Comitato etico consentirà presto a Mario di ottenere ciò che chiede da 14 mesi. Ma è certo che per avere regole chiare che vadano oltre la questione dell'aiuto al suicidio e regolino l'eutanasia in senso più ampio- conclude - sarà necessario l'intervento del popolo italiano, con il referendum che depenalizza parzialmente il reato di omicidio del consenziente". L'avvocato: "Indicheremo il farmaco necessario" E' "molto grave la lunga attesa che Mario ha dovuto subire. Ora procediamo con indicazioni sull'autosomministrazione del farmaco" per il suicidio assistito. Lo sottolinea Filomena Gallo, co-difensore di Mario e segretario dell'Associazione Luca Coscioni. Su indicazione di Mario, continua Gallo, "procederemo ora alla risposta all'Asur Marche e al comitato etico, per la parte che riguarda le modalità di attuazione della scelta di Mario, affinché la sentenza Costituzionale e la decisione del Tribunale di Ancona siano rispettate. Forniremo, in collaborazione con un esperto, il dettaglio delle modalità di autosomministrazione del farmaco idoneo per Mario, in base alle sue condizioni. La sentenza della Corte costituzionale pone in capo alla struttura pubblica del servizio sanitario nazionale il solo compito di verifica - conclude - di tali modalità previo parere del comitato etico territorialmente competente".   "Il comitato etico - spiega ancora Gallo - ha esaminato la relazione dei medici che nelle scorse settimane hanno attestatola presenza delle 4 condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale nella sentenza Cappato-Dj Fabo, ovvero Mario è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale; è affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili; è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; e che non è sua intenzione avvalersi di altri trattamenti sanitari per il dolore e la sedazione profonda". E' "molto grave che ci sia voluto tanto tempo, ma finalmente per la prima volta in Italia un Comitato etico ha confermato per una persona malata, l'esistenza delle condizioni per il suicidio assistito". I paletti della Consulta La sentenza della Corte Costituzionale numero 242 del 22 novembre 2019 ha aperto la strada al suicidio assistito, sia pure circoscrivendo la materia con paletti molto rigorosi. La sentenza ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevoli l'esecuzione del proposito di suicidio a patto che questo si sia formato autonomamente e liberamente da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. La persona deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputi intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. 

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Suicidio-assistito-la-lunga-battaglia-di-Mario-Adesso-mi-sento-piu-leggero-e-libero-di-scegliere-b1168493-2e38-40e3-be99-1005f437d9c5.html

Criptovalute: così robot e algoritmi ultra veloci manipolano il mercato. - Vittorio Carlini

 

La mancanza di regole agevola gli investitori automatici nell’uso di social network e trading per alterare le contrattazioni. Le tecniche spesso mutuate dai listini tradizionali.

Pump and dump. Una frase che qualcuno già avrà sentito. Ma ci sono altri vocaboli in inglese, come spoofing o wash trading, sconosciuti ai più. Il che è un problema. Si tratta infatti di termini che, nel linguaggio borsistico, definiscono tecniche di manipolazione dei listini. Non da oggi anche dei mercati sulle cryptocurrency. E sì, perché se da un lato le cronache dei giornali, rispetto ai criptoasset, sono piene di riferimenti (e polemiche) rispetto agli interventi via Twitter di Elon Musk&co; dall’altro l’alterazione dei prezzi, a ben vedere, avviene anche, e soprattutto, attraverso altre strade, meno conosciute.

Le strategie.

Strategie, spesso mutuate dalle Borse tradizionali, che non di rado hanno come protagonisti gli algoritmi. Robot trader i quali, secondo il fondatore di EngineeringRobo Cansoy Gurocak, «gestiscono ad oggi circa il 30% dei criptovolumi». Ma che, a detta di altri esperti, dovrebbero arrivare fino al 40-50% del turnover. Ebbene: tra questi «un ruolo rilevante lo recitano gli High frequency trader (Hft) - afferma Carol Alexander, docente di finanza alla Business School dell’Università del Sussex -. Robot ultraveloci presenti nelle piattaforme più importanti e attivi non solo sul bitcoin ma anche su centinaia di altcoin. In particolare, laddove sussistano i loro derivati». Sono i Flash boy i quali non si fanno scrupoli «ad usare, ad esempio, lo spoofing».

Lo spoofing.

Già, lo spoofing. Ma di cosa si tratta? Il meccanismo, che sfrutta algoritmi velocissimi, consiste nei seguenti passaggi: un soggetto punta a comprare una criptocurrency ad un livello inferiore rispetto a quello che vede sul mercato. Ecco che, allora, mitraglia l’order book del token in un exchange con moltissime proposte di negoziazione (Pdn) in vendita, facendo credere ci sia una forte pressione ribassista. A fronte di ciò gli investitori, impauriti dalla dinamica, corrono a disfarsi del criptoasset e immettono i loro ordini “sell”. Sennonché il robot, in un millisecondo e prima che i contratti siano conclusi, ritira le sue Pdn. Risultato? Da una parte il prezzo del criptoasset, sulla scia del flusso di vendita degli altri investitori, cala; dall’altra l’algoritmo può comprare al minore valore desiderato.

Certo: simili strategie, come ricorda Federico Izzi, esperto trader in cryptocurrency «richiedono molta liquidità e, soprattutto, uno sforzo economico importante per creare gli algoritmi ad hoc». Il che «non è giustificato in un mondo dove, al di là di bitcoin ed ether, i prezzi possono essere manipolati in maniera più semplice e meno onerosa». Tale considerazione, però, «non elimina il fatto che – ribatte Felix Eighelshoven, già ricercatore presso l’Università di Posdam ed esperto di blockchain – i robot recitano un ruolo primario nell’alterare la percezione dell’offerta e della domanda sulle piattaforme di scambi» centralizzati.

Il wash trading.

Vale a dire? «Basta pensare al cosiddetto wash trading». Cioè una situazione in cui, tramite algoritmi, vengono buttati sul mercato un grande numero di ordini di “Buy” e “Sell” sullo stesso criptoasset, dando l’illusione dell’esistenza di un importante liquidità su quel token. In realtà non è così e l’obiettivo, oltre ad attirare l’attenzione degli operatori meno esperti, «è fare credere che quella determinata piattaforma, seppure nel breve periodo, è contraddistinta da volumi rilevanti». Nel mondo delle Borse tradizionali simili tecniche spesso sono vietate ma all’interno della criptosfera, dove non esiste una regolamentazione ad hoc, le possibilità di infilarsi nei buchi normativi è piuttosto semplice.

Alterare senza usare robot.

Già, semplice. «A ben vedere – riprende Izzi -uno dei sistemi più diffusi per manipolare il mercato è il Pump and Dump». Qui gruppi organizzati, sfruttando le piattaforme social dove vige l’anonimato, si mettono d’accordo per fare salire il prezzo di un criptoasset. Meglio se poco liquido, in modo che la quotazione sia più facilmente alterabile. «Questi soggetti, sfruttando anche false notizie, inducono la quotazione del token al rialzo». A quel punto i piccoli investitori, presi dalla smania di non perdere l’opportunità della plusvalenza, si accodano agli acquisti, spingendo ancora più su le quotazioni (Pump). Ad un certo momento, però, gli investitori organizzati vendono e il criptoasset crolla (Dump).

Il gruppo incassa la plusvalenza, mentre il retail fai-da-te resta con il cerino acceso in mano. Vero! Questa strategia può essere concretizzata senza grandi sforzi tecnologici. E tuttavia, quando entrano in gioco social generalisti come Twitter, i Bot (cioè account falsi che in realtà sono algoritmi) «assumono, proprio nel Pump and Dump - afferma Eighelshoven - una centralità fondamentale» per aumentare l’efficacia dell’operazione.

La stretta normativa.

Ciò detto: robot o non robot, la manipolazione del mercato coinvolge le stesse cryptocurrency. Al che sorge la domanda: una stretta legislativa, quale la proposta di regolamento Ue MiCa, può limitare il fenomeno? «In generale- risponde Andrea Medri co-fondatore di The Rock Trading - il progetto normativo europeo, seppure da migliorare, va nella giusta direzione. Al di là di ciò, però, è necessario che le nuove regole vengano applicate a tutti, anche agli exchange domiciliati in giurisdizioni esotiche».

Non solo. «Va ricordato- aggiunge Izzi- che, da una parte, la maggiore regolamentazione» porta con sé la eco della centralizzazione; e che, dall’altra, «gli investitori più esperti e professionali, fuggendo tale impostazione, si indirizzeranno maggiormente verso le piattaforme decentralizzate». Come dire, insomma, che non è facile regolare con la legge un habitat ipertecnologico, in continua evoluzione e dove gli scambi avvengono spesso off chain. Il passaggio, tuttavia, è necessario perché, come ricorda Eighelshoven, «le barriere all’ingresso degli exchange, rispetto alle Borse tradizionali, sono inferiori. Chiunque può accedervi, anche soggetti inesperti» con minori capacità di difendersi dalle manipolazioni stesse.

(Illustrazione di Maria Limongelli/Il Sole 24 Ore)

https://24plus.ilsole24ore.com/art/criptovalute-cosi-robot-e-algoritmi-ultra-veloci-manipolano-mercato-AEt5AXy?wt_push=push.web.undefined..24plus.AEt5AXy...

lunedì 22 novembre 2021

Uno su 3 non usa la cintura in auto, il 50% dei bimbi è senza seggiolino. -



Studio Anas: italiani imprudenti, 2 giovani su 10 al telefono.

Italiani imprudenti alla guida: uno su tre non utilizza la cintura di sicurezza mentre è al volante, senza dispositivi di ritenuta la metà dei bambini a bordo e due giovani su dieci maneggiano impropriamente il telefono mentre l'auto è in marcia.

E' l'impietosa fotografia scattata dalla Ricerca Osservatorio Stili di Guida Utenti, commissionata da ANAS e condotta dallo Studio Righetti e Monte Ingegneri e Architetti Associati presentata oggi nell'ambito del convegno "Sicurezza stradale: obiettivo zero vittime" organizzato in occasione della giornata mondiale in ricordo delle vittime della strada (21 novembre). 
Dallo studio, che ha analizzato i comportamenti di guida lungo tre differenti tipologie di strade e autostrade in gestione ad Anas di un campione di 6.000 utenti, emerge come il 28,38% dei conducenti non allaccia le cinture, dato che si alza se riferito al passeggero anteriore (31,87%) e passeggero posteriore (80,12%). Dati molto lontani dalla media registrata negli altri Paesi europei dove il 90% degli automobilisti indossa le cinture anteriori e ben il 71% dei passeggeri quelle posteriori.
Indisciplina anche per quanto riguarda i dispositivi di ritenuta per bambini, ben il 49,47% non li utilizza, e per gli indicatori luminosi: il 55,63% non li accende per la manovra di sorpasso o rientro (76,46%), o per l'entrata (59,20%) o uscita (43,71%) da rampa. Infine un automobilista su dieci (12,41%) utilizza in modo improprio il cellulare alla guida, cifra che balza al 18,06% nella fascia di età 18-40 anni. Scendendo nel dettaglio, si evince che le violazioni, nel complesso, sono commesse all'incirca nella stessa percentuale senza distinzione tra city car e berline (11,8% e 11,3%). Aumentano tra chi è alla guida di un suv (13,4%) o di un veicolo commerciale (14,6%).
L'indisciplina decresce con l'aumentare dell'età: se nella fascia 18-40 anni la percentuale è del 30,0%, in quella 40-60 anni scende al 28,6%, per toccare il 24,8% tra gli over 60. In genere, sono gli uomini i meno attenti alle norme di sicurezza, tranne che nell'utilizzo delle cinture nei sedili posteriori e nell'adoperare i sistemi di ritenzione per bambini: qui il rapporto si inverte.
Lo studio analizza alcuni tra i fattori psicologici che influiscono sulla mancata percezione del rischio alla base dei comportamenti all'origine degli incidenti stradali, distinguendo tra le violazioni deliberate al codice della strada e gli errori del conducente (es. sviste, manovre o valutazioni errate). Il comportamento in violazione non dipende infatti da un problema nel raccogliere o elaborare le informazioni necessarie per attuare il comportamento corretto, ma da una scelta influenzata da fattori psicologici, psicosociali e motivazionali. In particolare l'analisi ha richiamato questi fattori associandoli ai dati delle violazioni riscontrate. L'analisi della percezione del rischio è stata accompagnata anche da 17 interviste semi-strutturate a utenti delle tre differenti tipologie di strade e autostrade oggetto dell'indagine.
L'obiettivo è stato quello di indagare le motivazioni percepite come sottostanti i propri comportamenti rischiosi e quelli posti in essere dagli altri utenti della strada. I primi riconducibili per lo più a stress, abitudine, mancanza di senso civico mentre i secondi ascrivibili a mancato uso degli indicatori di direzione, manovre di sorpasso a destra, sorpassi pericolosi, velocità rischiosa. Invece in relazione alla percezione di sicurezza della strada, le dichiarazioni degli intervistati variano a seconda della tipologia di strada. L'82% del campione ritiene le strade sicure o non evidenzia una rilevante percezione del pericolo rispetto a tutte le tipologie di strade analizzate.

https://www.ansa.it/canale_motori/notizie/sicurezza/2021/11/22/-auto-1-su-3-non-usa-cintura-50-bimbi-senza-seggiolino-_955136e8-4b02-4a51-8834-b9bda8928d25.html

domenica 21 novembre 2021

Draghiciello. - Marco Travaglio

 

All’avvento dei Migliori, tutto avremmo immaginato fuorché di ritrovarci tal Antonio Funiciello, ex veltroniano poi renziano, noto per aver presieduto il Comitato Basta un Sì (quello del referendum stravinto dai No) e chiesto la nostra cacciata dalle tv, poi promosso a capo di gabinetto del premier Gentiloni. Ora, dalle carte dell’inchiesta Open, salta fuori che faceva – per usare un’espressione dell’amico Matteo su Letta – “marchette”: alla British American Tobacco (Bat) e al gruppo Toto. Nessun reato, per carità: non risulta indagato. Ma fatti perlomeno inopportuni, documentati dalle sue chat col pr di Bat Gianluca Ansalone e con Alfonso Toto. Bat, a fine 2017, teme un emendamento in Senato alla legge di Bilancio che aumenta le tasse sulle sigarette di fascia bassa. E a chi si rivolge per cancellarlo? Ai renziani, a cui finanzia Open e la Leopolda dal 2014. L’8.11. 2017 Ansalone attiva Funiciello, capo di gabinetto di Gentiloni, che si scapicolla e lo informa via via: “Ok, cerco di capire”, “Sono già all’opera, complicato però”, “Bene… non ancora chiusa, ma bene”, “In via di rassicurazione”. Il 14.11 è fatta: niente tasse in più. Ansalone scrive a Funiciello: “Un grazie non formale per aver condiviso merito e contenuto delle nostre preoccupazioni. Abbiamo evitato una cosa molto pericolosa”. Ma un mese dopo riciccia alla Camera lo stesso emendamento. Ansalone rimobilita Lotti, Bianchi e Funiciello per “disinnescare la bomba”. Il 19.12 missione compiuta: “Caro Antonio, finalmente dopo un nuovo round alla Camera possiamo rilassarci un attimo. Ti voglio ringraziare sinceramente per il tuo ascolto e il supporto”. Il 21.12 Bat, riconoscente, bonifica 20 mila euro alla fondazione Open.

La scena si ripete con Alfonso Toto, ceo del gruppo autostradale concessionario dello Stato, che si scrive un emendamento alla manovra 2017, “nel superiore interesse pubblico”, sullo scaglionamento dei fondi pubblici per la manutenzione dell’A24 e A25, poi lo fa presentare e approvare dal Pd renziano. Un affare da decine di milioni che passa – scrive la Gdf – grazie all’“interessamento di Boschi, attivata da D’Alfonso, e di Funiciello”. Toto scrive a D’Alfonso: “Sono stato da Funiciello e Canalini che hanno lavorato ventre a terra avendo compreso la drammaticità della ns infrastruttura”. Anche Toto finanzia Open tramite Bianchi.

Sapete dov’è ora Funiciello? Di nuovo a Palazzo Chigi come capo di gabinetto di Draghi, regista fra l’altro della lottizzazione selettiva della Rai. Nell’atto di nomina, ad aprile, Draghi precisa che dovrà esercitare le funzioni “unicamente per finalità di interesse generale”. Escluse, par di capire, le marchette alle lobby. Che aspetta ora ad accompagnarlo alla porta?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/21/draghiciello/6399963/

Open, ecco perché su Renzi il Senato non può sostituirsi all’autorità giudiziaria: lo dice la Consulta. - Piercamillo Davigo

 

IL MARCHESE DEL GRILLO - Lo “scudo” parlamentare reclamato a più riprese dall’ex premier non trova alcuna giustificazione. La Consulta è stata chiara su quali siano i reali confini della tutela dei parlamentari.

Nel testo originario della Costituzione, era previsto che nessun membro delle Camere (Camera dei deputati e Senato della Repubblica) potesse essere sottoposto a procedimento penale senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza.

A fronte dell’indignazione popolare conseguente all’uso fatto del diniego di autorizzazioni, non solo sulla base di sacrosante ragioni di tutela della libertà dell’attività parlamentare, ma anche per assicurare l’impunità per reati comuni (persino per un omicidio colposo conseguente a incidente stradale), l’art. 68 della Costituzione fu modificato con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3.

Rimase la necessità di autorizzazione per perquisizioni personali e domiciliari, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e sequestro di corrispondenza, oltre che per le ipotesi di limitazione della libertà personale. Invero, se è comprensibile la tutela della libertà personale, è incomprensibile come possano essere subordinate ad autorizzazione preventiva atti a sorpresa quali perquisizioni o intercettazioni. Infatti un dibattito nella assemblea di cui il parlamentare fa parte vanificherebbe l’utilità dell’atto. Solo uno sciocco, per esempio, saputo che si sta per perquisirlo, per esempio per trovare stupefacenti, continuerebbe a detenere ciò che gli inquirenti ricercano. Altrettanto deve dirsi per le intercettazioni: chi converserebbe sapendo che è stata autorizzata una intercettazione nei suoi confronti?

Gli atti a sorpresa non possono perciò essere compiuti, ma può capitare (e concretamente capita) che intercettando altro soggetto si acquisiscano conversazioni rilevanti in sede penale con un parlamentare. In questi casi l’autorità giudiziaria deve chiedere alla Camera di appartenenza l’autorizzazione all’utilizzo di tali conversazioni.

La Corte costituzionale è più volte intervenuta su dinieghi di autorizzazione all’utilizzo di intercettazioni.

Con sentenza n. 74 del 26.02.2013 la Corte costituzionale, in riferimento a un procedimento penale per concorso esterno in associazione mafiosa, ha annullato la deliberazione della Camera dei deputati di diniego dell’autorizzazione alla utilizzazione, da parte della magistratura procedente, di intercettazioni telefoniche coinvolgenti casualmente il parlamentare, a seguito di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il tutto affermando che: “Non spettava alla Camera dei deputati negare, con deliberazione del 22 settembre 2010, l’autorizzazione, richiesta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, a utilizzare quarantasei intercettazioni telefoniche nei confronti di N. C., membro della Camera dei deputati all’epoca dei fatti, nell’ambito del procedimento penale nel quale il predetto parlamentare risulta imputato. Invero, premesso che ai sensi dell’art. 6, della legge n. 140 del 2003, il criterio alla stregua del quale deve essere valutata la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri delle Camere è costituito dalla ‘necessità’ processuale e la valutazione circa la sussistenza di tale necessità spetta all’autorità giudiziaria richiedente, mentre al Parlamento compete di verificare che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l’impianto accusatorio, accertando che il giudice abbia indicato gli elementi sui quali la richiesta si fonda e che questa sia motivata in termini non implausibili, nella deliberazione impugnata la motivazione formulata dal GIP a giustificazione della necessità di acquisire le intercettazioni non è stata in alcun modo esaminata e il diniego espresso dalla Camera è fondato su argomenti che hanno solo una remota attinenza con il requisito della necessità e comunque non concernono la plausibilità o sufficienza della motivazione del giudice, essendo volti piuttosto a negare in modo assiomatico rilievo decisivo al valore probatorio delle comunicazioni intercettate. Conseguentemente la delibera della Camera risultando assunta sulla base di valutazioni che trascendono i limiti del sindacato previsto dall’art. 68, terzo comma Cost. e interferiscono con le attribuzioni assegnate in via esclusiva al giudice penale, deve essere annullata”.

Semplificando: la Camera di appartenenza non può sostituirsi all’autorità giudiziaria nell’esercizio dei poteri di questa.

Ciò che è avvenuto per quanto riguarda le conversazioni di Matteo Renzi finite agli atti dell’inchiesta della Procura di Firenze non ha rappresentato “una utilizzazione parcellizzata e disconnessa dalla posizione dei parlamentari”, bensì una “utilizzazione che ha evidenti e inequivocabili incidenze sulla loro posizione nell’ambito del procedimento penale”.

Nella recente vicenda che riguarda le indagini sulla Fondazione Open, il 4 ottobre la Procura di Firenze ha dichiarato il non luogo a provvedere rispetto all’istanza dei legali di Renzi, che qualche giorno prima avevano avanzato “formale intimazione al Procuratore aggiunto, dott. Luca Turco, di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa in base all’articolo 68 della Costituzione (sulle guarentigie dei parlamentari, ndr)” e dall’utilizzo di “conversazioni e corrispondenza casualmente captate (…) senza la previa autorizzazione della Camera di appartenenza”. Ciò in quanto l’utilizzazione dei dati processuali in questione è stata operata non già nei confronti di Renzi, ma di un altro indagato che non essendo parlamentare non poteva invocare quelle garanzie riconosciute agli eletti.

Il senatore Renzi ha richiesto che l’Assemblea valutasse tale situazione e il senatore Pietro Grasso aveva segnalato come, al momento, non risultasse l’uso nei confronti del parlamentare di dati sequestrati a un terzo.

Con sentenza n. 390 del 2007 24.10.2007 la Corte costituzionale ha dichiarato “costituzionalmente illegittimo l’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140, nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate. Infatti, le disposizioni impugnate sono incompatibili con il fondamentale principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione, accordando al parlamentare una garanzia ulteriore rispetto alla griglia dell’art. 68 Cost., che finisce per travolgere ogni interesse contrario, poiché si elimina, a ogni effetto, dal panorama processuale una prova legittimamente formata, anche quando coinvolga terzi che solo occasionalmente hanno interloquito con il parlamentare. Così si introduce una disparità di trattamento non solo fra il parlamentare e i terzi, ma anche fra gli stessi terzi, posto che la posizione del comune cittadino, cui gli elementi desumibili dalle intercettazioni nuocciano o giovino, viene a risultare differenziata in ragione della circostanza, casuale, che il soggetto sottoposto ad intercettazione abbia avuto come interlocutore un membro del Parlamento. Quel che rende contrastante l’art. 6, commi 2, 5 e 6, non solo con il principio di eguaglianza ma anche con il parametro della razionalità intrinseca è il fatto che sia stato delineato un meccanismo integralmente e irrimediabilmente demolitorio, omettendo qualsiasi apprezzamento della posizione dei terzi, anch’essi coinvolti nelle conversazioni”.

Una pronuncia del Senato di segno contrario alle decisioni della Corte costituzionale ricorderebbe il celebre motto del Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi non siete un c…”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/20/lautorizzazione-a-non-procedere/6399183/

sabato 20 novembre 2021

Il Paese di Sottosopra. - Marco Travaglio

 

Nel Paese di Sottosopra, una ministra vota alla Camera contro il suo governo con due partiti della maggioranza, che va in minoranza; ma il premier, anziché salire al Quirinale, fischietta. Nel Paese di Sottosopra tutti applaudirono Renzi quando fece fuori tutti i partiti dalla Rai tranne il suo; oggi, per coerenza, applaudono Draghi perché fa fuori un solo partito, quello che ha vinto le elezioni, per spartirsi la Rai con tutti gli altri, quelli che le hanno perse; e la colpa è del leader dell’unico escluso. Nel Paese di Sottosopra, le Regioni sabotano i centri pubblici per l’impiego che dovevano attivare con 1 miliardo dello Stato; il governo, anziché obbligarle a farlo o riprendersi il miliardo, licenzia i navigator dopo averli formati e s’affida alle agenzie di Confindustria; Chiara Saraceno, consulente del governo, dice che “la stretta del governo sul Reddito non si basa su dati, ma su una narrazione fantasiosa e ideologica sui beneficiari nullafacenti”.

Nel Paese di Sottosopra il governo annuncia per mesi che cercherà “casa per casa” i 3,5 milioni di over 50 non vaccinati (che rischiano più dal Covid che dal vaccino); poi, siccome non riesce a convincerne uno, prova a farlo imponendo il Green Pass per lavorare; ma i non vaccinati, non essendo obbligati dal governo, non si vaccinano e si fanno i tamponi; allora il governo, per fare numero, minaccia di vaccinare i bambini (che rischiano più dal vaccino che dal Covid). Nel Paese di Sottosopra, quando il governo impone il Green Pass per lavorare, le imprese fanno notare che perderanno manodopera con gravi danni all’economia; allora il governo non fa i controlli (mille multe in due mesi), così i No Pass continuano a lavorare senza neppure il fastidio del tampone; ma tutti restano convinti che lavori solo chi ha il Green Pass e l’Italia sia un modello per il mondo intero (che però si guarda bene dall’imitarla). Nel Paese di Sottosopra, deve avere il Green pass chi lavora da solo in un ufficio di 100 mq o a distanze siderali dai colleghi, o viaggia su un vagone Frecciarossa o Italo semivuoto (sennò l’intero convoglio viene fermato in aperta campagna); invece non deve averlo chi si ammucchia nei carnai di bus, metro e treni per pendolari e studenti; e a scuola il metro di distanza è obbligatorio “ove possibile”. Nel Paese di Sottosopra, alcuni spostati che si fanno chiamare “governatori” o “ministri” chiedono il “lockdown per i non vaccinati” (ideona già fallita in Austria), come se questi fossero fosforescenti, distinguibili a occhio nudo dalle decine di milioni di vaccinati, ergo facili da scovare e rinchiudere ai domiciliari. Nel Paese di Sottosopra, questa allegra brigata di buontemponi viene chiamata “Governo dei Migliori”.

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