Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 4 novembre 2013
Quadri trovati a Monaco, domani conferenza stampa procura.
Berlino, 4 nov. (TMNews) - Bisognerà attendere fino a domani per sapere qualcosa di più sulla sensazionale scoperta fatta nel 2011 tra i rifiuti e il disordine in un appartamento di Monaco di Baviera: 1.500 opere d'arte fra cui dei Picasso, dei Matisse e dei Chagall, numerose delle quali verosimilmente provenienti dalla spoliazione degli ebrei da parte nazista. La procura della città bavarese di Augusta, a cui competono le indagini sul caso, ha convocato per domani una conferenza stampa sulla vicenda che, prima della rivelazione ieri del settimanale Focus che è riuscito a mettere le mani sui fascicoli dell'inchiesta, era stata tenuta per oltre due anni sotto silenzio.
Anche il governo ha mantenuto il segreto il più possibile, probabilmente per l'immenso compito che rappresenta l'identificazione delle opere e la ricerca della loro origine o dei loro proprietari. Dopo la rivelazione, l'esecutivo ha solo ammesso di essere al corrente "da diversi mesi" della scoperta fatta dai doganieri del capoluogo bavarese. Il governo "ha aiutato gli inquirenti fornendo esperti di arte 'degenerata' e di opere rubate dai nazisti", si è limitato a spiegare oggi il portavoce dell'esecutivo berlinese, Steffen Seibert, nel consueto incontro del lunedì con la stampa. (segue, con fonte Afp)
http://www.tmnews.it/web/sezioni/esteri/quadri-trovati-a-monaco-domani-conferenza-stampa-procura-PN_20131104_00118.shtml
Può funzionare l'ASL?
Si, se si trova, in un giorno fortunato, l'impiegata esperta, brava, soddisfacente.
Dopo le vicissitudini passate, ci siamo apprestati ad affrontare un'altra giornata gravosa, consapevoli di dover perdere il nostro tempo, magari inutilmente.
Con nostra grande sorpresa, invece, oggi non abbiamo perso i tempi d'attesa ai quali eravamo abituati e, pertanto, preparati; non abbiamo dovuto rimandare all'indomani, come era spesso capitato, ed abbiamo anche avuto la fortuna di trovarci davanti un'impiegata molto preparata, esauriente, e....veloce nel saper usare la macchina infernale: il pc.
Abbiamo risolto il nostro problema con tranquillità usufruendo di un ottimo servizio.
Non capita spesso, ma quando capita, va menzionato.
Grazie di cuore a chi svolge il suo lavoro con coscienza e preparazione.
CDG.
Lo «scivolo d’oro» dei militari italiani. - Goffredo Buccini
Per i cinquantenni esenzione dal servizio di 10 anni con l’85% di stipendio. Resta anche il diritto alla pensione piena.
L’appuntamento è in un bar di largo Argentina: a due passi dai palazzi dove si disegna proprio in questi giorni la nuova faccia delle nostre forze armate.
Il vecchio ufficiale, ora «consulente istituzionale», chiede l’anonimato bevendo caffè lungo e ben zuccherato: «Sa, ho l’amaro in bocca». Sembra in imbarazzo: «La facciamo, sì, la riforma, ma la scarichiamo sulle spalle degli italiani». Tira fuori le carte. «Mi dica lei se in un Paese di esodati e precari possiamo portare avanti un testo del genere: è uno scivolo d’oro, come diavolo si fa a spiegarlo alla gente?».
La riforma delle riforme, lanciata con lo slogan «meno generali, più tecnologia», sta tutta qui, atti del governo 32 e 33, decreti attuativi della legge 244 del 2012 voluta da Giampaolo Di Paola, allora ministro del governo Monti dopo una carriera da ammiraglio approdata sullo scranno di capo di Stato maggiore della Difesa.
I provvedimenti del governo Letta recepiscono il lavoro dell’esecutivo precedente, Mario Mauro assorbe la visione del predecessore con le stellette. «Trentacinquemila uomini in meno in dodici anni» e una formula magica che prevede una sostanziosa redistribuzione dei carichi di spesa: quest’anno in un bilancio di circa 14 miliardi per la «funzione difesa» (la «funzione sicurezza» con i carabinieri è a parte) i costi del personale gravano per il 67 per cento, il 10 per cento va all’addestramento (pericolosamente scarso) e il 23 agli investimenti; il mantra di Di Paola è 50, 25 e 25. Ovvero meno uomini, armi migliori e usate meglio.
Ma, attenzione: nel dimagrimento il trucco c’è e s’intravede.
Molto resta a carico della spesa pubblica e quindi delle nostre tasche, tramite tre canali: il passaggio del personale ad altro ministero, il prepensionamento e, soprattutto, l’«esenzione dal servizio», comma sesto dell’articolo 2209, il punto più controverso nella disciplina del periodo transitorio: dai 50 anni in poi (dieci anni prima del congedo) si può entrare in un magico limbo, lo «scivolo d’oro» appunto, grazie al quale si conserva l’ottantacinque per cento dello stipendio senza lavorare più nemmeno un solo giorno, con tanto di pensione piena; non è esclusa neppure la facoltà di fare altri lavori (il reddito non si cumula).
Questo bonus decennale per le forze armate in (libera) uscita verrà inserito nel codice dell’ordinamento militare a meno che Camera e Senato non si mettano di traverso in modo plateale (è solo previsto un loro parere) spingendo il governo a ripensarci.
Fino a oggi il comma dorato stava attraversando zitto zitto l’ultimo guado tra Palazzo Madama e Montecitorio. Eppure era proprio difficile non accorgersene.
I provvedimenti del governo Letta recepiscono il lavoro dell’esecutivo precedente, Mario Mauro assorbe la visione del predecessore con le stellette. «Trentacinquemila uomini in meno in dodici anni» e una formula magica che prevede una sostanziosa redistribuzione dei carichi di spesa: quest’anno in un bilancio di circa 14 miliardi per la «funzione difesa» (la «funzione sicurezza» con i carabinieri è a parte) i costi del personale gravano per il 67 per cento, il 10 per cento va all’addestramento (pericolosamente scarso) e il 23 agli investimenti; il mantra di Di Paola è 50, 25 e 25. Ovvero meno uomini, armi migliori e usate meglio.
Ma, attenzione: nel dimagrimento il trucco c’è e s’intravede.
Molto resta a carico della spesa pubblica e quindi delle nostre tasche, tramite tre canali: il passaggio del personale ad altro ministero, il prepensionamento e, soprattutto, l’«esenzione dal servizio», comma sesto dell’articolo 2209, il punto più controverso nella disciplina del periodo transitorio: dai 50 anni in poi (dieci anni prima del congedo) si può entrare in un magico limbo, lo «scivolo d’oro» appunto, grazie al quale si conserva l’ottantacinque per cento dello stipendio senza lavorare più nemmeno un solo giorno, con tanto di pensione piena; non è esclusa neppure la facoltà di fare altri lavori (il reddito non si cumula).
Questo bonus decennale per le forze armate in (libera) uscita verrà inserito nel codice dell’ordinamento militare a meno che Camera e Senato non si mettano di traverso in modo plateale (è solo previsto un loro parere) spingendo il governo a ripensarci.
Fino a oggi il comma dorato stava attraversando zitto zitto l’ultimo guado tra Palazzo Madama e Montecitorio. Eppure era proprio difficile non accorgersene.
«Quando ho visto quella norma, ho fatto tre salti sulla sedia!
Così com’è non passerà.
Non è un articolo di legge, è una provocazione», tuona Gian Piero Scanu, capogruppo pd in commissione Difesa.
«È vero, fa effetto», ammette Domenico Rossi, ex generale e adesso deputato di Scelta civica: «Però, ci pensi, è la via d’uscita della generazione delle missioni, i cinquantenni di adesso avevano 35 anni in Kosovo.
Non è che si possono mandar via così».
Già, ma non è che tutti i trentacinquenni degli anni Novanta andassero in missione... «Va bene, ma non ne faccia una questione di percentuali.
E comunque la legge era diversa, il Cocer (la rappresentanza “sindacale” dei militari, ndr ) ha ottenuto di aumentare dal settanta all’ottantacinque per cento la quota di stipendio mantenuta intatta».
Nelle commissioni di Camera e Senato, si combatterà sugli articoli della riforma.
Ed è da qui che è opportuno partire per cogliere chiaroscuri, miserie e nobiltà dei nostri uomini e donne in divisa.
La faccenda è dura da semplificare, perché ha ragione il capo di Stato maggiore dell’Esercito, Claudio Graziano, quando dice che «ci serve la certezza di risorse adeguate per l’addestramento del personale e l’ammodernamento, se adeguatamente vogliamo andare in missione.
Non si tratta di una spesa, ma di un investimento».
Insomma, il comma d’oro è una goccia che cade nel pieno d’una grande, autentica trasformazione dei nostri militari, passati dalla derisione negli anni della contestazione allo straordinario lavoro nelle missioni, dal Libano in poi, e già radicalmente rinnovati nel 2001 con l’abolizione della leva.
Così com’è non passerà.
Non è un articolo di legge, è una provocazione», tuona Gian Piero Scanu, capogruppo pd in commissione Difesa.
«È vero, fa effetto», ammette Domenico Rossi, ex generale e adesso deputato di Scelta civica: «Però, ci pensi, è la via d’uscita della generazione delle missioni, i cinquantenni di adesso avevano 35 anni in Kosovo.
Non è che si possono mandar via così».
Già, ma non è che tutti i trentacinquenni degli anni Novanta andassero in missione... «Va bene, ma non ne faccia una questione di percentuali.
E comunque la legge era diversa, il Cocer (la rappresentanza “sindacale” dei militari, ndr ) ha ottenuto di aumentare dal settanta all’ottantacinque per cento la quota di stipendio mantenuta intatta».
Nelle commissioni di Camera e Senato, si combatterà sugli articoli della riforma.
Ed è da qui che è opportuno partire per cogliere chiaroscuri, miserie e nobiltà dei nostri uomini e donne in divisa.
La faccenda è dura da semplificare, perché ha ragione il capo di Stato maggiore dell’Esercito, Claudio Graziano, quando dice che «ci serve la certezza di risorse adeguate per l’addestramento del personale e l’ammodernamento, se adeguatamente vogliamo andare in missione.
Non si tratta di una spesa, ma di un investimento».
Insomma, il comma d’oro è una goccia che cade nel pieno d’una grande, autentica trasformazione dei nostri militari, passati dalla derisione negli anni della contestazione allo straordinario lavoro nelle missioni, dal Libano in poi, e già radicalmente rinnovati nel 2001 con l’abolizione della leva.
Quando si parla dei loro sprechi si pensa, per dire, ai circoli (storica la querelle su quello degli ufficiali a palazzo Barberini, a Roma) o agli stabilimenti balneari (tutta roba che ormai è affidata in buona parte a privati con grande contrarietà dei Cocer).
E certo fa sorridere la battaglia a suon di finanziamenti di Fregene nord contro Fregene sud, scolpita nel rapporto Monti di due anni or sono, un milione di qua, duecentomila euro di là alle rispettive spiagge con cabine riservate alle stellette.
Fanno mugugnare noialtri gli alberghi camuffati da centri di addestramento dove soggiornare da Dobbiaco ad Alghero per una trentina d’euro a persona; l’«ausiliaria» che ancora consente un 24 per cento in più di pensione garantita per un molto improbabile richiamo in servizio nei cinque anni successivi al congedo (dovesse scapparci una guerra...); già nel 2006 la senatrice Silvana Pisa, Sinistra democratica, rilevava persino le spese di «rifacimento letti» negli appartamenti di generali e ammiragli al top della carriera, parte di un esborso di tre milioni e mezzo l’anno per la pulizia dei loro 44 alloggi di servizio e rappresentanza.
«Noi rischiamo di diventare strumento delle lobby e voi cercate il colore», ci rimprovera la nostra fonte al bar di largo Argentina. Già. Lo «scivolo d’oro» della riforma può fare imbestialire i comuni cittadini ma la partita vera delle spese e, forse, degli sperperi, si gioca su altri tavoli. Gli F-35, con una faida sanguinosa in cui il ministro Mauro ha rischiato di restare impallinato, sono stati solo un assaggio: tutto ora è al vaglio del Parlamento. La commessa più ghiotta per un futuro molto futuribile si chiama Forza Nec: ventidue miliardi di spesa possibile nei vent’anni che verranno; si tratta di digitalizzare l’esercito, immaginando il soldato del 2030 molto prossimo a un robot (l’acronimo Nec sta per Network enabled capability , capacità di fare rete coi sensori sul campo di battaglia).
Già nel 2006 Di Paola riteneva «prioritaria e ineludibile» la trasformazione «net-centrica» (sic) delle forze armate, salvandola dalla scure montiana della spending review. Con verosimile soddisfazione di Selex Es, la società di Finmeccanica che, quale «prime contractor», gestirà a tempo debito tutto da sola, senza gara né confronto sui prezzi, come consentono le procedure. Il domani in un affarone, insomma, senza voler in alcun modo revocare in dubbio le capacità tecniche dell’azienda italiana.
E certo fa sorridere la battaglia a suon di finanziamenti di Fregene nord contro Fregene sud, scolpita nel rapporto Monti di due anni or sono, un milione di qua, duecentomila euro di là alle rispettive spiagge con cabine riservate alle stellette.
Fanno mugugnare noialtri gli alberghi camuffati da centri di addestramento dove soggiornare da Dobbiaco ad Alghero per una trentina d’euro a persona; l’«ausiliaria» che ancora consente un 24 per cento in più di pensione garantita per un molto improbabile richiamo in servizio nei cinque anni successivi al congedo (dovesse scapparci una guerra...); già nel 2006 la senatrice Silvana Pisa, Sinistra democratica, rilevava persino le spese di «rifacimento letti» negli appartamenti di generali e ammiragli al top della carriera, parte di un esborso di tre milioni e mezzo l’anno per la pulizia dei loro 44 alloggi di servizio e rappresentanza.
«Noi rischiamo di diventare strumento delle lobby e voi cercate il colore», ci rimprovera la nostra fonte al bar di largo Argentina. Già. Lo «scivolo d’oro» della riforma può fare imbestialire i comuni cittadini ma la partita vera delle spese e, forse, degli sperperi, si gioca su altri tavoli. Gli F-35, con una faida sanguinosa in cui il ministro Mauro ha rischiato di restare impallinato, sono stati solo un assaggio: tutto ora è al vaglio del Parlamento. La commessa più ghiotta per un futuro molto futuribile si chiama Forza Nec: ventidue miliardi di spesa possibile nei vent’anni che verranno; si tratta di digitalizzare l’esercito, immaginando il soldato del 2030 molto prossimo a un robot (l’acronimo Nec sta per Network enabled capability , capacità di fare rete coi sensori sul campo di battaglia).
Già nel 2006 Di Paola riteneva «prioritaria e ineludibile» la trasformazione «net-centrica» (sic) delle forze armate, salvandola dalla scure montiana della spending review. Con verosimile soddisfazione di Selex Es, la società di Finmeccanica che, quale «prime contractor», gestirà a tempo debito tutto da sola, senza gara né confronto sui prezzi, come consentono le procedure. Il domani in un affarone, insomma, senza voler in alcun modo revocare in dubbio le capacità tecniche dell’azienda italiana.
Tuttavia lo scenario non è pacificato. «Nessuno conosce le cifre esatte, ma chi pensa che Forza Nec sia cosa fatta, sbaglia di grosso. Mauro è molto... incline ad assecondare le richieste dell’amministrazione militare, ma la ricreazione è finita», dice ancora Scanu.
Fabio Mini, già comandante delle nostre forze in Kosovo, si spinge molto oltre: «Ci sono sistemi per dare soldi all’industria italiana».
Cioè?
«Dall’industria dipendono gli incarichi dei vertici militari, cooptati dalle cordate politiche. I debiti si pagano». È un’affermazione molto grave, generale... «Beh, va così. L’ho pure scritto nel mio libro “Soldati”, senza fare nomi, naturalmente».
Naturalmente.
Sotto le uniformi, battono cuori intossicati.
La legge di Stabilità è stata l’occasione d’un sotterraneo scontro di lobby per la conquista dei finanziamenti.
Si chiudono caserme dove mancano i soldi per la bolletta della luce, e le ristrettezze esasperano.
Perfino il prossimo viaggio umanitario in Africa della portaerei Cavour ci viene segnalato come spreco da una fonte di un’altra arma, «130 giorni di navigazione, ci costa venti milioni. Quanti ospedali potrebbero farci laggiù?».
Alla fine il nostro esercito è come noi, generosità e invidie, grettezze e slanci, questa è l’Italia del 2013.
Alla stazione Trastevere due bersaglieri sono di pattuglia con un appuntato dei carabinieri (è la vecchia operazione «strade sicure» che volle La Russa da ministro, soldati e forze di polizia assieme): sono ragazzini, prendono 900 euro per i prossimi quattro anni, «è dura», e dopo non andrà molto meglio.
Stipendi bloccati dal 2010 come tutti, l’idea della «specificità» del lavoro fagocitata dalla crisi. «Se mi promuovono colonnello sono rovinato, ci perdo», mastica amaro un amico prossimo ai gradi.
Più grane, meno quattrini. Merito e coraggio negletti come sempre.
«Usiamo le missioni per addestrare i ragazzi, se no addio!».
In quelle missioni, dal 1982, sono caduti 103 dei nostri, dall’Afghanistan in poi i feriti sono 651.
«Io vorrei che il Paese se ne ricordasse», dice l’ex generale Rossi: «Ci sono posti dove si decidono vita e morte in un secondo.
Chi sta di notte in un avamposto a Bakwa tra colpi e rumori nel buio, beh, vorrei che non si sentisse troppo solo».
Fabio Mini, già comandante delle nostre forze in Kosovo, si spinge molto oltre: «Ci sono sistemi per dare soldi all’industria italiana».
Cioè?
«Dall’industria dipendono gli incarichi dei vertici militari, cooptati dalle cordate politiche. I debiti si pagano». È un’affermazione molto grave, generale... «Beh, va così. L’ho pure scritto nel mio libro “Soldati”, senza fare nomi, naturalmente».
Naturalmente.
Sotto le uniformi, battono cuori intossicati.
La legge di Stabilità è stata l’occasione d’un sotterraneo scontro di lobby per la conquista dei finanziamenti.
Si chiudono caserme dove mancano i soldi per la bolletta della luce, e le ristrettezze esasperano.
Perfino il prossimo viaggio umanitario in Africa della portaerei Cavour ci viene segnalato come spreco da una fonte di un’altra arma, «130 giorni di navigazione, ci costa venti milioni. Quanti ospedali potrebbero farci laggiù?».
Alla fine il nostro esercito è come noi, generosità e invidie, grettezze e slanci, questa è l’Italia del 2013.
Alla stazione Trastevere due bersaglieri sono di pattuglia con un appuntato dei carabinieri (è la vecchia operazione «strade sicure» che volle La Russa da ministro, soldati e forze di polizia assieme): sono ragazzini, prendono 900 euro per i prossimi quattro anni, «è dura», e dopo non andrà molto meglio.
Stipendi bloccati dal 2010 come tutti, l’idea della «specificità» del lavoro fagocitata dalla crisi. «Se mi promuovono colonnello sono rovinato, ci perdo», mastica amaro un amico prossimo ai gradi.
Più grane, meno quattrini. Merito e coraggio negletti come sempre.
«Usiamo le missioni per addestrare i ragazzi, se no addio!».
In quelle missioni, dal 1982, sono caduti 103 dei nostri, dall’Afghanistan in poi i feriti sono 651.
«Io vorrei che il Paese se ne ricordasse», dice l’ex generale Rossi: «Ci sono posti dove si decidono vita e morte in un secondo.
Chi sta di notte in un avamposto a Bakwa tra colpi e rumori nel buio, beh, vorrei che non si sentisse troppo solo».
https://apps.facebook.com/corrieresocial/economia/13_novembre_03/scivolo-d-oro-militari-italiani-4b430098-445a-11e3-b60e-fee364a304ed.shtml
Se questa riforma andrà in porto, propongo che chi l'ha ideata e chi l'ha votata venga dato in mano agli esodati che non hanno né stipendio né pensione, lasciandoli liberi d'agire come meglio credono. Mi sono spiegato? (M.P.)
Se questa riforma andrà in porto, propongo che chi l'ha ideata e chi l'ha votata venga dato in mano agli esodati che non hanno né stipendio né pensione, lasciandoli liberi d'agire come meglio credono. Mi sono spiegato? (M.P.)
domenica 3 novembre 2013
Casi umani. - Rita Pani
La vera Rivoluzione, illustre ministro Cancellieri, sarebbe quella di esigere non più l’abolizione dei vostri privilegi, ma l’estensione di questi a tutto il popolo italiano.
In questo paese che gira al contrario, voi pedalate all’inverso con l’arroganza di chi ha capito che a qualunque vostro insulto, non sortirà alcuna reazione, se non l’assurda proliferazione di “nuovi guru” e salvatori di altri interessi privati, che guideranno altri piccoli eserciti di marionette dalla faccia pulita e dalle mani senza calli.
Oggi in tanti esigono le sue dimissioni, e gridano allo scandalo, all’ennesimo sopruso.
In questo mondo che gira al contrario io vado controcorrente, e data la sua propensione all’umanità le chiedo di restare e di continuare a lavorare per la “Rivoluzione del diritto di tutti”.
Un ottimo ministro umanitario, già da stamattina avrebbe dovuto telefonare a giudici e tribunali per far sì che venissero liberati dal carcere tutti i ladri e i rapinatori che hanno compiuto reati per la sopravvivenza.
Tutti quei disgraziati tossicodipendenti, finiti in galera per disperazione.
Gli assassini che hanno ucciso il proprio sfruttatore.
E quella miriade di persone senza volto e senza nome, che vivono dimenticati dentro le patrie galere, senza nemmeno avere la possibilità di un’assistenza legale che consenta loro di poter arrivare fino a lei, fino al vertice di questa “catena alimentare”, che tutti ci divora.
600 milioni di buco, gravi danni economici a 12.000 piccoli risparmiatori e oggi “casi umani” che meritano l’interessamento diretto di un ministro?
Spregevoli ladri, che dai tempi di Bettino Craxi hanno depredato la vita di tutti noi, continuando col ladrocinio istituzionalizzato da un ventennio berlusconista, che alla fine della razzia ci aveva insegnato a credere che fossimo vittime di questa fantomatica crisi economica.
Tutta gente raccontata come appartenente ai “salotti buoni” della nostra economia, che a pensarci verrebbe da chiedersi: “se questi son quelli del salotto buono, chi entrerà mai dalla porta di servizio?”
Non è il suo gesto umanitario, a sconvolgermi, Ministro Cancellieri, semmai la solerzia con la quale ci si impegna per tirar fuori, o non far mai finire in galera, tutti gli adepti di questa banda di criminali, che dovrebbero risarcire un intero paese depredato e ridotto in ginocchio, da un tempo ormai troppo lontano.
Da quando Mister 5% inventava e perfezionava sistemi tangentizi, corruzione e ladrocinio.
È proprio questa gente ad essere oggi responsabile, almeno moralmente, di tutti quei piccoli reati che hanno portato in galera persino chi ha rubato il cibo per sfamare i suoi figli.
Gente che almeno in galera ha un pasto garantito.
Si faccia raccontare che significa per una famiglia senza lavoro, avere anche il pensiero di un figlio, un padre o un fratello in galera.
Si faccia raccontare la disperazione di chi non ha futuro, e soprattutto si faccia ricordare, ancora una volta, che è proprio grazie a gente come quella che merita il suo interessamento, che tantissimi altri non riescono più a vedere il futuro, e che a volte vanno a cercarsi almeno un domani, con una pistola giocattolo dentro un supermercato.
SICILIA, CASABLANCA DELLO SPIONAGGIO INFORMATICO. ISRAELE-CONNECTION. - Salvatore Parlagreco
Da tredici anni Israele è collegata con la Sicilia con cavi sottomarini in fibra ottica che trasportano scambi su web e comunicazioni telefoniche. L’Isola sconta una servitù di passaggio senza avere firmato patti e concessioni con alcuno. Accade con il gas, il petrolio, l’energia elettrica.
Come è diventata la Casablanca dello spionaggio informatico internazionale? Chi ha trattato con i partner internazionali? Quale parte hanno avuto Terna e Telecom nella realizzazione dell’hub siciliano?
Lo scandalo Datagate ha gettato una luce nuova sulle telecomunicazioni. Non è più una questione industriale, un affare fra aziende private, uno scippo, l’ennesimo, di prerogative e poteri decisionali, la prova di una povertà decisionale, ma la certificazione del ruolo opaco, misterioso e inquietante esercitato dalla Sicilia.
Giorno dopo giorno le rivelazioni di Snowden, il tecnico “pentito” della Nsa, e le informazioni pubblicate dalla stampa internazionale, delineano l’esistenza di un mondo parallelo, che spia quello in cui viviamo. E di questo mondo parallelo, l’Isola è protagonista inconsapevole.
Ci sono tutti dentro, meno quelli che “ospitano” le nuove macchine intelligenti costruite per dominare il mondo. La pesca a strascico delle informazioni, da parte della Nationale Security Agency, è soltanto la punta dell’iceberg. Gli inglesi lavorano a braccetto con gli americani, servizi francesi, tedeschi o israeliani non se ne stanno a guardare. La proverbiale efficienza del Mossad israeliano si sarebbe inceppata davanti allo strapotere della Nsa? E il governo italiano è rimasto all’oscuro di tutto?
La Sicilia è un hub internazionale nelle telecomunicazioni e ciò ne fa uno snodo essenziale nell’incrocio di dati e informazioni “grezze”, che vengono “trattate” da vari soggetti attraverso programmi estremamente sofisticati.
L’Isola, insomma, offre la materia prima. La rete di cavi sottomarini risponde ai bisogni del mondo reale, nasce per rendere un servizio pubblico ai paesi che l’utilizzano, ma è una struttura “infiltrata”, senza la quale non sarebbe possibile il reperimento delle informazioni. Uso proprio ed improprio, dunque. I flussi delle comunicazioni vengono “filtrate” dai soft, smistati, decrittati ed utilizzati attraverso target che ne giudicano automaticamente i livelli di utilità.
Due programmi della Nsa, Lithium e Stormbrew, di cui non si sa praticamente niente, “trattano” il materiale raccolto da Upstream, a monte, nei luoghi in cui viaggiano i flussi di comunicazione. Il “prelievo” avviene quando le fibre ottiche salgono in superficie a conclusione del loro viaggio in immersione.
Fairview, altra sigla della Nsa, vigila sulla proprietà delle reti telefoniche e internet a raggio internazionale. Esercita un controllo discreto sul mercato. Il collegamento fra la Sicilia e Israelepotrebbe essere perciò un affare americano, non solo israeliano.
L’alveare della Nsa opera in una mondo “parallelo” affollato, il suo strapotere non gli regala alcun monopolio, ma “solo” una influenza rilevante. La gestione dell’alveare costituisce il problema della Casa Bianca: è materialmente impossibile controllare dei quell’esercito di scienziati informatici, ben 4000, che sotto le varie sigle “spiano” il mondo.
Si sospetta che la megastruttura di spionaggio, ricevute le regole d’ingaggio all’indomani dell’attentato alle torri gemelle, grazie al Patriot act, abbia fatto quel che ha voluto, ed abbia agito liberamente, interpretando in modo indipendente la strategia di contrasto del terrorismo. Nella migliore delle ipotesi, è stato inserito un pilota automatico. La Nsa sarebbe una superpotenza in sè, pur agendo al servizio del suo governo.
Al servizio di chi svolge la sua attività l’hub siciliano? Essenziale al sistema di controllo mondiale delle informazioni, non è un partner istituzionale. Concepito da aziende di telecomunicazioni italiane ed estere, e vigilato dai servizi dei paesi interessati, Italia compresa, è una gigantesca struttura fantasma, ignorata da chi la ospita.
Se è impensabile che il Mossad trascuri le attività d’intelligence “informatico” degli americani – cavi sottomarini in fibra ottica e le antenne della sughereta di Niscemi – è del tutto plausibile che i siciliani non ne sappiano niente e che nei Palazzi romani si abbiano solo conoscenze superficiali e poco attendibili sul ruolo affidato alla Sicilia. Nella guerra al terrorismo ed alle mafie?
No, la finanziarizzazione dell’economia mondiale ha altre priorità.
Telefono amico...
"Sono intervenuta per una detenuta che rischiava di morire, non siamo tutti uguali davanti alla legge? Escludo che ci siano detenuti di serie A e di serie B. Rispondo sempre a chiunque mi telefoni per sollecitarmi un caso importante".
Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri
Bene, fatelo! Vediamo chi risponde.
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