sabato 22 febbraio 2014

Ministri, i ritratti secondo Feltri e Gramellini.




Matteo Renzi (Primo ministro)
Afono per via di una eccessiva esposizione alle correnti del Pd. Ma sempre velocissimo. Le prime, storiche parole rivolte da capo del governo ai giornalisti in fervida attesa sono state: «Sbrighiamoci, non vorrei farvi perdere Sanremo». Altri riferimenti culturali: la rubrica «Trova le differenze» della Settimana Enigmistica (Enrico Mentana favorito per la direzione) e Celentano, anche se certe pause ricordano Craxi.
Va talmente di corsa che potrebbe dimettersi già domani durante la cerimonia del giuramento, per dimezzare i costi.



Graziano Delrio (sott. Pres. Cons.)
A proposito di record, Graziano Delrio è probabilmente l’uomo di governo più prolifico della storia d’Italia: ha nove figli, il che dovrebbe garantire sulla velocità d’esecuzione. Con Matteo Renzi condivide l’amore per Giorgio La Pira e per la bicicletta, mezzo con il quale si sposta a mordimanubrio nella città che ha governato per nove anni: Reggio Emilia. Da ragazzo giocava a calcio in un oratorio di rito dossettiano, e gira la leggenda che lo volesse il Milan. È endocrinologo e cattolico. Ama la famiglia e a casa sparecchia con moglie e figli, operazione che svolta in undici si conclude in quaranta secondi netti.



Angelino Alfano (Interno)
Qui la novità è palese. Renzi ha ottenuto le dimissioni dell’incerto Alfano, da lui richieste a gran voce durante la crisi kazaka, quando donne e bambini venivano rapiti sotto lo sguardo impassibile del ministro dell’Interno.
Al suo posto arriva il risoluto Al Fano, che in omaggio al nuovo corso dichiarerà guerra al Kazakistan entro l’alba. Il bradipo Alfano impiegò dieci anni a tradire Berlusconi e dieci mesi a tradire Letta. Per adeguarsi ai ritmi serrati del neo premier, il furetto Al Fano si cimenterà in un’impresa ai confini dell’impossibile: tradirlo in dieci ore.



Federica Mogherini (Esteri)
Federica Mogherini, quarant’anni, moglie e mamma, va al mare a Santa Severa (Roma) sugli sgangheratissimi treni dei pendolari. Una lentezza che si permette soltanto nei viaggi da diporto, perché in quelli di lavoro tiene ritmi che conobbe, subito dopo la laurea in Scienze politiche, in piccoli e frenetici impieghi nei call center. È esperta di islam politico, materia approfondita all’Istituto di ricerche e studi sul mondo arabo di Aix-en-Provence. Dopo giornate di fitto apprendimento, talvolta si dedicava alla vita notturna di Rue de la Verriere. Lì apprese i rudimenti della vita internazionale per cui oggi siede in vari consigli transnazionali.



Roberta Pinotti (Difesa)
La prima donna a espugnare il ministero della Difesa ha in comune con Renzi un passato da capo scout. Le due giovani marmotte pianteranno insieme la tenda a Campo Chigi e obbligheranno i generaloni dell’esercito a lunghe marce ricreative, concluse da simpatiche schitarrate al chiaro di luna. Alla Leopolda di Renzi, la lupetta Robi coordinava il tavolo dedicato a Donne e Leadership. «La discussione è stata entusiasmante, anche se nel suo discorso Renzi non ne ha parlato», scrisse sconsolata sull’Unità (Mentana favorito per la direzione), «Con me Matteo ha ammesso l’errore: vedremo se seguiranno cose concrete». Sono seguite.



Andrea Orlando (Giustizia)
Il quarantacinquenne Andrea Orlando è uno degli ultimi prodotti della Federazione dei giovani comunisti di cui è stato segretario provinciale alla Spezia, città in cui è nato. Fu consigliere comunale con il Pci ed è arrivato al Partito democratico passando per Pds e Ds, come tanti meno giovani di lui. Con Piero Fassino approda in direzione nazionale, con Walter Veltroni diventa portavoce del partito, con Pierluigi Bersani è responsabile giustizia, con Enrico Letta raggiunge il governo e con Renzi ci rimane. Perché, come succede a quelli allevati nella tradizione, sa guadagnarsi velocemente la fiducia di chi comanda.



Stefania Giannini (Istruzione)
Linguista e glottologa, ex rettore dell’Università per stranieri di Perugia, Stefania Giannini (53 anni) scrive libri senz’altro appassionanti con titoli così Tra grammatica e pragmatica: la geminazione consonantica in latino o così La fonologia dell’interlingua . Principi e metodi di analisi. E anche una grande twittatrice, strumento con il quale esprime tutte la sua alta considerazione per Napolitano, Monti, Letta, Renzi e tanti altri. Per farvi capire: «Per @matteorenzi RIMPASTO parola vecchia? Più vecchia sua ipocrisia» (24 gennaio). «Grazie @matteorenzi, noi ci siamo!» (ieri). Ci sono sempre e comunque.



Pier Carlo Padoan (Economia)
Pier Carlo Padoan ha sessantaquattro anni e nel 1980, a trenta, insieme con giovani colleghi e guidato da Claudio Napoleoni, scrisse Afferrare Prometeo, un ponderoso saggio che si riprometteva - attraverso meccanismi di cooperazione e partecipazione che non sapremmo dettagliare meglio - di trovare una terza via fra marxismo e capitalismo. Il tentativo fallì, come le centinaia da cui fu preceduto e seguito, a meno che l’ipotesi non si stia concretizzando nel renzismo. Legge libri di storia ed è molto tifoso della Roma. Ha saputo dell’incarico a Sydney, da dove si sta scapicollando per tornare in Italia, ma è già in forte ritardo.



G. Poletti (Welfare), G. Galletti (Ambiente)
Dagli Appennini alle bande. In un governo dominato dagli emiliani (ci sono praticamente tutti tranne Prodi e Bersani) spiccano Gianluca Galletti – ministro bolognese dell’ambiente in qualità di esperto di raccolta differenziata dei voti di Casini – e Giuliano Poletti, l’uomo delle Cooperative Rosse (Mentana favorito per la direzione). Ci voleva il democristiano Renzi per portare al ministero del lavoro il simbolo del capitalismo comunista, detto «Falce e Carrello» come da titolo del libro di Caprotti, patron avvelenato dei supermercati Esselunga. Per Berlusconi è come se la Bocassini fosse diventata segretaria generale dell’Onu.



Beatrice Lorenzin (Salute)
Nata a Roma da padre istriano e madre fiorentina, Beatrice Lorenzin ha quarantatrè anni ed esce da una cotta formidabile per Silvio Berlusconi: «È intelligentissimo, geniale, il primo in tutto, un gigante», disse al Giornale (Enrico Mentana favorito per la direzione). Ora sta con Alfano ma è temperata da una gioventù trascorsa a far politica nelle borgate di Ostia e Acilia. Per raddrizzarsi i denti si è messa un apparecchio dolorosissimo. Da ministro della Salute prese una sbandata per Stamina, una cura «da Nobel». Organizza le Governiadi, scuola politica sul lago di Bolsena dove, alla sera, si lancia in balli vorticosi e sensuali.



Marianna Madia (Sviluppo)
Se il compito principale del nuovo governo è la lotta ai grandi burocrati, Marianna Madia ha i requisiti giusti. Intanto perché, dopo avere scambiato il ministero dello Sviluppo per quello del Lavoro (una disavventura che le costò critiche immeritate), impiegherà dei mesi per trovare il palazzo giusto, seminando il panico tra le ragnatele umane che abitano i piani alti. E poi la sua «straordinaria inesperienza», di cui si è sempre giustamente vantata, la farà sentire a proprio agio tra tanti funzionari che lavorano all’insaputa di se stessi. In dolce attesa, farà un figlio in tre mesi per venire incontro alle esigenze renziane di rapidità.



Dario Franceschini (Cultura)
Come anticipato da tempo, alla Cultura è arrivato uno scrittore. Non proprio Alessandro Baricco autore di «Seta» e fondatore della Holden, ma Dario Franceschini autore di «Daccapo» - la storia di un notaio di provincia che ha 53 figli da altrettante prostitute - e fondatore di Area Democratica, la corrente del Pd a cui quei 53 sarebbero iscritti (secondo i maligni). Daccapo?, col punto interrogativo, è anche l’espressione con cui Enrico Letta avrebbe commentato la sua nomina a ministro. Potrebbe presto usarla lo stesso Renzi, qualora Franceschini decidesse di mollarlo per qualcun altro: per motivi culturali, ovviamente.



Maurizio Martina (Agricoltura)
Come ogni bergamasco, il trentacinquenne Maurizio Martina è pazzo dell’Atalanta e ha scritto sull’Eco di Bergamo (Enrico Mentana favorito per la direzione). È nato al Calcinate, il paese dello zar Pietro Vierchowod. Nel ’93, appena morto Paolo Borsellino, organizzò un viaggio a Palermo dove coi compagni inscenò uno spettacolo teatrale sulla legalità. Lui aveva la parte di un agente di scorta. Invece di condurre il giovane Maurizio verso la gloria dei palcoscenici, l’evento lo conquistò alla passione civile. Dice di aver letto e sottolineato tutto Gramsci. Potrebbe farne uno scattante bignami per Matteo.



M.E. Boschi (Riforme)
Ministro delle Riforme e dei rapporti con il Parlamento, che non ha molta voglia di riformarsi ma tantissima di rapportarsi con lei. Come tutte le donne di aspetto grazioso, paga il dono di natura con invidie e malignità assortite. Ospite in decine di talk show, dalla sua bocca non è mai uscita una frase polemica, irriguardosa o anche solo imbarazzante. Non fa mai battute, ma da anni sopporta cristianamente quelle di Renzi. Forse è talmente seria che non le capisce, beata lei. Ma quando Matteo le ha detto che l’avrebbe portata in segreteria e subito dopo al governo, per la prima volta ha sorriso. Pensava fosse una battuta.



M. C. Lanzetta (Affari regionali)
Maria Carmela Lanzetta (59 anni) è l’ex sindaco di Monasterace, nella Locride (Reggio calabria). La sua sfida alla ’ndrangheta le ha procurato numerosi guai: le hanno scritto lettere minatorie, le hanno dato fuoco alla farmacia, hanno bersagliato di proiettili la sua auto e alla fine è entrata nel pantheon personale di Pippo Civati. Era contraria al governo, ma ha poi repentinamente cambiato giudizio.



Maurizio Lupi (Trasporti)
Il cinquantaquattrenne Maurizio Lupi ha la voce di Gianni Morandi (ma è stonato) e il viso della figlia di Fantozzi. Cattolico e ciellino, ha alle spalle una lunga carriera politica, ma ciò di cui va orgoglioso è la tenuta atletica: organizza viaggi per parlamentari alla maratona di New York. Sulla distanza deteneva il record del palazzo con 3 ore e 48, ma da poco glielo ha demolito Sandro Gozi: dieci minuti di meno! Amico di Angelo Scola, alla fumata bianca si precipitò da podista a San Pietro, convinto di essere diventato un po’ santo padre anche lui. Tornò mesto in via dell’Umiltà, sede del Pdl, dove fu accolto da impietosi cori di scherno.



Federica Guidi (Sviluppo)
Figlia dell’allora padrone della Ducati, requisito essenziale per entrare nel governo del Piè Veloce. Ha imparato la politica in Confindustria come vice di Matteo Colaninno, nel modo più semplice: facendo sempre il contrario di quel che faceva di lui. Molto apprezzata a destra per il suo piglio. Berlusconi voleva portare lei al governo e la Carfagna a cena, ma poi ci fu un disguido negli inviti. L’addetta allo Sviluppo (auguri!) ha le idee chiare: «Non pretendo che i miei collaboratori lavorino 12 ore al giorno. Ma non sarebbe uno scandalo lavorarne 42 alla settimana». Non fosse che lavorare che sta diventando uno scandalo, o comunque una rarità.

http://www.lastampa.it/2014/02/22/multimedia/italia/ministri-i-ritratti-secondo-feltri-e-gramellini-kBJJO0bfBB26BRugUmohTK/pagina.html

Il Vangelo secondo Matteo.

enrico bertolino

In questa puntata: Italiani, nel doman non v’è certezza e chi vuol esser lieto è un ... pirla!

Governo Renzi auto-rottamato, fatto fuori Gratteri restano solo lobby e gattopardi. - Peter Gomez

Nel 1994 era stato Cesare Previti, l’avvocato degli affari sporchi di Silvio Berlusconi, a entrare al Quirinale come Guardasigilli in pectore e a uscire degradato. Sull’onda dell’indignazione suscitata dalla scoperta di Tangentopoli, il Colle aveva detto no. E Previti era finito alla Difesa. Oggi, nel mondo alla rovescia dei ladri e della Casta, a venir depennato all’ultimo momento dalla lista ministri, è Nicola Gratteri, stimato magistrato antimafia, la cui colpa principale è quella di aver sognato di poter far funzionare la giustizia anche in Italia . Gratteri resterà in Calabria. E per la gioia della ‘ndrangheta, delle consorterie politico-mafiose e dell’Eterno Presidente, Giorgio Napolitano, in via Arenula ci finisce l’ex ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, celebre per aver chiesto l’abolizione dell’ergastolo e proposto l’abrogazione dell’obbligatorietà dell‘azione penale.
È il segno più evidente di come il rottamatore Matteo Renzi prosegua imperterrito nella distruttiva opera di auto-rottamazione e di demolizione del sogno di cambiamento che aveva rappresentato per molti italiani. Una stolta manovra iniziata con il tradimento e il successivo brutale accoltellamento politico del mediocre Enrico Letta, a cui il nuovo premier aveva più volte pubblicamente e bugiardamente assicurato lealtà.
Certo, sull’esclusione all’ultimo minuto di Gratteri in molti vedono le impronte digitali di Napolitano. Il presidente del secondo paese più corrotto d’Europa, noto per aver lesinato solo i moniti in materia di legalità della politica, ovviamente esclude ogni responsabilità. Resta però da spiegare come mai, stando a quello che risulta per certo a Il Fatto Quotidiano, al magistrato fosse stato assicurato il dicastero solo pochi minuti prima della salita di Renzi al Colle. E perché Napolitano, pubblicamente, abbia poi tenuto a precisare – con una sorta di excusatio non petita – che tra lui e Renzi non era avvenuto nessun “braccio di ferro” sulla lista dei ministri.
Nelle prossime ore le notizie su quello che è esattamente accaduto durante il lunghissimo faccia a faccia tra il neopremier e l’ottuagenario capo dello Stato, non mancheranno. Non c’è invece bisogno di retroscena per capire tutto il resto. Bastano i curricula dei ministri più importanti.
Nella lista spiccano i nomi dell’esponente di Confindustria e della Commissione trilaterale, Federica Guidi (Sviluppo economico), quello del presidente della Lega cooperative, Giuliano Poletti, dell’ex delfino di Berlusconi, Angelino Alfano (Interno), e del ciellino Maurizio Lupi (Infrastutture). Mentre all’Economia ci finisce Pier Carlo Padoan, capo economista dell’Ocse e ex presidente della Fondazione italiani europei di Massimo D’Alema, e alle Politiche Agricole, Maurizio Martina, già pupillo di Filippo Penati, l’ex presidente della provincia di Milano sotto processo per le tangenti di Sesto San Giovanni.
Il fatto che Renzi sia riuscito a mettere insieme una squadra formata al 50 per cento da donne, che l’età media dell’esecutivo sia piuttosto bassa, non servirà al premier per cancellare negli elettori la sensazione di trovarsi di fronte a un consiglio dei ministri espressione di quelle lobby da più parti ritenute responsabili del degrado del Paese. È infatti più che ragionevole dubitare che il suo obamiano programma di governo (“una riforma al mese”) possa essere messo in atto da una compagine del genere. Perché questo non è un dream team, ma solo una galleria di errori e orrori.
Così già oggi sappiamo che ha vinto il Gattopardo#lavoltabuona può attendere.

mercoledì 19 febbraio 2014

Svegliamoci!



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La ricchezza nelle mani di 85 persone. Indovina con chi sta la sinistra. - Alessandro Robecchi


Ottantacinque. Non 85.000 (ottantacinquemila), né 8.500 (ottomilacinquecento), e nemmeno 850(ottocentocinquanta), che già sarebbe spaventoso. No, no, proprio 85. Ottantacinque persone su questo affascinante e confortevole (per loro di sicuro) pianetino posseggono una ricchezza pari a quella di 3 miliardi e mezzo di persone, cioè lo 0-virgola-moltissimi-zeri-virgola-uno della popolazione ha un reddito pari a quello del 50 per cento più povero. La cifra, diffusa dall’Oxfam, è al di là di ogni immaginazione, provoca una specie di vertigine. In ogni paese del mondo c’è un grafico con due linee ben distinte: uno schizza verso l’alto, ed è la quota di ricchezza dei pochissimi super-ricchi, l’altra precipita verso il basso, ed è l’aumento della povertà dei moltissimi più poveri. Negli ultimi trent’anni la parte di ricchezza detenuta da pochi è aumentata ovunque e la quota di povertà distribuita tra gli altri è aumentata anche quella. Ovunque.
La lotta di classe esiste, insomma, non si ferma un attimo, non dà tregua, e i miliardari hanno vinto quattro a zero, coppa, giro di campo e champagne negli spogliatoi. Come sia stato possibile non è un mistero. Lo smantellamento di qualunque ideologia dell’uguaglianza e la sua applicazione politica (da Reagan alla Thatcher, alle scuole economiche iperliberiste che tanto piacciono a destra, ma anche a sinistra), per dirne una. E poi il potere politico delle multinazionali, per dirne un’altra. Immaginate di essere voi, normali contribuenti, a poter dettare le regole allo Stato in cui operate: abbassami le tasse, abbassami il costo del lavoro, fammi una legislazione comoda, fai pagare la sanità, fai pagare la scuola…Ecco, comodo, no? Voi non potete, un grande marchio sì.
Ma la discussione sulle cause (che sono numerose) non deve distrarre da una valutazione degli effetti: in molti casi siamo dalle parti dello schiavismo e in altre invece (i paesi industrializzati), alla proletarizzazione progressiva e costante del ceto medio. Insomma, anche nella ricchezza mondiale vince il bipolarismo, non più un mosaico di condizioni sociali, ma una marcia forzata e continua verso la polarizzazione: ricchi e poveri, e in mezzo poca roba.
Tutto questo, si direbbe, rende un po’ ridicole alcune stupidaggini fondamentali che vengono ripetute da decenni. Una: quella che recita che se aumenta la ricchezza diminuisce la povertà. Il ricco darà da lavorare, si dice, e migliorerà le condizioni dei poveri. Ecco. Cazzata, come ci dicono le cifre, dato che ovunque i ricchi sono più ricchi e i poveri più poveri e più numerosi. Altro mito di cartone da sfatare, il vecchio sogno delle simpatiche socialdemocrazie nordiche (che anche qui risuona, va di moda, insomma), cioè la famosa frase di Olof Palme, che diceva: “La sinistra non deve combattere la ricchezza ma deve combattere la povertà”. Bello, eh! Suona bene. Ottimo per l’aperitivo! Peccato che sia proprio la ricchezza di pochi a creare la povertà di molti.
Tassare i super-ricchi e le mega-imprese, costringerle a rispettare certi oneri sociali, a pagare le tasse, a pagare decentemente i lavoratori, a contribuire al progresso sociale dello Stato in cui operano cosa sarebbe se non “combattere la ricchezza?”. Non si fa, naturalmente, non è bello, non è conforme al pensiero unico che domina ovunque. In ogni angolo del mondo destre voracissime e sinistre pallidissime paiono unite nella lotta: tra i tre miliardi e mezzo ultimi e gli 85 che guidano la classifica, hanno scelto con chi stare.

martedì 18 febbraio 2014

Asl Foggia, la maxi truffa dei flaconi di disinfettante: da 60 a 1920 euro.

Asl Foggia, la maxi truffa dei flaconi di disinfettante: da 60 a 1920 euro 

Ne sono stati ordinati e pagati 929 anziché 90, per una spesa di 1,7 milioni di euro. Arrestati un funzionario e il titolare di una azienda produttrice, cinque le denunce.

FOGGIA - Flaconi di disinfettante per sale operatorie dal valore commerciale di circa 60 euro l'uno, venivano pagati dalla Asl di Foggia al prezzo smisurato di 1.920 euro: è la truffa nella quale sarebbero coinvolti cinque dipendenti dell'azienda sanitaria e due imprenditori, scoperta dalla guardia di finanza. Sette in tutto le persone denunciate, due agli arresti domiciliari. I finanzieri hanno sequestrato beni per circa 1,6 milioni di euro (27 fabbricati, 48 terreni, 8 autovetture, 27 conti correnti bancari e quote di 3 società). A fronte di un fabbisogno per le sale operatorie, stabilito dall'autorizzazione di spesa, di 90 flaconi, sono stati ordinati ulteriori 929 confezioni, per una spesa complessiva per l'ente di 1.783.680 euro. 

http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/02/12/news/asl_truffe-78368011/

UNA ESTROMISSIONE IN STILE MAFIOSO. - Viviana Vivarelli

Napolitano “voleva Monti al governo dal giugno 2011″. Il Colle: “Vero, ma è fumo”
Il succedersi degli eventi è impressionante e sono contrassegnati tutti dal più brutale attacco alla democrazia mai visto in 60 anni.
Alla vigilia dell’impeachment di Grillo arriva il colpo del Financial Times a Napolitano, pubblicato, guarda caso, dal Corriere, uno che è sempre stato coi piedi in due staffe. Napolitano riceve Renzi, che non ha nessuna carica parlamentare o ministeriale. Non sente prima i partiti come richiede la Costituzione, no, viola la prassi costituzionale e chiama direttamente quello che ‘deve’ nominare. Non agisce da coordinatore delle scelte parlamentari come vuole la Costituzione, ‘nomina’ arbitrariamente chi gli pare, come ha già fatto con Monti e Letta!
Renzi non è nessuno, a parte l’incredibile bagarre televisiva e mediatica che lo ha imposto agli occhi degli Italiani, la sua unica dote sta nei1.895.332 voti presi alle primarie del Pd in cui hanno votato  2.814.801 elettori sugli 8 644 523 che hanno  scelto il Pd alla Camera (nemmeno un piddino su 4). Siccome gli elettori italiani in tutto sono  50 449 979, è come se Renzi rappresentasse il 5,5 %  del popolo italiano!
Ma ecco che proprio alla vigilia dell’impeachment, l’inglese Financial Times anticipa un libro di Friedman, giornalista americano che ha lavorato su Rai3, che fa scoppiare uno scandalo: Napolitano si è consultato con Monti “ben 4 mesi prima che B cadesse”, e B è caduto non solo per il difetto dei numeri in Parlamento ma per decisione della Casa Bianca, per cui i mercati che hanno rialzato lo spread con lo scopo di mandarlo a picco minacciando di far crollare le azioni di Mediaset in Borsa (come già aveva spifferato Bossi dopo il G8 di Nizza). Così le società di rating ci hanno declassati illecitamente (malgrado le denunce dei nostri magistrati) e i banchieri di Wall City e della City di Londra hanno fatto dei begli affari su di noi. B è stato costretto ad andarsene e i poteri forti con la collusione di Napolitano hanno messo un loro uomo di fiducia, Monti, a capo del saccheggio italiano. Il mondo finanziario europeo collaborò ben contento di mandarci a picco e di banchettare sulle nostre imprese fallite e in primis esultò la Merkel (mentre si incontravano segretamente Prodi, Passera e De Benedetti, i quali addirittura stilarono il programma di Monti).
Monti, ricordiamolo sempre, non ha mai rappresentato la maggioranza degli elettori italiani, è stato scelto solo in quanto membro del Bilderberg e  presidente europeo della Trilaterale, il gruppo neoliberista di speculatori fondato da Rockfeller che sta rovinando l'Europa e primariamente l'Italia. Così abbiamo avuto l’aumento delle tasse, la Fornero e il suo attacco al mondo del lavoro col debito che  aumentava di 180 miliardi, la protezione di Clio ai Riva, il No deciso di Monti alla separazione delle banche d’affari da quelle di investimento, il No alla tassazione dei derivati e a un controllo sulle banche, e un primo atto di governo in cui Monti dava alla banca newyorkese Morgan Stanley 2 miliardi e 567 milioni di euro. A Monti Napolitano ha fatto seguire il docile Letta, vicepresidente della Aspen, altro esecutore del Bilderberg che ha portato avanti il patto con Berlusconi, il contratto sindacale unico, i regali alle banche, la svendita del patrimonio pubblico (Poste ecc.). Ma, di fronte al malcontento popolare, eccoci al gradino più basso: il debole Letta non basta più, va troppo piano nello smantellamento dell’Italia e così, dopo 10 mesi, se ne progetta il rapido assassinio, prendendo come sicario il rampante e ambiziosissimo Renzi, il cui pedigree non sta certo nei pochi voti presi (un partito del 5,5% non significherebbe nulla in Italia) ma nei 100 punti di un programma fatto da Gori (il programmista di Berlusconi), in cui si delinea un perfetto piano di estrema dx che piace molto al sistema finanziario come piacerà di sicuro alla P2: cancellazione dei diritti del lavoro e dello stato sociale, privatizzazione totale di beni e servizi, nessun sistema elettorale con preferenze ma anzi abolizione graduale dell’elezione democratica (Province, Senato…) in vista della trasformazione della repubblica da parlamentare a presidenziale, mentre Napolitano si dà da fare tentando (finora bloccato dai 5 stelle) di abolire l’art.139 della Costituzione, per trasformarla da rigida a flessibile e mette su la sceneggiata dei famigerati ‘saggi’ per cambiare in un colpo solo mezza Costituzione (secondo la ‘direttiva’ della prima banca d’affari USA: la Goldman Sachs). Quando Grillo avanza la messa in stato di accusa del PdR, i partiti lo difendono compatti ridicolizzandolo. Ma intanto Renzi come primo atto va a prendere ordini dalla Merkel e stringe i rapporti con B, sia direttamente che tramite Verdini che sembra lo abbia finanziato con 4 milioni di euro e lo ‘allevi’ dal 2009, cioè da 4 anni, come ‘cavallo di Berlusconi’.
Insomma la politica italiana sembra diventata un fatto privato tra Napolitano, Berlusconi, Monti-Letta e ora Renzi (con Prodi e De Benedetti nell’ombra), mentre i veri protagonisti nemmeno compaiono sui media italiani e sono: il sistema bancario-finanziario e la Trilaterale che ne è a capo.
Ed ecco il Financial Times che mette in difficoltà Napolitano e lo fa ad opera di un giornalista americano, il che fa temere piani anche peggiori. E per la prima volta abbiamo una lievissima critica fatta da Napolitano al Parlamento europeo all’austerity che ci sta massacrando. Siamo a 2 mesi dalle elezioni europee, con l’euro criticato solo del M5S, che solo per questo è il granellino di sabbia del sistema.
Appena Friedman parla, Napolitano che ha sempre sostenuto Letta, capisce che non può più continuare e Letta cade. Il Pdr non perde nemmeno tempo a sentire i partiti, li ignora, ignora anche e soprattutto il M5S che è il 2° partito italiano e rappresenta 9 milioni di elettori, sente solo il Pd e lo fa a nomina avvenuta, seguendo il nuovo diktat internazionale.
Scrive Pietro Ancona: “20 anni di berlusconismo non sono stati sufficienti a prepararci allo spettacolo del Segretario del Partito che pugnala alla gola il Capo del  Governo del suo stesso partito, assistito da un vecchio cinico che abita il Quirinale”.
Il totoministri di Renzi a questo punto è una buffonata. I poteri turbocapitalisti sanno già  chi mettere, magari la figlia di quel Reichlin economista liberista scelto dalla banca d’Inghilterra, sicuramente non saranno persone atte a fare gli interessi nostri e sicuramente saranno iperliberisti, per darci il governo più di dx mai visto in Italia, col consenso del Pd e di Sel, naturalmente, per la regola del “Tengo famigghia e poltrona”. Dopo di che la spoliazione dell’Italia sarà una cosa seria. E’ diventato risibile anche nemmeno parlare di processi per la compravendita di singoli parlamentari, stiamo assistendo al più grande mercato che la politica abbia mai fatto di se stessa: un intero parlamento e governo che si vendono in blocco al massimo aggressore!
Come diceva Ferrara: “La politica si basa sul ricatto”. Non sempre sui reati passati, spesso su quelli futuri.
Il Financial Times ha minacciato Napolitano e ha avuto il suo scalpo: porterà Renzi al governo nel modo più antidemocratico che si possa immaginare. Renzi sarà Capo del Governo per la resa ‘bulgara’ di 136 persone nel più avvilente suk politico della storia della Repubblica italiana.
Come dice Pietro Ancona: “Siamo lontani mille km dalla Costituzione e dalla prassi consolidata che regola le crisi di governo. Siamo lontani dalla democrazia”.
Ma ora il giovane squalo non può solo proclamare, per tenersi in sella deve trattare. E qui cominceranno i suoi guai.
(ricevuta tramite email dall'autrice)