Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 15 novembre 2014
Che fa l'Europa? Che succede in giro per il continente? - Sergio Di Cori Modigliani
"Es hora del sentido comùn, de recuperar la soberanìa y la democracia. Todos juntos, claro que podemos!". Pablo Iglesias.
(trad.: "E' l'ora del buon senso, di recuperare la sovranità e la democrazia. Tutti insieme, ma certo che possiamo farcela!")
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In Europa, in questo momento, esistono quattro nazioni e mezzo nelle quali non è assolutamente possibile andare a votare.
In comune, questi paesi hanno il fatto di coprire l'intera area del Mediterraneo.,
Sono la Grecia, il Portogallo, la Spagna, la Francia e l'Italia.
L'Italia è il "mezzo paese", non è ancora certo se possa o non possa.
I sondaggi in Grecia (sembra quelli veri, a disposizione del ministero degli interni e che vengono letti ogni mattina sia dalla troika che dalla commissione europea) sono molto chiari ed espliciti in proposito: per la terza settimana di seguito rivelano un trend ormai accertato.
Se si andasse a votare, la lista Tsipras vincerebbe alla grande con un risultato intorno al 25/30% dei consensi. Il secondo partito sarebbe, probabilmente, la lista neo-nazista di Alba Dorata, intorno al 15/18%. Finirebbero terzi e quarti il centro-destra e il centro-sinistra, ovvero le due compagini che hanno amministrato la Grecia, a turno, negli ultimi 15 anni.
Risultato: in Grecia non si può andare a votare.
In Portogallo, in seguito a una miriade di scandali finanziari, la prospettiva è cambiata radicalmente negli ultimi sei mesi. Un mini partito di ecologisti volenterosi (O'Tierra Madre) risulterebbe addirittura il primo partito, con una totale debacle della destra e della sinistra e un fallimento annunciato per Josè Manuel Barroso, l'uomo di ferro dell'Unione Europeo che ha presieduto negli ultimi 5 anni la commissione fino a venti giorni fa: è dato quarto.
In Francia, è cosa nota, Marie Le Pen vincerebbe alla grande con una differenza di 20 punti rispetto a Hollande.
In Spagna, un partito figlio degli indignados de la Puerta (il primo movimento europeo ad aver dato il via, nel 2011, al risveglio dei cittadini) che si chiama "Podemos", fondato il 15 marzo del 2014, vincerebbe le elezioni. Nel maggio scorso, alle europee, ha ottenuto l'8,5% dei suffragi. Ma ai primi di settembre arriva la clamorosa sorpresa. La pattuglia di deputati europei -autonomi, indipendenti, senza nessuna affiliazione perché non sono riusciti ad accorpare il numero richiesto di nazioni- inizia a lavorare "virtualmente", grazie a un eccezionale e altamente professionale ufficio di comunicazione, costituito da personalità ad alta competenza specifica, e "fingono" di partecipare ai lavori della commissione europea. Emettono quotidiani e regolari comunicati stampa e lanciano un programma specifico inventato da un informatico di Valencia per varare le prime piattaforme di democrazia diretta. Propongono delle leggi (il tutto, si intende virtuale) e le fanno votare in rete. Per poter votare basta essere cittadini spagnoli e residenti nel territorio del regno iberico.
Gli organizzatori si aspettano circa 20.000 votanti.
Ne arrivano, invece, 275.000. Dopo venti giorni, una seconda votazione su un altro provvedimento raggiunge i 340.000 votanti.
Diventa un "caso di interesse sociologico" di cui si comincia a discutere e parlare in Spagna.
Ma a ottobre arrivano i sondaggi dell'istituto demoscopico reale: per la terza settimana di seguito indicano la lista "Podemos" al 28% nel caso di elezioni, con il partito socialista al secondo posto con il 22% e il centro-destra (attualmente al governo) con un 15/18%.
Il leader di Podemos, Pablo Iglesias (proveniente dal settore della sinistra anarchica di catalana memoria) che ha 37 anni di età, giornalista, scrittore, intellettuale, viene intervistato da tutte le televisioni e il suo indice di gradimento tocca livelli vertiginosi-
El Pais, il più importante e diffuso quotidiano della nazione, pubblica un ampio reportage sull'inedito quadro politico della nazione e chiede una verifica di questo clamoroso dato proponendo di indire nuove elezioni.
Arriva il no perentorio dell'Unione Europea.
Così come per la Grecia.
Così come il Portogallo.
Così come per la Francia.
I popoli europei sono stati sequestrati.
Come sosteneva Pablo Iglesias in una intervista televisiva (42% di share, superiore alla finale dei mondiali di calcio di quattro anni fa quando la Spagna vinse) rispondendo alla domanda capziosa "ma lei si considera un democratico alla guida di un partito democratico?" ha risposto: "Prima di tutto il nostro è un movimento e non un partito, è orizzontale ed è strutturalmente posizionato in termini liquidi; stiamo formando un'adeguata classe dirigente e siamo pragmatici. Il termine "democratico" è obsoleto e retorico. La democrazia in Europa è finita. Non esiste più. Noi viviamo nella post-democrazia. Siamo dentro una realtà radicalizzata dove esistono due fazioni: da una parte una oligarchia sempre più ristretta e sempre più ricca, dall'altra l'intero corpus sociale. Non esiste più lo scontro capitale-lavoro. E' anche ridicola la dizione destra-sinistra. C'è un unico tavolo che va aperto: quello tra l'oligarchia e i rappresentanti dei ceti sociali che producono e lavorano, o che vorrebbero farlo visto che in Spagna la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 50%. Il problema consiste nella re-distribuzione delle ricchezze, non nei dati del pil".
E l'Italia?
Ecco il punto: come al solito siamo il 1/2 paese.
Una incognita.
Neppure i più accurati sondaggi sono in grado di prevedere lo stato reale di una potenziale elezione politica.
Perché siamo diventati un "paese virtuale".
E' il risultato della comunicazione politica iniziata da Berlusconi a tambur battente nel 2001, in seguito proseguita e sempre più perfezionata da Monti, da Letta, che raggiunge l'apice con il caro leader: la pratica dell'annuncio, la titolazione che sostituisce il contenuto, la visibilità che sostituisce la sostanza, il nominalismo magico che sostituisce la realtà dei fatti.
E poiché il disagio aumenta e dilaga, i soldi sono sempre meno, i consumi quindi non possono ripartire, aumenta la confusione e l'annebbiamento.
Mentre, nel resto d'Europa, chi sta al potere sente il fiato sul collo dell'opposizione collettiva della nazione e corre ai ripari (se non altro) per tappare un buco immediato e le falle di emergenza applicando dei provvedimenti reali, fattibili, immediatamente operativi, nel nostro paese si va avanti a tweet e post su facebook, con conseguenti forum da bar.
In Francia, ad esempio, la notizia migliore per Hollande -che considero comunque un uomo molto intelligente e capace, un "vecchio politico" che ha scelto quindi la strada del compromesso debole, pensando nel frattempo di rabbonire i tedeschi che, con realismo storico, teme perché li conosce - è stata risultato europeo e i susseguenti sondaggi che lo davano straperdente a favore dell'estrema destra.
Migliore, secondo me, perché si è liberato del fardello di "mantenere il consenso" visto che non ce l'ha e ha attuato subito dei dispositivi finanziari che in Francia stanno funzionando, migliorando la situazione nel paese. Hollande ha avuto quindi la possibilità di andare dai suoi poteri forti locali (ciascuno conosce i propri polli ed è sempre con loro che è necessario fare i conti) per dire con chiarezza "o redistribuiamo la ricchezza in maniera intelligente oppure ve la vedete con la Le Pen e posso anche dimettermi" (confermato da Le Point e da Le Monde).
In Spagna, il movimento "podemos" sta obbligando Rajoy a fare i salti mortali pur di sopravvivere e impedire una vera rivoluzione in Spagna, e la stessa cosa sta accadendo in Grecia.
Da noi, invece, non cambia nulla perché il caro leader ha fatto di twetter il suo distintivo preferito.
Ciascuno ha i propri gusti. ma si tratta di una finzione narrativa. Il nostro premier è vecchio, stantio, obsoleto.
La considero l'ultima (in ordine di tempo) grande truffa : offrire ai cittadini del paese dei balocchi una mummia incartapecorita democristiana che ha le parvenze di un giovanotto high tech.
E l'Europa lo sa benissimo.
Gli avvoltoi dei colossi finanziari ne approfittano.
Anche le grandi potenze.
E' di oggi la notizia che il gruppo nipponico Hitachi sta acquistando la Ansaldo cantieri.
E i giapponesi li sanno fare gli affari, non sono certo una società di beneficenza innamorata del Bel Paese.
Bloccata la cordata cinese per papparsi le nostre banche decotte piene zeppe di debiti (è il costo delle clientele oligarchiche) pare che il Monte dei Paschi di Siena finirà acquistato da BNP-Paribas. Forse si prenderà anche Banca Carige, Banca delle Marche e altri sei istituti di credito.
La commissione finanze dei paesi della zona euro sanno che l'Italia è una mina vagante e un pericolo per tutti, e preferiscono che siano i tedeschi o i francesi a gestire il nostro paese invece che i cinesi o i giapponesi o i catarioti. Dopotutto, tra europei, se si vuole, ci si capisce sempre al volo.
Imperdonabile la nuova linea di Confindustria che per bocca di Squinzi fa comprendere la totale latitanza dell'imprenditoria italiana dalla realtà del mondo post-moderno in cui viviamo. Seguitano a comportarsi come ai tempi della famiglia Agnelli.
Come se la realtà geo-politica fosse la stessa.
Mentre la destra estrema si gioca tutte le sue carte in Italia alimentando in maniera da sciacallo la rabbia per gestirla a modo loro, insieme ai refusi rifondaroli e a qualche mummia che sogna la rivoluzione bolscevica (il tutto mescolato in una salsetta retorica basata su una ricetta demagogica) il paese reale è appiattito dal genocidio culturale e non riesce più a produrre attualità, che vuol dire essere partecipi dell'autentico scenario reale.
L'Italia sta diventando una comparsa di un film scritto da altri.
La perdita totale delle nostre bussole culturali ci sta condannando -come in una tragica legge del contrappasso- a girovagare in una terra deserta litigando sui miraggi.
Mentre le cifre, le scadenze, i programmi li decidono altrove.
Ci rimangono gli annunci, i titoli, le striscette di facebook.
L'Europa si sta risvegliando.
Ogni nazione lo sta facendo a modo suo, ed è tanto più convincente quanto più segue e rispetta la tradizione culturale autoctona.
Se non si coglie la palla al balzo in questo momento e non si costruisce, tutti insieme, una nuova narrazione colta, perderemo l'ennesimo appuntamento con il destino della storia e non saremo in grado di costruirci la "nostra alternativa italiana".
Finiremo per seguire capipopolo che arringano le folle incitando alla guerra di una parte dei poveri contro una parte di poveri altri. Per far guadagnare i mega ricchi.
E' inevitabile.
Un paese intelligente e istruito (com'era l'Italia un tempo) che rinuncia alla propria tradizione culturale denunciando la propria incapacità a promuovere il merito e la competenza, si condanna da solo alla marginalità.
E non è colpa né della Merkel né di Goldman Sachs, né dei massoni, né degli ebrei, né dei mussulmani, né dei rom.
E' colpa dell'ipocrisia collettiva, da tutti praticata con disinvolto senso di irresponsabilità.
Noi, non podemos proprio fare un bel nulla.
Il successo scientifico della navicella Rosetta, frutto dell'impegno e ingegno italiano è una prova lampante: non appena ce lo consentono, non appena ce lo permettono, non appena c'è uno straccio di investimento, di riconoscimento, il genio italiano lascia sempre la sua firma indelebile.
Ed è questo il patrimonio che va rimpinguato.
Tutto il resto sono chiacchiere inutili. E si ricomincia da lì.
Altrimenti, dovremo seguitare a sorridere dello splendido aforisma di Ennio Flaiano, scritto nel 1962, e promuoverlo a profezia "Essere italiani: che grande e tragica perdita di tempo".
E invece, nel frattempo, in Europa hanno già iniziato a rimboccarsi le maniche.
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2014/11/che-fa-leuropa-che-succede-in-giro-per.html
venerdì 14 novembre 2014
Diphylleia grayi.
Quando è bagnato dalla rugiada mattutina, il fiore perde il suo colore bianco e diventa trasparente!
http://www.mundogump.com.br/diphylleia-grayi-flor-das-petalas-de-vidro/
Ex ministro Ambiente Clini a giudizio per corruzione.
ROMA (Reuters) - L'ex ministro dell'Ambiente Corrado Clini andrà a processo a per corruzione con rito immediato a Roma il prossimo 12 marzo. Lo ha deciso il gup romano Massimo Battistini, come riferito oggi da fonti giudiziarie.
La procura di Roma contesta a Clini di avere ricevuto una tangente di oltre un milione di euro tra l'ottobre 2010 e il giugno 2011, quando era direttore generale del ministero dell'Ambiente, relativa a un finanziamento per un progetto di riqualificazione idrica in una zona dell'Iraq, erogato dallo stesso dicastero.
Assieme all'ex ministro è stato rinviato a giudizio l'imprenditore di Ferrara Augusto Calore Pretner.
Clini è stato ministro sotto il governo di Mario Monti tra il novembre 2011 e l'aprile 2013, dopo i fatti contestati dalla Procura.
Claudio Scajola vende la casa al Colosseo. E ci guadagna un milione di euro. - Marco Lillo
L'ex ministro ha ceduto a 1,63 milioni il 'mezzanino' che nel 2004 aveva pagato 610mila euro con l'aiuto "a sua insaputa" della 'cricca' di Anemone. Che aveva colmato la differenza per l'acquisto da 1,7 milioni.
Alla fine Claudio Scajola è riuscito a vendere la sua casa al Colosseo. Il 16 ottobre scorso la moglie dell’ex ministro, con delega del marito, ha firmato davanti al notaio Paolo Becchetti l’atto di vendita dell’appartamento al primo piano con vista sui fori imperiali. Scajola si è messo in tasca un milione e 630mila euro, dei quali 50mila riferiti ai mobili presenti nell’appartamento. Nel luglio del 2004 l’allora ministro dello Sviluppo Economico aveva pagato solo 610mila euro. Quindi a distanza di dieci anni, dopo un processo per finanziamento illecito chiuso in appello con la prescrizione dopo l’assoluzione in primo grado, Scajola ha incassato una plusvalenza di 970mila euro, escludendo i 100mila euro dei lavori fatti dieci anni fa e che sarebbero stati pagati da Anemone secondo l’accusa, contestata da Scajola e non accolta in primo grado. Sono 97mila euro all’anno per dieci anni, tutti esentasse.
E’ un po’ come se qualcuno avesse pagato un secondo stipendio da 8mila euro netti al mese per dieci anni a Scajola che stavolta non può nemmeno dire che ciò sia avvenuto ‘a sua insaputa’. Ormai anche lui avrà compreso che il prezzo realmente pagato nel 2004, come dichiarato dalle venditrici alla Guardia di Finanza, è stato di un milione e 700 mila euro. Scajola il 7 luglio del 2004 nel suo ufficio al ministero ha versato di tasca sua per l’appartamento di 180 metri soltanto i miseri 610mila euro dichiarati davanti al notaio Gianluca Napoleone, giunto appositamente al ministero come le venditrici e l’immancabile architetto Angelo Zampolini che ha tirato fuori gli assegni circolari offerti da Anemone e compagni per colmare la differenza. Alla fine il regalo del 2004 della ‘Cricca’ di Anemone arriva quasi a coprire la plusvalenza realizzata da Scajola con l’atto depositato in conservatoria il 3 novembre scorso.
In realtà Scajola era riuscito a spuntare molto di più. Al Fatto risulta che il 18 aprile 2012 l’ex ministro aveva firmato un preliminare con l’imprenditrice della sanità Jessica Veronica Faroni, direttore generale del Gruppi INI, titolare di cliniche sparse tra Roma, Guidonia e Grottaferrata. Il prezzo stabilito nel preliminare era di 2 milioni di euro. La dottoressa Faroni consegnò alla firma del preliminare un assegno circolare Unicredit di 250mila euro come caparra però poi si accorse che qualcosa nelle pratiche urbanistiche non collimava e iniziò una contesa.
Il 27 marzo 2013 Scajola e Faroni chiudono le liti con una scrittura privata nella quale si danno reciproco atto che a “fronte della mancata corrispondenza dello stato di fatto dell’immobile rispetto ai dati catastali e alle planimetrie depositate con particolare riferimento al locale cucina (…) concordavano una riduzione del prezzo da 2 milioni a un milione e 800 mila euro”. In compenso la promittente acquirente si dichiarava disponibile a “acquistare tutto il mobilio e gli arredi presenti nel suddetto immobile per un importo di 50 mila euro”.
Per cautelarsi dai rischi del procedimento penale a carico di Scajola, si concordava di dare mandato al notaio Becchetti per incassare 1,2 milioni come deposito “onde scongiurare il rischio di sequestro dell’immobile”. Nulla di tutto ciò è accaduto e Scajola ha potuto portare a termine la vendita. Però a comprare alla fine è stata una società: Italy Hotels and Suites Srl, costituita il 24 settembre 2014 amministrata da Luca Nicolotti che ne detiene solo una quota dell’uno per cento mentre il restante 99 per cento è intestato alla Fid. Italia Srl, una società fiduciaria che scherma la proprietà. Il prezzo è stato pagato, come risulta dall’atto, per 580mila euro con assegni circolari di un conto acceso al Monte dei Paschi di Siena mentre un milione e 80mila euro provengono dai circolari di un conto acceso all’Unicredit. Uno di questo assegni, pari a 250mila euro, ha lo stesso numero di quello consegnato come caparra nel 2012 dalla dottoressa Faroni.
Scajola ha pagato all’agenzia immobiliare Tevere Srl un compenso di 76mila euro e l’agenzia ha iniziato un contenzioso legale per ottenere il pagamento di una provvigione anche dalla dottoressa Faroni, per il preliminare di vendita. L’imprenditrice però si è rifiutata e la causa è in corso. A marzo dovrebbe esserci una nuova udienza. “Il Tribunale per due volte ha rigettato la richiesta di decreto ingiuntivo”, spiega Jessica Veronica Faroni.
Che fine faranno ora i soldi? Al Corriere della Sera nel settembre del 2010 Scajola aveva promesso: “Vendo la casa e offro la differenza in beneficenza”. Poi nel maggio del 2012, dopo la firma del preliminare, al Fatto aveva rettificato: “Sto valutando un gesto ancora più forte, ma che non vi posso dire adesso, lo dirò nel momento in cui farò il rogito. Io quello che prometto lo mantengo sempre”. Il Fatto ha provato a contattare Claudio Scajola, nel frattempo uscito dagli arresti disposti per la vicenda Matacena e sottoposto solo all’obbligo di dimora. Al telefonino risponde la sua voce registrata: “Non sono al momento raggiungibile”.
Ora ci aspettiamo che mantenga la parola e devolva la plusvalenza in beneficenza, visto che l'appartamento è frutto di "beneficenza" ricevuta....
giovedì 13 novembre 2014
Amiu, tutti gli imprenditori indagati per corruzione. - Matteo Indice.
Genova - Il giro degli imprenditori in affari con i manager Amiu (l’azienda comunale della nettezza urbana) era molto più ampio di quanto trapelato finora. E svariava dai giganti come “Switch” alle cooperative sociali tipo “Il Giglio”. Non solo. Nelle carte dell’inchiesta sugli appalti pilotati in materia di smaltimento rifiuti, spunta oggi l’elenco dettagliato di chi è sospettato d’aver pagato vere e proprie tangenti in cambio di commesse pubbliche.
Le ultime perquisizioni sono state eseguite dai carabinieri due giorni fa. E hanno portato all’iscrizione sul registro degli indagati di Stefano e Daniele Raschellà, 55 e trent’anni, rappresentanti dell’impresa “EdilDue”. Sono accusati di corruzione poiché - insistono gli inquirenti - avrebbero pagato o comunque partecipato al pagamento di stecche per ottenere proprio da Amiu l’incarico per la «realizzazione delle opere di adeguamento dei locali siti in via Leoncavallo a Sestri Ponente» e il noleggio da loro d’una serie di mezzi per l’emergenza neve.
Ancora: i pm Paola Calleri e Francesco Cardona Albini inseriscono EdilDue nella galassia delle ditte che lavoravano a stretto contatto con il gruppo Mamone, ritenuti fra i principali collettori di mazzette a un paio di dirigenti Amiu sottoforma di notti (pagate) con escort. Perciò nelle scorse settimane erano stati indagati, sempre per corruzione, Gino e Vincenzo Mamone, che hanno ricoperto varie cariche in “ImpresAres” e “Ares International”, appaltatrici di Amiu. È notizia invece delle ultime ore l’estensione dell’addebito alla moglie di Gino, Ines Capuana. Il 7 febbraio scorso i militari del Nucleo operativo ecologico hanno consegnato a palazzo di giustizia un nuovo dossier, in cui circoscrivono con più chiarezza le «prove» sui “pagamenti”.
Quali erano, secondo gli investigatori, gli uomini Amiu “ammorbiditi” dai favori di chi voleva ottenere da loro appalti in materia di rifiuti e bonifiche-lampo? In primis il superdirigente Corrado Grondona, 56 anni, responsabile legale e affari generali. Ma sono accusati di corruzione pure Massimo Bizzi (56, servizi generali), Claudio Angelosanto (51, responsabile del centro smaltimenti alla Volpara) e Roberta Malatesta (55 segretaria di Bizzi)
Oltre al “gruppo Mamone”, legatissimo a Grondona, gli investigatori mettono nel mirino altre due presunte “cricche”. Si comincia con Maurizio Dufour (48) e Roberto Curati (54), ai vertici della Switch, che ha ottenuto appalti per milioni da Amiu specie per la raccolta della carta. Del loro lavoro, e grazie ai buoni uffici con i dirigenti pubblici, avrebbero beneficiato di riflesso altri impresari e consulenti: Augusto Russo, 55 anni, Franco Dardano (53), Gerlando Lorenzano (54) e Paolo Carrea (53).
I referenti nell’ex municipalizzata, per ottenere incarichi strutturali o urgenti, a parere dei pm erano in primis Bizzi e Angelosanto. In rapporti con Roberta Malatesta erano invece Antonio, Matteo e Simone Cicala (55, 27 e trent’anni), per le aziende “Spemi” (bonifiche) ed “Eurocolors”. Oltre all’accusa di corruzione, per loro è scattata la truffa ai danni di un ente pubblico (Amiu appunto). Stessi addebiti per Stefano Ionadi, 41 anni, al momento delle assegnazioni contestate guida della coop Il Giglio, che si è aggiudicata in particolare la «gara informale per l’affidamento del servizio di diserbamento nelle strade veicolari e pedonali di Genova».
Altro filone è sulla possibile truffa nella gestione della differenziata o in specifiche operazioni subappaltate da Amiu: certificate a regola d’arte, quindi pagate in toto dalla società comunale, ma eseguite solo sommariamente (non ci sarebbero però di mezzo tangenti). Qui gli indagati sono una trentina - alcuni nomi ricorrono dalla tranche sulla corruzione - e per sette s’ipotizza l’associazione a delinquere.
Appalti e sesso, “pilotati” pure i lavori per il post-alluvione
Corrado Grondona
Genova - Anche gli appalti per lo smaltimento rifiuti dopo le alluvioni che hanno flagellato Genova negli ultimi anni venivano barattati in cambio di sesso : è uno degli aspetti più inquietanti che emergono dalle carte dell’inchiesta sugli appalti pilotati in favore di alcuni imprenditori da 3 dirigenti dell’azienda di nettezza urbana Amiu, che in mattinata ha fatto scattare 7 arresti.
In manette sono finiti Corrado Grondona, manager degli Affari generali della stessa Amiu, e uno degli imprenditori più noti della città, il “re delle bonifiche” Gino Mamone; in carcere anche suo fratello Vincenzo, il nipote Luigi e gli impresari Stefano e Daniele Raschellà, oltre a Claudio Deiana. Indagati a piede libero altri 2 dirigenti di Amiu, Massimo Bizzi e Roberto Ademio.
L’accusa per tutti è di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta: le ordinanze di arresto sono state emesse dal giudice dell’indagine preliminare Roberta Bossi su richiesta dei pubblici ministeri Francesco Cardona Albini e Paola Calleri.
Così scrive il gip nel circoscrivere le prime accuse: «Corrado Grondona, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, nella qualità di dirigente dell’area Approvvigionamenti e Affari generali di Amiu Genova Spa, e quindi di pubblico ufficiale, accettava la promessa e quindi riceveva utilità da Gino Mamone, Vincenzo Mamone, Luigi Mamone, Stefano Raschellà, Daniele Raschellà, consistente nella reiterata fruizione di cene e prestazioni sessuali da parte di prostitute pagate dai predetti, per compiere e avere compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio».
Ancora: «In particolare, con il concorso di Corrado Bizzi (responsabile dell’ufficio Servizi esterni di Amiu), nel triennio 2010-2013 affidava direttamente a Eco.Ge Srl (società di cui Gino Mamone era socio di maggioranza) prestazioni di servizi correlate a eventi alluvionali per l’importo complessivo di 585mila euro, senza compiere gli adempimenti previsti per gli affidamenti in economia di lavori di somma urgenza, tra cui in particolare la redazione da parte del responsabile del procedimento del verbale attestante i motivi dello stato d’urgenza, le cause che lo hanno provocato e i lavori necessari per rimuoverlo, nonché la redazione di perizia estimativa dei lavori, comunque in violazione dei principi di buon andamento».
I DUE MATTEO E DI MATTEO. - Marco Travaglio
Matteo di qua, Matteo di là, anche perché i Matteo sono due: Renzi e Salvini.
Parlano dappertutto e ne parlano tutti.
Poi c’è Di Matteo, nel senso di Nino, il pm di Palermo condannato a morte da Totò Riina, il quale – intercettato nell’ora d’aria con il boss pugliese Alberto Lorusso – non s’è limitato a “minacciarlo”, come scrive la stampa corazziera, ma ha ordinato una strage come a Capaci e in via D’Amelio: “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile ucciderlo, un’esecuzione come a quel tempo a Palermo. Organizziamola questa cosa, facciamola grossa e non parliamone più”.
Era il 16 novembre 2013.
In 12 mesi il capo dello Stato, pur così ciarliero fra esternazioni e moniti, non ha trovato due parole di solidarietà per questo servitore dello Stato.
Nemmeno quando se l’è ritrovato davanti per testimoniare sulla trattativa Stato mafia, e ha ricordato quando Cosa Nostra voleva far la pelle a lui e a Spadolini.
Nemmeno ieri, quando Repubblica ha rivelato che una fonte “molto attendibile” ha raccontato (con le stesse parole di un’altra fonte che nel giugno '92 preannunciò la strage di via D’Amelio) che “a Palermo è già arrivato il tritolo per Di Matteo”.
Due mesi fa anche il Pg Roberto Scarpinato, che sostiene l’accusa nel processo d’appello al gen. Mori per la mancata cattura di Provenzano, ha subìto minacce gravissime: uomini del cosiddetto “Stato” si sono introdotti nel suo ufficio e nel corridoio antistante per lasciare una lettera di avvertimenti sulla sua scrivania e la scritta “Accura” (attento) sulla porta di fronte alla sua stanza, nella certezza di non essere ripresi dalle telecamere di sorveglianza.
Diversamente dai due marò, questi magistrati non hanno diritto alla solidarietà del capo dello Stato, forse perché non sono accusati di duplice omicidio.
Le tv perlopiù ignorano queste notizie e i giornali, quando ne parlano, le trattano come normale routine.
Anzi, su Libero si leggono articoli infami che irridono a quei magistrati in pericolo come se le minacce e le condanne a morte se le inventassero loro.
E sul Foglio, già noto per aver beatificato gli Squillante e i Carnevale, è partita un’ignobile campagna perché a Palermo arrivi un nuovo procuratore che assicuri l’isolamento dei pm della Trattativa più ancora di quanto già non facciano molti loro colleghi.
A luglio il vecchio Csm si accingeva a nominare l’attuale procuratore di Messina Guido Lo Forte, già braccio destro di Caselli ai tempi d’oro degli arresti di centinaia di boss e dei processi Andreotti, Dell’Utri, Contrada, che in commissione si era imposto con tre voti su Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, e Franco Lo Voi, ex rappresentante italiano a Eurojust, che avevano raccolto un solo voto a testa perché meno titolati (soprattutto Lo Voi, che ha 9 anni meno degli altri due e non ha mai diretto un ufficio giudiziario).
Ma intervenne a gamba tesa il Quirinale con un’incredibile lettera del segretario Donato Marra, che bloccò la nomina imponendo – fatto mai accaduto – di dare la precedenza ad altre 25 sedi giudiziarie vacanti: cioè di seguire un inedito “ordine cronologico”, partendo dal fondamentale Tribunale dei minori di Caltanissetta.
Ora il Foglio – non smentito da nessuno – rivela che il vicepresidente del nuovo Csm, l’ex sottosegretario di Renzi Giovanni Legnini, “deve interpretare un indirizzo che arriva da Palazzo Chigi” e dal Colle: “imporre discontinuità con l’attuale gestione di matrice ingroiana” con “l’affermazione di uno degli ultimi due candidati (Lari, grande critico dell’impostazione data alla trattativa Stato-mafia, è favorito ma la partita è aperta)”. Lo chiedono “i figli del Nazareno”. Quindi: il governo vuole scegliersi il procuratore di Palermo in barba alla Costituzione e alla divisione dei poteri; pretende che sia il più lontano possibile dai pm che rischiano la pelle col processo sulla Trattativa; e il Csm, che dovrebbe tutelarli, deve isolarli vieppiù.
Come accadde a Falcone prima dell’Addaura e di Capaci e a Borsellino prima di via D’Amelio.
La trattativa è viva e lotta insieme a loro.
Se il Csm non avrà uno scatto d’orgoglio per respingere queste ributtanti pressioni, ci sarà solo da vomitare.
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